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Lo scandalo della Banca Romana,nulla di nuovo sotto il sole

Post n°1998 pubblicato il 25 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

o scandalo della Banca Romana fu un caso politico-finanziario che coinvolse alcuni settori della Sinistra storica, accusati di collusione negli affari illeciti della Banca Romana, ex Banca dello Stato Pontificio, uno dei sei istituti che all'epoca erano qualificati ad emettere moneta circolante in Italia.

Storia La situazione bancaria in Italia 

Ancora tre decenni dopo l'Unità, in Italia vi erano ben sei banche centrali con la facoltà di emettere biglietti di banca intitolati al Regno d'Italia: la Banca Romana, la Banca Nazionale di Torino, il Banco di Napoli, il Banco di Sicilia, la Banca Nazionale Toscana e la Banca Toscana di Credito.

All'epoca, le maggiori banche italiane si erano impegnate in prestiti a lungo termine soprattutto nel settore dell'industria edilizia e finirono col rimanere strettamente legate a quelle imprese da cui dipese alla fine la loro vita. A causa della crisi del settore edilizio, crollarono numerose banche: il Banco di Sconto e Sete, la Banca Tiberina, il Credito Mobiliare, la Banca Generale.

Il tonfo più clamoroso fu quello della Banca Romana per lo scandalo politico-finanziario che ne derivò. Lo scandalo della Banca Romana, e in generale la crisi del sistema bancario, era causato dalla grave depressione iniziata nel 1887-88 e dagli eccessivi investimenti nel settore edilizio, dopo il trasferimento della capitale, specialmente a Roma e a Napoli a seguito delle operazioni di risanamento seguite al colera del 1884, che si rivelarono fallimentari per la stessa Banca Romana.

Per coprire le perdite, l'istituto di credito della capitale non solo iniziò a emettere nuova moneta senza autorizzazione, ma arrivò addirittura a stampare due serie di biglietti con lo stesso numero di serie, in modo da raddoppiare, senza darlo a vedere, l'emissione di moneta in circolazione.

L'inchiesta 

Nel giugno del 1889 il Ministro dell'Agricoltura, Industria e Commercio del Governo Crispi I, Luigi Miceli, dispose un'indagine ispettiva su tutti gli istituti di emissione. L'inchiesta fu affidata al senatore Giuseppe Giacomo Alvisi e al funzionario del Tesoro Gustavo Biagini. L'indagine dette risultati contraddittori: fu riscontrato un disavanzo di nove milioni di lire, reintegrato tuttavia il giorno successivo e spiegato con l'"imperizia" degli inquirenti.

Il 30 giugno 1891, il Governo di Rudinì I si oppose a che il senatore Alvisi riferisse in Senato i risultati dell'ispezione da lui condotta "in nome dei supremi interessi del Paese e della Patria"[1].

Prima della sua morte, avvenuta il 24 novembre 1892, Alvisi confidò ad alcuni amici i risultati dell'inchiesta, che vennero resi noti il 20 dicembre 1892 dal deputato radicale Napoleone Colajanni: la Banca Romana, a fronte dei 60 milioni autorizzati, per cui possedeva sufficienti riserve auree, aveva emesso biglietti di banca per 113 milioni di lire, incluse banconote false per 40 milioni emesse in serie doppia[2].

Per accertare le modalità di quelle emissioni fu proposta un'inchiesta parlamentare a cui si oppose il presidente del Consiglio Giovanni Giolitti che promosse invece un'inchiesta presieduta dal primo presidente della Corte dei Conti Enrico Martuscelli. La contrarietà di Giolitti sembrerebbe dovuta a coprire il coinvolgimento nella faccenda del re Umberto I, il quale era fortemente indebitato con la banca.[3]

Il 20 gennaio 1893 Martuscelli riferì l'esistenza delle irregolarità: il governatore della Banca Romana Bernardo Tanlongo e il direttore Michele Lazzaroni vennero arrestati, mentre il deputato Rocco de Zerbi, contro cui la Camera dei deputati aveva concesso l'autorizzazione a procedere per l'accusa di aver appoggiato per denaro la dirigenza della Banca Romana, morì improvvisamente, probabilmente suicida.

Il processo 

Dal carcere Bernardo Tanlongo (l'ex governatore della Banca Romana) affermò di aver dato cospicue somme anche a diversi presidenti del consiglio, tra cui Giovanni Giolitti e Francesco Crispi. Giolitti, in risposta ad interrogazioni ed interpellanze parlamentari, negò di essere stato a conoscenza della relazione Alvisi-Biagini e di aver ricevuto denaro dalla Banca.

Il 21 marzo 1893 fu nominato un comitato di sette parlamentari che il 23 novembre 1893 presentò al presidente della Camera la relazione finale nella quale si affermava che fra i beneficiari dei prestiti vi erano 22 parlamentari, fra cui Crispi. Il processo del 1894 si concluse con l'assoluzione degli imputati: per evitare che l'inchiesta travolgesse uomini di spicco della politica italiana, i giudici nella sentenza denunciarono la sparizione di importanti documenti, necessari a provare la colpevolezza degli imputati. Il procedimento penale venne quindi archiviato senza emettere alcuna condanna.

Conseguenze dello scandalo [modifica]

Lo scandalo ebbe non soltanto enorme risonanza nell'opinione pubblica, ma anche pesanti ripercussioni sia a livello politico, sia sul sistema economico e bancario italiano.

A seguito del caos finanziario, il capo del governo Giovanni Giolitti istituì commissioni di inchiesta e pose mano rapidamente al riordino del sistema creditizio. Con la legge n. 449 del 10 agosto 1893 fu fondata la Banca d'Italia attraverso la fusione della Banca Nazionale con le due banche toscane. Alla nuova banca fu affidata la liquidazione della Banca Romana. L'emissione di moneta rimase competenza di soli tre istituti: la Banca d'Italia, in posizione di leadership, il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia. Questi ultimi sarebbero stati spogliati della facoltà di emissione nel 1926.

Sul piano politico, il procedere del processo penale e dello scandalo derivato dalla vicenda, con il sospetto di coinvolgimento degli uomini politici e di occultamento delle prove, portò nel novembre 1893 ad una crisi politica e alle dimissioni di Giovanni Giolitti da capo del Governo, sostituito in dicembre da Francesco Crispi. Giolitti sarebbe tornato alla presidenza del Consiglio soltanto dieci anni dopo. Tra la fine del 1893 e l'inizio del 1894 crollarono il Credito mobiliare e la Banca Generale, ma il nesso tra questi fallimenti e le vicende della Banca Romana è assai tenue

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