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Scrittori dimenticati:Nino Salvaneschi

Post n°1664 pubblicato il 17 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

Nino Salvaneschi nacque a Pavia il 3 dicembre 1886. Iniziò la sua carriera giornalistica molto giovane, collaborando a vari quotidiani: la Gazzetta del Popolo, la Stampa di Torino, la Tribuna di Roma e il Corriere della sera di Milano; è stato anche tra i fondatori del giornale sportivo Guerin Sportivo. Durante la prima guerra mondiale si arruolò nella marina svolgendo con senso del dovere azioni che andavano contro i suoi principi d’uomo di pace e di libertà e alla fine del conflitto manifestò tutta la sua contrarietà con alcuni scritti raccolti e pubblicati nel libro Uccidiamo la Guerra. Sposò una donna che ebbe molta importanza nel suo destino d’uomo e di scrittore, descrivendola come una creatura mandatagli da Dio e insieme andarono ad abitare a Capri, dove inizierà a scrivere i primi abbozzi del libro Sirénide.

In seguito fu colpito da una grave malattia, con un susseguirsi di degenze ospedaliere, prima in quella di Rodi poi all’ospedale della Marina di Piedigrotta di Napoli. Questa lunga parentesi forzata della sua vita gli servì per trovare un equilibrio religioso. La sua inquietudine si dibatteva tra Gesù e Buddha.
Tutto cominciò dalla lettura di un piccolo libro che ebbe in regalo dalle suore infermiere, l’Imitazione di Cristo: questo fu il primo segno della crisi, ma risultò poi nel tempo essere stata la lettura più utile della sua vita, e lo avviò verso la completa devozione alla Chiesa Cattolica. Da quel momento la sua vita fu un peregrinare verso mete che a quell’epoca erano un "refugium peccatorum" per centinaia di fedeli: Assisi e San Giovanni Rotondo da Padre Pio di Pietrelcina che conobbe personalmente nel 1919.

Per alcuni anni lavorò come giornalista in Belgio e nel 1921 fondò a Bruxelles L'époque nouvelle, con l'intento di far conoscere l'Italia in quel paese, quando dovette rientrare in Italia a Torino nel 1923 a causa di una cecità permanente e totale, colpito nel fisico ma non nello spirito, continuò a raccogliere pur con gran difficoltà i suoi scritti di letteratura in oltre 30 libri. Il poeta Tagore lo esortò in quest’impresa con l’invito: "Se vuoi essere un cantastorie cieco, guarda la tua vita riflessa dentro di te e scrivi". L’ultimo lavoro che scrisse prima di diventare cieco, fu Sirenide . Da questo tragico evento la sua vita fu confortata solo dall’aiuto che dedicava ai suoi compagni per opere di tipo assistenziali.

Nel 1926 organizzò un corteo di persone cieche e le guidò in pellegrinaggio da Padre Pio di Pietrelcina, portando in dono un giglio, un olivo e un biancospino, simboli di purezza, umiltà, e tribolazioni: e il frate diventò per molti anni la sua guida spirituale.
Morì a Torino nel 1968.

Il percorso religioso [modifica]

Salvaneschi è stato definito da alcuni critici Il cantastorie di Dio colui che ha vissuto per regalare agli uomini di poca vista la meravigliosa luce della vita. Uomo di poco rumore privo d’ogni scandalo umanistico si dedicò alla sua gran passione, quella di trasmettere il suo amore, la sua fede attraverso la stesura di più opere, insegnando ad amare la vita e ad avere fede nei momenti di sconforto: proprio lui che rimase vittima di una grave malattia, quale la cecità, ha insegnato ad amare Dio e della sua vita ha fatto un bastone su cui appoggiarsi ed uno specchio a cui specchiarsi.

Salvaneschi è stato un uomo che vedeva dentro di sé senza paura di scoprire realtà che non poteva vedere. Ciò gli permetteva - data la sua situazione di non vedente - di divulgare una saggezza pari al suo amore verso la vita. Uno dei pochi, fu un poeta cieco ad inneggiare all’amore. Scrisse con intenzioni moraleggianti e religiose, avendo come ispiratrice l’oscurità della notte: efficace e toccante un suo scritto :

« Per quanto mi concerne, non muterei il mio destino di scrittore cieco con quello di nessun altro, anche perché mi consente di dire quello che vedo e di vedere chiaramente il mio sentiero terreno. E spesso ho vergogna di non poter offrire che una parola. Una parola soltanto… »

 

L’Associazione Nazionale ciechi - della quale fu per tanto tempo presidente - ha istituito in sua memoria il Premio Nino Salvaneschi per il giornalismo. In una delle sue conferenze a difesa dei suoi colleghi ciechi pronunciò queste parole:

« Noi siamo cavalli di razza abituati alla lotta e alla resistenza: i ciechi d'Europa per vincere la loro battaglia devono avere organizzazioni forti, unite, consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri.. »

 

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