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Libertà (Verga)

Post n°1217 pubblicato il 16 Novembre 2011 da odette.teresa1958

Verga in questa novella rivive la vicenda di Bronte dopo la rivolta della povera gente che voleva dividere le terre dei ricchi. Alcune persone sventolavano un fazzoletto rosso dal campanile e altre gridavano nella piazza più grande la parola "Libertà". Don Antonio fu ucciso mentre cercava di fuggire e, mentre passava a miglior vita, si chiedeva il perché del gesto dei propri assassini. Anche il reverendo supplicava di non essere ucciso. Don Paolo fu ammazzato davanti casa, sotto gli occhi della moglie che aspettava un po' di minestra per sfamare i cinque figli. Neddu, il figlio del notaio, fu fatto fuori nel modo più terribile possibile, infatti era ancora cosciente quando gli fu vibrato il colpo finale. Egli era già ferito quando supplicò i garibaldini di non ucciderlo e un boscaiolo, gli tolse la vita per pietà, giustificandosi dicendo: "Tanto sarebbe stato un notaio, succhiasangue anche lui!". Si faceva strage di chiunque fosse ricco, perciò la baronessa aveva fatto fortificare la sua abitazione e i suoi servi; si sparava contro la folla, che comunque non si demoralizzò e sfondò il cancello, dando la caccia alla donna nella sua dimora. Infine fu scovata con i suoi tre figli e tutti furono trucidati. La follia della gente si placò soltanto a sera, quando la anormale moltitudine diminuì consistentemente. La Domenica dopo non fu celebrata messa e si pensò a come dividere le terre, ma tutti si guardavano minacciosamente perché non sapevano come fare; infatti non c'erano periti per misurare la grandezza dei lotti di terreno, notai per registrare la proprietà, e così via. Il giorno successivo si apprese che il generale Nino Bixio stava venendo a fare giustizia, tanto che molti scapparono agendo nel modo migliore possibile, in quanto egli non appena giunto fece fucilare alcuni rivoltosi. Successivamente arrivarono i giudici, che interrogarono i colpevoli e li portarono in città per il processo. Le cose in paese tornarono come prima, infatti i ricchi avevano le loro terre e i poveri dovevano lavorarvi per guadagnarsi il pane quotidiano, visto che i benestanti non le avrebbero neanche toccate. Il processo andò per le lunghe e alla fine tutti gli imputati furono ascoltati da una giuria composta dai ricchi e dai nobili, i quali ogni volta si rallegravano di non essere nati e vissuti a Bronte. Fu infine pronunciata la sentenza e un carbonaro, a cui erano state rimesse le manette, era rimasto sbigottito perché non aveva assaporato la libertà di cui avevano tanto parlato.  

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