gino Pietro Teodoro Tarchetti (Iginio è il nome con cui si firmava, mentre lo pseudonimo Ugo fu aggiunto a partire dal 1864, in omaggio a Foscolo)[3][4] nacque a San Salvatore Monferrato, vicino ad Alessandria, nel 1839.[1] Studiò a Casale e a Valenza, e si arruolò giovane nell'esercito, partecipando a varie campagne per la repressione del brigantaggio nel Sud Italia.[3] Descrizioni delle cronache del suo tempo ci descrivono Tarchetti come un giovane alto all'incirca un metro e ottantaquattro, con volto ovale, il naso diritto, gli occhi azzurri. Un bell'uomo, capace di provare e scatenare grandi passioni.[5]Nel 1863 a Varese intrecciò una relazione sentimentale con Carlotta Ponti, testimoniata da varie lettere del suo epistolario. Trasferitosi a Milano l'anno successivo per motivi di salute, entrò in contatto con gli ambienti della Scapigliatura e strinse fraterna amicizia con Salvatore Farina. In questi anni compose e pubblicò lo scritto teorico Idee minime sul romanzo e il romanzo di scarso successo Paolina (entrambi usciti sulla Rivista minima nel 1865).[4]Verso il mese di novembre del 1865 Tarchetti si trovava a Parma, ove aveva incarichi militari. Qui conobbe una donna, una certa Carolina (o forse Angiolina), parente di un suo superiore, malata di epilessia e prossima alla morte. Pur non essendo bella, questa suscitò subito un'attrazione da parte dello scrittore, forse per i grandissimi occhi neri e le trecce color ebano. Tarchetti stesso così la descrive: "Quell’infelice mi ama perdutamente… il medico mi disse che morrà fra sei o sette mesi, ciò mi lacera l'anima, vorrei consolarla e non ho il coraggio, vorrei abbellire d'una misera e fuggevole felicità i suoi ultimi giorni e v'ha la natura che mi respinge da lei".[6]La relazione fra i due fu uno scandalo, e la donna fu forse di ispirazione per il personaggio di Fosca nell’omonimo romanzo (1869). Nel 1865 Tarchetti abbandonò la vita militare per problemi di salute, e si trasferì definitivamente a Milano. Qui trascorse i suoi ultimi anni, frequentando salotti culturali (come quello della contessa Clara Maffei)[4] e conducendo una frenetica attività letteraria, scrivendo articoli, romanzi, racconti e poesie.[7]Malato di tisi, morì per una febbre tifoide nel 1869 in casa dell'amico Salvatore Farina, e fu sepolto al Cimitero Monumentale di Milano[5][4], successivamente trasferito al cimitero di San Salvatore Monferrato, ad Alessandria. La fine avvenne ben prima di quella della malata Carolina, che – si dice – gli sopravvisse e onorò la scomparsa del poeta il 1º novembre di ogni anno, mandando fiori alla sua lapide.
Scrittori dimenticati:Iginio Tarchetti
gino Pietro Teodoro Tarchetti (Iginio è il nome con cui si firmava, mentre lo pseudonimo Ugo fu aggiunto a partire dal 1864, in omaggio a Foscolo)[3][4] nacque a San Salvatore Monferrato, vicino ad Alessandria, nel 1839.[1] Studiò a Casale e a Valenza, e si arruolò giovane nell'esercito, partecipando a varie campagne per la repressione del brigantaggio nel Sud Italia.[3] Descrizioni delle cronache del suo tempo ci descrivono Tarchetti come un giovane alto all'incirca un metro e ottantaquattro, con volto ovale, il naso diritto, gli occhi azzurri. Un bell'uomo, capace di provare e scatenare grandi passioni.[5]Nel 1863 a Varese intrecciò una relazione sentimentale con Carlotta Ponti, testimoniata da varie lettere del suo epistolario. Trasferitosi a Milano l'anno successivo per motivi di salute, entrò in contatto con gli ambienti della Scapigliatura e strinse fraterna amicizia con Salvatore Farina. In questi anni compose e pubblicò lo scritto teorico Idee minime sul romanzo e il romanzo di scarso successo Paolina (entrambi usciti sulla Rivista minima nel 1865).[4]Verso il mese di novembre del 1865 Tarchetti si trovava a Parma, ove aveva incarichi militari. Qui conobbe una donna, una certa Carolina (o forse Angiolina), parente di un suo superiore, malata di epilessia e prossima alla morte. Pur non essendo bella, questa suscitò subito un'attrazione da parte dello scrittore, forse per i grandissimi occhi neri e le trecce color ebano. Tarchetti stesso così la descrive: "Quell’infelice mi ama perdutamente… il medico mi disse che morrà fra sei o sette mesi, ciò mi lacera l'anima, vorrei consolarla e non ho il coraggio, vorrei abbellire d'una misera e fuggevole felicità i suoi ultimi giorni e v'ha la natura che mi respinge da lei".[6]La relazione fra i due fu uno scandalo, e la donna fu forse di ispirazione per il personaggio di Fosca nell’omonimo romanzo (1869). Nel 1865 Tarchetti abbandonò la vita militare per problemi di salute, e si trasferì definitivamente a Milano. Qui trascorse i suoi ultimi anni, frequentando salotti culturali (come quello della contessa Clara Maffei)[4] e conducendo una frenetica attività letteraria, scrivendo articoli, romanzi, racconti e poesie.[7]Malato di tisi, morì per una febbre tifoide nel 1869 in casa dell'amico Salvatore Farina, e fu sepolto al Cimitero Monumentale di Milano[5][4], successivamente trasferito al cimitero di San Salvatore Monferrato, ad Alessandria. La fine avvenne ben prima di quella della malata Carolina, che – si dice – gli sopravvisse e onorò la scomparsa del poeta il 1º novembre di ogni anno, mandando fiori alla sua lapide.