Il labirinto
blog diarioMessaggi del 06/06/2011
Tu sei Maciste, il boia popolare che ha nome Samson, l’angelo dell’Annunciazione; sei un comunista a cui il Partito ha affidato un incarico di responsabilità; il maniscalco Corrado che stringe fra i ginocchi come nella tagliola la zampa del cavallo più focoso. Ma sei un uomo fatto di carne ed ossa, con gli occhi, il naso, trentadue denti, una ballerina tatuata sull’avambraccio. Il tuo petto è ampio, un intrico di peli e sotto la selva c’è il tuo grande cuore. Il Partito ti rimprovererà di aver commesso un errore affidandoti al tuo cuore; ma se non ti fidassi del tuo cuore non saresti nel Partito. Hai forse mai letto una riga di quel volume intitolato Il Capitale, che fa venire il sonno soltanto a guardarlo? Hai fatto l’Ardito del Popolo in considerazione della teoria del plusvalore o piuttosto perché il tuo cuore era offeso? Quel marinaio di Kronstadt che ti assomiglia credeva, figurati! che Marx fosse uno dei dodici Apostoli. Ora tu sei un dirigente dell’organizzazione clandestina, non avresti il diritto né di ascoltare il tuo cuore né di rischiare la vita per correre in aiuto di un massone dal quale gli squadristi sono forse già arrivati. Del resto, costui è un capitalista, nemico del fascismo per caso e nemico della classe operaia per motivi ben precisi. Non ti fanno un piacere, dopo tutto? Invece tu acceleri per giungere là dove si compirà il tuo destino. Ugo è profeta se cerca di dissuaderti. Tu gli rispondi che se ha paura può scendere e tornarsene a casa.
“Abbiamo perduto troppo tempo. Questa volta li intopperemo quant’è vero Cristo” egli dice. E come per rimproverarti aggiunge: “Forse se non ci fosse stata la puntata dal fratello dell’onorevole…”.
Pure lui ti avversa, lo vedi?
In via Robbia tu trovasti quel deserto di luna, salisti guidato dalle lamentazioni, scopristi una scena di Deposizione. La donna e i due ragazzi carezzavano il cadavere, stupiti e ancora in preda al terrore. Al tuo ingresso credettero che i fascisti tornassero per uccidere anche loro. La tua mole, e la tua espressione finirono per sconvolgerli. Tu dicesti: “Sono un compagno”, cercasti di adattare la voce alle parole. Fu qui che il tuo cuore cedette. La moglie e i due figli, avevano disteso il loro caro sul letto. Egli aveva gli occhi sbarrati, uno sguardo vitreo, orribile a vedersi. Gli abbassasti le palpebre; lo baciasti sulla fronte. Larghe macchie di sangue gli coprivano il petto. Una di quelle sue mani pallide, infantili, che tu ricordavi, era sfracellata da un colpo che l’aveva raggiunta sul dorso. Così raccolto nella morte, egli sembrava anche più piccolo, un fanciullo dalla folta zazzera grigia. Lo guardavi e gli occhi ti si velarono di pianto. La donna e i ragazzi riconobbero in te un amico. Non potevi abbandonarli. Andandosene, i fascisti avevano anche tagliato i fili del telefono. Bussasti con tutta la forza dei tuoi pugni alle porte dei vicini: nessuno ti aperse né rispose. Allora la moglie ti chiese se potevi avvertire il cognato. Fu qui che il tuo cuore cedette ancora. Lasciasti Ugo di sentinella, corresti col sidecar dal fratello dell’onorevole che abita lontano da via Robbia: una volata nella notte. Fosti costretto ad allungare la strada per non incrociare un’auto di fascisti che ti veniva incontro con le sue grida e gli spari. Conducesti il fratello. Quando insieme ad Ugo avviasti di nuovo il motore, era trascorso un tempo prezioso: il vento si era levato più forte e delle nubi rincorrevano la luna. Erano oltre le due.
Ugo ripeté: “In coscienza, abbiamo fatto più del nostro dovere”.
E tu dicesti: “Se hai paura, puoi tornartene a casa. Massone o no, è un uomo”.
Questo tuo cuore, Maciste, che non conosce le prefazioni di Engels, e non ascolta la ragione, proprio quando occorre sia ascoltata.
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Io sono un pellirossa e non comprendo.
L’indiano preferisce il suono dolce del vento che si slancia come una freccia sulla superficie dello stagno, e l’odore del vento stesso reso terso dalla pioggia meridiana o profumata del pino.
L’aria è preziosa per il pellirossa, giacché tutte le cose condividono lo stesso soffio. L’uomo bianco non sembra far caso all’aria che respira e come un individuo in preda ad una lenta agonia è insensibile ai cattivi odori.
Io sono un selvaggio e non conosco altro modo di vivere.
Cosa sarebbe l’uomo senza gli animali?
Se tutti gli animali sparissero,
l’uomo soccomberebbe in uno stato di profonda solitudine.
Poiché ciò che accade agli animali prima o poi accade all’uomo.
Tutte le cose sono legate tra loro.
Lo stesso uomo bianco,
col quale il suo Dio si accompagna e dialoga familiarmente, non può sottrarsi al destino comune. Dopo tutto, forse siamo fratelli.
Vedremo.
Questa terra per lui è preziosa ed il recar danno alla terra è come disprezzare il suo Creatore. Anche i bianchi spariranno; forse prima di tutte le altre tribù. Contaminate i giacigli dei vostri focolari e una notte vi ritroverete soffocati dai vostri stessi rifiuti……per un disegno particolare del fato siete giunti a questa terra e ne siete divenuti i dominatori, così come avete soggiogato il pellirossa.
Questo destino è per noi un mistero, perché non riusciamo più a comprendere quando i bisonti vengono tutti massacrati, i cavalli selvaggi domati, gli anfratti più segreti delle foreste invasi dagli uomini, quando la vista delle colline in piena fioritura è imbruttita dai fili che parlano.
Dov’è finito il bosco?
Scomparso.
Dov’è finita l’ aquila?
Scomparsa.
E’ la fine della vita
e l’inizio della sopravvivenza.
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h sì,lettori:anche S.Tobia ha il suo fantasma!
Tutto è cominciato,manco a dirlo,in una notte buia e tempestosa.
Il becchino Geremia stava tornando a casa,già pregustando il tepore del letto e il sonno del giusto.Arrivato al grosso fico che segna il confine fra S.Tobia e S.Giosuè si è fermato a soffiarsi il naso.Proprio allora dal nulla si è sentita una vociaccia cavernosa,che ha così apostrofato il poveretto:-Geremiaaaaaaaaaa...E' giunta l'oraa...Voglio l'animaccia tuaaa...-
Geremia a questo punto ha fatto le tre cose che chiunque altro avrebbe fatto al suo posto:se lìè fatta addosso;è scappatoa velocità supersonica;non ha raccontato a nessuno l'accaduto per non essere preso per matto.
Una settimana dopo,in una sera senza luna,il fantasma ha colpito ancora.
Be'erino tornava a casa ciucco marcio (e te pareva?) cantando a squarciagola canzonacce da osteria.Arrivato al fico,però,lasbronza gli è passata di colpo:davanti a lui una sagoma biancovestita con un fiasco in mano gli diceva:-Be'erinoooooooooo...Bevi un bicchierino con una povera anima in penaaaaa..-
Il disgraziato ,arrivato a casa con la febbre a 41 e i capelli dritti,ha tentato di spiegare alla Targiona l'accaduto,rimediando un paio di mattarellate all'accoppabue che lo hanno privato di conoscenza.
Ma,come dice il proverbio,ride bene chi ride ultimo.
Tre ore dopo,revatasi alla latrina per un bisogno urgente,la Targiona si è trovata muso a muso col fantasma,che le ha fatto marameo ,ridendo sgangheratamente.
Folle di terrore la Targiona,in camicia da notte e ciabatte,si è precipitata a casa della Sargenta,sorella di Be'erino ,e di suo marito,L'Anarchico (questo la dice lunga sulla sua confusione mentale:le due donne si detestano da tem po immemorabile) Svegliati alle tre del mattino,i coniugi nn erano certo ben disposti,poi la curiosità ha prevalso.
Sentito l'accaduto,l'Anarchico ha concluso che una simile faccenda era di pertinenza del parroco ,quindi il terzetto si è recato dal Cornacchioni.Ireneo li ha accolti armato di spegnimoccoli (odia essere svegliato nel cuore della notte),poi,visto il loro stato,si è fatto raccontare tutto.Grattandosi il capoccione pelato.ha imposto ai tre il slenzio sulla vicenda,mentre meditava sul da farsi.
Aveva fatto i conti senza ilfratello Evaristo,detto anche "Gazzettino Toscano".
Entro poche ore tutto il paese,perfino i neonati e i moribondi,sapeva del fantasma e tutti avevano una fifa blu.
Ireneo,che stava mangiando a 4 palmenti un pollo alla cacciatora,si è trovato il pranzo rovinato e la canonica invasa da una marea urlante.Per ristabilire l'ordine,ha dovuto usare il fucila da caccia (il colpo sparato in aria ha centrato il lampadario,che è finito in testa alla Marianna)Dopo attenta riflessione,il Cornacchioni ha comunicato agli astanti che a mezzanotte avrebbe fatto un esorcismo sotto al fico.
A quell'ora tutto il paese col fiato sospeso,si è portato sul louogo.Ireneo aveva appena cominciato,quando si è sentito un sinistro "crac":Dall'alto del fico una figura biancovestita ed urlante è atterrata davanti al Cornacchioni.
Ripresosi dallo spavento,al buon priore nn c'è voluto tanto a capire due cose: A) un fantasma nn ha lescarpe
B)Un fantasma non dice "Ohi,ohi" perchè incorporeo.
Con uno scatto felino,il pretone ha dato uno strappone al lenzuolo,rivelando agli astanti l'identità del fantasma fasullo:si trattava di Leone,figlio secondogenito dell'Anarchico e della Sargenta e notorio burlone!
Il disgraziato ha confessato di aver architettato lo scherzo perchè voleva movimentare le giornate dei paesani dato che,a parer suo,S.Tobia è un mortorio come pochi.
Avrebbe continuato le sue folli elucubrazioni se il padre nn l'avesse zittito con un poderoso calcione nel posteriore.
I genitori hanno poi lasciato il reprobo nelle mani dei paesani,riservandosi di regolare a loro volta iconti fra le pareti domestiche.
A distanza di due giorni,Leone nn sta seduto e ancheil solo muovere il mignolo del piede gli provoca astroci dolori.
La Targiona e "Be'erino",non essendo riusciti a mettergli le mani addosso,aspettano pazientemente che guarisca.
Viste le facce,non prevedo nulla di buono,
Geremia sta preparando una bara imbottita di chiodi,ben deciso a ficcarci dentro Leone appena possibile (da vivo,s'intende).
Mentre l'orologio batte la mezzanotte,il qui scrivente vi saluta da S.Tobia
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Ultima figlia di una famiglia poverissima,Italia riesce,con sacrifici immensi,a prendere la patente di maestre,attirandosi già per questo gesto il sospetto,l'invidia e l'antipatia dei compaesani.
A quel tempo,una donna che lasciava volontariamente la vita dei campi per lavorare,per elevarsi culturalmente,era considerata una poco di buono a prescindere,per cui Italia diventa ben presto oggetto di pettegolezzo.
Il fatto che poi il suo primo incarico la porti a Lamporecchio dà ancora più adito a voci malevole.
Il sindaco di quel paese,Raffaello Torrigiani,dà scandalo vivendo in una villa con due donne che gli hanno dato entrambe figli,ed ha fama di donnaiolo impenitente.
Non appena vede Italia,Torrigiani,facendo leva sul fatto che è lui ad averla voluta come maestra, impone alla ragazza di vivere sotto lo stesso tetto con le altre due donne,e comincia ad insidiarla ed a vantarsi in giro di averla avuta.
Per Italia è l'inizio di un calvario inenarrabile:a nulla valgono il comportamento integerrimo,l'onestà della ragazza,le sue proteste d'innocenza.Ben presto l'intero paese le si rivolterà contro,accusandola di essere una donna immorale,ed arrivando persino ad accusarla di infanticidio,con tanto di denuncia ai carabinieri.
Stremata dalle maldicenze,sempre più abbandonata a se stessa (la famiglia non sa, non vuole, non può difenderla) Italia,dopo tre anni di martirio,si toglie la vita a soli 23 anni.
Solo dopo la morte l'autopsia rivelerà che la ragazza era vergine,e la scagionerà definitivamente.
E' un libro toccante,coinvolgente,un atto d'accusa,uno spaccato della vita delle donne alla fine dell'800,che va assolutamente letto
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nella stretta delle tue braccia
nell'amore ardente del tuo corpo
sul tuo volto, sulle tue membra struggenti
nel deliquio dei tuoi occhi profondi
perduti nel mio amore,
quest'acredine arida
che mi tormenta.
Ardere confuso in te disperatamente
quest'insaziabilità della mia anima
già stanca di tutte le cose
prima ancor di conoscerle
ed ora tanto esasperata
dal mutismo del mondo
implacabile a tutti i miei sogni
e dalla sua atrocità tranquilla
che mi grava terribile
e noncurante
e nemmeno più mi concede
la pacatezza del tedio
ma mi strazia tormentosamente
e mi pungola atroce,
senza lasciarmi urlare,
sconvolgendomi il sangue
soffocandomi atroce
in un silenzio che è uno spasimo
in un silenzio fremente.
Nell'ebrezza disperata
dell'amore di tutto il tuo corpo
e della tua anima perduta
vorrei sconvolgere e bruciarmi l'anima
sperdere quest'orrore
che mi strappa gli urli
e me li soffoca in gola
bruciarlo annichilirlo in un attimo
e stringermi a te
senza ritegno più
ciecamente, febbrile,
schiantandoti, d'amore.
Poi morire, morire,
con te.
Il giorno tetro
in cui dovrò solitario
morire (e verrà, senza scampo)
quel giorno piangerò
pensando che potevo
morire così nell'ebbrezza
di una passione ardente.
Ma per pietà d'amore
non l'ho voluto mai.
Per pietà del tuo povero amore
ho scelto, anima mia,
la via del più lungo dolore
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Inviato da: RicamiAmo
il 01/08/2014 alle 18:11
Inviato da: Dolce.pa44
il 26/07/2014 alle 18:22
Inviato da: do_re_mi0
il 23/04/2014 alle 18:01
Inviato da: odio_via_col_vento
il 14/04/2014 alle 20:57
Inviato da: Krielle
il 23/03/2014 alle 04:38