Creato da laura.campaci il 23/12/2009

Laura & Stockholm

Le avventure di una veneziana in Svezia

 

 

Last days...

Post n°10 pubblicato il 31 Maggio 2010 da laura.campaci

Mi son lasciata vivere e ho vissuto prima di avere ancora la voglia di tornare a scrivere su questo blog... E' sempre così: lascio che prima le esperienze sedimentino in me e poi, una volta che le ho elaborate, riprendo in mano la penna.

Mi dispiace aver lasciato passare momenti ed emozioni senza fissarli da qualche parte, ma son certa che sono ancora lì, ben accatastati nel mio cuore, pronti ad essere riacciuffati e rivissuti con una nuova consapevolezza.

Meno 16 giorni. 16 giorni e toccherò il suolo veneto, dopo 5 mesi di vita svedese.

Come faccio a spiegare cosa provo? L'instabilità di sapere che ora devo preparami a tornare lì da dove son partita, piena di sogni e speranze e paure. Si torna alla vita reale, quella che implica responsabilità, e non più tutta questa indipendenza.

In questi ultimi mesi ho scoperto ancor di più Stoccolma, ho cercato di esplorarla. Sempre assieme con Roos, la mia più cara amica qui. Si può diventare così amiche dopo appena pochi mesi, venendo da culture diverse (lei è di Amsterdam) e parlando una lingua che non ci appartiene dalla nascita? Ora posso addirittura prevedere cosa sta pensando, o dicendo. Il nostro legame è uno dei doni più belli di questa esperienza, e purtroppo so che non sarà più la stessa cosa una volta tornata a casa. Con lei ho condiviso ogni giornata, ogni pensiero, ogni più sciocca cosa che capitava. Abbiamo anche litigato. E abbiamo riso, abbiamo fatto da mangiare assieme, abbiamo visitato Riga assieme, abbiamo goduto del sole - quelle volte che si degna di farsi vedere - assieme. E prima abbiamo condiviso il gelo, la neve, i corsi all'università e la graduale ambientazione a Stoccolma. In sostanza, se penso alla mia esperienza qui non posso pensarla separata da lei.

Mi mancheranno anche i miei vicini di corridoio. Specialmente Tina e i suoi sorrisi, JB e i discorsi filosofici o sull'amore, Patrick e la sua aria burbera e i suoi "Ciao bella!". Proprio ora si stava creando una intimità di famiglia, un feeling speciale. L'altra sera abbiamo cenato assieme, stavolta ha cucinato Tina qualcosa di tipicamente tedesco. Poi abbiamo passeggiato verso la spiaggia. Il clima era mite, l'acqua del mare calma e velata di una luce rosa. Qualche chiassoso francese ubriaco urlava in lontananza. Poi siam tornati a casa, un the, e due chiacchiere sul divano. Gijs stava bevendo la sua ennesima birra: stavolta gliel'ho detto, "Devi pensare alla tua salute, non ti fa bene bere così tanto". Gli ho sorriso: "Non voglio fare la parte della mamma ma mi preoccupo per te" (con quella pancia che ti ritrovi, avrei voluto aggiungere). Queste sono le serate che amo.

Recentemente ho intervistato un professore per un articolo che vorrei scrivere su Gente Veneta, il giornale per cui collaboro da due anni. Ho tentato un confronto tra università italiana e università svedese, e sono emerse delle cose davvero interessanti; due tra tutte: i professori vengono considerati alla stregua del resto del personale universitario, che non guadagna tanto meno di loro (la cucina che in ogni dipartimento viene condivisa tra il personale viene pulita a turno ogni settimana, e professori compresi se ne occupano... Me li vedo io loro altezze i professori di Ca' Foscari...!). Questo per me è già sintomo di una struttuta meno formale, e più votata alla democrazia. Seconda cosa: un tempo in Svezia il voto a un esame si divideva in "non passato", "passato", "passato con lode". Tutto qui. Ora son stati costretti a differenziare un po' di più, ma comunque l'apprendimento nell'università svedese non ha come obiettivo la votazione finale, non è questo ciò che più conta. E chi copia durante un esame? Espulso.

Ci vorrebbe un po' di Svezia in Italia, giusto per mettere a posto due o tre cose. Ma che poi ritorni da dove è venuta, perchè io amo il mio Paese caotico e ciaciarone così com'è :)

 
 
 

Looking into the heart of light, the silence.

Post n°9 pubblicato il 22 Marzo 2010 da laura.campaci

Trovo che la Svezia sia perfetta per una vacanza di tipo "spirituale": oggi ho deciso di approfittare del sole, un sole entusiasmante e quasi primaverile, e ho camminato attorno al luogo in cui vivo. C'è il mare, ci sono boschi... un paesaggio di profonda quiete. Davanti ai miei occhi stamattina si è aperta una distesa immensa di neve e di tranquillità, delimitata da abeti e alberi secolari. Mi sono sentita in pace col mondo. A pochi chilometri dalla città, gli svedesi vengono qui a ricaricarsi: chi fa trekking, chi porta a passeggio i propri bimbi, alcuni studenti camminano in compagnia.

La calma fa parte degli svedesi: tutto viene fatto con calma e metodica. Ognuno si mette in fila, rispettosamente, e aspetta il suo turno senza lagnanze. Tranquillità. Tempo. Nessuna fretta. No, oddio, a me sembra di impazzire!!! Non sono fatta per queste cose... Non ci sono abituata. Certo, rispetto la coda, ma talvolta vorrei mettere pressione, accelerare le azioni, pretendere velocità oltre all'efficienza. Temo di sprecare il tempo, e d'altra parte sono spesso di fretta. Forse dovrei imparare dagli svedesi l'arte del godere del tempo. L'arte di non farsi assalire dal vortice della quotidianità frenetica. L'arte di dare spazio e respiro alla propria pace interiore.

Non sono qui per parlare solo di questo. Voglio parlare anche della nostalgia. Di quanto faccia male quando divide le persone che si amano. Avevo già provato un sentimento simile quando mia sorella è partita anche lei per l'Erasmus, qualche anno fa. Ora riprovo la stessa pungente sensazione. Fa male, ma forse fa anche bene se la si sa superare con coraggio: non può che solidificare i rapporti, renderci più forti e corazzati. A volte mette alla prova. Specialmente me, che penso sempre e mi arrovello anche sul niente.

Ma per fortuna ora conosco un luogo ameno dove recarmi tutte le volte in cui avrò bisogno di ritrovare la mia sintonia col mondo circostante, riannodare i fili dei miei pensieri disciolti nel caos.

 
 
 

Discovering Stockholm

Post n°8 pubblicato il 15 Marzo 2010 da laura.campaci

Da cosa iniziare? Due mesi a Stoccolma. Volati, divorati, sofferti, assaporati, penetrati sotto lo strato di epidermide... ora scorrono in me e mi rendono diversa, spero migliore. Quantomeno diversa.

Questi sono i primi giorni di sole consecutivi, baciati anche da un clima più mite, seppur ancora freddo. Ghiaccio e neve ricoprono tuttora la terra ma quel poco di erba che si comincia a intravedere mi fa già pensare alla primavera.

Ora posso dire di essere ambientata. Non sono integrata, questo no. Intendo dire che non posso sentirmi parte della società svedese, come alcune mie amiche tentano di essere studiando lo svedese e proiettandosi in una dimensione culturale il più possibile vicina a quella svedese.

Io imparo, intanto, a vivere in un Paese straniero, da sola. E con le mie gambe e col mio scarso svedese faccio di tutto per costruire attorno a me una sorta di casa che mi deve ospitare per altri tre mesi. Si comincia sempre dai rapporti umani. Questo è ciò che più conta nella vita. Questo è ciò che ci rende così simili pur così geograficamente distanti tra noi. Il bisogno del contatto umano, del calore umano e dell'amicizia. E' così che sto riassaporando e rivalutando le amicizie che ho in Italia, il valore che possiedono.

Confronto costantemente l'Italia e la Svezia. Non posso fare a meno di adorare il mio Paese, di sentirlo parte di me e io sentirmi parte di esso. Mi sento italiana fino alla radice dei capelli, dal mio gesticolare continuo al mio vivere con passione, dal mio amore per il basilico e la conserva fatta in casa al mio dialetto veneziano.

Ma c'è tanto da imparare dalla Svezia! Ogni giorno ammiro un po' di più Stoccolma, e scopro che sa rappresentarmi nel mio ideale di città. Ordinata, pulita, efficiente nei trasporti, attenta al dettaglio e proiettata alla qualità. Privilegia il verde e gli ampi spazi. Premia l'architettura. Ragiona con lungimiranza. Opta per la praticità. Cerca il benessere dei cittadini. E ha profonda consapevolezza della "cosa pubblica".

Sembrerà banale, ma non ho mai visto una scritta sui muri. Perfino l'autobus che prendo all'università per andare a casa ha al suo interno un cestino. La gente rispetta la "cosa pubblica". Ha piena coscienza di cosa è comune.

Questo ci manca. E vorrei tanto portarlo in Italia con me.

Amo le passeggiate che posso fare a Stoccolma. Ogni momento un paesaggio differente; gli occhi si allargano per contenere l'imponenza e la vastità che la città trasmette. Amo camminare sulla neve, sul ghiaccio che ti fa scivolare. Gli occhi appena aperti, perchè il riflesso della luce sul bianco è accecante.

Dopo due mesi, posso dire di essere felice della scelta che ho fatto. Quella volta, già sulla carta, Stoccolma mi aveva sussurrato all'orecchio... E fortunatamente ho saputo ascoltarla.

Ringrazio mia sorella che mi ha spronata col suo entusiasmo. Ringrazio le amiche che avevano già fatto l'Erasmus e mi hanno incoraggiata ad affrontarlo a mia volta. Ringrazio Marco che a dispetto di tutto mi ha sempre consigliato di partire, ha compilato con me i documenti e mi accompagna anche oggi mano nella mano.

 
 
 

Sweden: culture and everyday life. Part I

Post n°7 pubblicato il 05 Marzo 2010 da laura.campaci

Mi è ancora difficile fare un ritratto degli svedesi e della loro cultura. Lo troverei ingiusto perchè so ancora poco di loro. Li studio quasi come degli animali in gabbia: in realtà cerco solo di captare le differenze e le similitudini con gli italiani.

Comincio da qualche cosa che so: conosco due ragazzi svedesi, uno vive nel mio corridoio, l'altro subaffitta la sua stanza a una ragazza tedesca, e alla fin fine spesso ce lo ritroviamo qui, visto che è amico di tutti.

Ecco, sono ideali per dimostrare quanto sono falsi tutti i preconcetti sulle nazionalità etc etc.

La prima volta che mi ha vista, Victor mi ha salutata con "Ciao, como stai? Mangiare!": le uniche parole che sapeva in italiano. La seconda volta che ci siamo visti si è fermato a chiacchierare con me mentre facevo colazione e a farmi domande sulla mia vita. La terza volta mi ha invitata a cenare con lui e altri amici. La quarta mi ha abbracciata (e ora lo fa sempre, è il modo svedese di salutarsi tra amici). La quinta mi ha invitata a cenare a casa sua.

No, non mi sta facendo il filo! Sto cercando di spiegare la sua socievolezza, la sua apertura a nuove amicizie, il suo desiderio di farmi sentire benvenuta.

Patrick è il tipico "palestrato": fisico imponente che di primo acchito mi ha spaventata, la prima volta che l'ho visto. Poi mi sono accorta che ero io a spaventare lui. Intendo dire che lui in qualche modo è il tipico svedese, quello che tutti immaginiamo: biondo, occhi azzurri, riservato; non ama parlare.

Ma io ovviamente all'inizio non lo sapevo: quindi gran stretta di mano e "Nice to meet you!". Poi ho cominciato a parlargli, a fargli domande. Il giorno del suo compleanno, una settimana dopo averlo conosciuto o poco più, gli ho fatto gli auguri e gli ho dato due baci. Fiera del calore italiano :)

Ed è così che alla fine, trovandoci a volte da soli in cucina, sono riuscita a strappargli qualche conversazione, e ora ridiamo e scherziamo con piacere.

Con questo che si può dedurre? Niente di particolare, appunto. Patrick e Victor alla fin fine sono due ragazzi normalissimi. Opposti, simili. Hanno qualcosa di svedese nell'animo, sicuramente, così come io ho qualcosa di tipicamente italiano nel mio modo socievole di comportarmi e nel continuo gesticolare.

Una cosa che posso dire sugli svedesi e che mi è saltata subito agli occhi, e che pare piuttosto diffusa, è la loro fredda cordialità. Sono sempre educati, disponibili, ma non vanno più in là. Non so se anche questo faccia parte della loro riservatezza e timidezza. Ma, ancora una volta, non voglio fare di tutta l'erba un fascio.

 
 
 

Finding a balance...

Post n°6 pubblicato il 05 Marzo 2010 da laura.campaci

Il principale problema dell'Erasmus è che è destabilizzante: voglio dire, un momento sono allegra e il  momento dopo sono a terra. Qualcuno penserà che questo capita ovunque, e a moltissime persone che fanno una vita "normale".

Beh, sì, ma qui tutto è una costante altalena di sensazioni contrastanti: le persone, le situazioni, i colori stessi di questa città, le emozioni che ricevo o che mi nascono da dentro. Mi trovo in difficoltà a spiegare la tempesta che si verifica nel mio animo: a volte è positiva, sa trasmettermi energia... A volte è davvero destabilizzante. A volte mi sfianca. Sono in costante mutamento, tutto ciò che davo per scontato ora è in continua messa in discussione. Sarà perchè come al solito mi arrovello tanto e troppo su tutto? Ma tutto sommato non mi dispiace: quando riesco ad essere oggettiva riguardo questa tempesta interiore riesco finalmente a rendermi conto che è solo e sempre un'occasione di crescita. E devo viverla come tale.

Oggi camminavo verso l'università e notavo i cambiamenti - seppur impercettibili, visto che la neve ricopre ancora tutto - attorno a me, in mezzo alla natura: il cielo, chiazzato di nuvole rosa, era luminoso, limpido. E mi dicevo: guarda dove sei Laura, sono quasi due mesi che sei qui. Guarda che opportunità ti è stata data! Arriva la primavera. E allora viva anche le tempeste interiori.

 
 
 

Home

Post n°5 pubblicato il 13 Febbraio 2010 da laura.campaci

Un pensiero veloce, che mi nasce spontaneo dal cuore dopo questa serata. Ho passato due giorni piuttosto sconfortanti, tra un forte raffreddore e lo studio indefesso per questo esame che mi spaventa tanto, e oggi mi son sentita ancora una volta confusa e non al mio "posto". Al supermercato mi guardavo attorno e sentivo tutti degli estranei pronti a infastidirmi coi loro carrelli e a spingermi per la fretta e la calca. Riconoscevo tipi e persone che ritrovo in qualche modo pure in Italia e pensavo che alla fin fine tutto il mondo è paese, come si suol dire. Tornata a casa, ho ripreso in mano i libri. Verso l'ora di cena sono andata in cucina, e ho trovato chi mi aspettava.

C'è chi mi ha abbracciata per accogliermi, chi mi ha offerto del vino, chi mi ha chiesto come stavo. Chi si è premurato di prepararmi una bevanda calda che mi aiutasse contro il raffreddore. Stavano cucinando anche per me. Abbiamo mangiato, chiacchierato, riso tanto e di gusto. Ogni tanto non capivo qualche parola; ma che importa, c'era il gusto di stare lì tutti assieme. Paesi diversi ma stessa ironia, stessa voglia di non sentirsi soli, stesso senso di amicizia.

E questo mi fa stare incredibilmente bene. Perchè è come se per la prima volta da quando sono qui realizzassi che c'è qualcuno che si sta affezionando a me, che mi sta conoscendo e sta imparando a volermi bene. Ecco, ho scoperto cosa vuol dire "casa". E finchè mi sentirò circondata da affetto, sentirò che qualcuno mi stima e cerca la mia compagnia, saprò che potrò trovare anche qui un posto dove sentirmi, almeno temporaneamente, a casa. Tutto ciò che mi mancava era questo.

Ora credo che domani potrò studiare molto meglio :)

 
 
 

Don't worry, be happy

Post n°4 pubblicato il 04 Febbraio 2010 da laura.campaci

Don't worry about a thing, 'cause every little thing is gonna be all right... E' quello che mi ripeto in questi giorni tutte le volte in cui mi preoccupo troppo e mi faccio sovrastare da angosce inutili che si ingrandiscono ogni qualvolta credo che sia troppo affrontare tutto questo da sola, e mi concentro esclusivamente sul problema, senza guardare le sfumature che gli ruotano attorno... E così non mi accorgo delle meravigliose opportunità di questa esperienza, non mi accorgo di quanto sono fortunata e di quante cose ogni giorno imparo, sfidando innanzitutto i miei schemi mentali e le mie insicurezze.

Cavoli, sono a Stoccolma! Ed è così bella, così affascinante. Mi piace la neve, mi piace pure il freddo, e mi piace tutta questa atmosfera di scoperta e di avventura che dà pepe alla mia vita e solletica la curiosità, la voglia di godere di ogni minuto.

La mia sfida ora è questa: rompere gli schemi.

Ho fatto un viaggio in un Paese lontano, ma sto facendo anche un viaggio dentro di me, dentro ciò che sono, e ogni giorno scopro qualcosa di me che mi sorprende.

Rompere gli schemi significa anche abbattere gli stereotipi, i preconcetti. E ogni giorno ce n'è uno da riconoscere e da sviscerare, per poi decidere se è valido o no.

E la maggior parte non valgono, tanto complessa e sfumata e soggettiva è la vita di noi esseri umani, sempre così influenzabili e sottoposti spesso a una conoscenza di "seconda mano", frutto della conoscenza di qualcun'altro. Quantomeno posso dire che qui sto sperimentando tutto direttamente sulla mia pelle, e questo mi rende più consapevole ma anche più soggetta a una gran tempesta di cambiamenti interiori: non è certo facile modificare il proprio modo di pensare dopo che lo si è usato per 22 anni! Ma sono qui proprio per diventare una persona migliore, quindi mi rimbocco le maniche.

 
 
 

Tutto ciņ che mi serve

Post n°3 pubblicato il 02 Febbraio 2010 da laura.campaci

La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d'orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. (1 Cor 13, 4-7)

C'è una chiesa cattolica a Stoccolma in cui la domenica sera viene fatta la messa in inglese: una gran fortuna! Sono messe sempre affollate, ricche di canti e di musica, e di una profonda e collettiva partecipazione. Mi fanno sentire a casa. Mi hanno fatto capire che è vero che Dio è in ogni luogo, che la Chiesa è davvero una comunità ben più ampia delle quattro mura della mia parrocchia, che posso riconoscermi in una fede diffusa su tutta la Terra. Questo mi fa stare bene. E' bello voltarsi verso il proprio vicino e dirgli "Peace to you" e scorgere nei nostri occhi una sintonia di intenti.

La prima volta che sono andata a messa ho conosciuto una signora, Jovita, che mi ha subito accolta, le ho lasciato il mio numero di cellulare e mi ha puntualmente scritto dei messaggi per sapere come stavo e se ci saremmo riviste. Credo venga dalla Thailandia, o comunque da un paese asiatico, come la maggior parte delle persone che partecipano alla messa in inglese. E' stato bello trovare una persona così cordiale, e riconoscere anche in lei i segni di Cristo.

Ieri la seconda lettura recitava le meravigliose parole di S. Paolo, e dentro di me mi sono resa conto che tutta la forza che ho, anche per affrontare questo percorso così intenso e spesso traballante, è proprio l'amore. L'amore, che come ha detto il sacerdote, non fallisce mai, non demorde mai. L'amore è ciò che mi fa sentire sicura anche qui. Perchè so che c'è Qualcuno che si prende cura di me.

E poi c'è l'amore di chi mi circonda, di chi ho lasciato a casa, quell'amore è la faccia di Gesù, che mi ama per quella che sono.

E' una bella fortuna avere tutto questo amore!

Come mi ha ricordato la mia amica Francesca, è l'amore ciò per cui nella vita vale la pena sacrificarsi, lottare, non desistere, e pure soffrire.

 
 
 

Fifteen days

Post n°2 pubblicato il 31 Gennaio 2010 da laura.campaci

Quindici giorni. I miei primi quindici giorni a Stoccolma. Sono volati! E quel che resta guardando indietro è un groviglio di emozioni ed esperienze che fatico a districare, tanto complicati sono i sentimenti di una persona che lascia la propria casa per la prima volta volta nella sua vita, e se ne va in un posto così lontano, da sola.

I primi giorni mi domandavo: "Ma che stai facendo Laura?? Su, dai, torna in Italia". Ancora oggi mi sveglio in un letto che non sempre riconosco, o meglio, che ancora non mi fa sentire totalmente a mio agio. Nessuna luce abbagliante come il sole di Venezia nei suoi momenti migliori penetra dalla finestra, e la pigrizia mi rimane addosso fino a quando non mi obbligo ad alzarmi, a muovermi, a prendere la penna e a disegnare una nuova giornata, tutta per me. Quanta libertà! E fatico ad organizzarla, a gestirla, e pure a gustarla talvolta.

Incontro persone che mi aprono le porte di culture sconosciute, di mondi così distanti dal mio, di modi di essere e di affrontare la vita che corrono su un'altra lunghezza d'onda, eppure siamo tutti accomunati dagli stessi sentimenti di nostalgia, paura, entusiasmo... umanità.

La città è ancora in buona parte da scoprire. Ricordo il mio secondo giorno da sola qui, mi son svegliata presto nel mattino, doveva ancora albeggiare, e mi sono avviata verso il centro alla ricerca di un posto dove fare la spesa, comprare le prime cose essenziali per la cucina che condivido con altre 11 persone. Camminavo per le strade, senza sapere dove andare di preciso, volevo provare lo stesso gioco che ogni tanto mi diverto a fare a Venezia: camminare senza una meta, vagando per calli che non riconosco, e lasciarmi guidare dai sensi della città. Non avevo molto tempo, dovevo andare a lezione all'università; ma poi ho visto il mare. Il mare! In parte era ghiacciato, solcato da alcune navi attraccate ad una sorta di ormeggio. La gente continuava a camminare e la vita scorreva intorno a me, mentre io ammiravo il mare. Lì è cominciata l'avventura.

Da quel momento alterno momenti di entusiasmo a momenti di forte debolezza psicologica; un'altalena di emozioni contrastanti che fatico a volte a gestire, tanto mi è nuova e tanto mi scuote nel profondo. Mantengo un equilibrio interno che è dono di natura, e che viene probabilmente dalla mia capacità di razionalizzare, ma soprattutto di sapere che non sono sola in tutto questo. Ecco, la solitudine. Sto scoprendo questa sensazione con un'estrema intensità. A volte è piacevole quando ti fa assaporare appieno l'indipendenza, a volte punge dolorosamente al pensiero degli affetti che non sono qui con me, e che sono vitali per la mia gioia e per il mio cuore.

Parlo in inglese, già. Caro italiano, quanto mi manchi. L'armonia dei suoni, e in particolare la capacità di esprimere le mie emozioni e i miei pensieri con una lingua che mi appartiene dalla nascita, che mi contraddistingue. Quante volte mi sfuggono delle parole italiane, esasperata dalla frustrazione di non poter dire ciò che ho dentro. Ma mi sforzo, mi impegno, e batto costantemente i pugni contro la mia timidezza e la mia ignoranza.

Mi sottovaluto. Continuo a farlo. Perchè penso sempre di non fare abbastanza, che il mio inglese non sia abbastanza, che il modo in cui sto gestendo la mia nuova vita non sia abbastanza. Dovrei essere fiera di me, visto che sono quindici giorni che sono qui e sto imparando un sacco di cose! Si cresce così in fretta.

E chissà che sia la volta buona per tagliare il famoso cordone ombelicale, per recidere quel legame che ancora mi fa dipendere - al di là dell'aspetto economico - dall'opinione dei miei genitori, dalla loro costante presenza e influenza nella mia vita.

Vivo ancora a metà. Metà qui, metà in Italia, di cui ricordo il cibo, le passeggiate con gli amici, i sabati con Marco, il parco attraversato in bicicletta (quanto mi manca la bicicletta!), i visi familiari, la mia comunità, l'università (seppur così fastidiosamente non stimolante)... Ma questa nuova vita, che sto costruendo all'interno di una bolla, pronta a scoppiare tra cinque mesi, è una sfida da affrontare. E' un percorso da compiere per avere maggiore consapevolezza di me, dei miei limiti, per accrescere la sicurezza in me stessa, per migliorare l'inglese, per scoprire nuove realtà, per imparare a bastare a me stessa, per apprezzare maggiormente ciò che ho lasciato a casa, e magari rivalutarlo con occhi più lucidi.

Non rimane che dire: il cammino è tutto da compiere.

C'è una città magica che mi aspetta, strade da percorrere su un manto di neve che attutisce i rumori e massaggia le suole dei piedi. E persone da conoscere, e parole da dire, e sorrisi da donare, ancora pianti e paure e momenti di sconforto, ma anche il gusto di dire: sono viva.

 
 
 

Il cielo grande di Venezia s'inarca sulla mia malinconia

Post n°1 pubblicato il 27 Dicembre 2009 da laura.campaci

Una mia cara amica mi ha regalato questo blog, l'ha pensato e gli ha dato i primi tocchi di vita per donarmelo. E io la ringrazio perchè in questo modo mi dà l'opportunità di tenere un filo della mia esperienza in Svezia, e di poterla raccontare in diretta a chi rimarrà qui in Italia.

Mancano pochi giorni alla partenza, e so già che Venezia mi mancherà. Mi mancherà quel tratto quasi quotidiano di strada fino all'università, le passeggiate alle Zattere, ma soprattutto mi mancherà la punta della Dogana, lì dove posso osservare San Giorgio alla mia destra e piazza S. Marco a sinistra. Venezia è la mia casa, almeno così mi fa sentire, a casa. E quando raggiungo l'estremità delle Zattere, lì dove la laguna si apre ai miei occhi, trovo la pace. Venezia è la mia casa perchè è anche la casa delle persone che amo, e per questo mi mancherà ancor di più. Perchè mi mancheranno i miei punti di riferimento, le persone che mi capiscono con un solo sguardo, i sorrisi degli amici, la familiarità dei luoghi e della gente che mi abita intorno.

Ma oggi tutto ciò che sento di fare è partire. Qui, dopo la recente laurea, non trovo più stimoli e non ci sono obiettivi luminosi che si staglino davanti a me con chiarezza; c'è un nuovo percorso da compiere che ancora non so dove mi condurrà. Anche gli affetti si capiscono meglio da distante, e Venezia stessa mi apparirà diversa nel suo malinconico fulgore. Ho voglia di trovare la mia strada, di farlo da sola e con le mie forze, per quanto questo faccia paura. Cercare un nuovo equilibrio, il mio posto nel mondo. Sono ancora tanto giovane, ma inseguo sempre l'ideale di una vocazione che mi ha fatta venire alla luce e mi guida.

Malinconia. Questo è ciò che porto ora nel cuore.

Stoccolma si avvicina e io non vedo l'ora di viverla. Sarà quel che sarà.

 
 
 

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