Il labirinto
blog diarioMessaggi del 31/07/2011
Comicissimo racconto sulle peripezie di Lisandro,sprovveduto che decide di comprare un calesse e si ritrova per le mani una cavalla indomabile,la Zaira,appunto
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– C’è qualcuno che ride.
Qua, là, dove la voce arriva, è come se si drizzi una vipera, o un grillo springhi, o sprazzi uno specchio a ferir gli occhi a tradimento.
Chi osa ridere?
Tutti si voltano di scatto a cercare in giro con occhi fulminanti.
(Il salone enorme, illuminato sopra la folla degli invitati dallo splendore di quattro grandi lampadarii di cristallo, rimane in alto, nella tetraggine della sua polverosa antichità, quasi spento e deserto; solo pare allarmata, da un capo all’altro della volta, la crosta del violento affresco secentesco che ha fatto tanto per soffocare e confondere in un nerume di notte perpetua le truculente frenesie della sua pittura; si direbbe non veda l’ora che ogni agitazione cessi anche in basso e il salone sia sgombrato.)
Qualche faccia lunga, forzata con pietoso stiracchiamento a un afflitto sorriso di compiacenza, forse, a guardar bene, si trova; ma nessuno che rida, propriamente. Ora, sorridere di compiacenza sarà lecito, sarà credo anzi doveroso, se è vero che la riunione – molto seria – vuole anche aver l’aria d’uno dei soliti trattenimenti cittadini in tempo di carnevale. C’è difatti sulla pedana coperta da un tappeto nero un’orchestrina di calvi inteschiti che suona senza fine ballabili, e coppie ballano per dare alla riunione un’apparenza di festa da ballo, all’invito e quasi al comando di fotografi chiamati apposta. Stridono però talmente il rosso, il celeste di certi abiti femminili ed è così ribrezzosa la gracilità di certe spalle e di certe braccia nude, che quasi quasi vien fatto di pensare quei ballerini non siano stati estratti di sotterra per l’occasione, giocattoli vivi d’altro tempo, conservati e ora ricaricati artificialmente per dar questo spettacolo. Si sente proprio il bisogno, dopo averli guardati, di attaccarsi a un che di solido e rude: ecco, per esempio, la nuca di questo vicino aggrondato che suda paonazzo e si fa vento con un fazzoletto bianchissimo; la fronte da idiota di quella vecchia signora. Strano intanto: sulla squallida tavola dei rinfreschi, i fiori non sono finti, e allora fa tanta malinconia pensare ai giardini da cui sono stati colti questa mattina sotto una pioggerella chiara che spruzzolava lieve pungente; e che peccato questa pallida rosa già disfatta che serba nelle foglie cadute un morente odore di carne incipriata.
Sperduto qua e là tra la folla, c’è anche qualche invitato in domino, che sembra un fratellone in cerca del funerale.
La verità è che tutti questi invitati non sanno la ragione dell’invito. È sonato in città come l’appello a un’adunata. Ora, perplessi se convenga meglio appartarsi o mettersi in mostra (che non sarebbe neanche facile tra tanta folla) l’uno osserva l’altro, e chi si vede osservato nell’atto di tirarsi indietro o di cercare di farsi avanti, appassisce e resta lì; perché sono anche in sospetto l’uno dell’altro e la diffidenza nella ressa dà smanie che a stento riescono a contenere; occhiate alle spalle s’allungano oblique che, appena scoperte, si ritraggono come serpi.
– Oh guarda, sei qua anche tu?
– Eh, ci siamo tutti, mi pare.
Nessuno intanto osa chiedere perché, temendo di essere lui solo ad ignorarlo, il che sarebbe colpa nel caso che la riunione sia stata indetta per prendere una grave decisione. Senza farsene accorgere, alcuni cercano con gli occhi quei due o tre che si presume debbano essere in grado di saperlo; ma non li trovano; si saranno riuniti a consulto in qualche sala segreta, dove di tanto in tanto qualcuno è chiamato e accorre impallidendo e lasciando gli altri in un ansioso sbigottimento. Si cerca di desumere dalle qualità di chi è stato chiamato e dalla sua posizione e dalle sue aderenze che cosa di là possa essere in deliberazione, e non si riesce a comprenderlo perché, poco prima, è stato chiamato un altro di qualità opposte e d’aderenze affatto contrarie.
Nella costernazione generale per questo mistero, l’orgasmo va crescendo di punto in punto. Si sa un’inquietudine come fa presto a propagarsi e come una cosa, passando di bocca in bocca, si alteri fino a diventare un’altra. Arrivano così da un capo all’altro del salone tali enormità da far restare tramortiti. E dagli animi così tutti in fermento vapora e si diffonde come un incubo, nel quale, al suono angoscioso e spasimante di quell’orchestrina, tra il brusìo confuso che stordisce e i riverberi dei lumi negli specchi, i più strani fantasmi guizzano davanti agli occhi di ciascuno, e come un fumo che trabocchi in dense volute, dalle coscienze che covano in segreto il fuoco d’inconfessati rimorsi, apprensioni traboccano e paure e sospetti d’ogni genere; in tanti la smania istintiva di correr subito a un riparo ha i più impreveduti effetti: chi sbatte gli occhi di continuo, chi guarda un vicino senza vederlo e teneramente gli sorride, chi sbottona e riabbottona senza fine un bottone del panciotto. Meglio far vista di niente. Pensare a cose aliene. La Pasqua ch’è bassa quest’anno. Uno che si chiama Buongiorno. Ma che soffocazione intanto questa commedia con noi stessi.
Il fatto (se vero) che qualcuno ride non dovrebbe far tanta impressione, mi sembra, se tutti sono in quest’animo. Ma altro che impressione! Suscita un fierissimo sdegno, e proprio perché tutti sono in quest’animo: sdegno come per un’offesa personale, che si possa avere il coraggio di ridere apertamente. L’incubo grava così insopportabile su tutti, appunto perché a nessuno par lecito ridere. Se uno si mette a ridere e gli altri seguono l’esempio, se tutto quest’incubo frana d’improvviso in una risata generale, addio ogni cosa! Bisogna che in tanta incertezza e sospensione d’animi si creda e si senta che la riunione di questa sera è molto seria.
Ma c’è poi veramente questo qualcuno che seguita a ridere, nonostante la voce che serpeggia ormai da un pezzo in mezzo alla riunione? Chi è? Dov’è? Bisogna dargli la caccia, afferrarlo per il petto, sbatterlo al muro, e, tutti coi pugni protesi, domandargli perché ride e di chi ride. Pare che non sia uno solo. Ah sì, più d’uno? Dicono che sono almeno tre. Ma come, di concerto, o ciascuno per sé? Pare di concerto tutt’e tre. Ah sì? venuti dunque col deliberato proposito di ridere? Pare.
È stata prima notata una ragazzona, vestita di bianco, tutta rossa in viso, prosperosa, un po’ goffa, che si buttava via dalle risa in un angolo della sala di là. Non ci s’è fatto caso in principio, sia perché donna, sia per l’età. Ha solo urtato il suono inatteso della risata e alcuni si sono voltati come per una sconvenienza, diciamo pure impertinenza, tracotanza là, se si vuole, ma perdonabile, via: un riso da bambina, del resto subito troncato, vedendosi osservata. Scappata via da quell’angolo, curva, comprimendosi, con tutte e due le mani sulla bocca, ha fatto senso – questo sì – udirla ancora ridere di là, in un prorompimento convulso, forse a causa della compressione che fuggendo s’era imposta. Bambina? Ora si viene a sapere che ha, a dir poco, sedici anni, e due occhi che schizzano fiamme. Pare che vada fuggendo da una sala all’altra, come inseguita. Sì, sì, è inseguita difatti, è inseguita da un giovinotto molto bello, biondo come lei, che ride anche lui come un pazzo inseguendola; e di tratto in tratto si ferma sbalordito dall’improntitudine di lei che si ficca da per tutto; vorrebbe darsi un contegno ma non ci riesce; si volta di qua e di là come sentendosi chiamare, e certo si morde così le labbra per tenere a freno un impeto d’ilarità che gli gorgoglia dentro e gli fa sussultare lo stomaco. Ed ecco che ora hanno scoperto anche il terzo, un certo ometto elastico che va ballonzollando e battendo i due corti braccini sulla pancetta tonda e soda come due bacchette sul tamburo, la calvizie specchiante tra una rossa corona di capelli ricciuti e una faccia beata in cui il naso gli ride più della bocca, e gli occhi più della bocca e del naso, e gli ride il mento e gli ride la fronte, gli ridono perfino le orecchie. In marsina come tutti gli altri. Chi l’ha invitato? Come si sono introdotti nella riunione? Nessuno li conosce. Nemmeno io. Ma so che è lui il padre di quei due ragazzi, signore agiato che vive in campagna con la figlia, mentre il figlio è agli studii qua in città. Saranno capitati a questa finta festa da ballo per combinazione. Chi sa che cosa, venendo, si saran detta tra loro, che intese e scherzi segreti si saran tra loro da tempo stabiliti, burle note soltanto a loro, polveri in serbo, colorate, da fuochi d’artificio, pronte a esplodere a un minimo incentivo, sia pure d’uno sguardo di sfuggita: fatto si è che non possono stare insieme: si cercano però con gli occhi da lontano e, appena si sbirciano, voltano la faccia e sotto le mani sbruffano certe risate che sono veramente scandalose in mezzo a tanta serietà.
L’ossessione di questa serietà è così su tutti incombente e soffocante, che nessuno riesce a supporre che quei tre ne possano esser fuori, lontani, e possano avere in sé invece una innocente e magari sciocca ragione di ridere così di nulla; la ragazza, per esempio, solo perché ha sedici anni e perché è abituata a vivere come una puledra in mezzo a un prato fiorito, una puledra che imbizzarrisca a ogni alito d’aria e salti e corra felice, non sa lei stessa di che: si può giurare che non s’accorge di nulla, che non ha il minimo sospetto dello scandalo che sta sollevando insieme col padre e col fratello così anch’essi festanti, alieni e lontani d’ogni sospetto.
Sicché quando, riuniti alla fine tutt’e tre su di un divano della sala di là, il padre in mezzo tra il figlio e la figlia, contenti e spossati, con un gran desiderio di abbracciarsi per il divertimento che si son presi, sgorgato dalla loro stessa gioja in tutte quelle belle risate come in un fragorìo d’effimere spume, si vedono venire incontro dalle tre grandi porte vetrate, come una nera marea sotto un cielo d’improvviso incavernato, tutta la folla degli invitati, lentamente, lentamente, con melodrammatico passo di tenebrosa congiura, dapprima non capiscono nulla, non credono che quella buffa manovra possa esser fatta per loro e si scambiano un’occhiata, ancora un po’ sorridenti; il sorriso però va man mano smorendo in un crescente sbalordimento, finché, non potendo né fuggire e nemmeno indietreggiare, addossati come sono alla spalliera del divano, non più sbalorditi ma atterriti ora, levano istintivamente le mani come a parar la folla che, seguitando a procedere, s’è fatta loro sopra, terribile. I tre maggiorenti, quelli che, proprio per loro e non per altro, s’erano riuniti a consulto in una sala segreta, proprio per la voce che serpeggiava del loro riso inammissibile a cui han deliberato di dare una punizione solenne e memorabile, ecco, sono entrati dalla porta di mezzo e sono avanti a tutti, coi cappucci del domino abbassati fin sul mento e burlescamente ammanettati con tre tovaglioli, come rei da punire che vengano a implorare da loro pietà. Appena sono davanti al divano, una enorme sardonica risata di tutta la folla degli invitanti scoppia fracassante e rimbomba orribile più volte nella sala. Quel povero padre, sconvolto, annaspa tutto tremante, riesce a prendersi sotto braccio i due figli e, tutto ristretto in sé, coi brividi che gli spaccano le reni, senza poter nulla capire, se ne scappa, inseguito dal terrore che tutti gli abitanti della città siano improvvisamente impazziti.
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Protagonisti della vicenda che sto per raccontarvi sono il farmacista Silverio Stecchettoni e la sua consorte Niobe.Tutto è cominciato quando il Silverio,afflitto come la moglie da una smodata passione per il lotto,una notte si è sognato il defunto prozio Mefisto,che lo esortava a giocare sulla ruota di Firezne il 28 (ovvero il numero dei cornuti)che non usciva da 3 anni e 7 mesi.Prima di recarsi al lavoro a Pistoia,il Silverio ha giocato sul numero ben 200.000 lire e ha promesso alla moglie che se vinceva tornava a casa in taxi.
Come sanno gli addetti ai lavori,sulla ruota di Firenze è uscito il 27.
Appresa la ferale notizia il farmacista per la disperazione,ha preso a capocciate il muro fino a svenire.Un collega, temendo per la sua incolumità,ha chiamato un taxi che lo accompagnasse fino a S.Tobia.
E qui è cascato l'asino,lettori miei!
La Niobe, appostata sul terrazzo ,alla vista del taxi ha dato fuori di matto.per la gioia di essere diventata milionaria,ha cominciato a gettare in strada di tutto un po', a spese degli ignari paesani.
Lo Sgozzaloca,preso in pieno da una cesta di panni sporchi,è finito nella fontana.
Lo Scannafù che passava in bici,centrato dalla pattumiera è finito contro l'unico lampione di S.Tobia.
Libri vari hanno colpito l'Orapronobis,l'Anarchico, i Trogoloni e il Trombettoni.Be'erino,afferrata al volo una damigiana piena di vino, se l'è filata,ringraziando calorosamente la Niobe.
Sempre più invasata,la Stecchettoni ha cominciato a tirar giù il mobilio:Geremia per poco non è stato centrato da un tavolino;ilCapricorni ha schivato di misura una specchiera;Vladimiro,che passava di lì con la moto appena ricomprata,se l'è vista disintegrare dal water.
Intanto loStecchettoni è uscito dal taxi ed ha informato la moglie (e pisani,fiorentini,pratesi e livornesi)che non avevano vinto un accidente.
Sconvolta,la Niobe si è buttata dal terrazzo,atterrando sul Cornacchioni.
Per poco la gente non l'ha linciata,e solo l'intervento del Cuccurullo l'ha salvata.
Questo accadeva ieri pomeriggio.
Lo Sgozzaloca ha la bronchite.
Lo Scannafù ha la commozione cerebrale.
Be'erino è in pieca ciucca,con gran gioia della Strombazzoni-Bon.
Vladimiro è ricoverato nella clinica Luminaris,in compagnia del Silverio:uno è catatonico,l'altr spicca salti pazzeeschi e prende a capocciate il soffitto ogni 30 secondi.
Ireneo ne avrà per 60 giorni salvo complicazioni.
La Niobe ha lasciato S.Tobia per destinazione ignota.
Sperando che non torni,passo e chiudo.
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Vostra Eccellenza, che mi sta in cagnesco
per que' pochi scherzucci di dozzina,
e mi gabella per anti-tedesco
perché metto le birbe alla berlina,
5 0 senta il caso avvenuto di fresco
A me che girellando una mattina
càpito in Sant'Ambrogio di Milano,
in quello vecchio, là, fuori di mano.
M'era compagno il figlio giovinetto
10 d'un di que' capi un po' pericolosi,
di quel tal Sandro, autor d'un romanzetto
ove si tratta di Promossi Sposi...
Che fa il nesci, Eccellenza? o non l'ha letto?
Ah, intendo; il suo cervel, Dio lo riposi,
15 in tutt'altre faccende affaccendato,
a questa roba è morto e sotterrato.
Entro, e ti trovo un pieno di soldati,
di que' soldati settentrionali,
come sarebbe Boemi e Croati,
20 messi qui nella vigna a far da pali:
difatto se ne stavano impalati,
come sogliono in faccia a' generali,
co' baffi di capecchio e con que' musi,
davanti a Dio, diritti come fusi.
25 Mi tenni indietro, chè, piovuto in mezzo
di quella maramaglia, io non lo nego
d'aver provato un senso di ribrezzo,
che lei non prova in grazia dell'impiego.
Sentiva un'afa, un alito di lezzo;
30 scusi, Eccellenza, mi parean di sego,
in quella bella casa del Signore,
fin le candele dell'altar maggiore.
Ma, in quella che s'appresta il sacerdote
a consacrar la mistica vivanda,
35 di sùbita dolcezza mi percuote
su, di verso l'altare, un suon di banda.
Dalle trombe di guerra uscian le note
come di voce che si raccomanda,
d'una genteo che gema in duri stenti
40 e de' perduti beni si rammenti.
Era un coro del Verdi; il coro a Dio
Là de' Lombardi miseri, assetati;
quello: "0 Signore, dal tetto natio",
che tanti petti ha scossi e inebriati.
45 Qui cominciai a non esser più io
e come se que' còsi doventati
fossero gente della nostra gente,
entrai nel branco involontariamente.
Che vuol ella, Eccellenza, il pezzo è bello,
50 poi nostro, e poi suonato come va;
e coll'arte di mezzo, e col cervello
dato all'arte, l'ubbie si buttan là.
Ma, cessato che fu, dentro, bel bello,
lo ritornava a star come la sa;
55 quand'eccoti, per farmi un altro tiro,
da quelle bocche che parean di ghiro,
un cantico tedesco, lento lento
per l'aër sacro a Dio mosse le penne;
era preghiera, e mi parea lamento,
60 d'un suono grave, flebile, solenne,
tal, che sempre nell'anima lo sento:
e mi stupisco che in quelle cotenne,
in que' fantocci esotici di legno,
potesse l'armonia fino a quel segno.
65 Sentia, nell'inno, la dolcezza amara
de' canti uditi da fanciullo; il core
che da voce domestica gl'impara,
ce li ripete i giorni del dolore:
un pensier mesto della madre cara,
70 un desiderio di pace e d'amore,
uno sgomento di lontano esilio,
che mi faceva andare in visibilio.
E, quando tacque, mi lasciò pensoso
di pensieri più forti e più soavi.
75 - Costor, - dicea tra me, - re pauroso
degi'italici moti e degli slavi,
strappa a' lor tetti, e qua, senza riposo
schiavi li spinge, per tenerci chiavi;
gli spinge di Croazia e dli Boemme,
80 come mandre a svernar nelle maremme.
A dura vita, a dura disciplina,
muti, derisi, solitari stanno,
strumenti ciechi d'occhiuta rapina,
che lor non tocca e che forse non sanno;
85 e quest'odio, che mai non avvicina
il popolo lombardo all'alemannoo,
giova a chi regna dividendo, e teme
popoli avversi affratellati 'insieme.
Povera gente! lontana da' suoi;
90 in un paese, qui, che le vuol male,
chi sa, che in fondo all'anima po' poi,
non mandi a quel paese il principale!
Gioco che l'hamo in tasca come noi.
Qui, se non fuggo, abbraccio un caporale,
95 colla su' brava mazza di nocciòlo,
duro e piantato lì come un piòlo.
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Qui non solo deve fare i conti con gli intrighi della corte borbonica,ma anche con il fatto che il marito,causa un'imperfezione,non può consumare il matrimonio.
Come se non bastasse,il suocero muore e Francesco diventa re,un re debole e incerto,manovrato da ministri e matrigna.
Pochi mesi dopo,Garibaldi caccia i Borboni da Napoli.
E' qui che la giovane regina dà veramente prova di sè:indomita e coraggiosa fino all'incoscienza,è l'anima della resistenza della fortezza di Gaeta,dove i Borboni si sono rifugiati,e il suo coraggio viene riconosciuto ovunque.
Sofia non smetterà mai di tramare contro i Savoia,e per loro sarà una costante spina nel fianco,al punto che tenteranno di screditarla in ogni modo.
Ma Sofia è anche una donna.
Da una relazione adulterina nasceranno due bambine da cui dovrà separarsi,affidandole una al padre,l'altra a Sissi.
Quando finalmente Francesco deciderà di curarsi e potrà consumare il matrimonio,nascerà una bimba,destinata però a morire a pochi mesi.
Sarà quello che decreterà la fine dell'unione con Francesco.
Sofia si rifugerà in Francia,dove morirà in tarda età,non senza aver vissuto la tragedia di Mayerling,l'assassinio di Sissi e la Prima Guerra Mondiale.
Imperdibile
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Inviato da: RicamiAmo
il 01/08/2014 alle 18:11
Inviato da: Dolce.pa44
il 26/07/2014 alle 18:22
Inviato da: do_re_mi0
il 23/04/2014 alle 18:01
Inviato da: odio_via_col_vento
il 14/04/2014 alle 20:57
Inviato da: Krielle
il 23/03/2014 alle 04:38