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Scrittrici dimenticate:Albertine Sarrazin

Post n°1572 pubblicato il 08 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

l 10 luglio 1967, dopo una vita travagliata, moriva a Montpellier Albertine Sarrazin, scrittrice e poetessa francese nata ad Algeri il 17 settembre 1937 da genitori sconosciuti. Sulle sue origini sono state formulate varie ipotesi. La madre adottiva, Thérèse Gantelme-Allègre, disse di aver saputo dal direttore del brefotrofio che la madre naturale era una quindicenne spagnola. Quanto al padre si disse potesse essere un uomo di sangue arabo. Altri sostengono che il padre naturale fosse lo stesso padre adottivo, un tenente colonnello medico di Lione, Amédée Renoux. Albertine, parlando di sé, scrisse che nelle sue vene scorreva sangue idalgo-arabo. Era molto intelligente, pronta di spirito e d’indole assai indipendente anche se insofferente alla monotonia dell’ambiente familiare. Secondo quanto, in seguito, affermò la sua psichiatra Gogis-Miquel, all’origine delle sventure della futura scrittrice ci furono i dissidi in seno ai coniugi Renoux . A suo dire, Albertine aveva un’indole “docile”, su cui poi avrebbe prevalso un sentimento acuto di ribellione contro gli atteggiamenti di eccessiva durezza e severità del padre adottivo e un senso di disprezzo nei confronti della madre, succube ai voleri del marito e capace solo di piangere davanti alla sua arroganza.

A sette anni viene a conoscenza di essere figlia adottiva nella maniera peggiore. Durante una disputa familiare, il colonnello urla: “ Questo è ciò che si ottiene a fare del bene ai bambini raccattati dalla strada”. La bambina, secondo quanto disse poi la madre adottiva, reagì in modo sorprendente, data l’età: “Voi non mi siete niente ed io non vi devo niente”. In realtà la madre anticipò di qualche anno un’affermazione che Albertine farà a undici anni, in stile adolescenziale. Fin dalle elementari manifestò un temperamento spiccatamente artistico con la composizione di poesiole, disegni ad acquarello e nello studio del violino. Nel 1947, il colonnello decise di lasciare l’Algeria, a quell’epoca provincia francese, e di far ritorno in Francia ad Aix-en-Provence. Oltre al trasferimento, a dieci anni, un altro evento drammatico sconvolse la vita di Albertine: la violenza carnale subita da un quarantenne membro della famiglia Renoux. A quattordici anni, esasperata dalla ferrea disciplina del padre adottivo, che si manifestava attraverso l’imposizione di continui divieti, fuggì da casa. Non era la prima fuga. I rapporti con i genitori, sempre difficili e tesi, precipitarono. Insofferente a ogni forma di disciplina, aggressiva non solo a parole, Albertine si rivela una ragazza molto difficile da gestire sia per gli educatori che per i genitori adottivi, ormai in età avanzata. Contro il parere del giudice del tribunale per i minori, viene rinchiusa in riformatorio. A quindici anni, scortata da due agenti della polizia, il 20 novembre 1952 è condotta al Buon Pastore di Marsiglia. Otto mesi dopo, nel luglio del 1953, dopo aver superato gli esami orali di quinta ginnasio, evade e raggiunge Parigi in autostop dove, senza appoggi, minorenne e ricercata, si dà ai furtarelli e alla prostituzione per sopravvivere. Il 18 dicembre dello stesso anno, stanca di prostituirsi e decisa a fare un salto di qualità, con un’amica conosciuta al Buon Pastore, tenta una rapina in un negozio di abbigliamento. La rapina fallisce, ma l’amica che è armata della pistola che Albertine ha sottratto a suo padre, il colonnello, ferisce alla spalla la proprietaria del negozio. Arrestate entrambe due giorni dopo, vengono rinchiuse nel carcere di Fresnes, sezione femminile minorenni. Anick, com’era stata ribattezzata dalle sue compagne del riformatorio Buon Pastore (nome che la scrittrice conserverà per tutta la vita tra le persone a lei più care), viene sottoposta a perizia dalla psichiatra Gogois-Myquel nella prigione-scuola di Doullens, dove Albertine fu trasferita nel gennaio del 1956, dopo la sentenza, divenuta definitiva, nel processo del novembre 1955 presso la Corte minorile della Seanna a Parigi.

La psichiatra si accorge che quella ragazza, rotonda e sovrappeso, (65 kg per 1 metro e 47 cm), dai grandi occhiali da miope, possiede doti non comuni d’intelligenza e un bagaglio culturale che la distingue dalla massa delle compagne di pena. Pur mantenendo costantemente un contegno professionale, la aiutò a far emergere ciò che di migliore c’era nella sua personalità. Albertine, comunque, subisce una condanna pesante, sette anni, mentre l’amica solo cinque. Ma la condanna segna anche l’inizio della futura scrittrice che nel luglio del 1955 aveva sostenuto con successo la seconda parte dell’esame di maturità. Nella presentazione del suo romanzo La Cavale scriverà: “ La libertà e il carcere sono per me come due vestiti portati in alternanza”. Complessivamente rimarrà rinchiusa per oltre otto anni della sua breve esistenza. Durante un’evasione avvenuta il 19 aprile 1957, Albertine si frattura, nel volo di oltre 10 metri alla ricerca della libertà, un ossicino del tarso nel piede, essenziale per camminare, l’astragalo, che diventerà il titolo del suo romanzo più conosciuto.

La fuga sarebbe stata irrimediabilmente compromessa se un automobilista di passaggio non si fosse fermato a soccorrerla. È Julien Sarrazin, piccolo malavitoso uscito da poco dal carcere. Si prende cura di lei, la nasconde e ne paga la costosa latitanza. L’incontro si rivelerà decisivo: un amore profondo li unirà per tutta la loro tormentata vita. Prima del matrimonio, avvenuto il 7 febbraio 1959 davanti all’ufficiale civile del Comune di Amiens, Albertine era stata costretta a riprendere la strada del marciapiede per far fronte alle spese del proprio mantenimento, poiché Julien, arrestato ancora una volta, non era più in grado di provvedervi. Proprio in un incontro mercenario, avvenuto in quel periodo, nascerà l’amicizia con un uomo semplice, un meccanico divenuto il personaggio di Jean ne L’astragalo e quello dello “zio” ne La via traversa: si dimostrerà un sostegno fedele e fidato. Nel corso delle sue detenzioni, scriverà due romanzi, La Cavale e L’astragalo che, pubblicati a distanza di una settimana l’uno dall’altro dall’editore parigino Jean-Jacques Pauvert nell’autunno del 1965, conosceranno immediatamente un enorme successo. Nel 1966 sarà conferito alla scrittrice, per il romanzo La Cavale, un prestigioso premio letterario: il Premio delle Quattro Giurie (Femina,Renaudot, Goncourt, Interallié). Albertine dedicò La Cavale alla sua psichiatra con le parole: “A mia madre in sedicesimo, la dottoressa Gogois-Myquel”. Un terzo romanzo, La via traversa, scritto in regime di libertà, comparirà nelle librerie francesi sul finire del 1966. Anche questo romanzo conoscerà un notevole successo.

A Montpellier, 1966

L’anno successivo, non ancora trentenne, Albertine Sarrazin, muore nella sala operatoria della clinica Saint-Roch di Montpellier, non risvegliandosi più dall’anestesia dopo un intervento per l’asportazione di un rene.

In italiano L’astragalo è stato pubblicato da Mondadori nel 1966 e poi nel 2001 da L’ancora del Mediterraneo e La via traversa per le edizioni Tartaruga nel 2004. Una traduzione in italiano de La Cavale col il titolo “L’evasione” è stata curata da Aldo Giungi il quale così commenta: “Lo stile nuovo, agile, con espressioni tratte dal linguaggio parlato, un linguaggio popolare intriso di parole dell’argot carcerario mischiate sapientemente con la lingua colta: una scrittura originale, fuori dagli schemi codificati dei letterati”. Un’esistenza breve, un destino amaro, una fine precoce, ma una scrittrice che vale la pena di leggere.

Ho sentito improvvisamente un male al cuore, immenso, irresistibile, ho cominciato a piangere e a tremare in tutto il corpo, facendo in modo che le guardie non mi vedessero tremare; a piangere come non avrei mai più pianto, di rabbia, di compassione, di derisione, di dispetto“. (La via traversa)


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