Il labirinto

Poesie di Pedro Salinas


Tu vivi sempre nei tuoi atti, con la punta delle dita sfiori il mondo, gli strappi aurore, trionfi, colori, allegrie: è la tua musica. La vita è ciò che tu suoni. Dai tuoi occhi solamente emana la luce che guida i tuoi passi. Cammini fra ciò che vedi. Soltanto. E mai ti sei sbagliata, solo una volta, una notte che t'invaghisti di un'ombra - l'unica che ti è piaciuta -. Un'ombra pareva. E volesti abbracciarla. Ed ero io. Se mi chiamassi, sì, se mi chiamassi! Io lascerei tutto, tutto io getterei: i prezzi, i cataloghi, l'azzurro dell'oceano sulle carte, i giorni e le loro notti, i telegrammi vecchi e un amore. Tu, che non sei il mio amore, se mi chiamassi! E ancora attendo la tua voce: giù per i telescopi, da una stella attraverso specchi e gallerie di anni bisestili può venire. Non so da dove. Dal prodigio, sempre. Perché se tu mi chiami sarà da un miracolo, ignoto, senza vederlo. E improvvisa, inattesa, fortuita, l'allegria. Da sola, perché volle, é venuta. Così dono a sorpresa, che non posso credere che sia per me. Mi guardo intorno, cerco. Di chi sarà? Ma non importa, ormai. Sta con me, mi trascina. Mi sradica dal dubbio. Sorride, possibile. Non ho bisogno di tempo per sapere come sei: conoscersi è luce improvvisa. Chi ti potrà conoscere là dove taci o nelle ore in cui tu taci? Chi ti cerchi nella vita che stai vivendo, non sa di te che allusioni, pretesti in cui ti nascondi. Io no. Ti ho conosciuto nella tempesta. Ti ho conosciuto, improvvisa, in quello squarcio brutale di tenebra e luce, dove si rivela il fondo che sfugge al giorno e alla notte. Ti ho visto, mi hai visto ed ora sei così anticamente mia da tanto tempo ti conosco che nel tuo amore chiudo gli occhi e procedo senza errare, alla cieca, senza chiedere nulla a quella luce lenta e sicura... I giorni ed i baci sono in errore: non hanno termine dove dicono. Ma per amare dobbiamo imbarcarci su tutti i progetti che passano, senza chiedere nulla, pieni, pieni di fede nell'errore di ieri, di oggi, di domani, che non può mancare. Che allegria, vivere e sentirsi vissuto. Arrendersi alla grande certezza, oscuramente, che un altro essere, fuori di me, molto lontano, mi sta vivendo. E quando mi parlerà di un cielo scuro, di un paesaggio bianco, ricorderò stelle che non ho visto, che lei guardava, e neve che nevicava nel suo cielo... Il sonno è un lungo commiato da te. Ma ormai ti ho salutato: sto per lasciarti. Ti abbraccio per l'ultima volta: che è come aprire gli occhi. Ecco. Il mondo funzionerà bene oggi: ha già ucciso il mio sogno. Ti sento fuggire, veloce, dall'aurora, esattissima, verso l'alto, cercando la stella che non si vede. il disordine celeste, tua sola dimora. Non ti ritrovo più laggiù nella distanza. Invano potrei cercarti là dove il mio pensiero tante volte andò a sorprendere il tuo sonno, o il tuo riso, o il tuo gioco. Non sono più lì, che con te li hai portati Tieni la mia anima tutta sospesa sopra il gran vuoto. Ed io, smarrito, cieco non so come raggiungerti, là dove sei, se aprendo semplicemente la porta, o gridando; o se solo mi potrai sentire, ti giungerà la mia ansia nell'assoluta attesa immobile dell'amore. Il tuo modo d'amare è lasciare che io ti ami. Il sì con cui ti abbandoni è il silenzio. Mai parole o abbracci mi diranno che esistevi e mi hai amato: mai. Me lo dicono fogli bianchi, mappe, telefoni, presagi; tu, no. E sto abbracciato a te senza chiederti nulla, per timore che non sia vero che tu vivi e mi ami. E sto abbracciato a te senza guardare e senza toccarti. Non debba mai scoprire, con domande, con carezze, quella solitudine immensa, d'amarti solo io. La notte è il grande dubbio del mondo e del tuo amore. Ho bisogno che il giorno, ogni giorno mi dica che è il giorno, che è lui che è la luce: e lì tu. Mi hai mai amato? E mentre tu taci, ed è notte, non so se luce, amore esistono. Dimmi perché quest'ansia di fare la possibile se tu sai di essere quella che non sarà mai? Aspetto, passano i treni, il caso, gli sguardi. Ma io non voglio i cieli nuovi. Voglio stare dove sono già stato. Con te, tornare. Quale immensa novità tornare ancora, ripetere, mai uguale, quello stupore infinito! E finché tu non verrai, io rimarrò alle soglie dei voli, dei sogni, delle scie. Immobile. Le senti come chiedono realtà scarmigliate, feroci, le ombre che forgiammo insieme in questo immenso letto di distanze? Stanche ormai di infinito, di tempo senza misura, di anonimato, ferite da una grande nostalgia di materia, chiedono limiti, giorni, nomi. Non possono vivere più così: sono alle soglie della morte delle ombre, che è il nulla. Accorri, vieni, con me. Insieme cercheremo per loro un colore, una data, un petto, un sole. Che riposino in te, sii tu la loro carne. Si placherà la loro enorme ansia errante, mentre noi le stringiamo avidamente fra i nostri corpi, dove potranno trovare nutrimento e riposo. Si assopiranno infine nel nostro sonno abbracciato, abbracciante. E così, quando ci separeremo, nutrendoci solo di ombre, fra lontananze, esse avranno ormai ricordi, avranno un passato di carne ed ossa, il tempo vissuto dentro di noi. E il loro tormentato sonno di ombre sarà, di nuovo, il ritorno alla corporeità mortale e rosa dove l'amore inventa il suo infinito.