Il labirinto

Annie Vivanti


Annie Vivanti nacque a Londra il 7 aprile 1866 (ultima di sei fratelli) da Anselmo, mazziniano di antico ceppo ebraico in esilio dalla patria dopo i moti del '51, e da Anna Lindau, giovane scrittrice tedesca sorella dei letterati Rudolph e Paul. Seguendo la famiglia nei suoi grandi spostamenti dietro le rotte del commercio della seta - e dunque da Londra a New York a Yokohama e poi Como e Milano – Annie imparò molte lingue che coltivò senza mescolarle. L'inglese era la lingua in cui pensava e in cui era sgridata; il tedesco quella delle fiabe e delle poesie; l'italiano quella delle canzoni e del melodramma. Aveva una bella voce coltivata di soprano, suonava con scioltezza pianoforte e chitarra, tirava di scherma, cavalcava come un'amazzone, disegnava con delicatezza; ma la vita ("terribile Romanziera") l'aveva resa scaltra e giocava il ruolo della fanciulla ignorante. Nel 1880 a Milano morì la madre. Fu mandata in collegio in Svizzera. Al ritorno – aveva sedici anni - trovò in casa la giovane matrigna, e fuggì. Per vivere cantava e suonava per le strade e certo fece qui le esperienze perturbanti che furono poi al centro di tutti i suoi romanzi. Di nascosto scriveva versi. Cominciò a presentarsi da sé a editori e poeti illustri con letterine ardenti, ironiche e ingegnose. La più bella la mandò a Giosue Carducci il 5 dicembre 1889. Il "sommo dei poeti viventi" la amò, la protesse, la innalzò, e fu ricambiato con profondissima intelligente tenerezza. Dopo il successo enorme del libro di versi lanciato dalla prefazione di Carducci (Lirica 1890), buttò giù la storia scabrosa di una piccola chanteuse che chiamò Marion, suo nome d'arte. Marion artista di Caffè-concerto (1891) fu accolto tiepidamente, così che fino al 1911 Annie non pubblicò in Italia, ma molto in America e con successo. Racconti ironici e frizzanti che guardano con sagacia i paradossi del vivere sociale: innamoramenti e disincanti, sogni grandi e piccole realtà, miserie affettuose e bisogni crudeli, in un gioco senza fine. Sempre inseguendo forsennatamente una chimera che Annie chiamava felicità: In cerca di felicità (The Hunt for Happiness) intitolò un romanzo del 1896. Ne scrisse altri, e commedie spassose rappresentate a Brodway da compagnie di grido e in Europa a Parigi, a Praga. Il 17 febbraio 1907 morì Carducci (il grande Orco, com'era nei loro scherzi) dopo il conferimento del Nobel (1906). Annie chiese invano di essere ricevuta dalla famiglia mentre soffriva disperatamente la fine della sua favola bella. Su quest'onda nel 1909 cominciò a comporre The Devourers – I divoratori – il romanzo che subito tradotto la riportò al successo e all'Italia. La grande Annie, come la chiamava Sibilla Aleramo, chiuse dolorosamente la sua vita. Internata ad Arezzo perché cittadina inglese, ebbe lì la notizia della morte di Vivien sotto i bombardamenti di Londra, ma in realtà suicida a Brighton nel settembre 1941. Liberata dal Duce, morì a Torino il 20 febbraio 1942 dopo essersi convertita al cattolicesimo, nel silenzio imposto dalle leggi razziali. Sulla sua tomba al Cimitero Monumentale di Torino ci sono i versi che le dedicò Carducci: «Batto a la chiusa imposta con un ramicello di fiori/ glauchi ed azzurri, come i tuoi occhi, o Annie…». E' merito di Elvira Sellerio se oggi non siamo più costretti a cercare i libri di Annie Vivanti in biblioteca. Procede la traduzione dei titoli americani mentre la serie di quelli italiani si inaugura col primo, Marion artista di Caffè-concerto, dopo 125 anni esatti. Non è impresa da poco far rivivere uno scrittore accantonato o fuori canone, figuriamoci una scrittrice come Annie Vivanti che si è destreggiata tra due secoli. Come viatico di questo ritorno dedichiamo a chi ci legge un vero gioiello: Ad Annie Batto a la chiusa imposta con un ramicello di fiori glauchi ed azzurri, come i tuoi occhi, o Annie. Vedi: il sole co 'l riso d'un tremulo raggio ha baciato la nube, e ha detto – Nuvola bianca, t'apri – Senti: il vento de l'alpe con fresco susurro saluta la vela, e dice – Candida vela, vai – Mira: l'augel discende da l'umido cielo su 'l pèsco in fiore, e trilla – Vermiglia pianta, odora - Scende da' miei pensieri l'eterna dea poesia su 'l cuore, e grida – O vecchio cuore, batti – E docile il cuore ne' tuoi grandi occhi di fata s'affisa, e chiama – Dolce fanciulla, canta – Giosue Carducci, 30 marzo 1890