Un discorso particolare, invece, va fatto per colui che tanto contribuì, con la sua prolifica vena artistica, ad impinguare il repertorio drammaturgico del San Ferdinando per più di quarant'anni. Quest'uomo era Francesco Mastriani, il massimo esponente del cosiddetto «Basso Romanticismo». La miseria e la malvessazione in cui versava il popolo napoletano verso il 1860, la paura ed il cocente ricordo dei moti del '48 e, ancora più forte, la consapevolezza di essere un popolo dominato da sempre fecero sì che il popolo cadesse nella rassegnazione e nella prostrazione di chi, conscio del suo persistente stato di sottomissione, si abbandona agli eventi rifugiandosi nel mistico e riscoprendo gli obliati sentimenti di fede e carità. Ecco, infatti, che i napoletani ripararono sotto le ali della religione che fino a quel tempo era stata definita come pura e semplice superstizione. Incominciarono a nascere le prime opere assistenziali, le prime fondazioni di pia carità, le prime confraternite che, per certi versi, riportavano alla mente La Compagnia dei Bianchi della Giustizia, fondata da S.Giacomo della Marca nel 1430, con lo scopo di assistere i derelitti. Pian piano per le strade della città i tabernacoli e gli altarini cominciavano a fare la loro apparizione dalla mattina alla sera, come funghi dopo una pioggia settembrina. La religione entrava nel cuore dei napoletani, che con rassegnazione affidavano ad essa le residue speranze di un riscatto storico e morale che per secoli s'era fatto negare. Nacque e prolificò il culto del povero, del derelitto l'amore e la protezione verso l'indifeso, il tartassato. Su queste basi nacque il Basso Romanticismo, che vide in Francesco Mastriani la massima espressione, la più schietta, la più spontanea. Fu colui che fece delle pene e delle sofferenze del popolo napoletano un solo fardello, da sostenere sulle sue spalle, a guisa di Atlante. Francesco Mastriani nacque a Napoli il 23 novembre del 1819 da una modesta, ma agiata famiglia borghese, che gli permise di seguire gli studi. La sua esistenza sotto l'aspetto economico non fu mai troppo felice, benché oltre ai proventi che gli derivavano da lezioni private che impartiva (conosceva a perfezione inglese, francese, spagnolo e tedesco), a quelli che gli venivano dal suo impiego presso il dazio, si aggiungessero anche quelli derivanti dalla vendita dei suoi tantissimi libri. Nell'analizzare la figura del Mastriani scrittore, salta subito agli occhi che la quantità caratterizzò la sua produzione artistica. Il figlio Filippo né Cenni sulla vita e sugli scritti di Mastriani, da un attento computo, assegna al padre la paternità di circa 900 lavori, tra pezzi di costume, racconti, strenne della Napoli borbonica, tentativi teatrali e scritti su vari periodici. Dal 1838 al 1848, Mastriani collaborò a diversi periodici, come Il Sibilo, scrivendo diversi racconti e novelle come "Il Diavoletto". Il suo primo libro é datato 1848 ed é intitolato Sotto altro cielo In tutte le opere, che precedettero la trilogia socialista de' I Vermi, Le Ombre ed I Misteri di Napoli, si nota come egli applicasse con estrema facilità la formula della «agnizione digressione» cioé della tecnica di uso della parentesi, delle note, oppure degli esempi che gli venivano per associazione sia logica che deduttiva e sia per analogia che per contrasto, tutto ciò senza arrecare danno o pregiudizio alla compattezza dello scritto che alla fine risultava arricchito e più compatto. Francesco Mastriani non cadde mai nell'ingenuo errore di classificare le classi sociali, a prescindere dai suoi componenti, egli non ha dato l'etichetta di cattivo,di usurpatore o di affamatore al ricco, facendo così assurgere al ruolo di vittima predestinata il povero, assolutamente no. Nella sua lucida analisi della realtà partenopea, Mastriani, seppe cogliere i giusti difetti ed i giusti pregi di tutte le classi sociali ed di tutte le categorie di lavoratori. La maggior parte dei suoi romanzi narrano fatti di camorra, lunghe lotte sfocianti nella vendetta e nel sangue, truculenti situazioni sociali di avvilente miseria, di codici d'onore e relativa giustizia. Potrebbero sembrare fatti irreali, per lo meno esagerati e, forse,lo sembrarono a molti di quella epoca e forse a tantissimi di questa. Ma la scrittrice inglese Jessie White Mario nel suo libro La miseria in Napoli, scritto nel 1877 provvide a chiarire agli scettici di quel tempo che: «Chi vuole apprezzare i lavori del Mastriani deve prima veder Napoli, poi leggerli; se no, chiuderà i suoi libri dicendo Queste sono esagerazioni di romanziere, sogno di rivoluzionario Ma dopo aver visto con i suoi occhi esclamerà mestamente Pur troppo egli ha scritto la verità, null'altro che la verità, ma non tutta la verità Dai suoi lavori sgorga, violenta, la cruda realtà di una Napoli sofferente dalle mille piaghe, abbandonata a se stessa e i personaggi di quei luoghi sono parte integrante e degna cornice. Tra i numerosi romanzi di Mastriani, oltre alla già citata trilogia, troviamo: La cieca di Sorrento, Il mio cadavere, Federico Lannois, I Lazzari, Il conte di Castelmoresco, Il barcaiuolo d'Amalfi, Ciccio il pizzaiuolo, La Medea di Portamedina. Il Mastriani era molto letto e seguito dai napoletani, ma stentava a far breccia nei salotti letterari partenopei dove vi entrò solo grazie all'ironia del Verdinois che prese a spunto uno sfogo del Nostro, che in una impulsiva e schietta protesta contrapponeva la validità dei Vermi a quella di Nanà, «Chi sarà mai codesta Nanà..» affermò in uno slancio il Mastriani. Il critico Verdinois scrisse: «Ebbene, se la Francia ha uno Zola, Napoli ha un Mastriani. Poco é mancato che questo non si credesse, certo é che si é scritto, cioé l'ha scritto lui, ed un giornalista ha stampato le sue parole in nota di un suo romanzo...». E' anche evidente che non ci fosse tanta simpatia tra il Verdinois ed il Mastriani, anche se il critico, per il passato aveva avuto delle buone parole per il Nostro. Significativo, anche se postumo, fu il riconoscimento di Matilde Serao, che gratificò l'opera dello scrittore napoletano, e di Benedetto Croce che invitò ad una più attenta lettura dell'opera del Mastriani. Mastriani morì il 7 gennaio del 1891 fra il sincero dolore di tutta la sua città. Bovio né I miei napoletani raccolse, da un operaio che seguiva il feretro, queste parole: «E' morto un lavoratore cui l'opera onesta della mente non diede il pane per la vita, come a noi non lo dà l'opera assidua delle braccia. Noi renderemo solo quello che é in nostro dovere, ossequio postumo a chi come noi soffrì dolori inenarrabili, comuni ad una gente che aspetta la redenzione sua nel mondo...».
Scrittori dimenticati:Francesco Mastriani
Un discorso particolare, invece, va fatto per colui che tanto contribuì, con la sua prolifica vena artistica, ad impinguare il repertorio drammaturgico del San Ferdinando per più di quarant'anni. Quest'uomo era Francesco Mastriani, il massimo esponente del cosiddetto «Basso Romanticismo». La miseria e la malvessazione in cui versava il popolo napoletano verso il 1860, la paura ed il cocente ricordo dei moti del '48 e, ancora più forte, la consapevolezza di essere un popolo dominato da sempre fecero sì che il popolo cadesse nella rassegnazione e nella prostrazione di chi, conscio del suo persistente stato di sottomissione, si abbandona agli eventi rifugiandosi nel mistico e riscoprendo gli obliati sentimenti di fede e carità. Ecco, infatti, che i napoletani ripararono sotto le ali della religione che fino a quel tempo era stata definita come pura e semplice superstizione. Incominciarono a nascere le prime opere assistenziali, le prime fondazioni di pia carità, le prime confraternite che, per certi versi, riportavano alla mente La Compagnia dei Bianchi della Giustizia, fondata da S.Giacomo della Marca nel 1430, con lo scopo di assistere i derelitti. Pian piano per le strade della città i tabernacoli e gli altarini cominciavano a fare la loro apparizione dalla mattina alla sera, come funghi dopo una pioggia settembrina. La religione entrava nel cuore dei napoletani, che con rassegnazione affidavano ad essa le residue speranze di un riscatto storico e morale che per secoli s'era fatto negare. Nacque e prolificò il culto del povero, del derelitto l'amore e la protezione verso l'indifeso, il tartassato. Su queste basi nacque il Basso Romanticismo, che vide in Francesco Mastriani la massima espressione, la più schietta, la più spontanea. Fu colui che fece delle pene e delle sofferenze del popolo napoletano un solo fardello, da sostenere sulle sue spalle, a guisa di Atlante. Francesco Mastriani nacque a Napoli il 23 novembre del 1819 da una modesta, ma agiata famiglia borghese, che gli permise di seguire gli studi. La sua esistenza sotto l'aspetto economico non fu mai troppo felice, benché oltre ai proventi che gli derivavano da lezioni private che impartiva (conosceva a perfezione inglese, francese, spagnolo e tedesco), a quelli che gli venivano dal suo impiego presso il dazio, si aggiungessero anche quelli derivanti dalla vendita dei suoi tantissimi libri. Nell'analizzare la figura del Mastriani scrittore, salta subito agli occhi che la quantità caratterizzò la sua produzione artistica. Il figlio Filippo né Cenni sulla vita e sugli scritti di Mastriani, da un attento computo, assegna al padre la paternità di circa 900 lavori, tra pezzi di costume, racconti, strenne della Napoli borbonica, tentativi teatrali e scritti su vari periodici. Dal 1838 al 1848, Mastriani collaborò a diversi periodici, come Il Sibilo, scrivendo diversi racconti e novelle come "Il Diavoletto". Il suo primo libro é datato 1848 ed é intitolato Sotto altro cielo In tutte le opere, che precedettero la trilogia socialista de' I Vermi, Le Ombre ed I Misteri di Napoli, si nota come egli applicasse con estrema facilità la formula della «agnizione digressione» cioé della tecnica di uso della parentesi, delle note, oppure degli esempi che gli venivano per associazione sia logica che deduttiva e sia per analogia che per contrasto, tutto ciò senza arrecare danno o pregiudizio alla compattezza dello scritto che alla fine risultava arricchito e più compatto. Francesco Mastriani non cadde mai nell'ingenuo errore di classificare le classi sociali, a prescindere dai suoi componenti, egli non ha dato l'etichetta di cattivo,di usurpatore o di affamatore al ricco, facendo così assurgere al ruolo di vittima predestinata il povero, assolutamente no. Nella sua lucida analisi della realtà partenopea, Mastriani, seppe cogliere i giusti difetti ed i giusti pregi di tutte le classi sociali ed di tutte le categorie di lavoratori. La maggior parte dei suoi romanzi narrano fatti di camorra, lunghe lotte sfocianti nella vendetta e nel sangue, truculenti situazioni sociali di avvilente miseria, di codici d'onore e relativa giustizia. Potrebbero sembrare fatti irreali, per lo meno esagerati e, forse,lo sembrarono a molti di quella epoca e forse a tantissimi di questa. Ma la scrittrice inglese Jessie White Mario nel suo libro La miseria in Napoli, scritto nel 1877 provvide a chiarire agli scettici di quel tempo che: «Chi vuole apprezzare i lavori del Mastriani deve prima veder Napoli, poi leggerli; se no, chiuderà i suoi libri dicendo Queste sono esagerazioni di romanziere, sogno di rivoluzionario Ma dopo aver visto con i suoi occhi esclamerà mestamente Pur troppo egli ha scritto la verità, null'altro che la verità, ma non tutta la verità Dai suoi lavori sgorga, violenta, la cruda realtà di una Napoli sofferente dalle mille piaghe, abbandonata a se stessa e i personaggi di quei luoghi sono parte integrante e degna cornice. Tra i numerosi romanzi di Mastriani, oltre alla già citata trilogia, troviamo: La cieca di Sorrento, Il mio cadavere, Federico Lannois, I Lazzari, Il conte di Castelmoresco, Il barcaiuolo d'Amalfi, Ciccio il pizzaiuolo, La Medea di Portamedina. Il Mastriani era molto letto e seguito dai napoletani, ma stentava a far breccia nei salotti letterari partenopei dove vi entrò solo grazie all'ironia del Verdinois che prese a spunto uno sfogo del Nostro, che in una impulsiva e schietta protesta contrapponeva la validità dei Vermi a quella di Nanà, «Chi sarà mai codesta Nanà..» affermò in uno slancio il Mastriani. Il critico Verdinois scrisse: «Ebbene, se la Francia ha uno Zola, Napoli ha un Mastriani. Poco é mancato che questo non si credesse, certo é che si é scritto, cioé l'ha scritto lui, ed un giornalista ha stampato le sue parole in nota di un suo romanzo...». E' anche evidente che non ci fosse tanta simpatia tra il Verdinois ed il Mastriani, anche se il critico, per il passato aveva avuto delle buone parole per il Nostro. Significativo, anche se postumo, fu il riconoscimento di Matilde Serao, che gratificò l'opera dello scrittore napoletano, e di Benedetto Croce che invitò ad una più attenta lettura dell'opera del Mastriani. Mastriani morì il 7 gennaio del 1891 fra il sincero dolore di tutta la sua città. Bovio né I miei napoletani raccolse, da un operaio che seguiva il feretro, queste parole: «E' morto un lavoratore cui l'opera onesta della mente non diede il pane per la vita, come a noi non lo dà l'opera assidua delle braccia. Noi renderemo solo quello che é in nostro dovere, ossequio postumo a chi come noi soffrì dolori inenarrabili, comuni ad una gente che aspetta la redenzione sua nel mondo...».