Lapiazzarossa

Livorno: un po' di poesia e letteratura non guasta


Livorno, città di popoli e poetiRachele Gonnelli
Nell'estate della crisi dei grandi Festival teatrali – da Taormina a Santarcangelo -, a corto d'idee più che di fondi, della crisi delle grandi manifestazioni-evento diventate stanche slot machine per far soldi, rinascono da sotto la polvere piccole “chicche” di cultura, angoli di libertà e sperimentazione. Nascono in provincia guardando però al mondo. È il caso di Livorno, che dopo aver riscoperto, da anni, il poeta Piero Ciampi come vate, con tanto di premio a lui dedicato, ora fa un passo più in là e si riscopre lei stessa città di poeti, anzi porto dei poeti. Esce dalla sagra strapaesana – croccante e fuochi d'artificio- si smarca dal fantasy dei giochi medievali, per trasformare l'agosto, improvvisamente, in un ritorno alla meditazione e al gusto della parola necessaria. L'ultima edizione di Effetto Venezia– il mare è davanti ed è il quartiere dei bastioni e dei canali- si è data una nuova ragione sociale sotto la direzione artistica di un giovane regista teatrale, Michelangelo Ricci: la ragione di ridare voce e parole, gesti da attore alle piazze solitamente intontite dal deserto delle scollature televisive. Un laboratorio interessante anche per il regista Paolo Virzì e il direttore del Club Tenco Enrico De Angelis, che infatti si aggirano tra i vari palchi sparsi per la città come ospiti d'onore. Perchè qui il teatro è parte dal territorio. Si parte dal toscano Carlo Monni che con Andrea Cambi interpreta Majakovskij e Pasolini, parlando anche della strage di Bologna – era il 2 agosto – e si va ai molti gruppi di teatro e di canzoni che coinvolgono i detenuti-attori del carcere delle Sughere, i ragazzi down dell'associazione Anffas – quaranta in pedana a fare da spalla a Bobo Rondelli per interpretare i vecchi successi dell'Ottavo Padiglione- e infine ci si mischia ai reding di poesie americane, cheyenne, venezuelane, musiche berbere di Nour Eddine, rai algerino di Sidh, e ancora blues di New Orleans della cantautrice Lynn Drury, violini della siberiana Elena Cherkasova, i Buena Vista. Un misto-zuppa dai sapori forti che non perde l'amalgama di fondo. Livorno non è una città di poeti laureati: qui anche le gelaterie della piazza più importante portano l'aggettivo “popolare”. E infatti il festival si chiama “La Poesia e i Popoli”. Non è una città tranquilla, pacificata nell'ovvietà benpensante e puritana dell'Italia di oggi. Nelle decine di palchetti dei vicoli chiunque se vuole, come a Hide Park, può leggere i suoi versi o quelli dei poeti più amati tra un bicchiere di rosso e un cartoccio di totano fritto. Passa la banda Majakoskij e strimpella versi con trombe come cerbottane. E si arriva alla Fortezza Vecchia, percorsa sulle mura in mattoni da una fantasmagoria di pesci proiettati con le luci. E' lì lo spettacolo-clou, una produzione ad hoc per il festival inizialmente pensata con tanto di orchestra da venti elementi. “Poesia '70”, un allestimento ideato e interpretato da Maria Teresa Pintus e Luca Faggella. Un progetto impegnativo, sulla poetica degli anni Settanta, con testi di Dario Bellezza, Bologna, Caproni, Piero Ciampi, Mario Luzzi, Gatto, Pasolini, Amalia Rosselli, assemblati in un racconto che inizia con la caduta del palco del festival di poesia di Castelporziano e finisce con la bomba alla stazione di Bologna. «So i nomi dei mandanti, anche se non ho le prove, so i nomi perché sono un intellettuale, uno scrittore». Sono le parole di Pasolini per la strage di Brescia del '69, trasposte con uno slittamento di appena 11 anni, da bomba a bomba. Ma in mezzo- anche se gli attori erano all'epoca troppo piccoli- non ci fu silenzio. Il suono, la musica dei poeti di quel decennio, risuona ancora. Nella fortezza medicea. E De Angelis gli regala una scheggia ancora inedita di Piero Ciampi, una poesia breve scritta nel '61 su un album dell'Intrepido. “Quando verrai nel mio giardino/Appesa a una finestra/Troverai una carezza/Che ti aspetta da tanto tempo./ Io ti aspetterò dietro un cancello/ E non ti dirò niente/Perché non c'è niente da dire”. “Viviamo in un mondo, in una società – spiega il direttore artistico del Club Tenco – in cui c'è un gran bisogno di poesia. Poesia intesa in senso lato, con il suo carattere di oralità e anche fisicità, non necessariamente quella scritta sui libri. In un mondo abbrutito dalla tv e dall'intolleranza, dalla politica così come viene gestita oggi, è indispensabile una cultura che comprenda anche la poesia e con essa la musica. La musica è uno dei bisogni primordiali dell'uomo. Attraverso la musica possiamo trasfigurare il reale e avere più linguaggi, diversificare le visuali. La poesia poi, come i film belli, fa piangere e ridere insieme, varca i limiti, è ironia, è libertà di usare le parole”. Perché il lettore, l'amante di poesia è un artista lui stesso, come diceva Gramsci e dicevano i poeti futuristi russi tanto amati a Livorno.