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La battaglia di Culloden

Post n°1397 pubblicato il 15 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Gli uomini di Culloden

Il 16 aprile 1746 fu combattuta la battaglia di Culloden Moor, che segnò il tramonto del mondo delle Highlands scozzesi. Dopo la sconfitta dei Giacobiti nulla sarebbe stato mai più come prima e la Corona inglese, dopo le stragi e le deportazioni degli highlanders, avrebbe iniziato un vero e proprio genocidio culturale, nel tentativo di annientare la resistenza e la fierezza di un popolo cancellando le sue tradizioni.




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Il maggiore Gillies Mac Bean viene ricordato dalle cronache come “l'Eroe di Culloden”, era stato fino a quel giorno un uomo serio e tranquillo, dotato di un forte senso dell'onore e della lealtà. Fu lui a guidare la travolgente carica del Clan Chattan ,mentre il fuoco nemico abbatteva a centinaia i clansmen intorno a lui.

A proposito di quella furibonda e disperata carica un soldato inglese scrisse: “Ci sono venuti addosso come branchi di lupi affamati”.

Dei ventuno ufficiali del Clan Chattan solo tre riuscirono a entrare in contatto con il nemico e a passarne le linee e MacBean fu uno di questi. Attraversò la prima e la seconda riga dello schieramento governativo, ricevette parecchi colpi di baionetta al torace e alle braccia, ma, nonostante tutto, continuò ad avanzare, falciando chi gli si parava davanti e incitando alla carica gli uomini dei Clans. Seguito da quei pochi che riuscivano a stargli dietro, arrivò fino al reggimento di Fleming e fu abbattuto con un colpo menato con il calcio di un fucile. Fu dato per morto dagli inglesi e dai suoi.

MacBean pareva avere più vite di un gatto, nonostante le ferite riuscì a rialzarsi e si trascinò fino ad un muro distante circa seicento metri dal campo di battaglia. Lì lo trovarono dragoni e fanti inglesi, che man mano che la battaglia volgeva in favore dei governativi, si erano dati ad atti di ferocia inaudita. Gillies MacBean appoggiato con la schiena al muro si batté come un leone contro numerosi nemici, dando prova di un coraggio e di una determinazione incredibile, tanto che il comandante dei dragoni, Lord Acrum, gridò ai suoi uomini di risparmiarlo. Quelli, invece, disobbedirono all'ordine, gli si fecero addosso tutti insieme e lo calpestarono con i loro cavalli.

Ancora una volta MacBean fu dato per morto e ancora una volta si rialzò e, dopo che i dragoni se ne furono andati, si trascinò fino ad un fienile, dove una vecchia lo nascose coprendolo con la paglia. Lì Gillies MacBean, morì stringendo la sua claymore in pugno.





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Si chiamava Ian Dubh Cameron, ma tutti lo conoscevano come Big John, the Sergeant Mor. Non si arrese alla sconfitta; fu uno dei pochi a riuscire a darsi alla macchia dopo Culloden e, come sempre avevano fatto i proscritti nelle Highlands, si diede al brigantaggio. Per i primi tempi aveva vagato solo sulle montagne del Loch Arkaig, poi iniziò a radunare tutti i fuggiaschi che riuscivano ad arrivare alle alte terre e costituì una banda di fuorilegge che per sette anni si diede a compiere incursioni nel Perthshire e nell'Argyle.

Come tanti broken man prima di lui, entrò presto nella leggenda. A lui furono attribuite imprese temerarie e atti cavallereschi, come quasi trent'anni prima si era narrato di Rob Roy MacGregor.

Una delle storie che circolavano sul suo conto raccontava che una volta era stato assunto come guida da un ufficiale inglese, che trasportava le paghe per la guarnigione di stanza a Fort William. Naturalmente l'ufficiale non sapeva chi fosse in realtà l'imponente highlander che lo scortava e, presuntuoso come solo gli inglesi sanno esserlo, si mise a parlare con disprezzo degli scozzesi, razza di ladri, nelle cui terre imperversavano banditi e razziatori. In special modo ebbe parole offensive riguardo a quello che tutti chiamavano Sergeant Mor e lo chiamò ladro ed assassino. Ian Dubh, che fino ad allora aveva assolto il suo incarico con scrupolo, si sdegnò:- Non una parola di più, amico:io non ho mai versato sangue innocente.-disse e, tanto per dargli una lezione, lo derubò della cassa del reggimento.

Sergeant Mor fu catturato nel 1753 in un fienile, mentre dormiva; si disse che ci fu qualcuno che lo tradì, per vendetta o, forse per denaro.

Fu processato a Perth per l'assassinio di un uomo e non si difese in alcun modo, se non affermando che l'ucciso aveva meritato quella fine. Così fu impiccato e salì al patibolo senza chiedere pietà, senza mai essersi arreso, tranquillo con quella sua aria spavalda, che tanto l'aveva fatto amare dagli Highlanders.


I Sette di Glenmoriston
Si erano dati alla macchia subito dopo il disastro di Culloden, battendosi come leoni per sfuggire alla cattura da parte delle truppe governative ed erano rimasti insieme, formando una banda di giustizieri, che metteva in atto feroci vendette ai danni degli scozzesi lealisti e delle spie agli ordini degli inglesi. Hugh, Alexander e Donald Chisholm, Patrick Grant, Gregor MacGregor, Ian MacDonald e Alasdair Macdonnel, si nascondevano in una grotta chiamata Choriedoga, vicino al Loch Cluanie.

Arroganti e temerari compivano scorrerie in mezzo ai loro nemici, andando a prendere fin nelle loro case coloro che collaboravano con gli Inglesi.; Robert Grant, che aveva fatto l'informatore per i governativi, durante il periodo della ribellione, fu catturato dai Sette, che avevano studiato bene i suoi spostamenti, mentre era in viaggio verso Inverwic. La sua fu una vera e propria esecuzione, fu decapitato e lasciato sul sentiero, mentre la testa fu posta in cima ad un grande albero, a monito di tutti i traditori.

Una volta due dei sette fuorilegge furono agguantati in un paese dove si erano recati a far provviste e condotti alla presenza del Laird di Grant, che li interrogò credendoli dei semplici contadini e fecero tanto bene la parte di quelli che nulla sapevano dei banditi e del principe fuggiasco, da essere rilasciati senza danno alcuno, eppure, proprio in quei giorni il principe Stuart era con la banda dei Sette di Glenmoriston..

Lo tennero al sicuro per una settimana alla fine del Luglio 1745 nel loro nascondiglio e giurarono in sua presenza di difenderlo a prezzo della loro stessa vita, pregando che tutte le maledizioni bibliche potessero ricadere su di loro e sui loro discendenti, se non avessero tenuto fede all'impegno.

Il principe avrebbe ricordato per tutta la vita quel periodo nella Glenmoriston, nominandolo come la stagione migliore della propria esistenza. Quando, anni ed anni dopo, gli capitava di parlare con qualcuno della sua latitanza sul suolo scozzese, dichiarava di non aver avuto mai amici più leali e devoti dei sette patrioti fuorilegge che lo avevano difeso e protetto, che avevano digiunato con lui quando si sentiva troppo triste per mangiare e lo avevano rallegrato con le loro canzoni.

Il Bonnie Prince Charlie ricordava di come lo avessero dichiarato membro della banda e ribattezzato Dugal MacCullony; egli, da parte sua, scherzava solo a metà, quando li chiamava il “mio Consiglio della Corona” e diceva loro che neppure nel palazzo reale sarebbe stato bene come in loro compagnia. In realtà lo Stuart trovò nei sette di Glenmoriston un valore, un onore ed una lealtà disinteressata che mai aveva trovato nei politici e nei cortigiani che lo circondavano.

Le imprese dei Sette Uomini di Glenmoriston divennero presto leggenda e in ogni paese della Scozia si narrò di come una spia di nome Donald Frazer avesse guidato uno squadrone di cento inglesi sotto il comando di tre ufficiali a razziare bestiame poco lontano dal nascondiglio dei Sette e di come questi avessero inflitto ai nemici enormi perdite e li avessero ricacciati fuori dalla valle.

In tutte le locande ci furono viaggiatori pronti a giurare di aver assistito ad uno dei numerosi assalti dei Sette ai danni delle pattugli inglesi, alle quali i guerriglieri sottraevano denaro e vettovaglie. Ogni uomo della terra di Scozia, li amò o li temette, negli anni in cui percorsero le brughiere, facendo falò con le divise degli inglesi uccisi.

Alla fine si dispersero e di sei di loro non si seppe più nulla; l'unico del quale si ha memoria storica è Patrik Grant, che fu preso ed arruolato a forza nel 1759, combatté in Canada e morì intorno al 1761 nell'ospedale militare di Chelsea.





Robert Mor MacGillivray
Gli inglesi lo sorpresero ferito e disarmato nella Culwhiniac Enclosure.

Era un uomo grande e grosso, forte come un bue, uno di quegli uomini che non si arrendono mai, neppure se si trovano a mani nude davanti a venti armati.

Fino a poco tempo prima, si era curato della sua casa e dei suoi campi, non era un sodato, anche se come ogni clansmen, sapeva tener in mano la spada e la sua grande forza fisica faceva di lui un avversario temibile.

Quando il giovane principe Stuart aveva raccolto intorno a sé gli uomini dei clans lo aveva seguito, insieme agli altri del Clan Chattan e si era battuto con onore, guadagnandosi la fama di combattente coraggioso e leale.

Quando gli inglesi lo circondarono non trovò di meglio per difendersi che il timone di un carro: lo sollevò e lo brandì come una clava, grazie alla sua incredibile forza.

I sodati governativi, impressionati, si arrestarono, ma solo per pochi istanti, poi gli si fecero incontro, come cani da caccia intorno al cervo e Robert Mor ne abbatté sette, prima di cadere ucciso.

Ancora si parlava di lui e della sua incredibile forza a sera, tra le truppe inglesi; i soldati che lo avevano ucciso, acquartierati in una casa colonica, si vantavano della loro impresa con dei commilitoni, mentre la padrona di casa, costretta a servirli, versava loro da bere.

La donna ascoltava e piangeva. Solo un uomo nelle Highlands avrebbe potuto sollevare il timone di un carro in quel modo: suo cognato Robert Mor
 
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ClaireFraser

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