Rosa Luxemburg

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Andiamo al pranzo di pasqua a casa di mia cugina. Sotto il parcheggio di sant’antonio ci sono macchine in sosta lungo la strada e un capannello di persone che guardano una casa. Turisti di pasqua, adesso dopo aver fotografato l’arco etrusco si scende di cento metri e si va a curiosare la casetta dove è stata uccisa la studentessa inglese. Ci sono anche i bambini.Non ci fosse stato mio figlio avrei tirato giù il finestrino e fatto presente che lì, davvero, non c’è niente da vedere.Qualche volta penso che le mie dichiarazioni di moralità possano sembrare presuntuose. Questa è una: non si curiosa nel dolore, non lo si invade con le macchinette digitali e con quattro chiacchiere appoggiati sulla staccionata sopra la casa in questione, non si può cambiare il significato delle cose senza rendersene conto.Del resto un’amica mi ha chiesto: sei “perfetta” tu che condanni senza appello?Oh no, mi conosci e lo sai che sono tutt’atro che “perfetta”, però posso capire la provocazione.Rimane il fatto che né tu, né io, siamo mai andate a grufolare davanti a quella casa, anche se avremmo potuto farlo tutti i giorni. Cosa penseresti di me se mio figlio ti raccontasse che l’ho portato a vedere dove è stata uccisa quella ragazza? Che addirittura abbiamo fatto foto?Che sei una stronza.Ecco, allora anche quei turisti sono stronzi, vedi che siamo d’accordo.I curiosoni c’erano anche in umbria al tempo del terremoto. Il principale campo container di foligno era piazzato proprio lungo la superstrada ed era facile fermarsi per vedere come si arrabatta la gente che ha perso tutto. I tg ne parlarono, deprecando questa forma morbosa di curiosità. Però quando i morbosi curiosi sono i giornalisti allora è diritto di cronaca, dovere di informare.Il papà di mio figlio è folignate ed ovviamente aiutò come tutti durante l’emergenza. Col passare del tempo si diventa uno di casa, anzi di container, come mi diceva. A una cena al campo partecipai anche io ed era l’estate del 1999, lo ricordo benissimo perché ero incinta e andai a vomitare dentro il bagno di latta di una gentile signora. Era sabato sera. Fuori dal tendone che ospitava la cena si era formata una seria riunione, anche il papà di mio figlio partecipava. Discutevano il da farsi se anche la mattina successiva avessero avuto gruppi turistici in visita. Già. I tg di questo non hanno mai parlato, ma quel sabato mattina due macchine di curiosoni ebbero il cofano sfondato, i fanali rotti, i finestrini in pezzi.Successe che tre/quattro signori terremotati non si svegliarono evidentemente di buonumore e  a vedere quelli che li scrutavano col binocolo partirono in quarta armati di bastoni.Tutti d’accordo che non si poteva fare così, tutti sottilmente contenti che per una volta si era fatto così. Come mi raccontò poi g., che si fermò al campo e io tornai a casa, ci volle tutta la notte per stabilire come fare, tutta la notte per scegliere le persone giuste. Alla fine decisero turni e persone: il sabato e la domenica nella piazzola di sosta della superstrada ci sarebbe stato sempre qualcuno a vigilare, a dire: qui non c’è niente da vedere. Aria. Sciò.Ho un filo diretto col terremoto, mi racconta m. di come stia diventando più difficile ogni ora che passa. Tra un paio di settimane saranno sui trafiletti dei giornali, lo sa e lo sappiamo tutti. Lei deve tornare a scuola qui a perugia, si è presa qualche giorno ma a fine aprile deve portare gli studenti in gita, non si discute. Lascia i suoi genitori in tenda, casa loro ha retto ma sono talmente spaventati che giurano di non rientrarci per un anno; lascia la sorella, il cognato e le nipotine, che hanno la casa spezzata pur essendo stata costruita sei anni fa. E adesso vogliono sapere com’è che si sono sbriciolate le pareti interne della zona giorno.Non è vero che l’emergenza è finita, comincia adesso. Adesso che le persone si rendono conto che nelle tende ci staranno qualche mese e nei contenitori qualche anno. Venerdì sera mi sono commossa a sentire la sua voce spezzata e lei mi ha mandata, giustamente, a quel paese.Io avrei fatto lo stesso con una che mi chiama e poi piange.