Language Is A Virus

Post N° 194


Di giorno per guadagnarmi da vivere scrivevo robaccia per varie riviste porno, dalle lettere alla redazione  piene di fantasiose richieste sessuali di amletici teen agers, a brevi racconti che nessuno leggeva mai perchè facevano solo da cornice alle foto. Di sera invece, per non starmene tutto solo a prendere freddo nella mia stanza, andavo ad un corso per la gestione della collera che si teneva in una vecchia scuola di periferia.Era lì che ci eravamo conosciuti, in un lungo corridoio poco illuminato davanti ad una macchina del caffè automatica. Lei frequentava un gruppo di lettura della Bibbia nell’aula proprio di fronte alla nostra, strana scelta veramente quella di mettere vicino dei timorati di Dio ad un manipolo di scoppiati.Con le pupille ancora dilatate a furia delle pasticche di dexedrina ingollate prima di uscire di casa, avevo iniziato a parlarle come un forsennato, accennando alla mia redenzione puramente chimica, alle differenze tra l’orgasmo maschile e femminile, alla cultura moderna come sottoprodotto della mercificazione delle masse e quindi della nostra stessa vita, facendo rientrare il tutto in una non meglio precisata teoria cosmogonica.Con le parole ci sapevo fare e lei a quanto capivo mi voleva vedere ancora. Iniziammo così a frequentarci dopo le nostre rispettive lezioni, discutendo, ascoltando musica a volume inaudito, bevendo e scopando fino allo sfinimento in camera mia sotto gli effetti di ogni tipo di sostanza psicotropa. Non male per una che sosteneva di aver frequentato solo rigide scuole cattoliche gestite da nazisuore e avuto un unico fidanzamento in vita sua, durato dodici anni e finito perché lui, neocatecumenale convinto, si era dileguato in circostanze mai chiarite, sparito nel nulla, così “zot”.In dicembre, una mattina presto, mi chiamo’ per dirmi che voleva trasferirsi a casa mia, voleva festeggiare Natale con me e la sua famiglia, che pensava fossi l’uomo giusto per lei e credeva in me. Io avevo appena finito il corso sulla collera con una breve dissertazione sugli ovvi limiti dell’auto-apprendimento, applauditissimo da tutti i partecipanti, e sentii i benefici delle lunghe ore di lezione vanificarsi, sciogliersi come neve fresca al sole d’agosto.Iniziai allora un truce monologo, dicendole che non credevo in niente e nessuno, tantomeno in Natale e a quello che andavano dicendo una manica di sbroccati vestiti di nero, rosso e bianco a seconda della gerarchia. Mano a mano che continuavo sentivo la mia voce alzarsi di tono sempre di più, assieme alla mia foga. Ad un certo punto mi sono intravisto nello specchio. Sbattevo la cornetta sul mobile al ritmo di una canzone doom metal urlando che non avevo tempo da perdere io, che stavo scrivendo il mio romanzo “Holyfood” (saga sci-fi ambientata nella Los Angeles del prossimo futuro dove un gruppo di sopravissuti ad un disastro ecologico di immani proporzioni combatteva strenuamente per il cibo divenuto ormai introvabile), che dovevo essere lasciato in pace, che non me ne fregava niente di lei e della sua fottutissima famiglia. L’avessi avuta per le mani penso ne avrei fatto scempio, con tre dita della mano sinistra formai una pistola e iniziai a sparare intorno a me, sul telefono, sullo specchio, sul letto, BANG BANG BANG BANG !Potevo vedere l’energia che fluiva fuori da me, i miei pensieri che correvano impazziti in ogni direzione, sentivo una eco che non accennava a fermarsi, gli occhi schizzare fuori dalle orbite, mollai la pistola.Poi, silenzio. Silenzio e buio. Avevo sfasciato la cornetta e la lampada che adesso giacevano ai miei piedi.Statisticamente parlando le possibilità di ri-incontrarci non erano particolarmente significative in una città come quella, attraverso le tapparelle vedevo l’asfalto della strada sottostante luccicare sotto la pioggia, mi sentivo puro.