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Alceste Campanile

Post n°106 pubblicato il 20 Giugno 2011 da odette.teresa1958

12 giugno 1975. C'è una coppia, un uomo e una dona,che sta percorrendo in macchina la strada provinciale che da Montecchio va a Sant'Ilario, quando la donna chiede di fermarsi un momento, perché non si sente bene. Ma appena la donna scende dall'auto, vede qualcosa, nell'erba. E' il corpo di un uomo, un giovane, poco più di un ragazzo. E' steso sulla schiena, con le gambe leggermente divaricate e il braccio destro infilato sotto il corpo. Indossa un giubbotto di tela, una camicia e calzoni di velluto a coste e ha sul petto il foro insanguinato di un proiettile. Porta un paio di occhiali che nella caduta gli sono risaliti sulla fronte, glieli spostano si accorgono subito che c'è un altro buco anche lì. Un omicidio, senza nessun dubbio.

Chi è quel ragazzo steso a terra, nell'erba di un campo a pochi passi da Montecchio? E' un ragazzo di 22 anni, di Reggio Emilia. Si chiama Alceste Campanile. Alceste Campanile è un militante di estrema sinistra. Fa parte di un gruppo che si chiama Lotta Continua ed è il responsabile della sezione reggiana del circolo “Ottobre”, una rete di associazioni culturali promossa da Lotta Continua. Un militante di estrema sinistra. Ammazzato così, con due colpi di pistola. Viene subito da pensare male. Viene subito da pensare una cosa precisa, una pista che sa di violenza politica, di terrorismo. Per due motivi.

Il primo è relativo proprio a quei giorni. E' il 12 giugno 1975, è giovedì e due giorni dopo, il 15, domenica, ci sarebbero state le elezioni amministrative in quasi tutta Italia e anche lì, a Reggio. Il secondo è relativo a quegli anni. Quando Alceste Campanile viene ucciso è il 1975. E' un anno di grande tensione. Il comitato antifascista di Reggio Emilia si riunisce il pomeriggio stesso, mentre i comitati antifascisti si mobilitano in tutta l'Italia. Ai funerali, che si tengono il 14, partecipano ragazzi di tutto il paese. Una folla enorme, che segue il corpo di Alceste, gente da tutt'Italia, e tantissima da Reggio, perché è un militante politico, Alceste Campanile, è un simbolo, va bene, ma è anche un ragazzo giovane molto conosciuto in città, un tipo aperto, estroverso, che parla con tutti, che ha molti interessi, che canta e suona la chitarra. Un bel ragazzo con tantissime amicizie. E' naturale che oltre alla politica, a seguirlo fino al cimitero ci sia tanta gente e tanti amici. Se in un contesto come quello, un militante di estrema sinistra come Alceste viene ammazzato in quel modo, e proprio pochi giorni prima delle elezioni, è facile pensare che ci sia la politica dietro all'omicidio. E' facile pensare che siano stati i fascisti. Anche perché c'è una rivendicazione.

A Parma, il 17 giugno, viene trovato un volantino. E' firmato da un gruppo estremista di destra “Legione Europa”, un gruppo che ha già compiuto due attentati, in Emilia e in Lombardia. Nel volantino i fascisti di “Legione Europa” rivendicano l'omicidio di Alceste. E dicono di averlo fatto perché Alceste è un traditore. In che senso un traditore? Tanti anni prima, quando era molto più giovane, Alceste aveva iniziato la sua attività politica a destra. Suo padre era di destra, e mentre frequetava lo Spallanzani, il Liceo Scientifico di Reggio, Alceste era entrato nella “Giovane Italia”, l'organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano. Ma era il 1968, Alceste aveva 15 anni e nella “Giovane Italia” c'era stato solo per un mese.

La polizia indaga. Seguendo la pista della “Legione Europa” si trova l'autore del volantino. E' un neofascista di Parma che si chiama Donatello Ballabeni. Il giudice istruttore Giancarlo Tarquini, il 30 aprile 1976, fa arrestare Donatello Ballabeni e altri due neofascisti, Roberto Occhi e Bruno Spotti. Ma c'è qualcosa che non torna nella pista nera. Il giudice si convince che Ballabeni e i suoi non c'entrano. Che Ballabeni è soltanto un mitomane. Che quel volantino non dice la verità. E a questo punto, succede qualcosa. Entra in campo il padre di Campanile.

Vittorio Campanile, il padre di Alceste, tre mesi dopo la morte del figlio fa stampare un manifesto. Ma fa anche di più, pubblica, indicando soltanto i nomi di battesimo, quelli che ritiene siano stati i suoi assassini. Sono amici di Alceste, tutta gente di sinistra, che milita nelle aree della sinistra extraparlamentare. Ma anche su di loro le indagini della polizia e dei carabinieri, non fanno emergere nulla. Assolutamente nulla. Via la “prima pista nera”, via la “prima pista rossa”. Non lo stiamo costruendo noi come un giallo, è un giallo per davvero l'omicidio di Alceste Campanile. Ma come è morto Alceste?

Secondo l'autopsia, Alceste è stato ucciso con un colpo che gli è stato sparato in testa, un colpo immediatamente mortale, che è entrato dalla nuca ed è uscito dalla fronte, colpito da dietro, in basso, perché il proiettile viene trovato piantato per terra, a due metri dal corpo. Cosa significa? Significa che probabilmente, quando è stato colpito, Alceste era chinato verso il terreno. Perché? Ci sono tracce di fango sui pantaloni, sul ginocchio e sulla coscia destra. Cosa significa? Che Alceste è stato fatto inginocchiare, o è stato schiacciato verso terra da qualcuno che gli ha girato un braccio dietro la schiena, per sparargli un primo colpo in testa? Il primo colpo, perché l'altro proiettile, quello che lo colpisce al petto trapassandogli un polmone, viene trovato sotto la schiena di Alceste, in corrispondenza del foro.

Attenzione, perché c'è ancora qualcosa da dire su quei due colpi che hanno ucciso Alceste. Sul luogo del delitto vengono trovati un bossolo e due proiettili calibro 7,65. Uno è integro e l'altro è deformato, come se uscendo dal corpo di Alceste avesse colpito un sasso, ma il suo stato di conservazione è sufficiente perché il perito balistico possa affermare che è stato sparato da un'altra pistola. Cosa significa? Che a sparare ad Alceste, con due pistole diverse, sono state probabilmente due persone. Uno gli ha sparato alla testa, e l'altro al petto, ricordiamocelo.

Continuiamo a fare come nei romanzi gialli. Facciamo un passo indietro e ricostruiamo le ultime ore di Alceste Campanile.

Giovedì 12 giugno 1975, ore 17.00 circa. Alceste Campanile arriva alla stazione di Reggio Emilia, da Bologna, dove è stato a dare un esame, l'ultimo appello prima dell'estate. Inglese, trenta.

Ore 21.45. Alceste esce da casa dei suoi dicendo che farà un giro. Poi lo vedono in piazza Prampolini, dove ci sono altri ragazzi che cantano. Alceste si ferma a parlare con uno di loro e gli da un appuntamento per mezzanotte, allo Ziloc, un'osteria. Attenzione, perché c'è un'altra testimonianza, non confermata, però, che segnala Alceste in una pizzeria verso Parma, vicino a Sant'Ilario, in compagnia di alcune persone. Un'ora dopo, due al massimo, ed è morto. Qualcuno gli spara quei due colpi, uno alla nuca e uno al petto. Chi incontra? Chi lo porta in quella strada tra Montacchio e Sant'Ilario? Chi lo ammazza con due colpi di pistola?

L'11 febbraio 1979, a quattro anni di distanza dall'omicidio, il quotidiano Lotta Continua dedica le due pagine centrali del suo numero domenicale all'omicidio di Alceste Campanile. Marco Boato, nel suo editoriale, parla di “amaro dubbio”, invita i compagni a dire quello sanno: “chi sa parli, l'omertà è uno stile mafioso, il comunismo non ha niente a che vedere con la mafia”.

Girano voci. Gira la voce che l'omicidio di Alceste abbia qualcosa a che fare con il sequestro Saronio. Carlo Saronio è un giovane simpatizzante di estrema sinistra di ottima famiglia, molto ricca, gli ex proprietari delle industrie farmaceutiche Carlo Erba. Il 14 aprile del '75 viene rapito. Il 9 maggio, come concordato, un cognato di Saronio consegna la prima rata di 470 milioni. Ma di Carlo non si ha più notizia. Perché è morto. Soffocato, probabilmente, dal tampone di cloroformio che gli hanno premuto sulla bocca. Pochi giorni dopo, il 19 maggio, la polizia svizzera arresta a Bellinzona tre persone che cercano di cambiare 67 milioni. Le banconote, infatti, sono segnate, e sono quelle del sequestro Saronio. Sono state portate in Svizzera nascoste dentro la bombola a metano di una 127.

Una delle tre persone si chiama Carlo Fioroni. Lo chiamano “il professorino” perché insegna in una scuola media. In Italia, davanti al magistrato Gherardo Ambrosio, ammette di aver saputo del sequestro Saronio, di averlo suggerito, ma di non aver partecipato alla sua realizzazione. Ma cosa c'entra col caso Campanile? Cosa c'entra con la morte di Alceste? Nel '79, quando aveva cominciato a collaborare dopo essere stato arrestato, Carlo Fioroni, il professorino, aveva parlato anche di quello. Aveva messo in relazione i due casi, Saronio e Campanile, in forma vaga, come ipotesi. Perché? Perché il buco nella bombola di metano della 127, secondo il professorino, sarebbe stato fatto in un garage, a Reggio Emilia. Il padrone del garage nega, decisamente, quel buco nella bombola l'ha fatto a Milano e non sapeva che quelli fossero i soldi del sequestro Saronio, cosa per cui è stato completamente scagionato. La voce, l'ipotesi, però resta. Alceste sapeva qualcosa, Alceste poteva parlare, di Alceste non ci si poteva fidare. E' la seconda pista rossa.

E' complessa l'istruttoria per l'omicidio di Alceste Campanile, molto complessa. Ci finiscono dentro tutti, i fascisti della pista nera, le persone chiamate in causa dalla prima e dalla seconda pista rossa...tra gli indagati c'è anche un magistrato e quindi il processo deve spostarsi ad Ancona, che scagiona completamente per l'omicidio sia i fascisti che i simpatizzanti della sinistra extraparlamentare chiamati in causa.

Caso chiuso. Ipotesi azzerate. Via la pista nera, via la prima pista rossa e via anche la seconda pista rossa. Fine. Sul caso Campanile, sulla morte di Alceste, cala un silenzio che dura anni. E poi, davvero come in un giallo, succede qualcosa. C'è un altro colpo di scena. C'è una seconda pista nera.

Lui si chiama Paolo Bellini, ed è un ex estremista di destra di Reggio Emilia, considerato vicino all'area di Avanguardia Nazionale. Latitante per la prima volta nel '76 scappa all'estero, in Sudamerica, poi lo ritroviamo in Italia, a Pontassieve, alla guida di un carico di mobili rubati. Finisce in carcere e ci resta per un po', col nome di Roberto Da Silva. Strano, in galera sotto falso nome. Del resto, non è facile identificarlo, dato che le sue impronte sono sparite dagli archivi. Ma non è l'unica cosa strana che lo riguarda. In carcere Paolo Bellini conosce un mafioso di grosso calibro, coinvolto nella strage di Capaci, Antonino Gioè, e più tardi si ritrova a fare in un certo senso da ambasciatore tra lo Stato e la Mafia durante le stragi del '93. Strano tipo, Paolo Bellini, o Roberto Da Silva, o Luigi Iembo, come si fa chiamare. Strano tipo.

Perché ci interessa? Perché quando viene arrestato di nuovo, nel giugno del 1999, Paolo Bellini si autoaccusa di un sacco di delitti dieci o undici, non ricorda neanche lui, dice che con quelli che ha ammazzato ci potrebbe fare una squadra di calcio. Molti dice di averli compiuto per conto della 'Ndrangheta, e per questo accusa anche alcuni complici calabresi. Uno, però, dice di averlo compiuto per i fatti suoi. Il primo che abbia mai commesso. Quello di Alceste Campanile.

Bellini dice di aver incontrato Alceste per caso, sulla Via Emilia, o sulla provinciale che da Reggio va a Montecchio, non ricorda. Hanno parlato, soprattutto di una cosa. Paolo Bellini dice che qualche tempo prima aveva sorpreso Alceste attorno all'albergo di suo padre, con una tanica di benzina. Alceste gli dice che voleva bruciare l'albergo di un fascista e che lo avrebbe rifatto ancora. Così Bellini non ci vede più e ferma la macchina. Fa scendere Alceste, poi gli spara. Un omicidio occasionale, insomma, e non a scopo politico.

Ma è vero? Paolo Bellini viene ascoltato da un magistrato della Direzione Distrettuale Antimafia, la dottoressa De Simone, che lo ascolta a lungo sulla morte di Alceste e alla fine lo rimanda ad Ancona, dove le sue dichiarazioni sono ancora al vaglio. C'è ancora qualcosa che non torna, infatti. Paolo Bellini confessa l'omicidio in quel modo, da solo, e per quei motivi, ma secondo la perizia balistica del Tribunale a sparare sono state due pistole diverse. Non è la dinamica ricostruita da Bellini. E allora? Qual'è la verità? C'è qualcuno che si sbaglia? E perché?

Pista nera, pista rossa, seconda pista rossa, seconda pista nera. Chi ha ucciso Alceste? “Chi sa parli”, è stato detto, il comunismo non è omertà, non ha niente a che vedere con la Mafia. Fino ad ora hanno parlato soltanto Carlo Fioroni e Paolo Bellini, e i misteri sono ancora tanti. Chi ha ucciso Alceste?

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