LARGU TE LU PALAZZU

“Schietti e belli li piò-piò”


di Luigi Pascali“Schietti e belli li piò-piò” ! Chissà quante volte, molti di noi, hanno sentito gridare questa ed altre frasi, senza farci caso, come se fosse un semplice, ordinario interloquire con qualcuno che si saluta distrattamente.A distanza di anni, però, queste parole riportano immediatamente, ed in modo inequivocabile ad uno dei personaggi più noti di San Cesario: Lu Santu te li piò-piò (dove per piò-piò si intendono i lupini salati, di cui sono ghiotto, ma che evito accuratamente di mangiare, poiché fascenu male alla colite, ma anche a causa degli effetti collaterali!)Lo ricordo da sempre con un basco blu (lu coppulinu) calato sulla fronte rugosa, segnata dal sole, su cui trionfavano due folte sopracciglia argentate, come le ciocche dei capelli che lu coppulinu lasciava intravedere lateralmente. Tratti decisi, come i suoi modi, sebbene sempre garbati.Lu Santu era ed è rimasto l’unico venditore di frutta secca a San Cesario (a parte una brevissima parentesi di un altro nostro concittadino, lu Totò) egli era espertissimo conoscitore, oltre che di lupini, te samienti, ciceri, fae toste e fae mueddhri, nuceddhre, mendule, pastiddhre, castagne e castagne te prete.Inizialmente la sua attività era svolta come ambulante, a bordo di un motorino mosquitu, se nu’ me sbagliu! Di quelli con il serbatoio della miscela sul telaio, a forma te pallone te rugby. Dietro il sellino, sul portapacchi, era montata una cassetta di legno, dipinta di color celeste, il cui interno era rivestito di lamiera zincata.Lì trasportava e vendeva, per le vie del paese, li famosi piò-piò, distribuendoli agli acquirenti con tanto di misurino e cartocci confezionati all’istante utilizzando fogli di vecchi giornali (ultimamente il progresso aveva avuto il sopravvento anche su di lui, attraverso i sacchettini di plastica). Per richiamare l’attenzione aveva un lessico tutto suo: “bannisciàa” la sua merce gridando ad intervalli frasi del tipo “schietti e belli li piò-piò… tenari salatielli... ssaggiatili…”. E sì… era talmente sicuro del suo prodotto, che non temeva la prova “assaggio”, che per la frutta secca è di rito!L’estate diversificava con le mandorle fresche, trasportate rigorosamente in una menza di latta zincata, da cui “pescava” i bianchi semi cu nu’ cuppinu riponendoli in minuscole bustine te carta oleata gridando, italicamente e semplicemente “mandorle… mandorle fresche” rigorosamente in giacchettina di cotone bianco ed immancabile coppulinu, anche quando lo incontravi sulla spiaggia di San Foca, con i pantaloni arrotolati sopra il polpaccio.In autunno era il primo ad inebriarci del caldo profumo delle caldarroste: si attrezzava con un mezzo scaldabagno tagliato e saldato su un treppiede, in cui accendeva il fuoco, e ‘na specie te farnaru cu li buchi larghi che riponeva sul fuoco e in cui arrostiva le castagne, girandole cu ‘na strasciddhra te cascetta te taula. Quando erano pronte, le riponeva coprendole con un sacco, per mantenerle calde. Per l’occasione il grido era “Caute, caute!...”Con gli anni aveva smesso di girovagare, ed aveva una “sede” fissa: dapprima te coste alla chiazza cuperta in Via dante, poi quasi dirimpetto, un po’ più avanti te lu tabacchinu, mantenendo intatto il fascino che emanava dai sacchi di juta arrotolati e allineati sulle assi di legno che costituivano lu bancune.Se ne è andato in punta di piedi, come aveva vissuto, lasciandoci la magia dei ricordi di quel tempo semplice e bello, e l’irripetibilità di quelle frasi: “tenàri salatielli!”.