Messaggi del 02/07/2011

Le abominevoli vacanze di Ireneo

Post n°171 pubblicato il 02 Luglio 2011 da odette.teresa1958

E' risaputo che Dio ama mettere alla prova i suoi più fedeli servitori.Visto quello che gli è capitato giorni fa,bisogna pensare che ireneo Cornacchioni è come minimo in lista d'attesa per la santità da vivo.
Ma andiamo per ordine.
Un mese fa la dottoressa Spizzicagni,nuovo medico condotto di S.Tobia, ha consgliato a ireneo una vacanza in montagna.Il nostro ha incautamente accettato il consiglio del vescovo Orapronobis,ed ha prenotato una camera nella pensione "Montagna serena" di Scivolamonte,gestita dai coniugi Tontolini.
Due settimane fa,felice come una pasqua,è partito.
Ahilui,non sapeva che l'aspettava.
Tanto per cominciare,a Scivolamonte si arriva in un solo modo:a dorso di mulo!
Il Cornacchioni si è adeguato ed è salito in groppa al mulo Gedeone (notissimi nel circondario per due cose:il caratteraccio e l'avversione per i preti!).
A metà strada la bestiaccia si è piantata,ben decisa a non muoversi più oltre.
Ireneo le ha tentate tutte:ha provato col dialogo (Gedeone gli ha sbadigliato sul muso);con le lusinghe (Gedeone ha emesso un verso che pareva una pernacchia); ha minacciato la scomunica (Gedeone ha emesso una specie di risata sardonica);si è inginocchiato davanti a lui ( rutto mulesco)
Alla fine,in preda al furore,il pio sacedote ha afferrato la coda della bestiaccia,mordendola a tutta forza!
Pazzo di dolore,il mulo èarrivato a destinazione in 5 minuti,entrando nel Guinness come mulo più veloce del mondo.
La pensione Tontolini si è rivelata essere un'osteria risalente ai tempi di Carlo Magno,gestita da un'orchessa di circa 200 chili e da un nano:i Tontolini,appunto
Ireneo si è ritrovato a dormire in soffitta,su un letto polveroso e pieno di ragnatele in cui nessuno dormiva da 25 anni.
Quando Ireneo ha chiesto se poteva fare la doccia e andare in bagno ,si è sentito dire che a Scivolamonte tutti usano il vaso da notte e la doccia si fa prendendo un secchio d'acqua dal pozzo e buttandoselo addosso.
Ireneo a questo punto ha cominciato a pensare che forse forse l'Ildebrando lo aveva leggermente fregato.
Per nn arrabbiarsi,ha deciso di andare a mangiare.
Il menu consisteva in pasta al sugo (che pareva gomma da masticare ciancicata e andata a male) e pollo con patate (per tagliare il pollo bisognava batterlo nel muro,e le patate erano carbonizzate)
Visto il disappunto di Ireneo,il Tontolini gli ha offerto la grappa che produce lui.
Al primo sorso il pretone è diventato bianco,al secondo blu,al terzo viola;da narici e orecchie usciva un fumo azzurrino ; i 4 peli che aveva in testa ballavano la macarena e gli occhi erano rossi e uscivano dalle orbite.
Quando ha aperto bocca è uscita una fiammata (il Tontolini ci ha acceso il sigaro).
Con uno sforzo sovrumano,Ireneo ha raggiunto camera sua ,crollando sul letto in un sonno comatoso.
Lo ha risvegliato di soprassalto un suono che pareva un incrocio fra il muggito di una mucca con la dissenteria amebica e l'ululato di un lupo mannaro costipato.
Era solo Eustorgio,il cane dei Tontolini,che esprimeva così il dolore canino per il rifiuto subito dalla cagnetta del macellaio.
Manco a dirlo,la cuccia era proprio sotto la finestra del Cornacchioni.
Col passare delle ore,i suoni hanno raggiunto livelli da inquinamento acustico.
A nulla è valso lanciare alla bestiaccia scarpe,ombrello e vaso da notte:il concerto è continuato fino alle 7 del mattino.
A quel punto,raccolte le sue carabattole e caricatosi in capo le valigie,Ireneo è fuggito da Scivolamonte.
La situazione,ora,è questa.
I Tontolini hanno denunciato Ireneo perchè non ha pagato il conto.
Il padrone di Gedeone lo ha denunciato per maltrattamenti ad animale.A suo dire l'animale ha riportato danni permanenti:si crede un gallo e sveglia tutta la vallata con ragl iterrificanti.
Ireneo è ricoverato nella clinica Luminaris.
Meglio non parlargli di vacanze e dell'Orapronobis,o uccide a mani nude.
Guarirà il nostro pretone? Sperando di sì,chiudo qui questa corrispondenza




 
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Un goj (Pirandello)

Post n°170 pubblicato il 02 Luglio 2011 da odette.teresa1958

l signor Daniele Catellani, mio amico, bella testa ricciuta e nasuta – capelli e naso di razza – ha un brutto vizio: ride nella gola in un certo modo così irritante, che a molti, tante volte, viene la tentazione di tirargli uno schiaffo.
Tanto più che, subito dopo, approva ciò che state a dirgli. Approva col capo; approva con precipitosi:

– Già, già! già, già!

Come se poc’anzi non fossero state le vostre parole a provocargli quella dispettosissima risata.
Naturalmente voi restate irritati e sconcertati. Ma badate che è poi certo che il signor Daniele Catellani farà come voi dite. Non c’è caso che s’opponga a un giudizio, a una proposta, a una considerazione degli altri.
Ma prima ride.
Forse perché, preso alla sprovvista, là, in un suo mondo astratto, così diverso da quello a cui voi d’improvviso lo richiamate, prova quella certa impressione per cui alle volte un cavallo arriccia le froge e nitrisce.
Della remissione del signor Daniele Catellani e della sua buona volontà d’accostarsi senz’urti al mondo altrui, ci sono del resto non poche prove, della cui sincerità sarebbe, io credo, indizio di soverchia diffidenza dubitare.
Cominciamo che per non offendere col suo distintivo semitico, troppo apertamente palesato dal suo primo cognome (Levi), l’ha buttato via e ha invece assunto quello di Catellani.

Ma ha fatto anche di più.
S’è imparentato con una famiglia cattolica, nera tra le più nere, contraendo un matrimonio cosiddetto misto, vale a dire a condizione che i figliuoli (e ne ha già cinque) fossero come la madre battezzati, e perciò perduti irremissibilmente per la sua fede.
Dicono però che quella risata così irritante del mio amico signor Catellani ha la data appunto di questo suo matrimonio misto.
A quanto pare, non per colpa della moglie, però, bravissima signora, molto buona con lui, ma per colpa del suocero, che è il signor Pietro Ambrini, nipote del defunto cardinale Ambrini, e uomo d’intransigentissimi principii clericali.
Come mai, voi dite, il signor Daniele Catellani andò a cacciarsi in una famiglia munita d’un futuro suocero di quella forza?
Mah!
Si vede che, concepita l’idea di contrarre un matrimonio misto, volle attuarla senza mezzi termini; e chi sa poi, fors’anche con l’illusione che la scelta stessa della sposa d’una famiglia così notoriamente divota alla santa Chiesa cattolica, dimostrasse a tutti che egli reputava come un accidente involontario, da non doversi tenere in alcun conto, l’esser nato semita.
Lotte acerrime ebbe a sostenere per questo matrimonio. Ma è un fatto che i maggiori stenti che ci avvenga di soffrire nella vita sono sempre quelli che affrontiamo per fabbricarci con le nostre stesse mani la forca.
Forse però – almeno a quanto si dice non sarebbe riuscito a impiccarsi il mio amico Catellani, senza l’aiuto non del tutto disinteressato del giovine Millino Ambrini, fratello della signora, fuggito due anni dopo in America per ragioni delicatissime, di cui è meglio non far parola.
Il fatto è che il suocero, cedendo obtorto collo alle nozze, impose alla figlia come condizione imprescindibile di non derogare d’un punto alla sua santa fede e di rispettare col massimo zelo tutti i precetti di essa, senza mai venir meno a nessuna delle pratiche religiose. Pretese inoltre che gli fosse riconosciuto come sacrosanto i diritto di sorvegliare perché precetti e pratiche fossero tutti a uno a uno osservati scrupolosamente, non solo dalla nuova signora Catellani, ma anche e più dai figliuoli che sarebbero nati da lei.
Ancora, dopo nove anni, non ostante la remissione di cui il genero gli ha dato e seguita a dargli le più lampanti prove, il signor Pietro Ambrini non disarma. Freddo, incadaverito e imbellettato, con gli abiti che da anni e anni gli restano sempre nuovi addosso e quel certo odore ambiguo della cipria, che le donne si dànno dopo il bagno, sotto le ascelle e altrove, ha il coraggio d’arricciare il naso, vedendolo passare, come se per le sue nari ultracattoliche il genero non si sia per anche mondato del suo pestilenzialissimo foetor judaicus.

Lo so perché spesso ne abbiamo parlato insieme.
Il signor Daniele Catellani ride in quel suo modo nella gola, non tanto perché gli sembri buffa questa vana ostinazione del fiero suocero a vedere in lui per forza un nemico della sua fede, quanto per ciò che avverte in sè da un pezzo a questa parte.
Possibile, via, che in un tempo come il nostro, in un paese come il nostro, debba sul serio esser fatto segno a una persecuzione religiosa uno come lui, sciolto fin dall’infanzia da ogni fede positiva e disposto a rispettar quella degli altri, cinese, indiana, luterana, maomettana?
Eppure, è proprio così. C’è poco da dire: il suocero lo perseguita. Sarà ridicola, ridicolissima, ma una vera e propria persecuzione religiosa, in casa sua, esiste. Sarà da una parte sola e contro un povero inerme, anzi venuto apposta senz’armi per arrendersi; ma una vera e propria guerra religiosa quel benedett’uomo del suocero gliela viene a rinnovare in casa ogni giorno, a tutti i costi, e con animo inflessibilmente e acerrimamente nemico.
Ora, lasciamo andare che – batti oggi e batti domani – a causa della bile che già comincia a muoverglisi dentro, l’homo judaeus prende a poco a poco a rinascere e a ricostituirsi in lui, senza ch’egli per altro voglia riconoscerlo. Lasciamo andare. Ma lo scadere ch’egli fa di giorno in giorno nella considerazione e nel rispetto della gente per tutto quell’eccesso di pratiche religiose della sua famiglia, così deliberatamente ostentato dal suocero, non per sentimento sincero, ma per un dispetto a lui e con l’intenzione manifesta di recare a lui una gratuita offesa, non può non essere avvertito dal mio amico signor Daniele Catellani. E c’è di più. I figliuoli, quei poveri bambini così vessati dal nonno, cominciano anch’essi ad avvertir confusamente che la cagione di quella vessazione continua che il nonno infligge loro, dov’essere in lui, nel loro papà. Non sanno quale, ma in lui dov’essere di certo. Il buon Dio, il buon Gesù – (ecco, il buon Gesù specialmente!) – ma anche i Santi, oggi questo e domani quel Santo, ch’essi vanno a pregare in chiesa col nonno ogni giorno, è chiaro ormai che hanno bisogno di tutte quelle loro preghiere, perché lui, il papà, deve aver fatto loro, di certo, chi sa che grosso male! Al buon Gesù, specialmente! E prima d’andare in chiesa, tirati per mano, si voltano, poveri piccini, ad allungargli certi sguardi così densi di perplessa angoscia e di dogliosa rimprovero, che il mio amico signor Daniele Catellani si metterebbe a urlare chi sa quali imprecazioni, se invece... se invece non preferisse buttare indietro la testa ricciuta e nasuta e prorompere in quella sua solita risata nella gola.

Ma sì, via! Dovrebbe ammettere altrimenti sul serio d’aver commesso un’inutile vigliaccheria a voltar le spalle alla fede dei suoi padri, a rinnegare nei suoi figliuoli il suo popolo eletto: ’am olam, come dice il signor Rabbino. E dovrebbe sul serio sentirsi in mezzo alla sua famiglia un goj, uno straniero; e sul serio infine prendere per il petto questo suo signor suocero cristianissimo e imbecille, e costringerlo ad aprir bene gli occhi e a considerare che, via, non è lecito persistere a vedere nel suo genero un deicida, quando in nome di questo Dio ucciso duemil’anni fa dagli ebrei, i cristiani che dovrebbero sentirsi in Cristo tutti quanti fratelli, per cinque anni si sono scannati tra loro allegramente in una guerra che, senza pregiudizio di quelle che verranno, non aveva avuto finora l’eguale nella storia.
No, no, via! Ridere, ridere. Son cose da pensare e da dir sul serio al giorno d’oggi?
Il mio amico signor Daniele Catellani sa bene come va il mondo. Gesù, sissignori. Tutti fratelli. Per poi scannarsi tra loro. E naturale. E tutto a fil di logica, con la ragione che sta da ogni parte: per modo che a mettersi di qua non si può fare a meno d’approvare ciò che s’è negato stando di là.
Approvare, approvare, approvar sempre.
Magari, sì, farci sì prima, colti alla sprovvista, una bella risata. Ma poi approvare, approvar sempre, approvar tutto.
Anche la guerra, sissignori.

Però (Dio, che risata interminabile, quella volta!) però, ecco, il signor Daniele Catellani volle fare, l’ultimo anno della grande guerra europea, uno scherzo al suo signor suocero Pietro Ambrini, uno scherzo di quelli che non si dimenticano più.
Perché bisogna sapere che, nonostante gran carneficina, con una magnifica faccia tosta il signor Pietro Ambrini, quell’anno, aveva pensato di festeggiare, per i cari nipotini, la ricorrenza del Santo Natale più pomposamente che mai. E s’era fatti fabbricare tanti e tanti pastorelli di terracotta: i pastorelli che portano le loro umili offerte alla grotta di Bethlehem, al Bambinello Gesù appena nato: fiscelle di candida ricotta panieri d’uova e cacio raviggiolo, e anche tanti Franchetti di Soffici pecorelle e somarelli carichi anch’essi d’altre più ricche offerte, seguiti da vecchi massari e da campieri. E sui cammelli, ammantati, incoronati e solenni, i tre re Magi, che vengono col loro seguito da lontano lontano dietro alla stella cometa che s’è fermata su la grotta di sughero, dove su un po’ di paglia vera è il roseo Bambinello di cera tra Maria e San Giuseppe; e San Giuseppe ha in mano il bàcolo fiorito, e dietro sono il bue e l’asinello.
Aveva voluto che fosse ben grande il presepe quell’anno, il caro nonno, e tutto bello in rilievo, con poggi e dirupi, agavi e palme, e sentieri di campagna per cui si dovevano veder venire tutti quei pastorelli ch’eran perciò di varie dimensioni, coi loro branchetti di pecorelle e gli asinelli e i re Magi.
Ci aveva lavorato di nascosto per più d’un mese, con l’aiuto di due manovali che avevan levato il palco in una stanza per sostener la plastica. E aveva voluto che fosse illuminato da lampadine azzurre in ghirlanda; e che venissero dalla Sabina, la notte di Natale, due zampognari a sonar l’acciarino e le ciaramelle.
I nipotini non ne dovevano saper nulla.
A Natale, rientrando tutti imbacuccati e infreddoliti dalla messa notturna, avrebbero trovato in casa quella gran sorpresa: il suono delle ciaramelle, l’odore dell’incenso e della mirra, e il presepe là, come un sogno, illuminato da tutte quelle lampadine azzurre in ghirlanda. E tutti i casigliani sarebbero venuti a vedere, insieme coi parenti e gli amici invitati al cenone, questa gran maraviglia ch’era costata a nonno Pietro tante cure e tanti quattrini.
Il signor Daniele lo aveva veduto per casa tutto assorto in queste misteriose faccende, e aveva riso; aveva sentito le martellate dei due manovali che piantavano il palco di là, e aveva riso.
Il demonio, che gli s’è domiciliato da tanti anni nella gola, quell’anno, per Natale, non gli aveva voluto dar più requie: giù risate e risate senza fine. Invano, alzando le mani, gli aveva fatto cenno di calmarsi; invano lo avena ammonito di non esagerare, di non eccedere.

– Non esagereremo, no! – gli aveva risposto dentro il demonio. – Sta’ pur sicuro che non eccederemo. Codesti pastorelli con le fiscelline di ricotta e i panierini d’uova e il cacio raviggiolo sono un caro scherzo, chi lo può negare? così in cammino tutti verso la grotta di Bethlehem! Ebbene, resteremo nello scherzo anche noi, non dubitare! Sarà uno scherzo anche il nostro, e non meno carino. Vedrai.

Così il signor Daniele s’era lasciato tentare dal suo demonio; vinto sopra tutto da questa capziosa considerazione: che cioè sarebbe restato nello scherzo anche lui.
Venuta la notte di Natale, appena il signor Pietro Ambrini con la figlia e i nipotini e tutta la servitù si recarono in chiesa per la messa di mezzanotte, il signor Daniele Catellani entrò tutto fremente d’una gioia quasi pazzesca nella stanza del presepe: tolse via in fretta e furia i re Magi e i cammelli, le pecorelle e i somarelli, i pastorelli del cacio raviggiolo e dei panieri d’uova e delle fiscelle di ricotta – personaggi e offerte al buon Gesù, che il suo demonio non aveva stimato convenienti al Natale d’un anno di guerra come quello – e al loro posto mise più propriamente, che cosa? niente, altri giocattoli: soldatini di stagno, ma tanti, ma tanti, eserciti di soldatini di stagno, d’ogni nazione, francesi e tedeschi, italiani e austriaci, russi e inglesi, serbi e rumeni, bulgari e turchi, belgi e americani e ungheresi e montenegrini, tutti coi fucili spianati contro la grotta di Bethlehem, e poi, e poi tanti cannoncini di piombo, intere batterie, d’ogni foggia, d’ogni dimensione, puntati anch’essi di sè, di giù, da ogni parte, tutti contro la grotta di Bethlehem, i quali avrebbero fatto veramente un nuovo e graziosissimo spettacolo.
Poi si nascose dietro il presepe.
Lascio immaginare a voi come rise là dietro, quando, alla fine della messa notturna, vennero incontro alla meravigliosa sorpresa il nonno Pietro coi nipotini e la figlia e tutta la folla degli invitati, mentre già l’incenso fumava e i zampognari davano fiato alle loro ciaramelle.

 
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Tagore

Post n°169 pubblicato il 02 Luglio 2011 da odette.teresa1958

Nella tua eterna veglia,
tu ascolti i miei passi che s'avvicinano,
mentre la tua letizia si raccoglie
nei primi albori del mattino
ed erompe nell'esplosione di luce.
Più mi accosto a te, più profondo diventa
il fervore nella danza del mare.
Il tuo mondo è uno spruzzo di luce
che si diffonde, colmandoti le mani,
ma il tuo cielo è nel mio cuore segreto;
esso schiude lentamente
le sue gemme in timido amore.

 
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Gerard Philipe

Post n°168 pubblicato il 02 Luglio 2011 da odette.teresa1958

Prima di morire di cancro, a soli 37 anni, Gérard Philipe voleva interpretare Amleto, dopo aver affrontato sul grande schermo diavoli e amore, incantesimi, dissoluzione e duelli.
Nato a Cannes il 4 dicembre 1922, per volere del padre frequenta la facoltà di Giurisprudenza, ma il suo sogno è fare l'attore. Con la complicità della madre, si iscrive all'Accademia d'Arte Drammatica di Parigi e poco più che ventenne esordisce nel cinema, per merito del regista Marc Allegret, celebre scopritore di talenti, che lo dirige in Tre sorelle innamorate (1943). In seguito veste i panni de L'idiota (Georges Lampin, 1946), di Dostoevskij. Per l'interpretazione del principe Myskin, era stato scelto all'inizio Jean-Louis Barrault, eppure nonostante sia un attore ancora agli inizi ne offre un ritratto straordinario e convincente. Del resto vanta già un'eccellente carriera teatrale ed è stato acclamato quando ha portato sulle scene il "suo" Caligola.
Il successo internazionale arriva con la trasposizione del romanzo di Raymond Radiguet, Il diavolo in corpo (Claude Autant-Lara,1947), dove si immortala nel ruolo di François, giovane appassionato e romantico che vive una travolgente e infelice storia d'amore. Subito dopo, piuttosto che cedere alle lusinghe di Hollywood, preferisce traversare le Alpi e indossare gli abiti di Fabrizio del Dongo (La certosa di Parma, Christian-Jaque, 1947), accanto all'attrice Maria Casarès che dirà di lui "sembrava un angelo chetentava avidamente, ferocemente di divenire un uomo". Sospeso in questa magica condizione, avvertita forse più dagli altri che da lui stesso, continua ad apparire bello, romantico e gentile.
Nonostante la sua giovane età è considerato un attore di grande talento, rigoroso e sensibile. Proprio per la sua bellezza, si attira l'ostilità di Michel Simon durante la lavorazione di La bellezza del diavolo, diretto nel 1949 da René Clair, che è anche suo testimone di nozze quando, nel novembre del 1951, sposa Nicole Fourcade. In seguito alterna la sua attività tra cinema e teatro.
Sui palcoscenici di Avignone recita El Cid di Corneille e viene definito bello come Achille, fiero come Orlando. Subito dopo volteggia sul grande schermo come un divertente e ardimentoso Fanfan la Tulipe (Christian Jaque,1951).
Dal matrimonio con Nicole nascono due figli, mentre la sua galleria si arricchisce di altri suggestivi personaggi, tratti dalla realtà, come Amedeo Modigliani (Montparnasse 19, Jacques Becker, 1958), o ispirati alla letteratura (Il giocatore, Claude Autant-Lara, 1958). Dopo aver recitato a fianco delle più belle attrici francesi, figura accanto a Jeanne Moreau in Relazioni pericolose (Roger Vadim, 1959), nel ruolo di Valmont. L'ultimo film che gira prima della sua prematura scomparsa, avvenuta il 25 novembre 1959.

 

 
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Libri dimenitcati:Breve come un sospiro (Anne Philipe)

Post n°167 pubblicato il 02 Luglio 2011 da odette.teresa1958

Lui ha 37 anni si chiama Gerard,ha una moglie che ama e due bambini piccoli.E' all'apice della carriera,perchè è anche un attore di successo.
All'improvviso,il cancro.
In questo libro brevissimo e toccante Anne,sua moglie,ricostruisce i loro ultimi mesi.
Da leggere e non una sola volta!

 
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Frase del giorno

Post n°166 pubblicato il 02 Luglio 2011 da odette.teresa1958

Non seguitemi mi son perso anche io! (Snoopy)

 
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