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Post N° 257

Post n°257 pubblicato il 13 Dicembre 2008 da elly611

I miei amici sanno ridere e cantare
anche se conoscono il dolore

I miei amici hanno sempre un caffé da offrire, guardano le nuvole, e sorridono. I miei amici non hanno verità in tasca, vivono alla giornata, ma hanno sogni bellissimi e infiniti. Nel quartiere tutti li conoscono, perché portano il sorriso, la tolleranza, la pace. Perché sanno il valore del pane, di una stretta di mano, del lavoro in fabbrica. Perché sono cresciuti pensando agli altri e quando avevano mille lire quelle mille lire erano da dividere, un po' per uno. I miei amici votano a sinistra e quando si dicono comunisti non arrossiscono, non s'inventano un errore di gioventù e non dicono che, in fondo, sono tutti uguali.
I miei amici sanno ridere e cantare, non è vero che sono tristi, anche se conoscono il dolore e la malinconia. E hanno la nostalgia, sì la nostalgia, per quei giorni in cui bastava meno di adesso, molto meno di adesso, per scendere in piazza e urlare lo sdegno, la vergogna, l'orrore. Già, ma quelli erano altri tempi: "razzismo", "democrazia", "ideali" non erano parole vecchie, usate e abusate. I miei amici quando parlano di politica si entusiasmano ancora, perché per loro politica vuol dire la gente comune, il pensionato, lo studente, l'operaio, l'artigiano, il nomade, l'immigrato. Perché la politica non si fa nei Palazzi, ma per la strada, salendo sui tram e sulle metropolitane, facendo la coda al supermercato, ascoltando la voce dei precari, degli umili, degli invisibili, salendo le scale delle case popolari. I miei amici quando parlano di calcio lo fanno con passione, e difendono la loro squadra del cuore e non vogliono sentire ragioni. Quello della Juve dice che la storia non si cancella e che Buffon meritava il Pallone d'Oro, quello dell'Inter va pazzo per José Mourinho perché dice sempre la verità, quello del Toro ogni volta si commuove pensando a Superga, mentre quello del Milan ripete come una cantilena la formazione del 1969 e conserva nel portafoglio la foto di Gianni Rivera, quello del Cagliari canticchia la canzone "Quando Gigi Riva tornerà" di Piero Marras, quello che non si interessa di pallone batte il pugno sul tavolino del bar e ci invita tutti ad andare a vedere il rugby, perché quello sì è uno sport, mica quei miliardari con le scarpette bullonate. I miei amici leggono tanti libri e vanno matti per Beppe Fenoglio e quando citano Gramsci lo citano perché lo hanno studiato per davvero e mica per sentito dire.
I miei amici sanno a memoria le canzoni di De André, di Guccini e di Lolli e so che, di nascosto, guardano il festival di Sanremo, ma lo fanno perché non hanno dimenticato quella notte di Luigi Tenco.
I miei amici non alzano mai la voce, e, a volte, si mettono anche la cravatta. I miei amici hanno tutti una ragazza nel cuore e vorrebbero rivederla, anche se sono passati tanti anni e chissà se si ricorda ancora di quei giorni, di quelle emozioni, di quando il cuore, ma per davvero, batteva così forte da stare male. I miei amici continuano a fare i cortei, a stare dalla parte dei più deboli, a pensare a un'Italia migliore. I miei amici abbaiano alla luna, bevono il vino forte e tutti li amano perché di loro tutti si possono fidare. Qualcuno rimpiange Enrico Berlinguer, poi c'è sempre quello, che per darsi delle arie, ripropone Eugenio Montale: «Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo». Ma il più originale di tutti è quello che ha letto Poeta a New York di Gabriel Garcia Lorca. E tutti, ma proprio tutti, hanno la raccolta completa di Tex. I miei amici si guardano allo specchio e non abbassano gli occhi. I miei amici prendono i loro figli per mano e hanno mille e mille e mille belle storie da raccontare. Conoscono favole meravigliose, che si sono inventati in certi pomeriggi di pioggia e vento. I miei amici sono la mia anima, i miei compagni da sempre e per sempre.

Darwin Pastorin

 

 

 

 
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