Il labirinto
blog diarioMessaggi di Marzo 2012
nacque a Luino (Varese) il 23 marzo 1913 da Eugenio, siciliano immigrato al Nord come impiegato delle Regie Dogane, e Virginia Maffei. Coetaneo ed amico del compaesano Vittorio Sereni, Chiara studiò in diversi collegi, tra cui il San Luigi di Intra e il De Filippi di Arona (di fronte alla statua di San Carlo Borromeo, spesso rievocata nelle sue opere): in realtà il futuro scrittore rimase un autodidatta e, solo nel 1929, dopo una serie di disavventure scolastiche, ottenne il diploma di licenza complementare come privatista.
Dopo aver compiuto vari mestieri viaggiando tra Italia (Roma, Napoli) e Francia meridionale (Nizza e Lione), Chiara vinse un concorso come aiutante di cancelleria e, come dipendente della magistratura, lavorò in numerose sedi, da Pontebba a Cividale, fino al trasferimento a Varese dove restò in carica fino al raggiungimento dell’età pensionabile. Al 1936 risale il matrimonio con Jula Scherb, dalla quale Chiara ebbe un figlio, Marco, ma il matrimonio naufragò presto.
Nel 1940 lo scrittore venne richiamato alle armi ma venne congedato poco tempo dopo; nel 1944, in seguito ad un ordine di cattura emesso dal Tribunale Speciale Fascista, Chiara si rifugiò in Svizzera dove visse come internato in varie località tra cui Bellinzona, Lugano e Loverciano presso Mendrisio. Dopo essere stato liberato restò in Svizzera per qualche tempo insegnando storia e filosofia al liceo italiano dello Zugerberg: in Svizzera venne pubblicata la prima opera di Chiara, la raccolta di poesie Incantavi (1945) il cui titolo allude ai covoni di grano che vengono chiamati così nel dialetto luinese. Nel 1950 uscirono a Lugano le prose di Itinerario svizzero e nel 1959 venne pubblicato il volume Dolore del tempo che comprende prose e racconti.
Tornato in Italia, Chiara si sposò una seconda volta (1955) e, da allora fino alla morte (31 dicembre 1986), si dedicò, oltre che alla letteratura, al giornalismo, collaborando alla terza pagina del «Corriere della Sera». Il suo primo romanzo, Il piatto piange (1962), venne pubblicato da Mondadori su proposta di Vittorio Sereni. Il libro, che rievoca la vita dei caffè luinesi negli anni Trenta, ottenne subito un grande consenso di pubblico e di critica e il successo venne confermato da La spartizione (1964, Premio Selezione Campiello) e Il balordo (1967, Premio Bagutta). Tra i due romanzi si collocano i racconti di Con la faccia per terra e altre storie (1965) dove il ricordo dell’autore si sofferma sulla Sicilia, terra d’origine del padre Eugenio.
Tra i titoli narrativi più importanti L’uovo al cianuro e altre storie (racconti, 1969), I giovedì della signora Giulia (1970, romanzo-sceneggiatura di un film per la Tv la cui prima stesura risale al 1962), Il pretore di Cuvio (romanzo, 1973), Sotto la Sua mano (racconti, 1974), La stanza del vescovo (romanzo, 1976), Le corna del diavolo (racconti, 1977), Il cappotto di astrakan (romanzo, 1978), Una spina nel cuore (romanzo, 1979), Le avventure di Pierino al mercato di Luino (racconti, 1980), Vedrò Singapore? (romanzo, 1981), Viva Migliavacca! e altri 12 racconti (1982), 40 storie di Piero Chiara negli elzeviri del «Corriere» (1983), Il capostazione di Casalino e altri 15 racconti (1986), Saluti notturni dal passo della Cisa (romanzo, postumo 1987).
Da ricordare, accanto all’attività di scrittore che è quasi sempre legata alla rievocazione di storie e personaggi di Luino e del Lago Maggiore, quella di saggista e curatore: dopo aver curato, con Luciano Erba, l’antologia poetica Quarta generazione (1954), Chiara si occupò di Casanova curandone la Storia della mia vita (1964-65, poi ritradotta insieme a F. Roncoroni e pubblicata in 3 volumi nel 1983) e l’Epistolario (1969), e curò le Poesie di Giorgio Baffo (1974) tanto da essere ben presto riconosciuto come uno dei massimi esperti del Settecento veneziano. Intenso anche il rapporto con Boccaccio che Chiara riconobbe sempre come uno dei suoi modelli maggiori: il commento al Decameron è del 1976 mentre la Vita di Gabriele D’Annunzio risale al 1978. Nel 1985 venne pubblicato il volume Una storia italiana. Il caso Leone, mentre postumi sono usciti, tra gli altri, il volume di prose varie Gli anni e i giorni (1988) e, nello stesso anno, i racconti riuniti sotto il titolo Di casa in casa, la vita.
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Henry Graham Greene (Berkhampsted, 2 ottobre 1904 – Corsier-sur-Vevey, 3 aprile 1991) è stato uno scrittore, drammaturgo, sceneggiatore, autore di libri di viaggi, agente segreto e critico letterario inglese.
Le sue opere esplorano la morale ambivalente e le questioni politiche del mondo moderno. Greene è stato uno scrittore impegnato ma ha conosciuto anche grande popolarità.
Anche se Greene rifiutava di essere definito un romanziere cattolico piuttosto che un romanziere che era anche cattolico, i temi religiosi cattolici sono alla radice di molti suoi scritti, specialmente i quattro romanzi cattolici maggiori: La roccia di Brighton, Il nocciolo della questione, Fine di una storia e Il potere e la gloria. Opere come Un americano tranquillo, Il nostro agente all'Avana e Il fattore umano mostrano anche un grande interesse per le operazioni di politica internazionale e spionaggio.
Greene soffriva di un disturbo bipolare, che ebbe una profonda influenza sulla sua scrittura e lo portò a degli eccessi nella vita privata. In una lettera a sua moglie Vivien, Greene le diceva che lui aveva «un carattere profondamente incompatibile con la vita domestica quotidiana» e che «sfortunatamente, la malattia è anche una parte rilevante di una persona».
Vita e opere
Infanzia
Nacque nel 1904 a Berkhampsted, nei pressi di Londra, quarto di sei figli. Il fratello minore Hugh Greene diventò direttore generale della BBC; il fratello maggiore Raymond Greene divenne un famoso fisico e alpinista.
I suoi genitori, Charles e Marion Greene (nata Raymon), erano cugini di primo grado, appartenenti a una grande e influente famiglia che comprendeva i Greene King, proprietari di un birrificio, banchieri e uomini d'affari. Charles Greene era vicedirettore alla Berkhamsted School, il cui direttore era Thomas Fry (sposato a una cugina di Charles). Un altro cugino era il pacifista di destra Ben Greene, internato durante la seconda guerra mondiale a causa delle sue idee politiche.
Nel 1910 Charles Greene assunse la direzione della Berkhamsted School, che Graham frequentava. Vittima di bullismo e profondamente depresso come convittore, tentò il suicidio diverse volte, alcune delle quali alla roulette russa, come lui stesso affermò (il biografo Micheal Shelden non dà credito a tale affermazione). Nel 1920, all'età di 16 anni, fu seguito da uno psicoanalista per sei mesi, dopodiché tornò a scuola ma non come interno. Tra i suoi compagni di scuola ci furono Claud Cockburn e Peter Quennel. Passato al Balliol College di Oxford, frequenta i circoli letterari e politici iscrivendosi al Partito Comunista, che abbandona dopo poco più di un mese. All'epoca, nel 1925, fu pubblicata la sua prima opera, Babbling April, un volume di poesia che non ricevette una grande accoglienza.
Inizi della carriera
Dopo la laurea in storia, Greene intraprese con successo la carriera di giornalista, prima al Nottingham Journal, e poi come redattore del The Times. Quando era a Nottingham cominciò una corrispondenza con Vivien Dayrell-Browning, una convertita al cattolicesimo che gli aveva scritto per correggerlo circa un aspetto della dottrina cattolica. Nel 1926,(episodio descritto in A Sort of Life) una crisi religiosa lo induce ad abbandonare il protestantesimo per convertirsi al cattolicesimo, e da quel momento la sua opera letteraria ne fu profondamente influenzata. Fu battezzato nel febbraio dello stesso anno. Sposò Vivien nel 1927 ed ebbero due figli, Lucy (1933) e Francis (1936). Nel 1948 Greene lasciò Vivien per Dorothy Glover. Ebbe relazioni con numerose donne, ma non divorziò mai.
Dal 1930 al 1935 si dedicò unicamente alla narrativa, pubblicando un libro all'anno. Nel 1935 tornò al giornalismo diventando critico cinematografico per lo Spectator fino al 1939.
Viaggi
Per tutta la vita Greene intraprese viaggi che lo condussero lontano dall'Inghilterra, in luoghi che lui definiva selvaggi e remoti. I viaggi portarono al suo reclutamento nel MI6 da parte di sua sorella, Elisabeth, che lavorava per l'organizzazione, e durante la seconda guerra mondiale fu inviato in Sierra Leone. Kim Philby, che in seguito si scoprì essere una spia sovietica che faceva il doppio gioco, era supervisore e amico di Greene al MI6. Come romanziere, Greene utilizzava i personaggi che incontrava e i posti in cui viveva per creare il tessuto dei suoi romanzi.
Lasciò l'Europa per la prima volta all'età di 31 anni, nel 1935, per un viaggio in Liberia da cui scaturì il libro Journey Without Maps. Il suo viaggio in Messico nel 1938, per vedere gli effetti della campagna governativa di secolarizzazione forzata, fu finanziato dalla casa editrice Longman, grazie alla sua amicizia con l'editore Tom Burns. Da quel viaggio scaturirono due libri, la relazione The Lawless Roads (pubblicata su Another Mexico negli U.S.A.) e il romanzo Il potere e la gloria. Nel 1953 la congregazione per la Dottrina della Fede informò Greene che Il potere e la gloria stava danneggiando la reputazione del clero, ma in seguito, in una udienza privata con Greene, Papa Paolo VI gli disse che, sebbene parti del suo romanzo potessero aver offeso alcuni cattolici, non avrebbe dovuto attribuire alcuna importanza a questo.Greene si recò ad Haiti, governata da François Duvalier, alias "Papa Doc", dove è ambientata la storia di I commedianti (1966). Il proprietario dell'Hotel Oloffson a Port-au-Prince, dove Greene soggiornava spesso, chiamò una stanza con il suo nome, in suo onore.
C'è tanta stanchezza e disappunto nei viaggi che le persone devono aspettarsi – nelle stazioni, sui ponti dei traghetti, sotto le palme nel cortile degli alberghi in un giorno di pioggia. Devono passare il tempo in qualche modo, e possono passarlo solo con se stesse. Come i personaggi di Chekhov esse non hanno riserve; si vengono a sapere i segreti più intimi. Si riceve l'impressione di un mondo popolato da eccentrici, di strane professioni, di stupidità quasi incredibili e, per riequilibrarle, di sopportazioni sorprendenti.
(Graham Greene)
Ultimi anni
Nel 1966 Greene si trasferì ad Antibes, per essere vicino a Yvonne Cloetta, che conosceva sin dal 1959, una relazione che durò fino alla morte dello scrittore. Nel 1981 gli fu conferito il Jerusalem Prize, assegnato agli scrittori per il loro impegno relativo alla libertà dell'individuo nella società. Una delle sue ultime opere, il J'Accuse – The Dark Side of Nice (1982), riguardava una questione legale in cui erano coinvolti lui e la sua famiglia allargata a Nizza. Greene dichiarò che il crimine organizzato era fiorente a Nizza, perché i vertici delle autorità cittadine avevano protetto la corruzione di magistratura e polizia. L'accusa provocò un processo per diffamazione che vide Greene perdente. Nel 1994, dopo la sua morte, Greene fu vendicato perché l'ex sindaco di Nizza, Jacques Médecin, fu incarcerato per corruzione e crimini correlati.
Passò gli ultimi anni della sua vita a Vevey, sul Lago di Ginevra, in Svizzera. Il suo libro Il Dottor Fisher a Ginevra, ovvero la cena delle bombe (1980) è basato su tematiche e influenze filosofiche e geografiche. Greene aveva smesso di partecipare alla Messa e di confessarsi negli anni '50, ma ricevette i sacramenti da Padre Leopaldo Durán, un prete spagnolo che era divenuto suo amico. Morì all'età di 86 anni nel 1991 e fu sepolto nel cimitero di Corsier-sur-Vevey.
Il suo biografo ufficiale, Norman Sherry, pubblicò il terzo e ultimo volume de La vita di Graham Greene nell'ottobre del 2004. Sherry seguì i passi di Greene, soffrendo talvolta per le stesse malattie di Graham e nello stesso luogo. La biografia rivela che Greene continuò a informare l'intelligence britannica fino alla sua morte, cosicché studiosi e lettori hanno a lungo dibattuto l'interessante questione se Graham Greene fosse un romanziere che era anche una spia, o una spia per cui una carriera di scrittore durata tutta la vita fosse una copertura perfetta.
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Nancy Mitford was born on 28 November 1904 in London, the eldest of the six legendary Mitford sisters. Their father, Lord Redesdale, a countryman at heart, worked in London at the office of The Lady until 1914. After the war he moved his family to Oxfordshire.
Nancy and her sisters were educated at home and relied mainly on one another for company. Her high spirits and funniness lit up the family atmosphere but she was also a remorseless tease. The jokes, rivalries and passions of the Mitford childhood went straight into her highly autobiographical novels.
Nancy grew up partly in the 1920s of The Bright Young Things and partly in the politically polarized 1930s. Her sisters Diana and Unity were drawn to the extreme Right and Jessica to the Left. Nancy wavered between the two but could never take politics – or indeed anything– very seriously.
Nancy started writing for magazines in 1929 and became a regular contributor to The Lady. In 1931, she published her first novel, Highland Fling.
During the war she worked at Heywood Hill, the Mayfair bookshop, which became a meeting place for London literary society and her friends.
Nancy fell in love with three un- satisfactory men. The first, Hamish Erskine, was homosexual but her infatuation with him lasted five years. In 1933 she married Peter Rodd, a clever, delinquent bore. They separated after the war and were divorced in 1958. In London during the war she met Gaston Palewski, a Free French officer and General de Gaulle’s chief of staff, at whose feet she laid all her passion and loyalty for over thirty years. Gaston never returned her love but they remained friends until her death.
‘If one can't be happy one must be amused don't you agree? ' Nancy wrote to a friend. It could stand as the motto for her life. She hid her deepest feelings behind a sparkling flow of jokes and witty turns of phrase, and was the star of any gathering.
Childless and unfulfilled in love she may have been, but Nancy found huge success as a writer. Her fifth novel, The Pursuit of Love (1945), was a phenomenal best seller and made her financially independent for the first time.
In 1946 she moved to Paris to be near Gaston Palewski and remained in France for the rest of her life. She adored the country and saw everything French through rose-tinted spectacles. Separation and distance from her various friends and relations produced a flood of marvellous letters that are as important a part of her literary output as her books.
In the late 1950s Nancy started writing about the history of France, describing historical characters as if they were her friends and contemporaries. These biographies were as successful as her
novels. The Sun King, a brilliant evocation of the court of Louis XIV, was a worldwide bestseller.
In the early 1950s Nancy wrote a regular column for the Sunday Times and continued to be in demand as a journalist and reviewer until the end of her life. Her friend Evelyn Waugh said that it was her true metier. A light-hearted article she contributed to Encounter on the English aristocracy in 1954 sparked a hullabaloo over upper-class and non upper-class (U and non-U) speech and was a tease that even she thought went too far.
In 1969 she moved to a house in Versailles and soon afterwards began to suffer from the onset of a rare form of Hodgkin's disease. Except for a few periods of remission, she was in great pain for over four years, which she bore with heroic courage.
Nancy died on 30 June 1973 at home in Versailles. Her ashes are buried at the Church of St. Mary's in Swinbrook, Oxfordshire,
where her parents and her sisters Pamela, Diana and Unity also lie.
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Nato a Lercara Friddi il 26 gennaio 1878 e morto a Palermo il 15 gennaio 1964 – figlio dell’on. avv. Camillo (ex garibaldino ed ex Ministro di Grazia e Giustizia nel governo Fortis), e di Giovanna Sartorio –, Andrea Finocchiaro Aprile leader carismatico del Movimento per l’Indipendenza della Sicilia. Giurista, uomo di Stato, docente di Storia del Diritto nelle Università di Ferrara, Siena e Camerino, era stato già Deputato nel 1913, 1919, 1921 e Sottosegretario alla Guerra e al Tesoro nei Governi di Francesco Saverio Nitti.
Dal 1916 al 1919 membro del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, nel 1925 fu chiamato a far parte della “Commissione Mista” incaricata di studiare le modifiche da apportare alla legislazione ecclesiastica.
Deputato alla Costituente (1946), nel 1947 venne eletto alla prima Assemblea Regionale Siciliana. Fervente antifascista, durante il regime fu sorvegliato con discrezione ma con continuità dalla Polizia. Eloquenti, a tal proposito, sono i rapporti della Polizia Politica che negli anni ’30, del secolo scorso, annotava persino le conversazioni private del futuro leader del Separatismo durante la sua partecipazione a ricevimenti nei salotti della Roma “bene”.
Ancor prima dello sbarco degli Alleati, nel periodo che va dal 1940 al 1943, Andrea Finocchiaro Aprile cominciò a tessere trame separatiste e colse ogni occasione per tornare a Palermo per prendere contatti con gruppi politici e con intellettuali antifascisti, ai quali propose di evolversi in senso separatista.
In quel momento godeva grande prestigio e vantava due credenziali: quella di essere esponente di primo piano della Massoneria, Gran Maestro dell’Ordine Grado 33° iscritto alla loggia antiregionalista di Palazzo Giustiniani; e quella di essere conosciuto e apprezzato in campo internazionale e soprattutto negli ambienti politici inglesi e americani.
Non a caso il 9 luglio 1943, quando gli Alleati sbarcarono a Gela, Andrea Finocchiaro Aprile, si trovava a Palermo e passava all’attuazione del progetto che aveva a lungo pensato dando vita al Cis (Comitato per l’Indipendenza della Sicilia), divenuto successivamente Mis (Movimento per l’Indipendenza della Sicilia).
Con il “Memorandum”, datato 31 marzo 1945(663° Anniversario del Vespro Siciliano), inviato alla Conferenza di San Francisco e con l’”Appello”, datato 1 settembre 1945, indirizzato alle “Grandi Potenze” riunite a Londra, rivendicò il diritto del Popolo Siciliano ad esprimersi con un “plebiscito” sulla decadenza della Monarchia Sabauda e sulla elezione della Sicilia a Stato Sovrano democratico e repubblicano, secondo il principio dell’autodeterminazione dei popoli che era alla base dei valori morali e giuridici della Società delle Nazioni e successivamente dell’Onu.
Questo tentativo di dare uno sbocco internazionale alla questione siciliana, fu considerato molto più grave delle grandi sommosse che scoppiavano in quell’epoca in Sicilia. Una colpa che non venne mai perdonata ad Andrea Finocchiaro Aprile, che pure era fondamentalmente moderato, tollerante, disposto al dialogo.
Così, il Governo italiano, presieduto da Ferruccio Parri, ordinò l’arresto del leader indipendentista e dei suoi collaboratori Antonino Varvaro e Francesco Restuccia, disponendone l’internamento a Ponza, dove grazie alla mediazione del Ministro Giuseppe Romita si patteggiò la concessione dello Statuto Speciale di Autonomia per la Sicilia.
Fu anche giudice dell’Alta Corte, suprema garanzia per l’Autonomia siciliana, prevista dall’art. 24 dello Statuto ed oggi di fatto soppressa a seguito di una unilaterale e controversa sentenza della Corte Costituzionale.
Nel 1948 rifiutò la nomina di Senatore a vita, preferendo affrontare una difficile, coraggiosa e disastrosa campagna elettorale, e per evitare gli sbarramenti previsti dalla legge elettorale, stipulò un’alleanza strategia con la Sud Tirole Wolke Partei, presentando unico contrassegno elettorale costituito dal simbolo della Trinacria con tre Edelweis al posto delle spighe. Successe che il Partito Tirolese ottenne una rappresentanza parlamentare ed il Mis nessun seggio.
Sorge spontanea una domanda: per quale motivo Andrea Finocchiaro Aprile rifiutò la nomina di Senatore a vita e preferì affrontare la bocciatura nelle elezioni politiche del 1948?
Avanziamo una nostra risposta, frutto di ricerche e riflessioni.
Andrea Finocchiaro Aprile tornò in Sicilia nel 1943 per porre in essere un progetto indipendentista voluto, fortemente, dalla Massoneria, in quel particolare momento storico. Sicuramente, per scongiurare una probabile ingerenza comunista nell’area mediterranea. Man mano, il leader si convertì alla “causa siciliana” e ci credette veramente, ma nel frattempo gli interessi massonici erano mutati.
Finocchiaro non volle tornare indietro, non abiurò (forse lo fece in parte accettando le condizioni di Ponza). Rifiutò la nomina di Senatore a vita, per consegnarsi al giudizio della “storia” e dimostrare di aver servito la causa siciliana con sentimenti sinceri.
Si ritirò dalla politica attiva ”assonnandosi”, cosciente di esser stato messo all’angolo dalla Massoneria.
A tanti anni dalla sua morte ci accorgiamo come ritorna attuale la “visione federalista” dello Stato italiano che Finocchiaro Aprile sostenne dal 1945 in poi, e la esigenza di“moralizzare” la vita pubblica (che con i suoi interventi alla Costituente perorò con coraggio e con documentazione inoppugnabili).
L’uno e l’altro impegno sono oggi rivalutati da politologi e da costituzionalisti. Senza dubbio, in Andrea Finocchiaro Aprile ci fu qualche errore e qualche contraddizione. È, tuttavia, umano che fosse così.
Leonardo Sciascia diceva: “Ho contraddetto e mi sono contraddetto”. Ma le contraddizioni e gli errori non ci consentono di ignorare i meriti di un uomo che si è battuto per tutta la vita affinché la Sicilia tornasse ad occupare in Europa, nel Mediterraneo e nel mondo “il posto che la sua storia, la posizione geografica e la operosità del suo popolo le hanno assegnato”.
La parole più famose: “Noi vogliamo difendere e diffondere un’idea della cui santità e giustizia siamo profondamente convinti e che fatalmente e ineluttabilmente trionferà” (Andrea Finocchiaro Aprile – 1944)
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Il separatismo è un fenomeno strettamente legato al periodo 1943-47 e alla rottura della compagine nazionale causata dall'occupazione alleata ed è dovuto al ritorno in auge dei notabili prefascisti provocato dalla catastrofe bellica e postbellica. Il disfacimento del regime fascista consentì all'ultima generazione dei politici professionali dell'età liberale di tornare attivi. Personaggi come Andrea Finocchiaro Aprile e Giovanni Guarino Amella, e molti altri politici rimasti forzatamente a riposo per vent'anni, si posero alla testa del Comitato per l'indipendenza della Sicilia, che all'arrivo degli Alleati (28 luglio '43) cercò di proporsi come interlocutore privilegiato per la costituzione di un governo provvisorio. Il più noto di loro era Finocchiaro Aprile, figlio di quel Camillo che era stato ministro di Grazia e Giustizia con Giolitti. Ma vediamo di inquadrare il personaggio: Andrea aveva avuto un ruolo importante nella fase liberal democratica del primo dopoguerra, come sottosegretario alla Guerra e alle Finanze nel governo Nitti, era un alto dignitario della massoneria e nella fase di normalizzazione del consenso al regime fascista, desideroso di ritornare a ricoprire un ruolo politico di primo piano, si era rivolto a Mussolini per ottenere la nomina a senatore e la carica di direttore generale del Banco di Sicilia. Pur di ingraziarsi il duce, dopo la promulgazione delle leggi razziali, arrivò persino a denunciare, con lettera a Mussolini dell'11 novembre 1939, il direttore allora in carica, Giuseppe dell'Oro, in quanto ebreo e perciò indegno di ricoprire tale incarico. Nella visione di Finocchiaro Aprile il sicilianismo, la ricerca di un'identità, era fortemente influenzato dalle tematiche antiplutocratiche e antisemite dell'ultimo fascismo. Ma questa ricerca di identità comportò alla fine chiusura e provincialismo, riproponendo in piccola scala quello che l'ipernazionalismo fascista aveva provocato su grande scala, discriminando ed escludendo cittadini in base alle opinioni, poi in base a criteri sempre più arbitrari come quello delle appartenenze razziali. Proprio davanti a queste differenti e convulse fasi della politica italiana degli anni Trenta e Quaranta riemerse la vocazione trasformista della classe politica prefascista meridionale. Con l'occupazione alleata si presentò ad essa una nuova opportunità.
All'arrivo degli anglo-americani un manifesto accolse i liberatori annunciando alla cittadinanza gli obiettivi del Comitato per l'indipendenza: si dichiarava decaduta la monarchia e, con essa, l'obbligo statutario, sancito dal plebiscito del 1860, di fedeltà da parte dell'isola all'unità nazionale; di conseguenza, si chiedeva agli Alleati di proclamare una repubblica siciliana. I Savoia erano accusati dei torti storici fatti all'isola e di aver agevolato l'ascesa del fascismo. Inizialmente alcuni esponenti dell'antifascismo siciliano interpretarono questa presa di posizione come il tentativo di creare le basi di un nuovo Stato italiano, in concorrenza con il fascismo al nord e con il governo instaurato al sud dopo la fuga del re dell'8 settembre. Ma i separatisti, in realtà, erano interessati solo a staccarsi dalla compagine nazionale per sottrarsi alle responsabilità della guerra e della sconfitta che fatalmente sarebbero ricadute sull'Italia. Soprattutto volevano evitare che le aspirazioni democratiche che già serpeggiavano nel paese e in Europa potessero contagiare la Sicilia. Tuttavia anche se le proposte del Comitato per l'indipendenza della Sicilia non ebbero grande accoglienza da parte degli Alleati che cercavano un interlocutore a livello nazionale, rappresentarono il punto di partenza di un nuovo movimento politico che convergeva con gli interessi dei possidenti agrari del catanese e del palermitano, interessati a mantenere la propria egemonia al di là del mutamento di regime. Infatti aderirono all'appello i grandi proprietari isolani, quelli stessi che già nel primo dopoguerra, dalle file del partito agrario, avevano appoggiato il fascismo, come i Tasca, i Carcaci, i Bruno di Belmonte. L'adesione dei maggiori possidenti trainò quella dei ricchi gabellotti mafiosi, come Genco Russo da Mussomeli, Michele Navarra da Corleone, e il più noto tra tutti, don Calò Vizzini da Villalba. Altro gruppo di rilievo del separatismo fu quello dell'élite agraria di Caltagirone che si richiamava all'insegnamento di Luigi Sturzo; questo gruppo si era impadronito del potere locale fin dagli anni Trenta, stretto attorno alla sturziana Cassa rurale S. Giacomo.
I separatisti presentavano il fascismo, alla classe dominante isolana, come "malattia del nord": nasceva così il mito dell'estraneità della Sicilia al fascismo, che avrebbe contribuito ad avvicinare agli indipendentisti i ceti medi, della sua tiepida adesione, di un precoce distacco che ora i separatisti compendiavano nel rifiuto dello Stato unitario. Secondo i separatisti, la Sicilia aveva solo subito il fascismo. Alle "degenerazioni" dell'industrialismo, separatisti e agrari contrapponevano l'immagine di una società governata dalla sua naturale élite fondiaria, capace di imboccare la via del progresso e della modernità attraverso uno sviluppo commerciale e agricolo. L'aggressività ed il nazionalismo erano presentati come la conseguenza del protezionismo industriale, l'organizzazione dell'economia di guerra, con gli ammassi alimentari obbligatori e l'intervento dello stato per la trasformazione del latifondo, venivano presentati come un attacco alla Sicilia.
La tutela statale, sempre goduta dalle classi dominanti siciliane e che aveva consentito il perpetuarsi di un'anacronistica arretratezza in Sicilia, stava per finire e con l'invasione degli alleati, i grandi proprietari avevano avuto l'opportunità di dissociarsi per primi dell'imbarazzante solidarietà con le classi dominanti nazionali e con la monarchia, pensando che le une e l'altra sarebbero certamente state travolte assieme al fascismo. Accanto ai gruppi agrari però si segnalavano nel movimento indipendentista alcuni personaggi di tutt'altra estrazione, indicati come i rappresentanti della frazione di sinistra del separatismo, con spiccate propensioni verso idee socialiste. Tra di essi l'esponente di maggior rilievo era Antonio Canepa, figura di intellettuale antifascista, e contemporaneamente docente di dottrina del fascismo presso l'Università di Catania e agente dell'Intelligence Service. Teorico del separatismo, fu ucciso il 17 giugno del 1945, dopo una breve esperienza da guerrigliero, in un conflitto a fuoco con i carabinieri. Come ricorda Salvo Barbagallo, in "Una rivoluzione mancata", non era soltanto un teorico e un uomo di studio, ma soprattutto, un uomo di azione: il capo del movimento clandestino indipendentista dei gruppi di Giustizia e libertà ai quali si devono le uniche azioni di guerra partigiana nell'Isola dall'inizio del 1941 al giugno 1943. Egli considerava possibile una rivoluzione sociale in Sicilia, immettendo queste problematiche all'interno del più generale movimento separatista ma le sue posizioni e le idee che promulgava per mezzo stampa non passarono inosservate tra i capi reazionari del movimento indipendentista e Canèpa ben presto, grazie anche alla consistenza numerica e qualitativa dell'esercito di liberazione da lui fondato (EVIS , Esercito Volontario di Indipendenza Siciliano), venne identificato come un pericolo maggiore dello stesso esercito italiano.
Dopo lo sbarco militare alleato le aspettative dei separatisti si concentrarono sul progetto di governo approntato da costoro. Il progetto non era sostenuto da obiettivi ben definiti sul futuro assetto dell'Italia ma più semplicemente tendeva a garantire la legge e l'ordine con un impiego minimo di personale. Gli alleati facevano affidamento sulla possibilità di utilizzare le strutture amministrative esistenti demandandone la direzione a funzionari italiani posti sotto il controllo di Civil Affairs Officers. Gli inglesi riponevano fiducia nella possibilità di ottenere collaborazione dagli elementi più in vista della classe dominante locale e della gerarchia ecclesiastica, partendo dal presupposto che, specialmente tra i primi, fossero molto diffuse le simpatie per l'Inghilterra. L'influenza sociale esercitata dagli esponenti dei ceti superiori e dal clero avrebbe facilitato i rapporti con la popolazione e con i funzionari italiani, sul modello dell'Indirect rúle, già sperimentato in alcune aree di dominio inglese.
Ma in Sicilia le cose non erano così semplici: intanto la classe dominante locale colse l'occasione che le veniva offerta e con la complicità di alcuni ufficiali britannici elaborò una curiosa teoria, quella della "parentela normanna": i duchi di Carcaci e i marchesi di San Giuliano, rivendicarono la loro antica presenza in Sicilia a fianco del conte Ruggero e, quindi, la loro parentela con l'aristocrazia inglese che vantava la stessa origine normanna. Era un modo per rivendicare il diritto a governare. La ricerca di collaborazione da parte degli Alleati si rivolse soprattutto alle élites agrarie e poiché la CIA che aveva contattato alcuni importanti boss mafiosi italo-americani in carcere negli Stati Uniti come Lucky Luciano e Vito Genovese, offrendo loro la libertà in cambio di un appoggio al momento dello sbarco, gli Americani finirono con l'affidare molte cariche, nel governo provvisorio della Sicilia, a noti mafiosi: Calogero Vizzini fu nominato sindaco di Villalba, Giuseppe Genco Russo divenne sindaco di Musumeli, Vincenzo Di Carlo fu nominato responsabile dell'Ufficio per la requisizione del grano, ecc. Ciò diede nuova e sicura autorità ai mafiosi, oltre a concrete possibilità di arricchimento e di accrescimento del loro potere. Fu proprio in questo periodo che la mafia cercò di organizzarsi anche politicamente, confluendo nel Movimento Indipendentista Siciliano (MIS).
Il MIS ebbe così diverse anime e diverse adesioni e la componente mafiosa, o vicina alla mafia, era molto importante. D'altro canto, i mafiosi potevano vantare, paradossalmente, di essere stati "perseguitati" dal Fascismo, facendosene un merito, come se il problema fosse stato politico e non criminale. Il MIS ebbe un sviluppo molto ampio dal 1943 al 1947, sia per il seguito popolare, sia perché i responsabili del governo militare di occupazione affidarono la maggior parte delle amministrazioni a politici separatisti. La crescita del movimento non si limitò, tuttavia, al piano legale ed elettorale: anche il suo esercito, l'EVIS (Esercito Volontario di Indipendenza Siciliana), si ingrossò grazie alla confluenza di banditi e mafiosi di grosso calibro. Colonnello dell'EVIS fu anche il tristemente famoso Salvatore Giuliano. Nell'impossibilità di rifornire con proprie scorte la popolazione, gli Alleati puntarono sulla riorganizzazione degli ammassi affidandone ai grandi proprietari la gestione. Da qui l'impressione che gli Alleati tendessero scientemente a favorire i separatisti. La questione degli ammassi, inoltre, ebbe una notevole importanza nella organizzazione della mafia. Infatti i mafiosi furono in primo piano nella gestione del sistema degli ammassi: ciò consentiva loro, con disinvolta spregiudicatezza, di promuovere il mercato nero che a causa del cattivo funzionamento degli ammassi rappresentava l'unica alternativa alla fame. La mafia assumeva così la doppia veste di perturbatrice dell'ordine sociale e di tutrice, rinnovando il mito di organizzazione protettiva e buona. E questo specie in quei luoghi della Sicilia occidentale in cui gli alleati avevano nominato sindaci dei mafiosi.
Il breve periodo di amministrazione alleata ebbe anche altri effetti. Gli anglo-americani, per la necessità di coordinare l'attività amministrativa man mano che le truppe risalivano la penisola, avevano organizzato un governo su scala regionale e nel giro di quattro mesi attuarono un vero e proprio decentramento regionale, creando un'opinione favorevole a un suo ulteriore sviluppo, specialmente tra i funzionari da essa beneficiati; a tal proposito vale la pena ricordare il pronunciamento dei prefetti politici, che il 30 novembre del '43, rifiutarono di votare un ordine del giorno favorevole al ritorno dell'isola all'amministrazione italiana, presentato dal prefetto socialista di Ragusa, Cartia. Fu proprio dalla necessità di trovare un accordo tra l'amministrazione centrale e quella periferica che nacque l'esigenza di istituire, in Sicilia come in Sardegna, un Alto Commissariato. Questa scelta, presentata dagli studiosi come antesignana di un'opzione autonomistica, fu probabilmente dettata, nelle intenzioni dello stesso Badoglio, dall'esigenza di riorganizzare le strutture all'interno del sistema centralistico.
A questo punto, con grande senso dell'opportunità politica, Enrico La Loggia, leader socialriformista dell'Agrigentino, ed altri politici di fede unitaria, cominciarono a premere per un'interpretazione in senso autonomistico dell'istituto commissariale. Cominciarono una sorta di terrorismo psicologico prospettando i pericoli di una mobilitazione di massa, capeggiata dai separatisti, nel caso di ritorno all'antico regime. La Loggia e i suoi seguaci prospettavano l'autonomia regionale come lo sbocco naturale della storia isolana: sia il separatismo che l'autonomismo aspiravano alla liberazione da una secolare oppressione ma i separatisti usavano le bande armate, gli autonomisti la ragionevolezza. Inoltre, secondo La Loggia, lo Stato doveva istituire una dotazione finanziaria, in modo da indirizzare un flusso di investimenti verso la Sicilia, come riparazione dei torti storici inflitti all'isola. Attorno a La Loggia si riunirono ben presto operatori economici, tecnici legati alle poche industrie esistenti e i tecnocrati del Banco di Sicilia. Le loro proposte tendenti a favorire una localizzazione nell'isola di investimenti industriali avevano una notevole importanza in prospettiva, ma fecero poca opinione. I partiti preferirono seguire le spinte di massa e caratterizzare i loro programmi sulla questione agraria da una parte e su quella amministrativa dall'altra; per cui La Loggia assunse una funzione di leader senza però riuscire a creare un movimento politico intorno a sé.
I separatisti rimasero estranei a questi aspetti innovativi del dibattito, e continuarono ad insistere sulle prospettive di un'economia siciliana in grado di far da sé. Il ritorno della Sicilia all'amministrazione italiana coincise quindi con l'istituzione dell'Alto commissariato (marzo '44), coadiuvato da una Consulta regionale composta da politici prefascisti, tra cui alcuni separatisti. Questi ultimi cercarono di organizzare attorno all'istituto commissariale un vero governo regionale, ottenendo che fosse nominato commissario un politico simpatizzante per le idee indipendentiste, Francesco Musotto, leader combattentista nel precedente dopoguerra e già prefetto di Palermo di nomina alleata. Musotto non resse tuttavia alle tensioni provocate dal processo di organizzazione dei partiti, che andava limitando il ruolo dei notabili di vecchio tipo, separatisti e non. Questi partiti infatti godevano dell'appoggio del governo centrale, che nel frattempo si era riorganizzato accogliendo al suo interno politici "antifascisti" provenienti da tutte le province liberate dell'Italia. Del secondo gabinetto Badoglio così venne a far parte anche Salvatore Aldisio, esponente di primo piano del popolarismo sturziano in Sicilia nel primo dopoguerra. Egli pose mano alla riorganizzazione dello Stato, rimuovendo i prefetti di nomina alleata che erano stati posti a capo delle province e tra cui i separatisti trovavano i maggiori appoggi.
Dopo aver lavorato alla restaurazione dello Stato come ministro, Aldisio provocò le dimissioni di Musotto e gli subentrò il 17 luglio '44. Con questa operazione i partiti nazionali assumevano un ruolo centrale, relegando il separatismo ai margini della lotta politica. La DC in particolare si preparava ad ereditarne le istanze conservatrici a fronte di un movimento contadino egemonizzato dalle sinistre. Il nuovo Alto Commissario però ereditava una situazione di acute tensioni sociali dovuta alla opposizione generalizzata agli ammassi granari. Il 19 ottobre '44 le condizioni alimentari di Palermo erano talmente gravi da generare una protesta popolare che fu repressa nel sangue dall'esercito: vi furono 30 morti e 150 feriti. Tra il novembre e il gennaio alla protesta contro l'ammasso si aggiunse la rivolta del "non si parte!" il rifiuto, cioè, di aderire alla chiamata alle armi dei contingenti mobilitati per la guerra contro i tedeschi. Si verificarono rivolte in decine di centri isolani, con la "liberazione" di interi paesi (Comiso, Ragusa, Piana degli Albanesi). La rivolta esprimeva anche un forte senso di sfiducia nell'esercito, istituzione che insieme alla monarchia, incarnava la continuità con il vecchio Stato e uno scarso apprezzamento nei confronti del compromesso istituzionale di mettere in secondo piano l'avversione per la monarchia finché la guerra fosse ancora in corso. Il compromesso con la monarchia aveva riportato, almeno al sud, la vecchia burocrazia militare e il processo di democratizzazione rischiava di subire un rallentamento. A Messina e a Palermo dove il movimento del "non si parte!" raggiunse una maggiore consapevolezza si cercò di avviare un confronto sui temi della democrazia con i dirigenti del CLN (Comitato di liberazione nazionale), mettendo in discussione la scelta della tregua istituzionale, che al sud, in assenza di un movimento di resistenza, faceva apparire moderata la linea dei partiti antifascisti. La risposta del CLN fu di estrema chiusura, poiché temevano l'eventualità che i separatisti potessero mettersi alla testa del movimento; Aldisio accreditò questa ipotesi, e la utilizzò per compattare i partiti, ottenendo un maggiore appoggio governativo nei confronti delle istanze regionalistiche. L'Alto Commissariato, con la Consulta che attorno ad esso si riuniva, divennero i centri di elaborazione delle proposte autonomistiche e in particolare del futuro statuto regionale.
Nel regionalismo di Aldisio, come nel separatismo, il richiamo al solidarismo sicilianista serviva a smorzare le tensioni sociali, i rischi di contrapposizione classista all'interno della società politica e civile. Ma davanti alle scadenze dello scontro sociale, la DC non poteva non tener conto delle esigenze proprietarie: significativi furono gli effetti dei decreti Gullo che tendevano alla definizione di riparto dei contratti di mezzadria alla concessione a cooperative di contadini delle terre incolte o sequestrate ai fascisti e la raccolta dei loro prodotti nei magazzini statali "i granai del popolo". Nel settembre del 1944 infatti, a Villalba, un paesino della provincia di Caltanissetta, un comizio del leader comunista Gerolamo Li Causi fu interrotto a fucilate da esponenti della mafia legati sia al separatismo sia alla pratica del contrabbando del grano. Capomafia di Villalba era Calogero Vizzini, importante notabile della Sicilia interna. In occasione della strage nella quale Li Causi rimase ferito, il democristiano Bernardo Mattarella si rivolse a Vizzini per persuaderlo ad abbandonare il separatismo e aggregarsi alla DC, nella quale avrebbe potuto trovare adeguate garanzie per la tutela degli interessi che gli stavano a cuore. La vicenda degli ammassi, dunque divenne un punto qualificante per definire le alleanze sociali su cui i maggiori partiti potevano contare. Su questo punto si giocava la possibilità per il Partito comunista di creare un sistema di alleanze di classe capace di recidere i tradizionali rapporti di dipendenza tra possidenza fondiaria e contadini.
Nell'ottobre del '45, con l'accusa di sedizione, Finocchiaro Aprile fu arrestato insieme ad altri maggiorenti del MIS. I separatisti risposero gettandosi tra le braccia dei banditi e utilizzando le operazioni terroristiche dell'EVIS. Questa formazione, ricordiamolo, fondata da Canepa, era inizialmente composta da studenti, aveva vissuto qualche giorno di gloria tra l'Etna e i Nebrodi, poi, con l'uccisione del suo fondatore Canepa nel giugno 1945, si era praticamente sciolta. I separatisti catanesi, guidati dalla destra agraria dei Carcaci, tuttavia non si lasciarono sfuggire l'occasione di utilizzare l'EVIS come strumento di pressione e lo mantennero in vita sotto la direzione di Concetto Gallo, rinforzandola con elementi di provenienza mafiosa. Ben più tragico si rivelò però il coinvolgimento nell'EVIS di Salvatore Giuliano, voluto dalla destra separatista palermitana. Giuliano, che disponeva già di una banda agguerrita, opportunamente guidato, mise a punto una serie di azioni terroristiche rivolte inizialmente contro i carabinieri e l'esercito, poi contro i partiti di sinistra, le Camere del lavoro ed infine i contadini. La situazione d'emergenza servì ad accelerare i lavori della Consulta, che entro l'aprile '46 preparò un progetto di statuto regionale, subito approvato dalla Consulta nazionale e il 15 maggio dal governo, con lo scopo di vanificare la presenza delle liste separatiste in previsione delle elezioni per la Costituente, programmate per il mese di giugno. Lo scarso interesse dei separatisti per le tematiche portate avanti dagli autonomisti trova conferma nel tentativo di colpo di stato da parte di alcuni esponenti di primo piano del MIS, tra cui i Tasca di Palermo ed i Carcaci di Catania, in occasione del referendum del 2 giugno 1946. In caso di vittoria della repubblica era intenzione dei separatisti di proclamare Umberto di Savoia re di Sicilia. Dal separatismo repubblicano del 1943, si era dunque passati a un separatismo filomonarchico, che mirava a tenere lontane dall'isola le tensioni politiche e sociali della nuova Europa.
La strategia della tensione ordita dalla destra e messa in atto da Giuliano toccò tragicamente il culmine con la strage di Portella della Ginestra del 1 maggio 1947, evento di fondamentale importanza nella vita della neonata Regione siciliana. Pochi giorni prima, il 20 aprile, si erano svolte le prime elezioni per la formazione dell'Assemblea regionale siciliana. Le sinistre unite avevano riportato una vittoria di misura sulla DC e sulla destra agraria mentre il MIS aveva raccolto circa il nove per cento delle preferenze. Ma non doveva andare così, nel frattempo, infatti, il governo centrale era entrato in crisi e De Gasperi formò un nuovo governo senza l'appoggio delle sinistre, a garanzia della scelta filoamericana che la DC si apprestava a fare. La vittoria delle sinistre in Sicilia era pertanto quanto meno imbarazzante e motivo di instabilità del governo regionale. La strage avvenne nel bel mezzo di questo dibattito. Giuliano e i suoi attaccarono la manifestazione del 1° maggio a Portella della Ginestra sparando tra la folla di uomini, donne e bambini in festa, che ascoltavano il primo oratore. Ci furono 11 morti e decine di feriti. A dispetto del risultato elettorale il governo regionale fu formato da un monocolore DC con l'appoggio esterno delle destre e la vicenda di Giuliano fu rapidamente chiusa tra mille contraddizioni con l'uccisione del bandito, in circostanze oscure che fu sottratto così al giudizio del processo che si era avviato a Viterbo. Oggi, a più di cinquant'anni di distanza, appare chiara la matrice politica antidemocratica di quest'azione terroristica.
L'autonomia concessa alla Regione Sicilia era sulla carta talmente ampia che come, giustamente, osservò qualche esponente separatista poteva essere più che l'indipendenza, soltanto se i componenti dell'assemblea regionale avessero avuto il coraggio di rompere, pur restando unitari, i legami di una sudditanza nei confronti dei poteri romani. Nella sostanza invece vennero recepite le posizioni di La Loggia, sancite nell'art.38, che prevedevano la costituzione di un "Fondo di solidarietà nazionale" con il quale lo Stato sarebbe dovuto venire incontro alle esigenze di una regione già danneggiata da ottant'anni di vicende postunitarie. Ci si potrebbe chiedere come mai la Sicilia rivendicasse una tale riparazione, a preferenza per esempio della Campania, della Basilicata o della Calabria. La verità era che le agevolazioni sancite dall'art.38 erano in funzione degli interessi di una classe politica siciliana il cui unico scopo era confermare il proprio ruolo di controllo delle risorse che dal centro fluivano verso la periferia.
Centro Culturale e di Studi Storici "Brigantino- il Portale del Sud" - Napoli e Palermo
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