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J. Edgar

Post n°276 pubblicato il 06 Gennaio 2012 da Taniello
 

J. Edgar

Doverosa premessa: chi scrive è un devoto del verbo registico di Eastwood, fine premessa.

Nella prolifica produzione di Eastwood degli ultimi anni è possibile leggere diversi temi: la "fine" che prima o poi arriva per tutti con gli inevitabili dubbi sul "dopo" (Hereafter); la "fine" dei giustizieri (Gran Torino e prima ancora Gli Spietati). 

Racconti di grandi (Invictus) e piccole (Million Dollar Baby, Mystic River, The changeling) vicende di passioni, a volte vincenti, più spesso perdenti.

Infine le avventure pseudobiografiche di personaggi che hanno fatto la "grande" storia (Letters fom Iwo Jima e Flags of our fathers).

Tutti questi temi sinteticamente raffazzonati hanno la stessa cifra stilistica della magniloquenza, del rigore, della decadenza, dell'ineluttabilità del destino e quindi del finale della storia, con risultati talvolta alti, tal altra così così.

J. Edgar è la storia di un grande personaggio della storia contemporanea, di un uomo solo che ha concentrato così tanto potere nelle sue mani da sopravvivere a ben 8 presidenti degli USA. Fare "la" storia sull'inventore e sul direttore "storico" dell'FBI è una cosa tanto "americana" che non può avere la pretesa di solleticare le semplici corde del pubblico nostrano se non grazie all'argomento "è un film di Eastwood". Ma è proprio per questo che Eastwood è un gigante: un autore assolutamente USA, fin nel più profondo del midollo, assolutamente classico e quindi semplicemente potente.

L'opera gronda da subito del vigore nazionalistico e sbirresco del protagonista, una retorica anticomunista che qui da noi sarebbe per alcuni ancora attualissima. Si alternano i fatti "storici" alle incursioni nei fatti privati che hanno contribuito a creare l'immagine pubblica di Hoover. La sessualità repressa, gli ambigui rapporti in famiglia, troppe cose di cui si è venuti a conoscenza e che non possono essere divulgate bensì usate per la sottile arte del ricatto. Il racconto è, come dicevo, potente ma non privo di lungaggini, di cose di cui si sarebbe potuto fare a meno, tagliare, tagliare, cazzo!
Di Caprio si è abbondantemente guadagnato la pagnotta ma io avrei valutato la possibilità di utilizzare 2 diversi attori per le due età (la giovane e l'anziana) di Edgar e dei più stretti comprimari, magari si pagava meno uno e si abbondava di prestigio per tutti. Invece ci sorbiamo un trucco facciale non riuscitissimo e che un po' disgusta. Difetti, senz'altro. Ma ancora una volta (ed è l'arma vincente sempre e comunque di Clint) vince il pathos, la durezza della realtà che frantuma i sentimenti.

Alla fine mi vien solo da dire, rubando uno storico claim pubblicitario, che Clint fa dei film per l'uomo che non deve chiedere, MAI!

Infine, nota sul doppiaggio: Edgar ha il soprannome di "Spiccio" che deriverebbe da (dice Edgar) da quando era piccolo e faceva il garzone. Invece si capisce che il soprannome è "Speech" e deriva dal fatto che a volte è balbuziente... Ma annatevene a' fanculo va...

 
 
 
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