Il labirinto

Il pianoforte


C'era una volta uno strano e grande strumento, molto lungo e voluminoso. Occupava buona parte del salotto di una casa, ma la sua era una presenza rassicurante e per nulla ingombrante. Era in effetti diventato il centro della casa stessa e tutte le cose più importanti della vita della famiglia avvenivano intorno a lui. A Natale, buona parte dei regali per grandi e piccini venivano appoggiati sulla sua coda, durante le feste aiutava la padrona e le teneva i bicchieri o gli aperitivi, in altri momenti acconsentiva acchè qualcuno che aveva voglia di chiacchierare si appoggiasse su di lui e ascoltava confidenze e segreti. Era discreto, e si prestava a dare una mano come poteva, come se fosse nato per quello. Pur così grande, mai imponeva la sua presenza e aspettava paziente che fossero gli altri a coinvolgerlo. Quando però il timido pianista, il suo padrone, si sedeva sullo sgabellino e cominciava a suonare, allora pareva che entrambi prendessero vita, assumessero una autonomia diversa. Si aiutavano a vicenda e dal loro sforzo comune uscivano delle note straordinarie, talmente belle che l'insieme diventava qualcosa di più della musica stessa. O meglio la musica che insieme creavano diventava il segnalibro nell'esistenza delle persone che li circondavano, segnava in maniera inconfondibile e per sempre alcuni momenti delle loro giornate. Mozart diventava la colonna sonora del periodo in cui la bambina leggeva i primi libri, Schubert accompagnava le sue prime esperienze, e così le più belle diventavano ancora più belle e le più difficili diventavano più sopportabili; Beethoven aveva immortalato la vecchia nonna che giocava con il gatto e Brahms il ragazzino arrabbiato perché qualcuno aveva toccato le sue cose. A volte scherzavano anche e frasi divertenti diventavano musica o storielle strane venivano trasformate in allegre note. C'era una colonna sonora per il risveglio, una per gli ultimi attimi della giornata, una per ogni sentimento si avesse il coraggio di riconoscere. Quello che forse era difficile da capire, e che divenne chiaro solo quando il piano e il pianista furono separati e le note smisero di rincorrersi, era che il pianista attraverso quello strumento avrebbe voluto esprimere tutte le parole che normalmente non riusciva a pronunciare, tutte le cose che riempivano il suo cuore e che lui sperava raggiungessero gli altri…. E che quello strumento, apparentemente inanimato, aveva dentro di sé molta molta vita e voleva insegnare che non sempre le cose sono come le si vedono. Più spesso nascondono qualcosa di stupefacente …. che con un po' di attenzione il cuore può riconoscere. inviata da Chiara