Rosa Luxemburg

Post N° 362


Ho intimamente solidarizzato con la mamma molisana che davanti alle telecamere dei tg ha stracciato la sua carta d’identità, si vergogna di essere italiana. E ci ha indicato, allungando le braccia verso le rovine della scuola, quelle anfore a pian terreno sistemate su una mensoletta apparentemente instabile, che ancora si mostrano, immobili e intatte. Col terremoto son venuti giù i piani superiori, rialzati in tempi diversi, ma non quel paio di anfore sulla mensoletta.Qualche esperienza di terremoto io ce l’ho, e quello che c’è stato in umbria nel ’96 era più forte di quello che ha colpito il molise. Allora abitavo ancora con i miei e ricordo benissimo che in casa, quinto piano, sono cadute poche cose, e tutte stavano sulle mensole: il servizio di bicchieri di mia nonna frantumato dentro la vetrina della sala; i miei ninnoli e le boccette di profumo mignon caduti dalla bacheca di legno; i libri sistemati su tre mensole, nonostante i fermalibri, e non vennero giù, per esempio, quelli sugli scaffali della libreria, che erano più protetti… Manco una crepa sui muri, però. E il palazzo dei miei ha festeggiato da poco  trent’anni di vita.Alla scuola di san giuliano è accaduto l’opposto, gli ammennicoli si sono salvati mentre son venuti giù i piani superiori. Unico edificio a crollare, non può essere un caso. Come si suol dire, io non ho letto gli atti del processo, però mi sento lo stesso di dire che io sto da una parte, e non è quella dello stato che in un tribunale raffazzonato alla meglio in un hotel per via del pubblico numeroso, ha stabilito che l’unico colpevole è il terremoto.E il cartello “la legge è uguale per tutti” si toglie da un appiglio e dondola, mentre la giudice legge la sentenza. Immagine perfetta.Non posso stare dalla parte di uno stato che non è capace di fare giustizia nemmeno di fronte a bambini che muoiono con la testa sul banco, in un posto che dovrebbe essere sicuro quanto casa loro, se non di più. Ripeto, non ho letto gli atti del processo, ma non posso fare a meno di chiedermi anch’io perché le loro case, situate a pochi metri di distanza, abbiano subìto solo danni marginali, mentre la scuola gli è crollata addosso.Cosa chiedevano questi genitori? Che venisse riconosciuta una responsabilità a coloro che avevano deciso, progettato e realizzato i due piani della scuola che sono crollati. Un modo per sentirsi meno soli nel dolore, un modo per tentare, sia pure invano, di farsene una ragione. Con l’aiuto dello stato.Invece lo stato assolve tutti, è stato un accidente. Troppe volte sono stati definiti “accidenti” episodi dolorosi rimasti senza colpevoli.Leggevo di un’altra mamma molisana e delle sue disperate dichiarazioni, più o meno…”ci manca solo che ci dicano che la scuola ha avuto un cedimento strutturale””cedimento strutturale”. Quando sento questa definizione penso sempre ai morti di  ustica, e alle parole di quel generale dell’aeronautica incalzato dalle domande del giornalista che abbiamo visto su “ il muro di gomma”.Andrea purgatori cerca di interrompere la prosopopea del generale, chiedendo semplicemente:” quindi l’aereo si è rotto?”Il generale continua, producendo decine di dati tecnici che servono solo a coprire le vergogne, e allora purgatori si alza e grida:” allora, si è rotto o no?”E il generale si schermisce un pochino, gli fa presente che non è così che si dice, se mai la definizione esatta è…”cedimento strutturale”Poi si è parlato di bomba, poi di un missile, come se fossero tutte la stessa cosa. Tanto non c’è nessun colpevole.Io, che soffro in maniera quasi patologica di sensi di colpa, mi chiedo come facciano a sopravvivere, o almeno a dormire la notte, le persone coinvolte nel piano di ristrutturazione di quella scuola.E quelle che hanno visto l’aereo cadere su ustica.Me lo chiedo, sì, è una cosa umana. Delle volte, quando si parla di una vicenda e il pathos sale, auguro a quelli del caso di risentirne fino all’ultimo respiro. Insomma, che crepino col pensiero di essere stati ingiusti e con la paura della punizione divina. Ma è solo una consolazione accessoria.