Il labirinto

Luisa Baccara


Luisa Baccara era nata a Venezia il 14 gennaio 1892. Gabriele d’Annunzio la conobbe in casa di un’altra amante, se ne innamorò e decise di portarla con sé nell’impresa di Fiume. Era il 1919, Luisa aveva 27 anni, lui 56. Pianista di discreta fama e bravura, non bella, “i capelli selvaggi solcati d’argento”, il “viso olivigno di piccola greca dell’Asia Minore”, suonava il pianoforte con una grazia languida che incantò Gabriele, Vate e Comandante, ormai celebre in tutto il mondo per le sue imprese letterarie, amatorie, belliche: la sua “ossatura era musicale come se l’avesse congegnata un bonissimo liutaio; sembrava talvolta che i suoni fossero dati dai suoi nervi tesi e non dalle corde percosse”. Dotata di una semplicità piuttosto inusuale nell’harem di Gabriele, anche lei ebbe, oltre all’ordinario effluvio di lettere e regali preziosi, un battesimo (Smikrà, “graziosa piccina”, in greco), e una serie interminabile di paragoni artistici. Ora accostata alla Psiche napoletana, ora a una cariatide, ora a una figura dei quadri di Giorgione, la Baccara era soprattutto paziente. Fu la sua mitezza a colpire il seduttore, che l’età rendeva sensibile alle qualità del carattere più che a quelle estetiche, tanto che la donna sarà sua compagna fedele per il resto della vita, anche se mai ricambiata con uguale fedeltà.  A Fiume, il futurista/pilota/artdo Guido Keller arrivò a studiare - insieme a Giovanni Comisso, futuro grande scrittore - un piano segreto per rapire la Baccara, sospettata di distrarre troppo l’amante. Keller e Comisso avevano addirittura progettato di ripristinare un’antica festa veneziana, ancora in uso a Treviso: il “Castello d’amore” consisteva nel fingere una battaglia, nel corso della quale avrebbero messo la pianista “in una gabbia come una gallina”, ricorda Comisso, per portarla in un’isola deserta. D’Annunzio forse intuì il progetto, e comunque giudicò la festa “troppo dannunziana” e negò il permesso. Luisa era davvero vicina a Gabriele se, come risulta dai documenti acquisiti, nel 1920 d’Annunzio scrisse ben tre testamenti per lasciarle alcuni sui beni: pubblichiamo qui accanto quello del 24 dicembre 1920 (il “Natale fiumano di sangue”, mentre la città era sotto i bombardamenti governativi).   Finità l’impresa fiumana, nel 1921 Luisa lo seguì al Vittoriale, a Gardone Riviera. D’Annunzio, però, non aveva ancora intenzione di ritirarsi davvero, osservava gli avvenimenti politici in attesa di essere convocato dal re come salvatore della patria, nella lotta sanguinosa tra fascisti e socialisti. La sua autorità era tale che – quello stesso anno - il suo acerrimo nemico Francesco Saverio Nitti (soprannominato dal Vate “Cagoja”) organizzò un incontro a tre, con il poeta e Mussolini, per trovare una soluzione politica a quello che sembrava l’avvio di una guerra civile. Il convegno si doveva tenere il 15 agosto, a Milano. Due giorni prima, alle undici di sera, d’Annunzio cadde dalla finestra della Sala della Musica, per fortuna al primo piano. Sappiamo per certo che il “volo dell’arcangelo”, come lo definì Gabriele, avvenne mentre Luisa suonava il pianoforte. Con loro c’erano sua sorella minore Jolanda, Aldo Finzi, protagonista del volo su Vienna, futuro sottosegretario fascista agli Interni, e un bambino, il figlio del giardiniere. Un’inchiesta avviata l’indomani dalla Pubblica Sicurezza insinuò che la caduta fosse dovuta a un “fatto colposo”, ma nessuna delle versioni e delle supposizioni dei giorni, dei mesi e degli anni successivi appurò per certo di chi fosse la responsabilità. Due figli di d’Annunzio, Mario e Renata, non ebbero dubbi e attribuirono la defenestrazione a Luisa, per un’improvvisa crisi di gelosia forse provocata dalle attenzioni eccessive dell’amante verso la sorella. Per tutta risposta, Gabriele cacciò di casa Renata, amatissima, rifiutandosi di incontrarla fino al 1925. Il poeta, peraltro, non fece nulla per chiarire l’accaduto, mantenendo un riserbo quanto meno insolito, per lui. L’ipotesi più accreditata è che si sia trattato di un incidente: d’Annunzio era seduto in bilico sulla finestra e Jolanda l’avrebbe spinto troppo per difendersi dalle sue attenzioni moleste.   Resta il fatto che, da allora, la Baccara venne relegata nella schiera delle ex, benché il declassamento amoroso fosse risarcito dall’elezione a vera padrona di casa e da lunghe lettere d’amore che continuarono a scriversi, benché vivessero sotto lo stesso tetto, tranne che durante i viaggi di lei per le predilette cure termali. Da Luisa, Gabriele si faceva chiamare Ariel, il nome della sua giovinezza. Lei si adattò con riluttanza, pur di rimanergli vicina, a tollerare gli incontri di Gabriele con le rivali di ogni genere. Per tutto il 1924 a Gardone si installò una giovane francese dai modi eleganti, che ricomparirà anche nei due anni successivi. Bella e dal corpo sinuoso, aveva vent’anni e si chiamava Angèle Lager, prima di essere rinominata Jouvence. Ma, a più di sessant’anni, Gabriele non sopportò la pretesa di esclusività di Jouvence, e quando la nuova arrivata gli chiese di liberarsi della Baccara, la mise alla porta. Al Vittoriale, Gabriele ospitò spesso anche la moglie, Maria Hardouin, con la quale non viveva da decenni. Forse per evitarle il contatto con la Baccara, che la indispettiva, dal 1929 Maria venne sistemata in una dependance, Villa Romanelli, restaurata e ribattezzata Villa Mirabella. Quindici anni dopo, nella tragedia della Repubblica Sociale, sarà proprio lì che Mussolini si incontrerà con Claretta Petacci.  A partire dal 1932 poté accedere anche agli anfratti più segreti della villa un’altoatesina di vent’anni, Emy, bionda e alta. Gabriele, che l’aveva reclutata come cameriera, cominciò presto a chiederle altri servizi, che la ragazza svolse con entusiasmo. L’ascendente di Emy crebbe a dismisura e in modo così repentino da suscitare l’ira della Baccara, e per un po’ la ragazza fu costretta a allontanarsi. Tornò, e rimase fin quasi alla morte di Gabriele. Un ritorno che ha dato vita a supposizioni romanzesche, ma non troppo: d’Annunzio era apertamente antitedesco, e è stato avanzato il sospetto che Emy fosse una spia nazista, incaricata di minargli la salute con il sesso e la droga. Certo è che, morto d’Annunzio, Emy ricomparve al servizio di Joachim von Ribbentrop, ministro degli Esteri di Hitler, lo stesso che nel 1944 piazzerà frau Beetz vicino a Galeazzo Ciano, con lo scopo di carpirgli i diari.  Negli anni, Luisa ebbe scatti di rabbia e di gelosia già usuali quando era la prediletta, figuriamoci dopo. L’harem di Gabriele aumentò con il sopraggiungere della vecchiaia: si sentiva “libinosissssssimo”, e aumentò il viavai di “badesse di passaggio”, come le definì. A umiliare di più la Baccara, però, erano i giochi erotici di d’Annunzio con l’intraprendente tuttofare francese Aélis Mazoyer. I rapporti fra le due donne si erano inaciditi per la convivenza forzata.   Grazie anche alla fama del suo fascino e al fascino della sua fama, le candidate al letto di Gabriele si moltiplicavano. Da vecchio, riaprì – spalancò - la stagione del sesso con decine di signore e signorine, stupefatte dalla vivacità che gli dava la “polvere folle”, la cocaina che lo rendeva “afficato”. In molti casi, dietro i nomi rinascimentali scelti dall’Imaginifico, si celavano paesanotte lombarde dedite al meretricio. Per loro, Aélis e la Baccara non avevano rivalità. Aélis, anzi, aveva l’alto incarico di scegliere le prostitute, di informare le signorine più semplici sui gusti di Gabriele, addobbandole anche con adeguata biancheria intima. Di fronte a signore d’alto bordo, invece, l’invidia delle due si faceva nevrotica e incontrollata. Per placare la gelosia della Baccara, d’Annunzio le scrisse, il 6 maggio 1923, lamentando che il sesso per lui era una “infermità ereditaria”, un “orribile male”: “Ma non riesco a vincerlo. E, davanti alla mia anima, ho per giustificazione la ricerca dell’ignoto, del mistero che è in ogni creatura. Averne rivelato una parte, nei miei libri, non è il mio più alto pregio?” In un appunto più tardo, e più vero, scriverà con maggiore efficacia: “I miei desideri sono come un gregge nel deserto che, per ingannare la loro fame, montano l’un su la groppa dell’altro e masticano la lana polverosa.” La nuova documentazione acquisita dal Vittoriale è piena di frasi simili. Ricambiate con tenerezza e devozione da Luisa.  Quando d’Annunzio morì, improvvisamente, a 75 anni, il 1° marzo 1938, Luisa abbandonò la casa. Lei, di anni, ne aveva appena 46, e si distrasse soprattutto con i prediletti viaggi alle terme di tutta Italia: amava in particolare quelle di Acqui, dove c’è ancora una sala intitolata a suo nome. Morì a Venezia, ultranovantenne, nel 1985: senza cedere a nessuna lusinga perché raccontasse la sua vita con Ariel o mostrasse i documenti di cui disponiamo oggi.