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« Newsletter dell'8 dicem...Ciò che l'uomo produce.... »

Il giardino incantato e la fata dell'uva

Post n°148 pubblicato il 11 Dicembre 2008 da cleoniceparisi


Questa favola è dedicata a tutte le persone che muiono pur vivendo, che
nell’apatia nell’assenza di emozioni, hanno creduto di trovare la
panacea di una vita felice, senza rendersi conto d’aver solo anticipato
la morte.



Il giardino incantato e la fata dell’Uva


 

“Nel giardino incantato non ti addentrare
solo la morte lì puoi trovare,
in quel dipinto il viver è finto,
scegli di andare e nella vita inizia a seminare,
è nel mondo che muta la vita.”




C’è un giardino incantato in cui non dovrai mai accedere! Hai compreso creatura?


Disse l’antica quercia alla Fata dell’Uva.


Quercia
ma in questo luogo ci sono alberi di olive, alberi di mele e pere,
alberi di pesche, querce, frassini, ma non ho visto neppure una vite…ed
io ricordatelo sono la fata dell’uva, come posso dare realizzo al mio
essere, senza una vite e i suoi frutti?


Fata dell’uva il giardino è tanto grande sei sicura di aver cercato in ogni luogo?


Ma per cercare in ogni luogo consumerei tutto il mio tempo, ed io non possiedo tempo infinito.


Disse la fata con occhi lacrimevoli.


Secondo te, se ci do una sbirciatina? Non voglio davvero entrarci, solo per escludere il giardino incantato?


NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!


Urlò la quercia.


Di tutti i luoghi calpesta terra, ma di quel giardino non far neppur favella.


La
Fata dell’Uva aveva compreso. Il giardino incantato era proprio li
dinnanzi ai suoi occhi, un grande portone in legno antico ne
racchiudeva il segreto. La fata vi passò vicino sfiorando la porta con
un dito e la porta disse:


Fata dell’Uva gradisci entrare?


La fata fece un salto indietro, impaurita.


Cosa ti succede?


Disse la porta.


Hai paura? Ti ho sentito sai? Poco fa mentre parlavi con la vecchia quercia.


Improvvisamente la terra sotto i piedi della fata prese a sussurrare.


Non dargli ascolto e chiedigli prima chi era?


La fata ascoltò il suggerimento della terra, forte anche dell’ammonimento della quercia.


Porta antica, mi chiedo e ti chiedo, ma prima d’esser porta tu cosa eri?


La porta che sino a quell’istante aveva avuto un tono di voce gentile e pacato, prese a parlare come irrigidita:


Perché lo chiedi impertinente creatura?


E la fata dell’uva disse, insospettita:


E tu perché non rispondi?


Poi come se la porta avesse immediatamente riacquistato il controllo disse:


Cara creatura la mia natura era altra ma in tempi remoti.


Appunto cosa eri?


Insistette la fata.


La tua graziosa testolina, non ti suggerisce niente fata dell’uva? Se oggi sono un portone di legno, cosa potrei essere stato?


Eri un albero!


Disse la fata dell’uva.


Brava e perspicace! Ed ero anche un albero importante!


Che albero eri?


Disse la fata.


Io ero una Quercia.


Rispose il portone con orgoglio e una malcelata tristezza.


E la terra sotto ai piedi della fata continuò a suggerirle:


Cara chiedigli come si fa a mutare la propria natura senza morire?


Come hai fatto a cambiare la tua natura da albero a portone.


Disse la fata dietro il suggerimento della terra. Il portone non seppe nascondere la sua irritazione e con voce ispida rispose:


La natura cambia per scelta mia cara, io scelsi di vedere il giardino incantato e da allora ne divenni specchio!


Non capisco!


Disse la fata, e spostando lo sguardo dal portone alle mura che giravano tutte intorno al giardino, disse:


E voi mura che sostenete tale portone, voi che fate da confine tra il vivere comune e il giardino incantato, cosa eravate prima?


Fata
dell’uva noi eravamo montagne, e nel cercar rimedio al tormento del
vento, scegliemmo di non sentire più lo sgomento, e nell’ incantato
giardino fermammo il momento.


Montagna
perché sei mutata in muraglia, non era più bello essere montagna che ha
per manto il prato e per cappello il cielo? Cosa conta la tempesta se
poi ti asciuga il sole, cosa conta l’inverno, se poi ti rapisce la
primavera con i suoi profumi e i suoi colori, cosa conta la morte se
nella vita ti sarai avvolta ogni volta.


E
tu portone non saresti stato più felice ad essere albero nel dar
rifugio agli uccelli con la tua chioma, a far da ombra ai passanti, ad
essere specchio delle stagioni. Cosa importa se un giorno sarai spoglio
quando in un soffio sarai di nuovo adorno? Vivere e morire, morire e
vivere, l’alternanza è della vita la sola danza.


Ma
cara parli proprio tu, che di alternanza hai cucito la tua esistenza,
quante volte ti ho scoperta a camminar nuda nel ripudiar quel vivere,
vedi di questa alternanza noi eravamo stanchi, cercavamo la pace,
quella che mai ci abbandona, anelavamo all’orizzonte immutato, a cieli
sempre tersi, dove i fiori non appassiscono, dove il vento non soffia,
dove il dolore non ha voce.


Ma
portone tu mi hai appena descritto la morte? Quel tipo di pace esiste
solo in assenza di vita, non è mille volte meglio vivere l’alternanza,
fatta di pioggia e sole, fatta di notte e giorno? Voi siete morti,
anche se vivi.


Fata
dell’Uva…la vita è dolore, è perdere le persone care, la vita è vincere
per  essere di nuovo sconfitti, è raggiungersi per poi riperdersi,
immagina un dipinto perfetto dal cielo limpido e terso, immagina un
lago dalle acque cristalline, immagina frutti rigogliosi e sempre
maturi, è questo il giardino incantato, non conoscerai più il dolore,
la sconfitta, la paura, il giardino incantato sarà la tua pace, quel
silenzio bacerà il tuo silenzio, varca la mia soglia e diventa anche tu
specchio di questo esistere.


Portone
ma un dipinto è solo una copia senza anima della vita, non puoi
imprimere su una tela il fruscio del vento che incrina le acque del
lago, il profumo intenso delle pratoline appena schiuse, la danza delle
nuvole nel cielo.


Fata
dell’Uva, in quel dipinto non troverai neppure le guerre che straziano
corpi, l’ipocrisia che fa girare il mondo, l’insensatezza umana, la
malattia e la morte e pensi sia poco?


Disse il portone.


E’vero
quel che dici, ma non è meglio aspettare la morte vivendo la vita?
Anziché scegliere di morire continuando a vivere? Tanto la morte quella
che un giorno porterà via me, prenderà anche te, con una differenza io
avrò vissuto, tu sarai già morto da tempo.


La fata dell’uva si allontanò da quel portone tornando alla vecchia quercia:


Cara quercia quel che non trova nella vita cercherà nel giardino incantato, mutando la sua natura, da vita in morte.


Lo
hai capito cara, tu sei la fata dell’uva e se in questo giardino non
trovi la tua vite, forse è perché di quei semi sei tu il messo, cerca
nel tuo cuore e semina, a te è stato dato un ruolo.


E la terra sotto i piedi della fata disse:


Cara vieni con me, ti accompagnerò a seminare.


La
fata dell’uva prese a seguire la terra spargendo i suoi semi, e ovunque
passava delle bellissime e rigogliose viti sorgevano, e quando la fata
ebbe finito di spargere semi si girò per guardare il suo seminato, e
vide l’intero giardino vendemmiare con i frutti nati dalla sua semina.


La fata dell’uva quel giorno pianse di gioia vera, e tornò al giardino incantato, dove il portone la riconobbe subito.


Fata dell’uva gradisci entrare?


Feci
bene quel lontano giorno a non accettare il tuo invito, la vita ha
nell’alternanza la sua sola danza e i frutti raccolti ne sono la prova.


Nel giardino incantato non ti addentrare
solo la morte lì puoi trovare,
in quel dipinto il viver è finto,
scegli di andare e nella vita inizia a seminare,
è nel mondo che muta la vita.


 
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Commenti al Post:
lamentedellanima
lamentedellanima il 11/12/08 alle 13:37 via WEB
Un saluto al volo.... passo con calma per leggerla... Ciao!!! ^__^
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