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Michele Saponaro

Post n°25 pubblicato il 31 Maggio 2008 da dueali2

Michele Saponaro

Michele Saponaro

Al via le iniziative per il 50° dalla morte

di Giancarlo Greco

“Michele Saponaro è stato uno degli scrittori di maggior successo in Italia nella prima metà del Novecento. I suoi libri (una cinquantina in tutto, tra romanzi, raccolte di novelle, biografie e altro ancora) sono stati pubblicati dagli editori più importanti del secolo passato e venivano continuamente ristampati, ottenendo sempre un grande favore presso il pubblico dei lettori. La sua firma compariva sui principali quotidiani e su riviste prestigiose. Per oltre mezzo secolo insomma Saponaro è stato al centro della società letteraria italiana.”
Con queste parole Lucio Antonio Giannone (docente di Letteratura Italiana dell’Università del Salento) apre il suo saggio introduttivo al Catalogo che il Comune di San Cesario, d’intesa con la stessa Università e con l’adesione della famiglia Saponaro, sta realizzando per ricordare e rilanciare la figura del grande scrittore nostro concittadino e che sarà presentato al pubblico il 14 dicembre p.v., alle ore 18 presso il Palazzo Ducale, alla presenza del prof. Domenico Laforgia (Rettore dell’Università del Salento), del prof. Donato Valli e del prof. Lucio Giannone che terrà una relazione sull’opera di Saponaro.
“Si tratta di un’anticipazione – ci dice Salvatore Capone (Assessore alla Cultura del Comune) – di quelle che saranno le iniziative che andremo a realizzare nel 2009, in occasione del 50° anniversario della morte di Michele Saponaro e che prevedono una grande mostra con manoscritti, lettere, fotografie e le edizioni dei suoi romanzi. Tra l’altro, tre teche di questa mostra saranno già esposte durante questo primo appuntamento. Una seconda importante iniziativa cui teniamo particolarmente si terrà invece il 17 dicembre: il prof. Giannone incontrerà alcune delle classi della nostra Scuola media per presentare loro Michele Saponaro e la sua opera.”
Un’iniziativa importante per diverse ragioni: innanzitutto perché mira a riscoprire un autore che, con il passare del tempo, è caduto ingiustamente nel dimenticatoio della cultura italiana; poi perché permetterà di far conoscere Saponaro anche alle giovani generazioni e ai tanti concittadini che spesso ne hanno solo sentito parlare.
Infatti, il catalogo (che ospita anche una biografia dell’autore e alcuni suoi racconti, delle fotografie inedite e una bellissima testimonianza dei nipoti) sarà donato dall’Amministrazione comunale a tutti coloro che parteciperanno alla manifestazione del 14.

 
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C’era una volta lu capu uardia

Post n°24 pubblicato il 31 Maggio 2008 da dueali2

C’era una volta lu capu uardia

C’era una volta lu capu uardia

Un pezzo della storia di un paese continua a vivere nelle persone che in tali luoghi hanno agito, quotidianianamente, giorno dopo giorno, a lungo. E’ il caso del signor Salvatore Santo che ha iniziato la sua carriera di Comandante dei Vigili Urbani a San Cesario, nella metà degli anni Cinquanta, per concluderla con l’affacciarsi degli anni Novanta.
Mi accoglie nella sua casa con cordialità e quella misurata riservatezza frutto della sua esperienza e del ruolo ricoperto. Da quindici anni è costretto su una sedia a rotelle.

Signor Santo, com’era fare il vigile urbano di un piccolo comune cinquant’anni fa?
Fui assunto per fare il vigile in aggiunta all’unica unità che allora svolgeva servizio a San Cesario. A quel tempo i Vigili erano catalogati in Campestri e Rurali, in seguito le due figure furono unificate nel Corpo dei Vigili Urbani. I tempi sono cambiati, allora non era ancora predominante in questo lavoro l’aspetto della viabilità stradale, ma tutto il resto era a carico nostro. Le uniche autorità del Paese erano tre: il parroco, il Comandante dei Carabinieri e quello dei Vigili Urbani.

E lei come viveva questo ruolo?
Ho dedicato una vita al mio lavoro, cercando sempre di svolgerlo con scrupolo e correttezza. I rapporti con gli amministratori sono stati alterni, a volte positivi altre meno.

Com’era allora la vita cittadina?
Data la vicinanza alla città di Lecce, si viveva di attività prettamente impiegatizie, il resto della popolazione si adattava con mestieri di artigiano o venditore ambulante, con i proventi degli orti e dei cosiddetti “sciardini”. Esistevano anche numerosi esercizi commerciali, una cinquantina credo... Ricordo che l’aspetto più caratteristico del nostro paese era il numero dei forni privati che sorgevano in ogni rione: era un piacere sentirne i profumi e assistere all’uscita delle lunghe tavole in legno che accoglievano il pane caldo. La vita del Paese si svolgeva in modo tranquillo.

Cos’è cambiato maggiormente, secondo lei, nel nostro modo di vivere?
Credo che il paese oggi non sia paragonabile a quello dei miei tempi. è cambiato tutto, sotto tutti i punti di vista: negli stili di vita, nei valori, nelle abitudini, nelle attività economiche. C’è un aspetto che sicuramente è andato sempre più deteriorandosi nel tempo..ed è il senso civico, il rispetto delle autorità e delle Istituzioni. Oggi questo viene sempre di più a mancare, un esempio è la maleducazione stradale.

Cosa pensa a proposito del fatto che i Vigili urbani, a differenza delle altre Forze dell’Ordine, possano prestare servizio nello stesso luogo di residenza? Non crede che così vengano meno le condizioni per svolgere al meglio il loro lavoro?
Sono d’accordo con lei, nel modo più assoluto. Per mia esperienza posso dire che non è ottimale che un Vigile urbano svolga il suo lavoro nel luogo in cui vive, dove intrattiene relazioni personali, proprio per le implicazioni che questo comporta, per il ruolo di tutore della norma che svolge.

La sua disabilità lo ha costretto ad affrontare il mondo e la vita da un punto di vista diverso da quello a cui era abituato...
Sì, a questo proposito mi preme dire che non si tratta tanto di abbattere le barriere architettoniche, di cui tanto si parla e che pure esistono, quanto di acquisire tutti una cultura della disabilità. Mi spiego: se voglio usufruire del posto auto riservato ai disabili spesso non posso farlo perchè è occupato da chi non ne ha il diritto; se voglio entrare in Chiesa a volte non lo posso fare perchè si trova una macchina che mi impedisce il passaggio. Manca il riconoscimento della disabilità nei comportamenti quotidiani di ciascuno.

Ci può raccontare un fatto da ricordare... magari divertente?
La gente del paese un tempo era molto superstiziosa. Ad esempio si credeva alla presenza della “malumbra”, una specie di spirito di donna dall’aspetto sinistro che poteva aggirarsi tra i vivi.
Ricordo che una volta, su segnalazione di una guardia notturna, fui costretto ad appostarmi di notte, con un altro vigile, nei pressi del cimitero, dove una “malumbra” appunto, vista provenire dal centro del paese, si introduceva. In effetti ne aveva davvero l’aspetto, ma quando la fermammo scoprimmo che si trattava di una povera donna che di notte si recava al cimitero vestita a lutto per visitare un caro defunto. Potrei raccontarne tante altre di storie...

Sarebbe bello ascoltarne ancora, se non altro per riassaporare quel pizzico di ingenuità e di semplicità che faceva parte dei nostri nonni e che oggi ci fa sorridere ma che forse un po’ rimpiangiamo...

 
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A ‘mmera alli monti

Post n°23 pubblicato il 31 Maggio 2008 da dueali2

A ‘mmera alli montiLu rusciu: A ‘mmera alli monti

Parlare di spazzatura oggi è quanto mai attuale e di moda, ma inevitabilmente drammatico.
Tuttavia, vorrei parlarne in modo un poco più romantico, per quanto sia possibile essere romantici parlando di “mmunnizze”!
Oggi siamo abituati a vedere enormi camion attrezzati, che triturano la spazzatura, depositandola all’interno di cassoni ermeticamente chiusi; i cassonetti a pedale, le campane di resina per la raccolta del vetro e della carta… e centinaia di sacchetti di plastica (generalmente neri) che custodiscono tutto ciò di cui quotidianamente vogliamo disfarci ma… se facciamo un salto a ritroso di circa quarant’anni, non possiamo non rimpiangere quel periodo, in cui di spazzatura se ne produceva proprio poca, e smaltirla non era un grosso problema.
Anche a San Cesario, come in tutti i paesi, c’era un servizio di nettezza urbana, generalmente gestita dal Comune. I dipendenti non erano chiamati “operatori ecologici” ma più romanticamente “spazzini” senza per questo rispettare meno il loro prezioso ruolo.
I cassonetti non esistevano, la raccolta avveniva casa per casa, sul cui uscio diligentemente tutte le mattine le brave massaie ponevano “lu sicchiu” con pochi rifiuti, generalmente materiale organico (scorze te petate, scorze te oe, qualche portacallu squajatu, le fronde te le rapacaule, qualche prummitoru ‘nnacetutu). Plastica inesistente, vetro assente, poiché le bottiglie erano rigorosamente riutilizzate. Tutt’al più qualche “buatta te scummari sott’oliu” oppure “qualche scatuletta te tunnu”.
Un vecchio, stanco cavallo trainava un carretto con le ruote di gomma e le sponde alte, dipinte di celeste, in cui venivano vuotati “li sicchi” prima di essere riposti accanto alle abitazioni, per poi essere prontamente ritirati in casa.
Ricordo perfettamente che la raccolta veniva in qualche modo “annunciata” dal suono squillante di una piccola trombetta di ottone, in cui soffiava di gran lena uno degli amati “spazzini”, probabilmente per allertare qualche ritardataria che subito si affrettava a “cacciare lu sicchiu” talvolta correndo in strada per raggiungere il piccolo “drappello” e farselo “scumbrare”.
Pensate che era sufficiente un carretto, per raccogliere i rifiuti di un intero paese!
Il carretto e il cavallo erano custoditi nel vecchio “macello comunale”, in Via S. Elia, dove quotidianamente iniziava e terminava la gita per la raccolta.
Sicuramente vi starete chiedendo che fine faceva quella spazzatura, dove era ubicata la discarica, dove avveniva “lo smaltimento”.
Ebbene, i rifiuti venivano “scaricati” sulla via per Lequile, quella di campagna, esattamente dove ora è ubicato quello che avrebbe dovuto essere il “nuovo mattatoio” (costruito qualche decennio fa, di sana pianta, ma mai andato in funzione).
Passando, si potevano “ammirare” quei cumuli di spazzatura che noi bambini chiamavamo “li Monti” e dove spesso ci si dava appuntamento per giocare, o cacciare lucertole con “li cacchi”, una sorta di trappole costruite con gli steli d’erba.
Oggi quei “Monti” non esistono più, ci sono “Le Mate”, una vecchia cava che sicuramente rappresenterà una moderna discarica ma anche una fastidiosissima puzza (specie nelle calde notti d’estate, con lo scirocco) se non un pericolo ambientale a ridosso del centro urbano.
Tuttavia mi sento di dire che ciascuno di noi dovrebbe puntare meno il dito contro le discariche e dirigerlo un po’ di più verso se stessi… e i propri quotidiani sacchetti “te le mmunnizze”!

 
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Intervista a Pietro Capone, storico esponente della destra di San Cesario

Post n°22 pubblicato il 31 Maggio 2008 da dueali2

Intervista a Pietro Capone, storico esponente della destra di San Cesario

di Cristian Nobile

Il tuo impegno politico affonda le radici ai tempi del MSI di Almirante.
Io ho iniziato la mia attività politica nel Fronte della Gioventù, a metà degli anni cinquanta quando a segretario c’era Angelino Dell’Anna. Poi il lavoro mi ha portato fuori dal Salento (ha lavorato nelle FS, ndr), mi ha allontanato dalla mia passione per la politica, ma ho continuato a fare attività come sindacalista. Erano i tempi dei maoisti, di Piazza della Loggia, del PCUP, era il tempo di tanti morti innocenti. Erano gli anni ’70, tempi bui quelli, in cui gridare con forza le proprie idee poteva significare mettere in gioco la propria vita. E io, e l’ho saputo dopo, questo rischio l’ho corso a pieno. Me lo confessò un mio amico, segretario della Cgil di Torino, che quando venne a sapere che si stava organizzando un’imboscata contro di me, si oppose con forza. Tornato a San Cesario nel ’75, presi in mano le redini del partito, ricreai un gruppo dirigente insieme a Mario Pati e Luciano Marzo e nel ’85, alle elezioni comunali venni eletto consigliere comunale.
Come ti sei relazionato tu, esponente della vecchia guardia della destra italiana, con i continui cambiamenti “imposti” da Gianfranco Fini?
All’inizio con dolore e sofferenza, non lo nego. Ma dopo, avendo riposto una grande fiducia in Fini, aderì a una nuova visione, una nuova impostazione del partito. Ho sposato l’idea di una destra moderna, che si adegua ai tempi senza nulla rinnegare. è il tempo che a volte impone un cambiamento, e io l’ho fatto mio senza rimpianti. Perché tutto ciò che è passato si consegna alla storia, a destra quanto a sinistra.
Hai visto succedersi tanti sindaci, uomini politici, hai visto tanti partiti nascere e altrettanti scomparire nel nulla. E sempre dall’opposizione. Ma come è cambiata la scena politica sancesariana in questi anni?
Un’analisi attenta imporrebbe di “dividere” la storia politica del nostro paese in due fasi: quella in cui si votava col sistema proporzionale e la fase del maggioritario, a partire dal 1993. Se al centro del discorso bisogna mettere la parola ”amministrare”, devo dire, che non è cambiato molto dal mio punto di vista. La fase del pentapartito è stata segnata da una profonda ingovernabilità, era il tempo di accordi contro natura (storica la sua “epurazione” ai danni di Mario Pati e Luciano Marzo, passati poi nella DC, ndr), politicamente parlando, di amministrazioni nate in una notte e cadute dopo pochi mesi. Dopo l’ultima amministrazione Ciricugno e con l’avvento del maggioritario se da una parte si è avuta una piena governabilità, dall’altra però si è assistito a una involuzione del paese.
A cosa è dovuta questa involuzione?
Secondo me è dipeso dalla mentalità di chi ha amministrato, brave persone e serissimi professionisti, ma di vedute troppo strette e che hanno scelto di gestire il loro piccolo e non di credere nello sviluppo del territorio. Però a chi mi ha detto che San Cesario “è stato ingannato” ho sempre risposto che è sacrosanto, e bisogna rispettare, il volere dei cittadini. Anche se alle scorse amministrative ci è mancato poco per vincere, dopo tanti anni.
Appoggeresti nuovamente Raffaele Capone a sindaco?
Senza dubbio, perchè Capone aveva intuito da vicesindaco quale era la via per lo sviluppo, soprattutto urbanistico, e aveva fatto delle scelte che io condivido e difendo, ancora oggi. E anche perché ha avuto il coraggio di rompere con i suoi ex colleghi di maggioranza.
Tutti, da sempre, ti attribuiscono una grande qualità: la coerenza. Pensi sia questo il motivo dei tuoi successi elettorali e del tuo immutato consenso da anni?
Chi mi ha votato e mi ha appoggiato mi ha sempre dimostrato stima e ha apprezzato la mia affidabilità. Vedi, in politica devi essere umile, non perder mai di vista i tuoi limiti e rimboccarti le maniche perché solo così riesci a capire realmente e cercare di una risposta a quei cittadini che in te hanno riposto la loro fiducia. E per il momento l’urna mi ha dato sempre ragione, anche aldilà delle mie stesse aspettative.
Anche nell’ultima tornata elettorale ti davano per “spacciato”, anche, e soprattutto, i tuoi compagni di lista… eppure sei ancora lì!
(Ride. Di gusto aggiungerei). Ho sempre insegnato ai miei, che il migliore biglietto da visita quando si entra nelle case dei cittadini a chiedere un voto è rispettare, e mai disprezzare, chi in quella casa ci è entrato prima di te. Questo non succede sempre, è vero. Ma di sicuro io al mio posto in Consiglio ci sono seduto, ancora.
Sei sulla scena politica da molti anni. Ora la politica predica lo svecchiamento della sua classe dirigente e “promette” un forte ricambio generazionale. Nel nostro paese, a destra, escludendo Rino Marzo, le facce sono le solite da anni. Ma è così difficile passare la mano in una piccola realtà locale come la nostra? Ti è stato mai chiesto di metterti da parte?
Dai vertici del partito non me lo hanno chiesto. Anzi mi spronano a far “crescere” giovani che vogliono interessarsi di politica. Io sono per i giovani e per un netto ricambio generazionale, ma non sono per chi pensa che per emergere si può essere “Generali senza soldati”, che basta sciorinare bei discorsi in affollate riunioni. E i giovani, o molti di essi, non hanno la pazienza e la perseveranza di crescere sul campo. Io, molte volte, ho sacrificato la mia famiglia per la politica, e mia moglie che con pazienza mi ha sempre saputo aspettare.

(E’ un momento. I suoi occhi si fanno lucidi, il suo parlare appassionato lascia spazio all’emozione del ricordo di Concetta, la sua compagna di una vita.)

C’è una decisione di cui ti penti e una battaglia politica di cui vai fiero?
Non mi pento di nulla, rifarei tutto, ogni scelta, ogni decisione, forse commetterei gli stessi errori perché sono stato mosso, sempre ed esclusivamente, dalle mie idee e dal mio cuore.
Anno 2012, la tua coalizione vince le elezioni nel nostro paese, tu risulti eletto (non è difficile da prevedere…). Di cosa ti vorresti occupare?
Mi hanno sempre appassionato i problemi della gente, degli anziani soli e bisognosi, di tutte quelle persone che aspettano che qualcuno li dia un cenno, li porga la mano. I servizi sociali sono il mio pallino da sempre. Ho sempre pensato che far stare bene sempre più persone, alzare il livello di benessere di un’intera comunità, e non di poche persone, è il primo risultato a cui un’amministrazione deve ambire. E sarebbe anche il mio sogno.

(nella foto: Pietro Capone

 
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“Le ‘uardie”

Post n°21 pubblicato il 31 Maggio 2008 da dueali2

“Le ‘uardie”

Lu rusciu – “Le ‘uardie”

di Luigi Pascali

Nulla (o quasi) ha a che fare il mestiere di vigile urbano, oggi, con quello dei loro colleghi di trentacinque-quaranta anni fa.
Sebbene l’istituzione e il ruolo fondamentalmente sono gli stessi, è mutata profondamente la figura della ’Uardia. Oggi naturalmente il lavoro si è evoluto, i compiti sul territorio sono tanti e i più disparati, che ovviamente non si limitano alla mera “contravenzione”.
Da inguaribile romantico, quando vedo una divisa nera con un berretto bianco, non posso fare a meno di pensare all’Ucciu ‘Uardia, allu ’Nzinu Biondinu e allu Toninu Romanu (se dimentico, qualcuno mi perdonerà, ma queste “Uardie” hanno segnato la mia infanzia e qualche “birbonata”).
Mi sembra di rivedere i nostri eroi, in sella alle loro fiammanti biciclette te masculu (cioè cu la canna a nnanti) girare per le vie di San Cesario, a controllare soprattutto che i ragazzini non facessero qualche bravata di troppo.
Una di quelle famose bravate me la ricorderò per sempre. La Scuola Elementare “M. Saponaro” era stata appena costruita, e noi ragazzi, non avendo spazi per giocare a pallone, se non per strada, avevamo “costruito” un piccolo campetto in terra stumpisciata da noi stessi nel cortile della scuola. Tutti i pomeriggi “zzumpavàmo la ringhiera” per poter inseguire quello che doveva essere un pallone, per poterlo scaraventare al di là della porta costruita rigorosamente “cu ddo’ piezzi te tufu” . Quando qualche compagno più facinoroso (e più ciccione) si stancò di zzumpare pensò bene di “spunnare la ringhiera a càusci” con un doppio risultato: un più facile accesso e costruire delle spade con i fili di ferro divelti dalla recinzione, con le quali “falciavamo” l’erba quando diveniva un po’ più alta.
Qualcuno, in verità, aggiungeva a questo “divertimento” quello di prendere a sassi le vetrate della palestra (inutilizzata), rompendo pericolosamente quasi tutti i vetri.
Uno di quei pomeriggi assolati, mentre urlavamo in direzione dei compagni intenti a “smarcare” l’avversario, apparvero come dal nulla, sulle biciclette, l’Ucciu e lu ’Nzinu . Fu un attimo, e attraverso le campagne ci dileguammo tutti. Con calma proverbiale, i due “giustizieri” imboccarono la stradina e raggiunsero un paio di noi: ormai non avevamo scampo. Decisi la tattica dell’estraneità, e alla domanda perentoria di chi fossero i ragazzini che erano scappati, risposi con uno spavaldo “E ce sacciu, ieu nun c’era” . Le parole mi furono smorzate sulle labbra da un sonoro “sciacquatienti” e con un “invito” a salire sulla canna della bici, per essere portato in “caserma”. Alla mia espressione di disperazione seguì un deciso “Te sci si’ fiju… poi parlamu cu’ sirda” ma nemmeno l’idea di essere orfano di padre, mi tranquillizzò, poiché l’ira di mia madre, se fosse venuta a conoscenza dei fatti, sarebbe stata comunque terribile.
Il tutto si risolse con una “ramanzina” piuttosto energica, ma per un bel po’ non andai a giocare nel campetto della scuola.
Oggi, quando vedo i ragazzini scorrazzare in senso vietato o ’mpennare con lo scooter, non posso fare a meno di pensare sorridendo al timore reverenziale che avevamo nei confronti te le “’Uardie” e non nascondo il desiderio che farebbe bene a ritornare… almeno un poco!

 
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