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Faccia di capra

Post n°776 pubblicato il 19 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Un contadino aveva dodici figlie e l'una non riusciva a prendere in braccio l'altra perché ogni anno quella buona massaia di Ceccuzza, la mamma, gli faceva una spernacchiatina, così che il poveruomo, per far vivere onoratamente la famiglia, andava ogni mattina a zappare a giornata e non avresti saputo dire se era più il sudore che gli colava a terra o la saliva che si sputava sulle mani: basta dire che con il poco delle sue fatiche riusciva a mantenere tutte quelle ranocchie bambinocchie, giusto che non morissero di fame.

Ora, mentre questo si trovava un giorno a zappare ai piedi di una montagna, vedetta degli altri monti, che metteva la testa sopra le nuvole per vedere cosa si combinava nell'aria, dove c'era una grotta così profonda e buia che il Sole aveva paura ad entrarci, da questa uscì un lucertolone verde grande quanto un coccodrillo e il povero contadino restò così spaventato che non ebbe la forza di squagliarsela e da un'apertura di bocca di quella brutta bestia aspettava la chiusura dei suoi giorni. Ma il lucertolone si fece più vicino e disse: "Non avere paura, uomo dabbene mio, perché non sono qui per farti alcun dispiacere, ma vengo soltanto per il tuo bene". Sentendo questo Masaniello, così si chiamava il contadino, le s'inginocchiò dinanzi, dicendole: "Signora come-ti-chiami, io sono nelle tue mani: agisci da persona dabbene e abbi compassione di questo poveruomo, che ha dodici piagnucolone da far vivere". "Per questo", rispose la lucertola, "io sono venuta ad aiutarti; perciò portami domani mattina la più piccola delle tue figlie, perché me la voglio crescere come una figlia e tenermela cara quanto la vita". Lo sventurato padre, sentendo questo, restò più confuso di un ladro quando gli viene trovata la refurtiva addosso, perché, sentendosi chiedere la figlia dalla lucertolona e anche la più piccolina, ne dedusse che la faccenda puzzava e che la voleva come pillola purgativa per evacuare la fame.

E disse fra sé: "Se io le do questa figlia, le do l'anima mia; se gliela rifiuto, si prenderà questo corpo; se non gliela concedo, mi toglie le ciliegine; se la contraddico, si succhia il mio sangue; se acconsento, mi toglie una parte di me stesso; se rifiuto, si prende me tutto intero. Che decido? che scelgo? che scusa trovo? oh che malagiornata mi è capitata! che disgrazia mi è caduta dal cielo! ". Mentre diceva questo la lucertolona aggiunse: "Deciditi, presto e fai quello che ti ho detto, altrimenti ci lasci le penne, perché così voglio e così zia fatto!".

Masaniello, sentita questa sentenza e non avendo come fare ricorso, tornò a casa tutto malinconico, così ingiallito in faccia che sembrava avesse preso l'itterizia, e Ceccuzza, vedendolo così smorto istupidito con il nodo alla gola e imbronciato, gli disse: "Che ti è successo, marito mio? hai litigato con qualcuno? ti hanno chiesto soldi? o ci è morto l'asino?". "Niente di tutto questo", rispose Masaniello, "ma una lucertola cornuta mi ha messo sottosopra, mi ha minacciato che se non gli porto la nostra figlia più piccolina, ne farà di cose che puzzano: la testa mi gira come un arcolaio, non so che pesci pigliare! da una parte mi spinge l'amore e dall'altra l'affitto della casa! amo straordinariamente la mia Renzolla, amo straordinariamente la vita mia! se non gli consegno questo resto dei miei fianchi quella si prende tutta la misura di questo mio povero corpo. Perciò dammi un consiglio, Ceccuzza mia, altrimenti sono finito". Sentendo questo la moglie gli disse: "Chi sa, marito mio, se questa lucertola porterà fortuna alla nostra famiglia? chi sa se questa lucertola porterà la luce sulle nostre miserie? guarda che il più delle volte ci diamo noi stessi l'accetta sul piede e quando dovremmo avere la vista d'aquila per scorgere il bene che ci capita abbiamo gli occhi appannati e il crampo alle mani per afferrarla. Perciò vai, portagliela, il cuore mi dice che potrebbe essere un buon destino per questa povera bambina".

Queste parole convinsero Masaniello e la mattina - appena il Sole con il pennello dei raggi imbiancò il cielo che era annerito dalle ombre della Notte - prese la bambina per mano e la portò fino alla grotta. La lucertolona, che stava di vedetta per vedere quando arrivava il contadino, appena lo vide uscì fuori dalla tana e, presa la ragazza, diede al padre un sacchetto di monetacce dicendogli: "Vai, marita con questi spiccioli le altre figlie e vivi in allegria, perché Renzolla ha trovato il padre e la madre. Oh beata lei, che ha incontrato questa buona ventura!".

Masaniello tutto contento ringraziò la lucertola e se ne tornò saltellando dalla moglie, raccontandole l'accaduto e mostrandole i soldini, con cui maritarono tutte le altre figlie, e gli rimase anche la salsa per inghiottire piacevolmente le difficoltà della vita. Ma la lucertola, avuta Renzolla, dopo aver fatto apparire un bellissimo palazzo ce la mise dentro, allevandola con tanti lussi e regali degni di una regina. Fai conto che non le mancava il latte di formica, il mangiare era da conte, il vestire da principe, aveva cento damigelle attente ed esperte che la servivano. Con questo buon trattamento in quattro pizzichi si fece come una quercia.

Capitò che, andando a caccia per quei boschi, il re incontrò la notte cammin facendo e, non sapendo dove sbattere la testa, vide brillare una candela dentro quel palazzo, per questo mandò da quella parte un servo perché pregasse il padrone di dargli ospitalità. Arrivato il servo, si fece avanti la lucertola sotto forma di una bellissima ragazza, che, sentita l'ambasciata, disse che era mille volte il benvenuto, perché non gli sarebbero mancati né il pane né i coltelli. Sentita la risposta, il re venne e fu ricevuto da cavaliere, gli uscirono incontro cento paggi con le torce accese, sembrava il gran funerale di un uomo ricco; altri cento paggi portarono le bevande in tavola, sembravano tanti garzoni di speziali che portassero i piattini ai malati; cento altri con strumenti e stordimenti facevano musica; ma soprattutto Renzolla servì da bere al re con tanta grazia che bevve più amore che vino. Ma, finito il masticatorio e sparecchiate le tavole, il re andò a coricarsi e Renzolla stessa gli tolse le calze dai piedi e il cuore dal petto, con tanta buona grazia che il re sentì dalle ossa piccoline toccate da quella bella mano salire il veleno amoroso ad avvelenargli l'anima, tanto che, per porre rimedio alla sua morte, cercò di avere il contravveleno di quelle bellezze e, chiamando la fata che la proteggeva, gliela chiese in moglie. E lei, non desiderando altro che il bene di Renzolla, non solo gliela diede volentieri, ma le diede anche una dote di sette pezzi d'oro.

Il re, tutto felice di questa fortuna, se ne partì con Renzolla, che, sprezzante e ingrata per quanto le aveva dato la fata, se ne andò con il marito senza rivolgerle una sola maledetta parola di ringraziamento. E la maga, vedendo tanta ingratitudine, le lanciò una maledizione, che la sua faccia si trasformasse in quella di una capra e, appena dette queste parole, le si allungò il muso con un palmo di barba, le si strinsero le ascelle, le si indurì la pelle, la faccia le si coprì di peli e le trecce a canestrino diventarono corna puntute. Il povero re, visto questo, si fece piccino piccino, non riusciva a capire cosa gli fosse capitato, perché una bellezza che ne valeva due si fosse trasformata così e, sospirando e piangendo a tutto spiano, diceva: "Dove sono i capelli che mi legavano? dove gli occhi che mi trafiggevano? dove la bocca che è stata la tagliola di quest'anima, la trappola di questi spiriti e il laccio di questo cuore? ma che? devo essere marito di una capra e acquistare il titolo di caprone? devo essere ridotto in questa foggia a iscrivermi alla dogana di Foggia? no no, non voglio che questo cuore crepi per una faccia di capra, una capra che mi porterà guerra cacando olive". Dicendo così, arrivato al suo palazzo, mise Renzolla con una cameriera in una cucina dando all'una e all'altra quattro rotoli di lino perché li filassero, dandogli il limite di una settimana per finire questo cottimo. La cameriera, obbedendo al re, cominciò a pettinare il lino, a fare i lucignoli, ad avvolgerli sulla rocca, a torcere il fuso, a finire le matasse e a faticare come una cagna, tanto che il sabato sera si trovò il lavoro finito.

Ma Renzolla, credendo di essere la stessa che era stata a casa della fata, perché non si era guardata allo specchio, gettò il lino dalla finestra, dicendo: "Il re perde tempo a darmi questi fastidi! se vuole camicie che se ne compri! e non creda di avermi trovata nel torrente, ma si ricordi che gli ho portato sette pezzi d'oro in casa e che gli sono moglie e non serva e mi pare che si comporti da asino a trattarmi in questo modo". Nonostante questo, quando fu sabato mattina, vedendo che la cameriera aveva filato tutta la sua parte di lino, ebbe una gran paura di qualche bastonatura e per questo si avviò al palazzo della fata e le raccontò la sua disgrazia. E lei, abbracciandola con grande affetto, le diede un sacco pieno di filato perché lo desse al re e dimostrasse di essere stata una brava massaia e una femmina da casa. Ma Renzolla, preso il sacco senza dire mille grazie per il servizio, se ne andò al palazzo reale, mentre la fata tirava pietre per le cattive maniere di questa disamorata. Ma il re, avuto il filato consegnò due cani, uno a lei e uno alla cameriera, ordinando che li nutrissero e li crescessero. La cameriera allevò il suo a mollichine e lo trattava come fosse un figlio, ma Renzolla diceva: "Questa eredità mi ha lasciato il nonno! sono già arrivati i turchi? devo pettinare cani e portare cani a fare la cacca?", e così dicendo scaraventò il cane dalla finestra, altro che farlo saltare attraverso il cerchio.

Ma, dopo alcuni mesi, il re chiese dei cani e Renzolla, vedendosela brutta, corse di nuovo dalla fata e un vecchietto incontrato sulla porta, che era il portiere, le chiese: "Chi sei e che vuoi? ". E Renzolla, sentita questa strana domanda, gli disse: "Non mi riconosci, barba di capra?". "A me con il coltello?", rispose il vecchio, "il ladro insegue lo sbirro! stai lontano che mi sporchi, disse il calderaio! gettati avanti, per non cadere! io barba di capra? tu sei barba di capra e mezza, perché per la tua presunzione ti meriti questo e anche peggio; e aspetta un poco, sfacciata presuntuosa, che adesso ti illumino e vedrai come ti hanno ridotto la tua boria e le tue pretese". Dicendo così corse in una cameretta e, preso uno specchio, lo mise davanti a Renzolla, e lei, quando vide quella brutta faccia pelosa, stava per crepare di spasimi, neanche Rinaldo aveva provato tanta angoscia vedendosi nello scudo incantato così trasformato da com'era, quanto dolore provò lei vedendosi tanto contraffatta al punto di non riconoscersi. Il vecchio le disse: "Ti devi ricordare, Renzolla, che sei figlia di un contadino e che la fata ti aveva portato al punto di essere regina, ma tu sciocca, tu scortese e ingrata, non ringraziandola affatto di tanti favori, l'hai considerata un cesso senza mostrarle un solo segno di affetto. Per questo prendi e spendi, afferra questo e torna per il resto! sei ridotta come meriti, guarda che faccia hai, guarda dove sei finita per la tua ingratitudine, per la maledizione della fata hai non solo cambiato faccia ma anche condizione. Ma, se vuoi fare come ti dice questa mia barba bianca, entra a trovare la fata, gettati a suoi piedi, strappati queste ciocche, graffiati questa faccia, battiti questo petto e chiedile perdono delle tue cattive maniere verso di lei, perché lei, che è di polmone tenerello, si muoverà a compassione delle tue sciagure".

Renzolla, che si sentì toccare e colpire nel centro, fece come diceva il vecchio e la fata, abbracciandola e baciandola, la fece tornare come era prima e, fattole indossare un vestito carico d'oro, dentro una stupefacente carrozza accompagnata da un branco di servi, la portò al re. E lui, vedendola così bella e lussuosa, l'ebbe cara quanto la vita, dandosi pugni in petto per quanti strazi le aveva fatto sopportare e chiedendole perdono se per quella maledetta faccia di capra l'aveva tenuta in poco conto. Così Renzolla visse contenta, amando il marito, onorando la fata, e mostrandosi grata al vecchio, avendo imparato a proprie spese che

"è stato sempre utile essere cortese".

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