LARGU TE LU PALAZZU

La Televisione


Di Luigi PascaliMi capita molto spesso di girovagare nei reparti hi-fi dei grandi magazzini. Pur non essendo un esperto, sono affascinato dalle grandi potenzialità della moderna tecnologia, tanto da guadagnarmi l’appellativo (sfottò), dagli amici, di “tecnologic-man”.Spesso mi incanto davanti ad enormi schermi televisivi da 37 o 42 pollici, a cristalli liquidi o al plasma, che hanno la capacità di rapirti e immergerti quasi fisicamente nelle immagini trasmesse, non solo per l’alta qualità delle immagini, ma anche per l’audio avvolgente.E allora “tac…” scatta la canneddhra della memoria, e torno indietro di quarant’anni, quando la televisione era simbolo di benessere, posseduto inizialmente da famiglie benestanti, per poi divenire, complice il boom economico vissuto dal nostro Paese, una sorta di status-simbol, insieme alle Fiat 500 e 600.I primi televisori a San Cesario apparvero nelle vetrine del negozio del Cav. Marzo, all’angolo che si affaccia in piazza XX Settembre, di fronte allu tabacchinu te lu Tumènicu te lu sale. C’era quasi sempre un piccolo stuolo di persone che ammiravano incuriosite le immagini in bianco e nero di quella scatola magica, che trionfava accanto a radioline a transistor e ferri da stiro.Poi, man mano, furono presenti in quasi tutti i bar, posti bene in alto, così che tutti potessero seguire, tra un caffè e ’na sambuca cu’ la mosca, i risultati del campionato di calcio o una partita commentata da Nicolò Carosio.Ricordo la televisione della Società Operaia, posta su un altissimo carrello, e noi ragazzini intrufolati nel buio fumoso della sala, in religioso silenzio, nella remota speranza di vedere qualche pezzettino di telefilm: “Rintintin” o “Lassie”, sorbirci i “comunicati” finché non venivamo cacciati in malo modo da qualche nunnu legittimamente infastidito dal nostro inevitabile chiacchiericcio.Noi “la televisione” in casa l’abbiamo avuta tardi, quando oramai ce l’avevano proprio tutti, poiché altre fondamentali priorità l’avevano condannata ad essere considerata superflua. Per fortuna erano tempi in cui i rapporti umani contavano ancora, allora accadeva che i nostri vicini (già possessori della scatola magica) ci invitassero quasi tutte le sere, nelle loro case, a vedere le puntate de “La freccia Nera” o lu Quizzi te lu Maic Bongiornu. Perciò spesso eravamo loro ospiti, mia madre ed io (ero piccolo, perciò la sera non uscivo).Mia madre si portava da casa, trascinandola avanti e indietro, una sedia bassa, più comoda, “la seggiteddhra” e l’inverno già nel primo pomeriggio si metteva d’accordo, con i vicini, su chi preparava “la brascèla” per l’avvenimento serale, pronti a commenti di ogni tipo, come se tutti facessimo parte del cast, sulla piccola scena in bianco e nero.Talvolta, finiti i compiti, anche di pomeriggio riuscivo a vedere “La TV dei Ragazzi” oppure “Settevoci” con i miei vicini coetanei: l’Ugu Funtana o lu Toniu Ddeu . Il sabato dopo l’ora di pranzo, rigorosamente “le comiche” con Ridolini, Charlot e Stanlio ed Onlio.L’accensione di quello che era considerato il più nobile degli elettrodomestici era un rito: “ìamu spettare cu’ se scarfa!” . All’inizio appariva un puntino luminoso che via-via si ingrandiva fino a riempire lo schermo, spesso vuoto (quando si era in anticipo rispetto all’inizio delle trasmissioni) dell’unico canale: “lu primu” (solo negli anni successivi la RAI implementò con la seconda e terza rete, sino all’avvento delle Televisioni private).Si attendeva poi l’immagine di un cielo nuvoloso, sul quale calava dall’alto una specie di rete, sino all’apparizione di una “T” e una “V” stilizzate, che davano inizio alle trasmissioni. Al termine, la stessa immagine appariva al contrario: la rete si ritraeva verso l’alto, a sancire l’ora di spegnere quella sorta di “reliquia moderna”, la quale si congedava da noi restringendo lo schermo fino a creare un grosso punto luminoso al centro, come una specie di “occhio” che sembrava un monito: “Io comunque ci sono e vi osservo” quasi consapevole della sua funzione di epocale condizionamento.Poi si copriva con una tendina di tessuto (quasi a preservarne “la salute”), rigorosamente cucita su misura, e magari ci si poneva sopra un portaritratti con la foto di un familiare in alta uniforme da militare o carabiniere.Ricordo con grande emozione le persone di quelle splendide serate in compagnia: la Ada Funtana, lu Peppu Ddeu, la Cosimina… qualcuno non c’è più, qualcuno lo incontro ancora, con un inevitabile tuffo al cuore.Quando invece scorrazzo con il telecomando tra decine di canali televisivi, senza trovare qualcosa da guardare che mi interessi, non posso fare a meno di sorridere, un po’ beffardo: sarà la rivincita di “quella” televisione?