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Tu sei Maciste

Post n°29 pubblicato il 06 Giugno 2011 da odette.teresa1958

Tu sei Maciste, il boia popolare che ha nome Samson, l’angelo dell’Annunciazione; sei un comunista a cui il Partito ha affidato un incarico di responsabilità; il maniscalco Corrado che stringe fra i ginocchi come nella tagliola la zampa del cavallo più focoso. Ma sei un uomo fatto di carne ed ossa, con gli occhi, il naso, trentadue denti, una ballerina tatuata sull’avambraccio. Il tuo petto è ampio, un intrico di peli e sotto la selva c’è il tuo grande cuore. Il Partito ti rimprovererà di aver commesso un errore affidandoti al tuo cuore; ma se non ti fidassi del tuo cuore non saresti nel Partito. Hai forse mai letto una riga di quel volume intitolato Il Capitale, che fa venire il sonno soltanto a guardarlo? Hai fatto l’Ardito del Popolo in considerazione della teoria del plusvalore o piuttosto perché il tuo cuore era offeso? Quel marinaio di Kronstadt che ti assomiglia credeva, figurati! che Marx fosse uno dei dodici Apostoli. Ora tu sei un dirigente dell’organizzazione clandestina, non avresti il diritto né di ascoltare il tuo cuore né di rischiare la vita per correre in aiuto di un massone dal quale gli squadristi sono forse già arrivati. Del resto, costui è un capitalista, nemico del fascismo per caso e nemico della classe operaia per motivi ben precisi. Non ti fanno un piacere, dopo tutto? Invece tu acceleri per giungere là dove si compirà il tuo destino. Ugo è profeta se cerca di dissuaderti. Tu gli rispondi che se ha paura può scendere e tornarsene a casa.
“Abbiamo perduto troppo tempo. Questa volta li intopperemo quant’è vero Cristo” egli dice. E come per rimproverarti aggiunge: “Forse se non ci fosse stata la puntata dal fratello dell’onorevole…”.
Pure lui ti avversa, lo vedi?
In via Robbia tu trovasti quel deserto di luna, salisti guidato dalle lamentazioni, scopristi una scena di Deposizione. La donna e i due ragazzi carezzavano il cadavere, stupiti e ancora in preda al terrore. Al tuo ingresso credettero che i fascisti tornassero per uccidere anche loro. La tua mole, e la tua espressione finirono per sconvolgerli. Tu dicesti: “Sono un compagno”, cercasti di adattare la voce alle parole. Fu qui che il tuo cuore cedette. La moglie e i due figli, avevano disteso il loro caro sul letto. Egli aveva gli occhi sbarrati, uno sguardo vitreo, orribile a vedersi. Gli abbassasti le palpebre; lo baciasti sulla fronte. Larghe macchie di sangue gli coprivano il petto. Una di quelle sue mani pallide, infantili, che tu ricordavi, era sfracellata da un colpo che l’aveva raggiunta sul dorso. Così raccolto nella morte, egli sembrava anche più piccolo, un fanciullo dalla folta zazzera grigia. Lo guardavi e gli occhi ti si velarono di pianto. La donna e i ragazzi riconobbero in te un amico. Non potevi abbandonarli. Andandosene, i fascisti avevano anche tagliato i fili del telefono. Bussasti con tutta la forza dei tuoi pugni alle porte dei vicini: nessuno ti aperse né rispose. Allora la moglie ti chiese se potevi avvertire il cognato. Fu qui che il tuo cuore cedette ancora. Lasciasti Ugo di sentinella, corresti col sidecar dal fratello dell’onorevole che abita lontano da via Robbia: una volata nella notte. Fosti costretto ad allungare la strada per non incrociare un’auto di fascisti che ti veniva incontro con le sue grida e gli spari. Conducesti il fratello. Quando insieme ad Ugo avviasti di nuovo il motore, era trascorso un tempo prezioso: il vento si era levato più forte e delle nubi rincorrevano la luna. Erano oltre le due.
Ugo ripeté: “In coscienza, abbiamo fatto più del nostro dovere”.
E tu dicesti: “Se hai paura, puoi tornartene a casa. Massone o no, è un uomo”.
Questo tuo cuore, Maciste, che non conosce le prefazioni di Engels, e non ascolta la ragione, proprio quando occorre sia ascoltata.

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