Il labirinto
blog diarioMessaggi del 07/06/2011
Ma andiamo per ordine,che è meglio.
Dovete sapere che da ben 230 anni un vescovo non visita S.Tobia.Immaginatevi dunque la felicità di Ireneo e del sindaco Anatolio Sgozzaloca quando tre mesi fa sono stati informati dell'imminente visita pastorale del vescovo di Pistoia,Ildebrando Orapronobis.I due si sono immediatamente lanciati in fervidi preparativi e finalmente è arrivato il gran giorno.
E che giorno,lettori miei!Tranne il diluvio universale,posso dirvi che a S.tobia ieri è succcesso di tutto!
Alle 9 l'Ildebrando e il segretario sono arrivati in paese.
Il programma prevedeva un discorso di benvenuto del sindaco( per poco tutti nn sono caduti in letargo) seguito da un coro in onore del vescovo eseguita dai ragazzi dell'oratorio,sotto la guida di Leone (il nome non vi dice nulla?)
Gli otto ragazzini biancovestiti con la massima serietà hanno cantato all'Ildebrando una canzone sconcia che più sconcia non si poteva,concludendo con un invito al prelato a recarsi in un posto che non dico per decenza.
L'Anarchico,che avrebbe voluto sproofndare sottoterra e oltre per la vergogna,si è scagliato sul figlo;sotto una gragnola di pugni,calci e schiaffoni,Leone ha confessato:voleva vendicarsi di Ireneo e del paese per la faccenda del fantasma,e non era punto pentito.Per evitare un omicidio,prete e sindaco hanno deciso di procedere come se nulla fosse.
I due,con l'Ildebrando in mezzo,hanno iniziato a percorrere a piedi la discesa che porta alla chiesa.
La strada era coperta da un lunghissimo tappeto rosso,coperto di petali di rose.
Bene,l'Ildebrando è allergico a una sola cosa al mondo.indovinate quale?
Dopo pochi secondi ha strabuzzato gli occhi,iniziando a starnutire in un crescendo rossiniano;a causa degli occhi lacrimanti è inciampato,trascinando con sè Ireneo e lo Sgozzaloca.Stretti in un groviglio umano ,i tre sono rotolati giù avelocità supersonica,fermandosi solo davanti alla chiesa.Per districarli ci è voluta mezz'ora.
Stoicamente,Ildebrando si è accinto a celebrare la messa.
Ma si sa,l'uomo propone e Dio dispone,e in questo caso Dio aveva disposto che durante la messa ne succedessero di ogni.
Perchè il vescovo potesse stare comodo Ireneo aveva sistemato la sua poltrona preferita vicino all'altare,senza però fare i conti col suo cane da caccia Satanasso,bestiaccia nera e ringhiosa dal carattere ancora più infame di quello del padrone che considera la poltrona sua esclusiva proprietà.Quando ha visto l'Ildebrando avvicinarcisi,ha dato fuori di matto:invano trattenuto dalla Marianna,si è catapultato in chiesa,affibbiando un bel morso nel posteriore dell'intruso.Per il dolore,l'Orapronobis è schizzato per aria,finendo in braccio a ireneo,mentre il cane si sedeva in poltrona,ben deciso a restarci e azzannando a sangue chiunque volesse sloggiarlo.Alla fine,stufatosi,è sceso,ha usato lo Sgozzaloca come albero,poi,scodinzolando,è tornato lemme lemme in sagrestia.
Dopo essere stato curato dal dottor Macelloni,il vescovo si èavvinato all'altare per iniziare la messa.Ha aperto bocca... e un boato spaventoso,seguito da un odore nauseabondo,ha fatto scappare tutti.
Era accaduto che il terribile Bernabò Trogoloni,compagno di bravate di Leone,aveva deciso di dare al vescovo un benvenuto originale a suon di petardi e bombette puzzolenti!
A questo punto l'Orapronobis è stato colto da una crisi isterica ed ha agredito sindaco e prete a colpi di pastorale.I due si sono salvati perchè il segretario ha tramortito il vescovo a scarpate,l'ha caricato in macchina ed è partito a tutto gas.
Al momento la situazione è questa.
Sgozzaloca ha un travaso di bile;Ireneo batte le colline alla ricerca di Satanasso,Bernabò e Leone,per ucciderli fra atroci tormenti.
E su questa caccia all'uomo (e al cane)chiudo questa mia cronaca
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con la punta delle dita
sfiori il mondo, gli strappi
aurore, trionfi, colori,
allegrie: è la tua musica.
La vita è ciò che tu suoni.
Dai tuoi occhi solamente
emana la luce che guida
i tuoi passi. Cammini
fra ciò che vedi. Soltanto.
E mai ti sei sbagliata,
solo una volta, una notte
che t'invaghisti di un'ombra
- l'unica che ti è piaciuta -.
Un'ombra pareva.
E volesti abbracciarla.
Ed ero io.
Se mi chiamassi, sì,
se mi chiamassi!
Io lascerei tutto,
tutto io getterei:
i prezzi, i cataloghi,
l'azzurro dell'oceano sulle carte,
i giorni e le loro notti,
i telegrammi vecchi
e un amore.
Tu, che non sei il mio amore,
se mi chiamassi!
E ancora attendo la tua voce:
giù per i telescopi, da una stella
attraverso specchi e gallerie di anni bisestili
può venire. Non so da dove.
Dal prodigio, sempre.
Perché se tu mi chiami
sarà da un miracolo,
ignoto, senza vederlo.
E improvvisa, inattesa,
fortuita, l'allegria.
Da sola, perché volle, é venuta.
Così dono a sorpresa,
che non posso credere che sia per me.
Mi guardo intorno, cerco.
Di chi sarà?
Ma non importa, ormai.
Sta con me, mi trascina.
Mi sradica dal dubbio.
Sorride, possibile.
Non ho bisogno di tempo
per sapere come sei:
conoscersi è luce improvvisa.
Chi ti potrà conoscere là dove taci
o nelle ore in cui tu taci?
Chi ti cerchi nella vita
che stai vivendo, non sa
di te che allusioni,
pretesti in cui ti nascondi. Io no.
Ti ho conosciuto nella tempesta.
Ti ho conosciuto, improvvisa,
in quello squarcio brutale
di tenebra e luce,
dove si rivela il fondo
che sfugge al giorno e alla notte.
Ti ho visto, mi hai visto ed ora
sei così anticamente mia
da tanto tempo ti conosco
che nel tuo amore chiudo gli occhi
e procedo senza errare,
alla cieca, senza chiedere nulla
a quella luce lenta e sicura...
I giorni ed i baci
sono in errore:
non hanno termine dove dicono.
Ma per amare dobbiamo
imbarcarci su tutti
i progetti che passano,
senza chiedere nulla,
pieni, pieni di fede
nell'errore
di ieri, di oggi, di domani,
che non può mancare.
Che allegria, vivere
e sentirsi vissuto.
Arrendersi alla grande certezza, oscuramente,
che un altro essere, fuori di me,
molto lontano, mi sta vivendo.
E quando mi parlerà
di un cielo scuro, di un paesaggio bianco,
ricorderò stelle che non ho visto, che lei guardava,
e neve che nevicava nel suo cielo...
Il sonno è un lungo commiato da te.
Ma ormai ti ho salutato: sto per lasciarti.
Ti abbraccio per l'ultima volta:
che è come aprire gli occhi.
Ecco. Il mondo funzionerà bene oggi:
ha già ucciso il mio sogno.
Ti sento fuggire, veloce,
dall'aurora, esattissima,
verso l'alto, cercando la stella che non si vede.
il disordine celeste, tua sola dimora.
Non ti ritrovo più laggiù nella distanza.
Invano potrei cercarti
là dove il mio pensiero tante volte
andò a sorprendere il tuo sonno,
o il tuo riso, o il tuo gioco.
Non sono più lì, che con te li hai portati
Tieni la mia anima tutta sospesa sopra il gran vuoto.
Ed io, smarrito, cieco
non so come raggiungerti, là dove sei,
se aprendo semplicemente la porta,
o gridando; o se solo mi potrai sentire,
ti giungerà la mia ansia nell'assoluta attesa immobile dell'amore.
Il tuo modo d'amare è lasciare che io ti ami.
Il sì con cui ti abbandoni è il silenzio.
Mai parole o abbracci mi diranno che esistevi
e mi hai amato: mai.
Me lo dicono fogli bianchi, mappe, telefoni, presagi; tu, no.
E sto abbracciato a te senza chiederti nulla,
per timore che non sia vero che tu vivi e mi ami.
E sto abbracciato a te senza guardare e senza toccarti.
Non debba mai scoprire, con domande, con carezze,
quella solitudine immensa, d'amarti solo io.
La notte è il grande dubbio
del mondo e del tuo amore.
Ho bisogno che il giorno, ogni giorno mi dica
che è il giorno, che è lui
che è la luce: e lì tu.
Mi hai mai amato?
E mentre tu taci, ed è notte,
non so se luce, amore esistono.
Dimmi perché quest'ansia
di fare la possibile
se tu sai di essere quella
che non sarà mai?
Aspetto, passano i treni, il caso, gli sguardi.
Ma io non voglio i cieli nuovi.
Voglio stare dove sono già stato.
Con te, tornare. Quale immensa novità tornare ancora,
ripetere, mai uguale, quello stupore infinito!
E finché tu non verrai, io rimarrò alle soglie
dei voli, dei sogni, delle scie.
Immobile.
Le senti come chiedono realtà
scarmigliate, feroci,
le ombre che forgiammo insieme
in questo immenso letto di distanze?
Stanche ormai di infinito, di tempo
senza misura, di anonimato,
ferite da una grande nostalgia di materia,
chiedono limiti, giorni, nomi.
Non possono vivere più così: sono alle soglie
della morte delle ombre, che è il nulla.
Accorri, vieni, con me.
Insieme cercheremo per loro
un colore, una data, un petto, un sole.
Che riposino in te, sii tu la loro carne.
Si placherà la loro enorme ansia errante,
mentre noi le stringiamo avidamente
fra i nostri corpi,
dove potranno trovare nutrimento e riposo.
Si assopiranno infine nel nostro sonno
abbracciato, abbracciante. E così,
quando ci separeremo, nutrendoci
solo di ombre, fra lontananze,
esse
avranno ormai ricordi,
avranno un passato di carne ed ossa,
il tempo vissuto dentro di noi.
E il loro tormentato sonno
di ombre sarà, di nuovo, il ritorno
alla corporeità mortale e rosa
dove l'amore inventa il suo infinito.
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Ancora oggi il disturbo mentale è un argomento tabù,una cosa vergognosa,da tenere nascosta come sporco sotto un metaforico tappeto,da negare e rinnegare.
In questo libro,invece,Gerry De Maria ne parla apertamente e lucidamente.
Gerry adesso è un giovane uomo di 36 anni,padre di un bellissimo bambino di nome Andrea,realizzato e appagato,ma allo stesso tempo è e resta il figlio di Sebastiano.
Sebastiano nn è un padre comodo,non lo è mai stato.
E' un uomo intelligentissimo e sensibile,con uno spiccato talento musicale,che per molta parte della sua vita ha dovuto fare i conti col suo disturbo mentale e con la dipendenza dall'alcool,che lo hanno portato a compiere molto spesso gesti molto gravi nei confronti diOlga,sua moglie e mia carissima amica.
In questo libro autobiografico,autentico fino all'ultima virgola,suo figlio ci accompagna nella discesa agli inferi del padre,non nascondendo niente,non vergognandosi di questo padre scomodo ma amandolo e cercando di capirlo anche quando la comprensione pare impossibile.
Gerry nn si arrende di fronte alla malattia del padre:la combatte,la analizza,ci convive,creca il dialogo con i medici che lo hanno in cura...E soprattutto cerca di spiegarla a noi lettori con uno stile semplice,colloquiale,a volte un po' ruvido ma efficace.
Insomma, IL FIGLIO DEL CUCULO è un libro da leggere e ve lo consiglio!
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Inviato da: RicamiAmo
il 01/08/2014 alle 18:11
Inviato da: Dolce.pa44
il 26/07/2014 alle 18:22
Inviato da: do_re_mi0
il 23/04/2014 alle 18:01
Inviato da: odio_via_col_vento
il 14/04/2014 alle 20:57
Inviato da: Krielle
il 23/03/2014 alle 04:38