latripladea

RACCONTO D’INVERNO


 
“Prego Sant’Anna e Santa Susanna, una che mi alza e l’altra che mi chiama: alle cinque!” recitava mia nonna che temeva di non svegliarsi in orario per mungere le vacche. Un tempo si credeva che i santi accompagnassero ogni nostra azione quotidiana (un modo dolce per sentirsi protetti), adesso la moda new-age sostiene che ci siano gli spiriti guida a nostro fianco… insomma, cose vecchie col vestito nuovo.Questa mattina invece è il cuculo a svegliarmi, lo sento in lontananza, pare un richiamo antico. Sposto la tenda e noto con malinconia che i vetri non sono appannati come quelli di quando ero bambina. Disegnavo un cuore senza iniziali perché non sapevo chi sarebbe stato il mio principe, poi appoggiavo la faccia per formare una maschera nel vapore che si dileguava in rigagnoli di condensa, e guardavo la neve scendere lenta. Impossibile resistere alla chiamata, mi infilo la tuta e programmo la scopa magica per un viaggio nel mio passato.Col naso rosso dal freddo, risalgo l’irta collina, osservo la vegetazione, noto del muschio ai lati dello stretto sentiero, così ci affondo le dita… com’è bello, sembra fatto da milioni stelline verdi. Venivo quassù a raccoglierlo per il presepe, lo ripulivo dalle pagliuzze e con la sabbia formavo delle stradine e ci piazzavo le pecorelle, che ogni tanto cascavano. Ho le unghie sporche di terra ora, le infilo in tasca e ridendo con me stessa corro sulla cresta della collina da dove tutto sembra più piccolo e da dove dominano i miei ricordi. Le buche sulla mulattiera sono gelate e giacché oggi sono regredita all’infanzia (tanto qui non me vede nessuno), ci salto dentro per sentire il rumore del ghiaccio che si frantuma sotto i miei piedi come vetro. Voglio riempirmi le orecchie con questi suoni, melodie dolci del passato … non voglio sentire i clacson delle automobili, il rumore dei pneumatici sull’asfalto, il suono delle sirene. Poi passerò dai miei dove gli angoli del cortile col vecchio pozzo in pietra, mi inviteranno a cercare altri particolari dimenticati. Mia madre mi ha raccomandato di non dimenticarmi dell’invito a pranzo “….cominciamo a diventare vecchi e non ci saremo in eterno…” mi ha detto triste. E’ vero… vorrei fossero eterni invece, perché non sono mai riuscita a dire loro che gli voglio bene e che sono contenta di essere loro figlia. Mi è così difficile manifestare loro i miei sentimenti perché sono stati genitori molto freddi, non per cattiveria, temevano che i figli si sarebbero approfittati di un’eccessiva confidenza. Da ragazzina mi vergognavo dei miei genitori, li credevo ignoranti perché non leggevano e non viaggiavano, pensavo di non aver nulla da imparare da due lupi solitari.  Invece ora, da questa nuova angolazione, capisco che vivere senza quella che definiamo “informazione” può essere una ricchezza. Si può campare benissimo anche senza la stampa, anzi, puoi acquistare conoscenza senza condizionamenti. Mia madre ad esempio conosce solo il paese dov’è nata e la frazione dove vive e a volte mi chiede “… ma l’Olanda è a Londra..?”  eppure è in sintonia perfetta col mondo animale e vegetale, conosce le erbe selvatiche, sa curare gli animali domestici, con loro ha instaurato un dialogo speciale…non sanno cosa sia il veterinario. Quando da bambini avevamo la febbre lei diventava dolcissima come per magia, ci preparava il latte caldo alla temperatura perfetta e i suoi baci sulla fronte, per misurarci la febbre, guarivano più dell’aspirina. E poi c’erano i fumi col catino d’acqua bollente….a volte sotto la coperta venivano anche mamma e papà a farmi compagnia anche se non erano malati… e si rideva con la faccia gocciolante. Quando un inverno mi venne la pertosse il mio babbo mi portava al mattino presto su questa collina perché “…l’aria fina fa guarire!...”. Cerco lungo i pendii le tracce nell’erba di quando abbracciati rotolavamo fin giù ridendo… gli unici abbracci strappati a mio padre, sempre per il fatto che un tempo ai bambini si doveva dare poca confidenza.… chissà quali altri rimedi magici ho scordato… Artemisia