lasoffitta

A MOSCA!


«A Mosca! A Mosca!», imploravano le tre malinconiche sorelle di Cechov. E Mosca ci appare, dopo un trasbordo notturno in un piccolo e scomodo autobus dalle finestre appannate, in tutta la sua contraddittoria grandezza. La piazzaRossa, deserta, a mezzanotte, restaurata di fresco con i suoi improbabili colori: il rosso mattone delle mura, i verdi, i celeste e gli arancioni delle sue cupole laccate, il bianco troppo candido delle sue chiese sormontate da luccicanti berretti stondati. Luci all'idrogeno sapientemente piazzate sottolineano il suo carattere teatrale, artificioso e dunque assolutamente sorprendente. Imbacuccati all'inverosimile, con il vento polare che ti sferza i pochi lembi di pelle rimasti scoperti (le guance, il mento, il lobo delle orecchie), ci muoviamo in questa piazza di cui non riesci a percepire i confini come dei piccoli automi: marionette futuriste dai gesti spezzati che sarebbero piaciuti a Mejerchol'd e a Majakovskij, che cercavano l'attore perfetto, spersonalizzato, senza anima né volontà proprie, completamente docile nella mano del regista. L'homo sovieticus, insomma, avanguardia e metafora della rivoluzione dell'uguaglianza, ma che a me fa venire drammaticamente in mente le lunghe file per il pane e le minacciose quanto inutili parate militari. Il fiume è ghiacciato e la città è piena di neve e vuota di vita. Vado a letto in una stanza calda come una sauna. Scosto la tenda, nessuna scena a colori dietro i vetri: solo palazzi grigi e tutti uguali, una fabbrica in lontananza con la tetra ciminiera che stupra il cielo e lo avvelena. Ho visto tanta povertà, tanta miseria, nelle mie scorribande intorno al mondo: le favelas brasiliane, i tuguri guatemaltechi, le baracche di fango e lamiera dei palestinesi, il cimitero del Cairo trasformato in un verminaio umano. Ma la povertà nel gelo è un'altra cosa: quel freddo aspro implacabile che giorno dopo giorno, ora dopo ora, ti corrode fuori e ti brucia l'anima dentro... E maledico il sonno riparatore che è in ritardo, non arriva e che, ormai ne sono certo, stanotte non arriverà più... 6 febbraio 2005