Il labirinto
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Un dolce foco negli occhi nerissimi accoppiato (che raro addiviene) a candidissima pelle e biondi capelli davano alla di lei bellezza un risalto, da cui difficile era di non rimanere colpito o conquisto. »
(Vita scritta da esso di Vittorio Alfieri, Epoca quarta, 1777, capitolo V)
La contessa d'Albany nel dipinto di François-Xavier Fabre
Louise-Maximilienne de Stolberg (Mons, Belgio, 20 settembre 1752 – Firenze, 29 gennaio 1824) è stata una intellettuale belga più nota nella storia della letteratura con il suo titolo di Contessa d'Albany.
Appartenente ad un'antica nobile famiglia tedesca, divenne moglie di Carlo Edoardo Stuart, pretendente al trono d'Inghilterra che aveva preso il titolo di conte d'Albany.
Indice
Louise-Maximilienne de Stolberg, rimasta ben presto orfana del padre e con una madre desiderosa di entrare a far parte delle più importanti corti europee, era arrivata a Roma dove nel 1772, appena ventenne, era andata sposa a Carlo Edoardo Stuart.
Le corti europee avevano esaltato le romanzesche imprese di Carlo Edoardo Stuart. Bonnie Prince Charlie, come era chiamato dai legittimisti, accompagnato dal favore popolare, era sbarcato nel 1745 in Scozia e aveva riconquistato il regno tolto a suo nonno Giacomo II Stuart dal genero Guglielmo d'Orange; si era poi diretto in Inghilterra con un esercito di volontari. Sconfitto alla battaglia di Culloden era riuscito fortunosamente a fuggire in Francia da dove, costretto ad andarsene, dopo un lungo peregrinare in Europa, era arrivato a Roma; qui, dopo la morte del padre Giacomo III Stuart, aveva installato una sua corte come pretendente al trono.
Quando Louise de Stolberg l'aveva sposato, Carlo Edoardo Stuart aveva ormai perso ogni suo romantico fascino: il nobile avventuriero, precocemente invecchiato e dedito al bere, aveva accolto la sposa a Palazzo Muti a Piazza Santi Apostoli con grandi onori che erano andati diminuendo man mano che scemava la speranza di avere l'atteso erede che Louise non gli dava.
La giovane e bella contessa d'Albany tuttavia non rinuncia alla sua voglia di vita e d'amore. Dopo appena due anni dal matrimonio, insofferente della rigida etichetta, che formalmente dava a Carlo Edoardo Stuart l'illusione del trono, si lascia corteggiare dall'affascinante conte di Leicester ed intrattiene rapporti molto stretti con lo svizzero Karl Victor de Bonstetten, personaggio di vasta cultura e grande viaggiatore. Scrive a quest'ultimo la contessa: «Se amassi alla follia e se fossi libera, farei tutto per la persona di cui fossi innamorata»
Il trasferimento a Firenze
Nel 1777 Carlo Edoardo Stuart, non sopportando il successo romano della moglie e il suo comportamento noncurante della sua reputazione, decide di trasferirsi a Firenze anche con l'intento di sottrarre la contessa all'influenza di suo cognato, il cardinale di York, suo buon amico.
A Firenze avviene l'incontro con Vittorio Alfieri, giovane ventottenne, affascinato dalla nobile dama, intellettuale cosmopolita. Il loro amore è un vero e proprio colpo di fulmine e dal momento dell'incontro sarà un susseguirsi di difficoltà e stratagemmi per potersi amare.
Carlo Edoardo Stuart diviene sempre più violento nei confronti della contessa che dapprima si nascose in un convento, poi chiese ospitalità al cardinale di York a Roma e alla fine, con l'aiuto del re di Svezia Gustavo III, riuscì ad ottenere la separazione legale.
La relazione con Alfieri
« La mia unica donna » « La vita della mia vita » «...la dolce metà di me stesso » «La persona che ho sovra ogni altra cosa venerata ed amata »
(Vittorio Alfieri, Vita scritta da esso)
Con la morte del Pretendente nel 1788, la contessa, ormai libera, vive apertamente la sua relazione con l'Alfieri. A Parigi dal 1786 al 1791, diviene noto ed apprezzato il circolo culturale della contessa nella casa di Rue de Bourgogne, dove una sala del trono ricorda agli ospiti l'alto rango della padrona di casa.
La Rivoluzione costringe i due amanti a fuggire dalla Francia e a tornare a Firenze dove alloggiarono nel Palazzo Gianfigliazzi. Qui la contessa assunse il ruolo di musa ispiratrice del grande poeta e letterato italiano trasformando il suo appartamento nel luogo di incontro della migliore cultura europea fra cui Madame de Stael e Ugo Foscolo.
Ad offuscare però la vita della contessa gli ambienti aristocratici, che avevano mostrato indulgenza per l'aperta convivenza con il grande poeta italiano, si abbandonarono alle maldicenze quando presso la coppia di amanti si aggiunse un pittore francese François-Xavier Fabre che divenne l'amico del cuore della contessa sino al 1803, l'anno della morte di Alfieri.
Le malignità sul comportamento libero della nobildonna sembrarono trovare conferma nel 1824, quando, alla morte della contessa, il pittore francese ne divenne erede universale.
Aveva lasciato scritto l'Alfieri: «Invece di trovare in essa, come in tutte le volgari donne, un ostacolo alla gloria letteraria, un disturbo alle utili occupazioni, ed un rimpicciolimento direi di pensieri, ci ritrovavo e sprone e conforto ed esempio ad ogni bella cosa.»
In effetti la contessa meritò la lode del poeta poiché si deve a lei la pubblicazione postuma delle opere ma soprattutto l'autorizzazione ottenuta di seppellire le spoglie del poeta in Santa Croce nel monumento che lei stessa commissionò a Canova.
Nella stessa basilica fiorentina fu innalzato il monumento funebre della nobildonna, opera di gusto neorinascimentale realizzata da Luigi Giovannozzi ed Emilio Santarelli su disegno di Charles Percier.
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