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Messaggi di Novembre 2013
Post n°730 pubblicato il 30 Novembre 2013 da sebregon
30 NOVEMBRE
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Mt 4,18-22
Della chiamata dei discepoli sappiamo pochissimo. Certo è che quelli che saranno chiamati apostoli non conoscevano Gesù e ce ne accorgiamo dalla dinamica del loro incontro: “Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l'agnello di Dio!». E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: «Che cercate?». Gli risposero: «Rabbì (che significa maestro), dove abiti?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)» e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)». Il giorno dopo Gesù aveva stabilito di partire per la Galilea; incontrò Filippo e gli disse: «Seguimi». Filippo era di Betsàida, la città di Andrea e di Pietro. Filippo incontrò Natanaèle e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret»Natanaèle esclamò: «Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi». .
. Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità».Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico». Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!».” (Gv 1, 35,46). Questo lungo testo ci fa capire la straordinarietà di questa chiama. Gesù non ha scelto a caso né ha fatto un invito ad un contesto di persone da cui alcuni si sono staccati per diventare suoi discepoli. .
. Quando dice a Pietro che : “Tu sei Simone…” aggiungendo che era figlio di Giovanni e poi gli cambia nome si ha l’impressione che egli sappia di Pietro per altra via e questa ipotesi viene poi confermata dall’incontro con Natanaele quando Gesù gli dice d‘averlo visto sotto il fico. .
Gesù dunque voleva proporre proprio a questi uomini di seguirlo e non ad altri. Ciò aggiunge ai fatti veramente qualcosa di diverso perchè un conto è che uno segua un altro solo per suo volere, ma un altro che uno segua Gesù non solo per una sua decisione ma perché il convocante ha voluto proprio Lui. Come dire io sono amato da Dio non perché semplicemente esisto quasi che egli distribuendo a pioggia il suo amore ami tutti in modo distaccato e paritario, ma ama me e questo suo amore va ad interfacciare la mia persona con tutto quello che io sono sul piano del mio accogliere o allontanare questo amore. Come dire che il Dio fattoci conoscere da Gesù è talmente concreto che si può capire dal modo come noi sul nostro comune piano umano possiamo intuire dell’amore. .
. Infatti per quanto limitati siamo nel viverlo tuttavia sappiamo immaginarci cosa possa essere un vero amore. Tanto è vero che l’innamoramento corrisponde proprio a questo piano alto dell’amore in cui non ci si innamora di uno qualsiasi ma proprio di quella persona. I Signore Gesù è venuto a dirci che questo piano non è velleitario ma corrisponde al modo di amore come Dio Padre ci ama. .
Gesù è venuto a personalizzare l’amore divino e finchè non lo capiremo staremo sempre a parlare di Dio come un concetto filosofico e non dell’amore del Figlio che ci ha fatto conoscere Dio come vero Padre di ciascuno di noi.
La nostra vita e la Parola
Spirito Santo che sei il perno di questa personalizzazione dell’amore fa che attorno a noi sappiamo creare relazioni veramente personali e non legate a sola convenienza umana.
Gabriele Patmos
Post n°729 pubblicato il 28 Novembre 2013 da sebregon
XXXIV SETTIMANA DEL T.O. A - GIOVEDÌ
Lc 21, 20-28
Una pagina densa di riferimenti apocalittici, tipici di una certa tradizione, nella quale viene preannunciata la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio – che avvenne, infatti, nel 70 d.C. sotto l’imperatore Tito – ma anche, a distruzione avvenuta, l’apparizione del Figlio dell’Uomo in tutta la sua “potenza e gloria”. .
. Che dice a me, oggi, questo brano? Al di là del linguaggio e dei toni, lo prendo come un invito a “preparami”. E infatti Gesù, poco dopo, dice “Fate attenzione che il mio arrivo improvviso non vi trovi impreparati.”. Prepararmi a cosa? Alla mia morte, mi viene da rispondere. .
. Ovvero, mantenermi consapevole dei miei limiti terreni e far sì che entro di essi io dia senso, giorno per giorno, alla mia esistenza. Essere consapevoli della morte non vuol dire non godere della vita, semmai il contrario. Goderne, valorizzandola al massimo, nella sua pienezza, proprio perché limitata…
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Alessandra Callegari
Post n°728 pubblicato il 25 Novembre 2013 da sebregon
XXXIV SETTIMANA DEL T.O. ANNO MARTEDÌ
Lc 21, 5-11
Per gli ebrei il tempio di Gerusalemme era il luogo per eccellenza dove poter onorare Dio almeno fino alla venuta di Gesù. Poi con lui le cose cambiano. Già infatti nel dialogo con la samaritana possiamo capire come: “ I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità». “. (Gv 4,20,24).
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E noi sappiamo che per i cristiani il luogo per eccellenza in cui adorare il Padre è il corpo del Figlio. Per capire questo passaggio dal tempio fisico al suo Corpo possiamo farci aiutare dalle sue stesse parole: " Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». [Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. “. (Gv 2, 19-21). I cristiani vanno anche in Chiesa ma sanno che il loro credere a Cristo Gesù è completamente indipendente da qualsiasi luogo fisico.
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Questo loro forte riferimento alle parole e alla vita del Maestro li salvaguardano da quei falsi profeti che enfatizzano luoghi fisici particolari dove incontrare Dio come pure da coloro, della stessa pasta, che cercano adepti per introdurli, in virtù delle disgrazie che profetizzano, lungo i sentieri della paura fosse anche a fin di bene dicendo che occorre transitarli per avvicinarsi a Dio.
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Il Signore invece ci invita solo ad essere vigilanti e non farci prendere dalla paura perché: “Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina". (Lc “21,28). Chi pone il centro della sua esistenza nella santa vita del Maestro non ha nulla da temere perché se la morte non L’ha potuto distruggere vuol dire che anche per noi ci sarà la sua stessa vita e cioè quella in cui saremo uniti in una circolarità d’amore nello Spirito Santo che ci lega al Padre ed a suo Figlio Gesù.
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La nostra vita e la Parola
Spirito Santo, nostro avvocato e guida su questa terra, cogli al volo ogni nostra minima volontà di bene e rendila forte in modo che non cadiamo vittime dei falsi profeti che facilmente potrebbero farci cadere in confusione.
Gabriele Patmos
Post n°727 pubblicato il 22 Novembre 2013 da sebregon
XXXIII SETTIMANA DEL T.O. - SABATO
Come risulta diverso il modo di guardare l’aldilà da parte dei sadducei e di Gesù! I primi presentano una situazione paradossale studiata proprio per mettere in difficoltà Gesù in relazione alla resurrezione e quindi all’esistenza di un altro mondo dopo la morte.
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. Gesù invece non sottraendosi alla loro provocazione indica anzitutto chi può entrare nel mondo che si apre dopo la morte e sono coloro che sono giudicati degni di una vita futura e della resurrezione. Così Gesù sposta l’asse del discorso dalla destinazione futura della donna alla situazione di ogni uomo che attende da Dio il riconoscimento di una vita giusta.
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. Poi Gesù apre uno squarcio felice sul nuovo mondo e ci assicura che non vi saranno ’mariti’ né ‘mogli’ perché non vi sarà più bisogno di generare e soprattutto che saremo come angeli e cioè stabilizzati in una vita non toccata dalla morte.
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Nello stesso tempo il Maestro non fa solo affermazioni di principio ma mette a loro agio i suoi interlocutori citando l’episodio del roveto da cui si evince chiaramente che davanti a Dio, i suoi, sono tutti vivi a partire da Abramo.
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Ciò che a noi interessa non è gioire per lo scorno dei sadducei ma gioire per le chiare e definitive parole di Gesù sulla resurrezione e per la sua affermazione che la morte non esiste per coloro che vivono per Dio. Infatti vivendo per Lui saremo contagiati dalla sua vita e mai ci toccherà una seconda morte.
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Inoltre quelle ultime parole di Gesù: “Tutti vivono per Lui”, ci dicono che è grazie a Dio che noi viviamo anche su questa terra. E’ Dio che ci dona la vita e questa splendente certezza deve brillare sempre nel nostro cuore e che non ci capiti di pensare o credere che questa nostra abitudine a vivere sia ormai così visceralmente introiettata da espungere completamente da noi l’idea una morte improvvisa quasi che l’idea d’esserci ora, ed anche in questo momento che sto digitando queste parole, dia a me il diritto di pensare che finirò di scrivere queste righe.
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Se leggerete quanto scrivo è solo perché ho ricevuto da Dio questa forma di vita e sono ancora in attesa di quella futura se ne sarò stato deputato degno: mi viene d’aggiungere a questo punto che ho proprio bisogno delle preghiere di quanti mi legeranno e che ricambierò nel Signore.
La nostra vita e la Parola
Spirito Santo che ci guidi lungo il cammino su questa terra ricordaci in continuazione che la nostra vita è un dono del Padre e che daremo il meglio di noi stessi sempre se vivremo solo per Lui.
Gabriele Patmos
Post n°726 pubblicato il 22 Novembre 2013 da sebregon
21 NOVEMBRE
Mt 12,46-50
In queste parole di Gesù c’è la contestazione radicale ad ogni tipo di mafia e ad ogni tipo di rapporto che vuole legare l’altro in virtù del sangue e non della verità.
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Gesù rifacendosi al Padre, e dunque al suo piano di salvezza che vuole abbracciarci tutti come figli nella bontà, verità e bellezza, fa anche un’operazione di corretta dislocazione degli attori storici , e quindi di se stesso ma anche dei suoi interlocutori, rispetto ad un piano più alto. .
. Egli infatti non si propone come autorità, cosa sicuramente malgradita ai suoi interlocutori, ma indica una realtà superiore, il Padre, di fronte al quale tutti sono chiamati ad acconsentire.
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. La madre, Maria, qui non viene assolutamente messa da parte ma viene vista non come madre di sangue a cui dare assenso in forza di questo legame, ma come vera madre e sorella perchè perfettamente adempiente la volontà del Padre.
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E’ da notare come non è la madre o i fratelli che vogliono far valere il loro legame di parentela per riuscire a parlare con Gesù ma un certo ‘qualcuno’ che si è preso la briga di far pesare questo legame e porgere a Gesù un’occasione perché potesse farlo valere a discapito di altri che volevano parlare con Lui. .
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Gesù però non cade nella trappola perchè vuole liberare ogni uomo dalla pressione spesso esercitata dal gruppo parentale per far valere non la verità ma il proprio interesse di gruppo. Affermando che la linea vera per un uomo è quella dettata dall’obbedienza alla volontà del Padre Gesù lega tutti gli uomini in un nuovo vincolo che nello stesso tempo che li fa figli li fa anche fratelli.
La nostra vita e la Parola
Spirito Santo, aiutaci ad essere fedeli alla nuova realtà di figli del Padre in cui siamo costituiti e nello stesso tempo ad essere forti nel respingere quelle richieste provenienti dai legami di sangue quando ci allontanano dalla Sua volontà.
Gabriele Patmos
Post n°725 pubblicato il 18 Novembre 2013 da sebregon
XXXIII SETTIMANA DEL T.O. ANNO DISPARI - MARTEDÌ
Lc 19, 1-10
Il racconto di Zaccheo - pubblicano e ricco, perciò “peccatore” – che, per vedere Gesù, non esita a fare qualcosa di inconsueto come salire su un sicomoro, mettendosi persino in ridicolo, ci fa vedere come, a volte, divenire coscienti del fatto che potere e denaro non bastano può far cambiare rotta a chi fino a quel momento era inconsapevole. .
. Essere ricchi, ci dice il Vangelo, può non essere una “colpa”… se la ricchezza diventa strumento di crescita e di consapevolezza. Una pagina che andrebbe meditata oggi più che mai, in un periodo storico in cui la maggior parte dei beni del mondo sono in mano a pochissimi, molto lontani dal volerli condividere o distribuire a chi non ha. .
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E che non sembrano affatto disposti ad accogliere “pieni di gioia” la salvezza di un messaggio che invita a dare valore a ben altre ricchezze…
Alessandra Callegari
Post n°724 pubblicato il 15 Novembre 2013 da sebregon
XXXII SETTIMANA - SABATO
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Se Dio fa giustizia prontamente allora perché tante ingiustizie? Bella domanda, ma mi pare che Gesù rigiri all’uomo la sua soluzione. Questo brano ci dà la possibilità di riflettere sul nostro rapporto malato con il divino. Infatti siamo prontissimi ad accusare Dio ogni volta che succede qualcosa di molto grave non ultima la tragedia abbattutasi sulle Filippine.
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. La nostra modalità infatti è quella di mettere Dio in un’aula di tribunale per accusarlo d’essere ingiusto e di permettere che avvengano cose che nessun brav’uomo qui tra gli umani potrebbe mai permettere. L’uomo oggi più che chiedere a Dio qualcosa pratica un altro sport e cioè quello di addossargli la colpa di tante atrocità o almeno di non intervenire perché non avvengano.
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Qui invece Gesù ci fa intendere che l’ingiustizia non può abitare mai nel cuore di Dio dove invece alberga una pronta sollecitudine per gli umani. Ed allora ci chiediamo ancora perché non interviene? Mi pare che la risposta sia chiara e cioè quella in cui al di là di tutto al Signore interessa sopra ogni cosa la relazione con l’uomo. A Lui piace fare le cose assieme agli umani perchè vuole essere un vero interlocutore potente ma ha bisogno d’essere interpellato nei dovuti modi. .
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Ed il modo non è quello della rivendicazione come se gli dicessimo: “Se ci ha messi al mondo non puoi esimerti dall’ aiutarci”. Insomma vogliamo che il suo sia un atto dovuto, da default. Questa musica però non piace al Signore e forse per questo è sordo alle nostre richieste.
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. Gesù quando conclude questo brano dicendo: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?»” ci fa capire dov’è la vera chiave che possa aprire le porte all’aiuto divino che scalpita per portare i suoi doni di giustizia. E la chiave sta nel chiedere con una vera fede, senza le paturnie di una rapporto malato. La fiducia del bambino verso la mamma quando gli chiede il cibo non ammette defalliance e così deve essere la nostra fede quando chiediamo a Dio di intervenire. .
Se la nostra esperienza ci mostra il non intervento di Dio allora vuol dire che il livello della nostra domanda non rispecchia i canoni divini sopra citati. Chiediamoci allora se esiste sulla terra oggi uno spessore di rapporto collettivo con Dio tale da chiedergli ed ottenere cose importanti per l’umanità? Forse sì, forse no, ma di sicuro ogni volta che, sia personalmente che collettivamente, ci rivolgiamo a Dio come un Padre chiedendogli la giustizia egli ce la concederà facendoci vivere una vita più giusta e bella.
La nostra vita e la Parola
Spirito Santo, incrocio di amore tra il Padre e Figlio facci capire che solo immergendoci con fiducia nel tuo prezioso canale d’amore possiamo venire a capo di ogni ingiustizia che ammorba il nostro mondo.
Gabriele Patmos
Post n°723 pubblicato il 14 Novembre 2013 da sebregon
XXXII SETTIMANA DEL T.O. - GIOVEDÌ
Lc 17, 20-25
Sappiamo che la generazione di cui parla Gesù è sempre quella di chi lo sta ascoltando e dunque è la mia e, se volete, è quella dei nostri tempi. Di tutti noi che non sappiamo stare nel presente ma che ci creiamo sempre ‘attese’ come fantasmi che spostandoci verso il futuro succhiano le nostre energie togliendole dal presente.
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. Non abbiamo assistito in questi anni alla rincorsa verso pratiche di vita che promettevano la piena realizzazione? Non ci siamo affidati tutti quanti a guru più o meno bravi che perseguendo le loro logiche, buone per carità, poi non hanno saputo darci delle vere risposte capaci di appagare il nostro cuore? E per questo non ci siamo dati da fare a cambiarli e a trascinarci di qua e di là senza sosta e senza un punto di ancoraggio?
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. Siamo aumentati in varie consapevolezze, quelle del corpo, della mente e poi abbiamo imparato le pratiche, anche le più esotiche, ma alla fine siamo rimasti con un cumulo di bei ricordi ed anche con una soffitta piena di cose interessanti, magari da riprendere alla bisogna, ma, se questo era tutto il nostro mondo, senza aver sfiorato neppure con un dito il regno di Dio: questo infatti non si fa rincorrere perchè è sempre presente e noi in esso in un circuito di tensione positiva, misteriosa tra tutti i suoi partecipanti, da quelli divini agli umani.
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. Il regno, come dice Gesù, non attira l’attenzione per sedurci ma nello stesso tempo non se ne sta per conto suo: viene, è in mezzo a noi, è nel nostro cuore, siamo noi che vi partecipiamo e dunque non dobbiamo rincorrerlo. Il Regno non ha bisogno di vettori che attirino la nostra attenzione, ma è in noi perché la nostra attenzione possa riceverlo mentre arriva. .
. E succede pure che siamo noi stessi lo spazio in cui il Regno vive. Gesù, nostro celeste maestro, ci ha avvertiti con parole chiare e vere: seguiamo il suo insegnamento e chiediamoci se veramente vogliamo seguire ciò che la moda del tempo ci porge in continuazione o vogliamo farci interrogare dalla sua persona, dai suoi stimoli, dalla sua vita tutta dedicata a noi per aprire gli occhi sul nostro vero presente e futuro e cioè d’essere suoi fratelli, figli di un Padre che prima della creazione del mondo ci ha amati d’un amore così forte da impegnare il suo Figlio primogenito per la nostra salvezza.
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Certo queste ultime frasi possono sembrare oscure per ‘chi’ vive come se Dio non esistesse ed incomprensibili perché di Gesù e del Padre non sa niente, ma sappia questo ‘chi’, imbattutosi per caso in queste righe, che lo scrivente si duole per questa incomprensione perché tocca con mano come la vita e le parole di Gesù sono luce per la mente e fuoco d’amore per il cuore. Gesù è il vero fondamento in cui poi si può costruire tutto e riprendere tutto per dargli una direzione capace di generare una nuova umanità, una nuova comunità e, visto che siamo in Italia, un nuovo futuro per noi e le nuove generazioni.
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La nostra vita e la Parola
Spirito Santo, che muovi il cuore di tutti coloro che sono discepoli di Gesù fa che sappiano dare delle vere risposte ai bisogni di vera spiritualità degli uomini di oggi.
Gabriele Patmos
Post n°722 pubblicato il 12 Novembre 2013 da sebregon
XXXII SETTIMANA DEL T.O. - MARTEDÌ
Lc 17, 7-10
Una diversa traduzione di ‘inutili’ è quella di ‘vili’:” n Lc 17, 10 troviamo, a specificare il sostantivo “servi”, l’aggettivo αχρειος, al plurale αχρειοι, “siamo servi αχρειοι”, che la traduzione CEI traduce con “siamo servi inutili”.Il termine greco αχρειος, in età ellenistica, ha due differenti sfumature di significato, entrambi indicanti la piccolezza. Il vocabolo αχρειος può indicare innanzitutto l’ “inutilità”, il non servire. Il termine proviene, infatti, dal punto di vista etimologico, dal verbo χραομαι, che significa “utilizzare”, “servirsi”, preceduto dall’alpha privativa.Una seconda sfumatura di significato indica, invece, l’essere “povero”, “vile”, non nel senso morale - cioè a causa di una colpa commessa - ma a motivo dell’umiltà di condizione.La traduzione italiana della CEI del versetto di Lc 17, 10 preferisce tradurre con “servi inutili”, forse a motivo del desiderio di evitare la connotazione umiliante del termine “vile”. Così facendo, però, peggiora, tradendo il senso dell’espressione. E’ evidente dal testo stesso che i servi non sono inutili – hanno lavorato!Molto più confacente al contesto ci appare, invece, proprio la seconda sfumatura di significato: “vile”, “povero” - “siamo vili servi”, “siamo poveri servi”.L’italiano utilizza spesso proprio il vocabolo “povero” ad indicare non tanto una povertà morale e nemmeno materiale, quanto la condizione di umiltà, di pochezza. Ecco, allora, la nostra traduzione: “siamo semplicemente servi”, dove l’aggettivo αχρειοι è un rafforzativo del sostantivo “servi”.”.
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Questa diversa traduzione mi sembra più vicina alla realtà in quanto ben sappiamo come ogni nostra riuscita nel mondo non è frutto solo del nostro operato ma di un concorrere di apporti in cui noi siamo alla fine ben poca cosa. Se invece credessimo d’essere stati veramente importanti ci approprieremmo di ciò che non è nostro e tradiremmo ciò per cui ci siamo dati da fare. .
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Il Signore attraverso questa parabola vuole ricordarci quale deve essere il nostro stato d’animo nel portare avanti la nostra esistenza in questo mondo ma soprattutto ci richiama a voler prendere la gratitudine, o meglio la soddisfazione, non dall’esterno ma dalle stesse cose che portiamo avanti. .
ù . Non dobbiamo quindi darci da fare per qualcosa di esterno da cui ricevere gratitudine (fosse pure il Signore), rimanendo così eterodiretti, ma per qualcosa che derivi semplicemente dal nostro stare al mondo con le sue prassi e i suoi obblighi. E per finire proprio per la coscienza che le cose vere ed importanti che segnano la storia, fosse anche il prendere per mano una vecchietta per fargli passare la strada, non debbono farci montare la testa, ecco il giusto richiamo di Gesù a considerarci umili servi di una realtà più grande di noi.
La nostra vita e la Parola
Spirito Santo ti confessiamo che abbiamo di noi un’alta considerazione, tanto grande da respingere tante persone che invece si avvicinerebbero per portare avanti qualcosa assieme. Aiutaci a capire che tanto più serviamo in umiltà quanto più saremo pieni del tuo Spirito.
Gabriele Patmos
Post n°721 pubblicato il 08 Novembre 2013 da sebregon
9 NOVEMBRE
Gv 2,13-22 .
. Annuncia una ricostruzione del tempio (quello storico, che era già il secondo, fu distrutto sotto l’imperatore Tito, nel 70 d.C., e ne resta solo l’attuale Muro del Pianto) che va ben oltre il luogo fisico e il materiale di costruzione. Un tempio che ci riguarda tutti, cristiani e non, perché riguarda di fatto il nostro stesso essere. .
. Ricostruire il tempio – questo è ciò che mi arriva e che mi sento sollecitata a sentire – è l’invito a ricostruirsi come esseri umani, fondando sul “proprio” tempio, il corpo, una spiritualità che dia valore a tutto il nostro essere, in quanto essenze che nell’esistenza incarnata sono chiamate realizzarsi. .
. Poi, certo, una possibile lettura può portare all’attesa messianica di una ricostruzione concreta di un terzo tempio reale, ma la sento riduttiva e – come del resto la storia ci mostra – portatrice di divisioni e di conflitti. Credo che se, invece di combattere per la difesa e/o la conquista (che alla fine sono la stessa cosa) di luoghi territoriali, gli uomini si concentrassero sulla valorizzazione del proprio spazio interiore e delle relazioni che li riguardano da vicino, davvero “in tre giorni” il tempio sarebbe risorto. Nell’amore, anziché nell’odio, e per tutti.
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Post n°720 pubblicato il 06 Novembre 2013 da sebregon
XXXI SETTIMANA DEL T.O. - GIOVEDÌ
Lc 15, 1-10
La conversione che cerchiamo.
Sono tante oggi le pecore smarrite.
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. Io sono una pecora smarrita che ha a lungo vagato. Fino a quando Lui ha abbandonato per un po' il suo gregge, per cercare me, nel deserto dei miei desideri. .
. Desideri che mi fanno considerare assoluto, ciò che invece è soltanto relativo, che mi illudono di poter trattenere qualcosa che invece è evanescente.Ma Lui è come il sole, illumina i giusti e i non giusti, i santi e i peccatori.
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Il suo Amore è come il vento, va dove vuole, arriva anche sulla zattera della mia schiavitù. Anche una pecora smarrita non dispera di avvicinarsi a Lui.
Vanruis Groendal
Post n°719 pubblicato il 04 Novembre 2013 da sebregon
XXXI SETTIMANA – MARTEDÌ
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Lc 14, 15-24 .
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Gesù però non ci parla del semplice invito ad un banchetto ma dell’incontro con Lui preparatore di ogni vera delizia per coloro che sono chiamati alla sua presenza. Ora però ci si potrebbe chiedere come mai non sono gli ultimi ad essere invitati per primi ? .
. Gesù non è venuto soprattutto per loro? Questa domanda sottintende che il suo senso è così razionale e giusto ma non è ciò che il Padre ha scelto per accostare l’umanità. Egli non ha voluto essere solo accettato dai bisognosi e dunque solo da una parte d’umanità ma da quella nella sua interezza. Ed una umanità è integrale quando tutte le sue parti sono compresenti dal primo all’ultimo uomo, da chi ha studiato e da chi no, da chi è ricco e chi è povero e così via. .
. Ma c’è molto di più e cioè che Dio ha scelto di condividere una storia con l’uomo cominciando da determinato tempo ed un determinato luogo. Ed iniziandola ha voluto sviluppare con l’uomo un linguaggio comune e dei concreti riferimenti di scambio. Egli ha cercato una reciprocità e cioè non ha voluto procedere nel rapporto donando solo Lui qualcosa, ad es. la liberazione dall’Egitto, ma ha voluto che l’uomo rispondesse e donasse se stesso a sua volta in questo rapporto (l’Alleanza). .
. Ecco allora perché Gesù per prima cosa si rivolge verso coloro che avrebbero potuto intenderlo perchè depositari di una lunga tradizione religiosa in cui c’era tutto per capire il suo operato. Rifiutando l’invito di Gesù essi rinunciano al compito che era stato loro affidato e cioè quello d’essere i primi a recepire l’arrivo del Salvatore e diventare collaboratori del nuovo regno annunciato da Gesù. Se dunque sono stati ciechi ed hanno voltato le spalle a Gesù è evidente che non potranno gustare la sua cena. La nostra vita e la Parola
Post n°718 pubblicato il 02 Novembre 2013 da sebregon
2 NOVEMBRE
Gv 6,37-40
Queste parole di Gesù hanno il potere di scolpirsi nel nostro cuore e rimanervi in eterno. Il Padre origine di un movimento di amore che genera il Figlio ha sin dall’inizio amato anche ciascuno di noi. Noi siamo dono del Padre al Figlio e siccome siamo in Dio, dove non vi è costrizione, ma libertà noi siamo chiamati a vivere fino in fondo questo amore restituendolo a Chi ce lo ha donato.
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. In Gesù troviamo che il ritorno libero a Dio, sebbene difficile per la situazione in cui ci troviamo per il peccato, è veramente possibile dal momento che Gesù in totale obbedienza al Padre vuole ciò che egli ama e noi siamo gli amati dal Padre. Dobbiamo dunque capire che riposiamo in un letto d’amore del Padre e del Figlio che è lo Spirito Santo. .
. Se non avessimo questo abbraccio di amore che ci sostiene e si diffonde in ogni nostra cellula potremmo forse portare avanti la nostra esistenza? “Certo che lo potremmo”, direbbero alcuni, ma è partecipare della divina Sapienza affermare che un conto è vivere il mondo quando è nuvolo, gela e tira vento e un’altra cosa quando c’è il sole ed una serena brezza che ne temperi gli ardori.
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. In tutte e due le situazioni si può vivere ma chi sceglierebbe di vivere in un mondo grigio e senza sole che inclina il cuore solo verso la tristezza e la depressione? Nello stesso modo vivere la vita in Dio e nel suo abbraccio trinitario non può aver paragone con un’altra dove tutto è indirizzato solo ad incrementare gli interessi di questo mondo. .
. Questi interessi sono limitati e piegano il nostro cuore verso chi sa ritornarci in qualche modo ciò che abbiamo loro dato. La nostra esperienza dell’amore però ci dice che più siamo disinteressati in ciò che diamo e più la vita ci sorprende e ci arricchisce. Ecco allora come qualcosa che già si trova nel nostro cuore coincide con ciò che ci arriva dalla rivelazione cristiana che così ce ne svela non solo l’origine trinitaria ma contribuisce in modo determinante alla sua eterna fissazione ma come libera scelta del cuore umano che così si arrende alla verità di questo Amore. Ed il Figlio, che è morto per testimoniare questo amore che non vuol perdere nessuno, risorgerà tutti coloro che, conosciutolo o meno, avranno inzuppato i loro vestiti in ogni vera forma d’amore.
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La nostra vita e la Parola
Spirito Santo, che di questo amore del Padre e del Figlio sei la suprema realtà, aiutaci a far scorrere nelle nostre vene la vostra stessa qualità d’amore in modo che debordi oltre in un canto di gioia e di vera fratellanza.
Gabriele Patmos
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