Il labirinto
blog diarioMessaggi del 16/08/2011
Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso |
Confronti due lingue:
Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso |
«Saranno proprio fradici quei poveretti che si trovano fuori adesso!» disse, perché era proprio un buon poeta.
«Oh, apritemi! Sto congelando e sono bagnato fradicio!» gridò un bambinetto che si trovava fuori. Piangeva e bussava alla porta, mentre la pioggia continuava a cadere e il vento soffiava contro le finestre.
«Poverino!» esclamò il vecchio poeta, e aprì la porta. Vide un bambino, completamente nudo, con l'acqua che scorreva lungo i capelli biondi, tremante per il freddo; se non fosse entrato, sarebbe sicuramente morto, con quel tempaccio.
«Poverino!» disse il vecchio poeta e lo prese per mano. «Vieni qui da me, che ti scaldo. Adesso ti darò del vino e una mela, perché sei un bel bambino.»
E lo era veramente. Gli occhi sembravano due stelle lucenti, e i lunghi capelli dorati, pure grondanti d'acqua, erano tutti bene arricciati. Sembrava un angelo, ma era pallido per il freddo e tremava con tutto il corpo. In mano teneva un bell'arco, ma si era rovinato per l'acqua, e i colori delle frecce erano tutti mescolati per la grande umidità.
Il vecchio poeta sedette vicino alla stufa, si prese il ragazzino in grembo, gli strizzò l'acqua dai capelli, gli scaldò le manine nelle sue e fece bollire del vino per lui; così il piccolo si riebbe, le guance ripresero colore, e lui saltò sul pavimento e si mise a ballare intorno al vecchio poeta.
«Sei proprio un bambino allegro!» esclamò il vecchio poeta. «Come ti chiami?»
«Mi chiamo AMORE!» gli rispose. «Non mi conosci? E questo è il mio arco. Io so tirare con l'arco, so tirare davvero! Guarda, adesso torna il bel tempo; la luna splende.»
«Ma il tuo arco è rovinato» disse il vecchio poeta.
«Che peccato» rispose il bambino, lo prese in mano e lo guardò. «Oh, adesso si è asciugato, e non ha subito danni. La corda è ancora ben tesa! Adesso lo provo» e così tese l'arco, vi mise una freccia, mirò e colpì quel buon vecchio poeta proprio al cuore. «Hai visto che il mio arco non s'è rovinato!» esclamò, e ridendo forte se ne andò.
Che bambino cattivo! colpire così il vecchio poeta che lo aveva ospitato nella sua casetta calda, che era stato tanto buono con lui, che gli aveva dato del buon vino e la mela più bella.
Il buon poeta era steso sul pavimento e piangeva, era stato proprio colpito al cuore e diceva: «Ah, che ragazzo cattivo è Amore! Devo raccontarlo a tutti i bambini buoni, affinché stiano attenti e non giochino mai con lui, perché può far loro del male!».
Tutti i bambini buoni, maschi e femmine, a cui egli raccontò l'accaduto, stavano in guardia dal crudele Amore, ma lui li ingannava ugualmente, perché era così abile! Quando gli studenti uscivano dalle lezioni, si affiancava a loro, con un libro sotto il braccio e un vestito nero. Non potevano certo riconoscerlo e così lo prendevano sottobraccio e credevano fosse uno studente come loro, ma a quel punto lui gli scoccava una freccia nel petto. Quando le ragazze se ne andavano via dal prete, o quando erano in chiesa, le seguiva sempre. Sì, era sempre con la gente! A teatro si metteva nel lampadario e ardeva come una lampada, così tutti credevano che fosse una lampadina, ma poi s'accorgevano di qualcos'altro.
Correva nel giardino reale e sui bastioni. Sì, una volta ha colpito tuo padre e tua madre al cuore! Prova a chiederglielo, e senti cosa ti diranno. Già, è proprio un ragazzo cattivo, questo Amore, non dovresti mai avere a che fare con lui. Va dietro alla gente. Pensa che una volta ha anche scoccato una freccia alla vecchia nonna; è passato tanto tempo ormai, ma lei non lo dimenticherà. Ah, cattivo Amore! Ma ora lo conosci; sai quanto sia cattivo quel bambino.
Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso |
«La terra è bella nel suo vestito della festa!» disse, e quel pensiero lo aveva messo in bello stile con la rima baciata, e l'aveva sviluppato in una lunga e bellissima canzone.
Il maestro di scuola, il signor Kisserup, ma il nome non è importante, era un suo nipote e era venuto in visita, ascoltò la poesia della zia, e questo gli fece bene, disse, proprio bene al cuore. «Lei ha spirito, signora» esclamò.
«Quante storie!» rispose il giardiniere «non le dica queste cose! Una moglie deve essere pratica, pratica e dignitosa, e preoccuparsi che la minestra nella pentola non bruci.»
«Toglierò l'odore di bruciato con un pezzo di carbone» rispose la signora. «E l'odore di bruciato che è in te lo toglierò con un bacio. Sembra quasi che tu pensi soltanto ai cavoli e alle patate; e dire che ami i fiori!» e così lo baciò. «I fiori sono spirito» commentò.
«Sta attenta alla pentola!» ripetè lui andandosene in giardino: il giardino era la sua pentola e lui badava a quello.
Ma il maestro di scuola sedette vicino alla signora e si mise a parlare con lei: tenne una specie di sermone, fatto a suo modo sulle parole bellissime di lei: "la terra è bella!".
«La terra è bella, dovete sottometterla, venne detto, e noi diventammo padroni. Chi con lo spirito, chi con il corpo. Qualcuno fu messo nel mondo come un punto esclamativo, qualcun altro come un punto di domanda, perché ci si chieda che cosa ci faccia qui! Uno diventa vescovo, un altro un semplice maestro di scuola, ma ogni cosa è fatta con saggezza. La terra è bella nel suo vestito della festa! Questa è proprio una poesia che stimola la riflessione, signora, è piena di sentimento e di cognizioni geografiche.»
«Lei ha spirito, signor Kisserup» disse la signora «molto spirito, glielo assicuro! Si vede chiaro in se stessi quando si parla con lei.»
E continuarono a parlare, sempre molto bene; ma in cucina c'era qualcun altro che parlava, era il folletto, quel piccolo folletto vestito di grigio con il cappello rosso: lo conosci? Il folletto stava in cucina e era un ficcanaso, e parlava, ma nessuno lo sentiva, eccetto il grande gatto nero, "il ladro di panna" come lo chiamava la signora.
Il folletto era molto arrabbiato con la signora, perché lei non credeva alla sua esistenza; in realtà non l'aveva mai visto, ma con la sua cultura doveva sapere che esisteva e quindi mostrargli qualche piccola attenzione. Pure, non le veniva mai in mente, la sera di Natale, di preparare una scodella di riso al latte per lui, come tutti i suoi antenati avevano ricevuto, e da parte di signore che non avevano nessuna cultura; riso al latte annegato nel burro e nella panna. Al gatto venne l'acquolina in bocca solo a sentirlo.
«Mi chiama "Concetto"!» disse il folletto «e questo per me è inconcepibile! In realtà mi nega! Questo l'ho scoperto origliando, e ora ho scoperto qualcos'altro: è lì a passare il tempo con il punitore dei bambini, il maestro di scuola. Io sono d'accordo con il marito: "Bada alla tua pentola!", e lei non lo fa, ora farò in modo che trabocchi!»
Il folletto soffiò sul fuoco che avvampò e bruciò con più forza. "Surresurrerup!" e la minestra sgorgò fuori.
«Ora vado a fare dei buchi nelle calze del padrone!» disse il folletto «farò un buco grossissimo sull'alluce e uno sul calcagno, così sarà costretta a rammendare e non farà più poesie: la signora poetessa che rammenda le calze del marito!»
Il gatto starnutì, era raffreddato nonostante avesse sempre la pelliccia.
«Ho aperto la porta della dispensa» gli disse il folletto «c'è della panna, densa come un pasticcio di farina. Se non vai a leccarla tu, lo farò io!»
«Dato che mi daranno la colpa e le botte» disse il gatto «è giusto che la panna la lecchi io!»
«Prima la panna, poi la frusta!» disse il folletto. «Ma ora andrò nella camera del maestro di scuola e gli legherò le bretelle allo specchio e gli metterò i calzini nella bacinella dell'acqua, così penserà che il punch era troppo forte e gli ha confuso la mente. La notte scorsa mi sono messo sulla catasta di legna vicino al canile, mi diverto molto a prendere in giro il cane alla catena. Ho dondolato le gambe, ma il cane non riusciva a raggiungermi, nonostante saltasse in alto. Così si arrabbiò e abbaiò continuamente, io invece continuavo a dondolare le gambe. Era proprio un bello spettacolo. Il maestro di scuola si svegliò a quel rumore, per ben tre volte guardò fuori, ma non mi vide, nonostante avesse gli occhiali infatti dorme sempre con gli occhiali.»
«Dimmi miao, quando arriva la signora!» disse il gatto. «Non ci sento bene oggi, sono malato.»
«Tu sei goloso!» replicò il folletto. «Lecca, lecca! che la malattia se ne va. Ma asciugati i baffi, che non ti resti attaccata della panna. Ora vado a origliare.»
Il folletto si mise vicino alla porta socchiusa, non c'era nessuno nella stanza eccetto la signora e il maestro di scuola che parlavano di quello che il seminarista con una bella espressione chiamava: i doni dello spirito, doni che dovevano venire prima delle pentole e delle padelle nel governo della casa.
«Signor Kisserup» disse la donna «a questo proposito voglio mostrarle qualcosa che non ho ancora mostrato a nessuno tanto meno a un uomo; sono le mie poesie brevi, alcune in realtà sono un po' lunghe, ma le ho chìamateRime baciate di una dama di cultura . Mi piacciono tanto le espressioni all'antica!»
«Bisogna conservare anche quelle» commentò il maestro di scuola «bisogna eliminare il tedesco dalla nostra lingua.»
«È quello che faccio» spiegò la signora. «Lei non mi sentirà mai dire "Kleiner" o "Butterteig", io dico sempre "frittelle" e "pasta sfoglia".»
Intanto prese da un cassetto un quaderno con una copertina verde chiara con due macchie d'inchiostro.
«C'è una grande serietà in questo libro!» spiegò. «Io sono profondamente attratta da tutto quel che è patetico. Ecco quiSospiro nella notte ,11 mio crepuscolo eQuando sposai Klemensen , mio marito. Questa la si può anche saltare, anche se naturalmente è molto sentita e ben pensata./ doveri di una casalinga è il pezzo più bello; tutte sono molto patetiche, in questo sono brava, solo un pezzo è divertente, pieno di pensieri allegri, bisogna avere anche quelli. Pensieri su... ora non rida di me! pensieri sul fatto di essere poetessa. Sono conosciuti solo da me, dal mio cassetto, e ora anche da lei, signor Kisserup. Io amo la poesia, mi invade, mi sollecita, mi consiglia e mi governa. Questa l'ho ìntìtolataPiccolo folletto . Lei conosce certamente la vecchia superstizione contadina dei folletti di casa, che fanno sempre qualche scherzo; io ho immaginato di essere la casa e che la poesia, le sensazioni che sono in me fossero il folletto, lo spirito che consiglia; mPiccolo folletto ho cantato il suo potere e la sua grandezza, ma lei deve promettermi di non rivelare queste cose né a mio marito né a nessun altro. Legga a voce alta, così posso vedere se capisce la mia scrittura.»
Il maestro di scuola lesse e la signora si mise a ascoltare; anche il piccolo folletto ascoltò; origliava, lo sai bene, e giunse proprio nel momento in cui fu letto il titolo: Piccolo folletto .
«Parla di me!» esclamò. «Che cosa può aver scritto di me? Mi metterò a beccarla, beccherò le sue uova, i suoi pulcini e farò dimagrire il vitello grasso; ma guarda un po', questa signora!»
E ascoltò con le orecchie tese e il collo allungato; ma come sentiva della magnificenza e del potere del folletto, del dominio che aveva sulla signora (tu sai bene che la signora intendeva l'arte del poetare, ma il folletto prese le cose alla lettera), cominciò a sorridere; gli occhi gli brillarono per la gioia, la bocca prese una piega piena di distinzione; si alzò sui talloni e rimase in punta di piedi, crescendo di un intero pollice. Era incantato da tutto quanto veniva detto sul piccolo folletto.
«La signora ha spirito e grande cultura! Che ingiustizia le ho fatto! Lei mi ha messo nelle sueRime baciate che verranno pubblicate e lette. Ora il gatto non avrà più il permesso di mangiare la panna della signora, lo farò io stesso. Uno mangia meno di due, quindi è sempre un bel risparmio; e io farò così oltre a onorare e rispettare la signora.»
«È proprio come un uomo questo folletto» disse il vecchio gatto. «Basta un dolce miagolio da parte della signora, un miagolio su di lui, e subito cambia opinione. È proprio furba la signora!»
Ma lei non era furba, era il folletto che era umano.
Se non capisci questa storia chiedi, ma non chiedere né al folletto, né alla signora.
Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso |
Finalmente una dopo l'altra, le uova scricchiolarono. «Pip, pip» si sentì, tutti i tuorli delle uova erano diventati vivi e sporgevano fuori la testolina.
«Qua, qua!» disse l'anatra, e subito tutti schiamazzarono a più non posso, guardando da ogni parte sotto le verdi foglie; e la madre lasciò che guardassero, perché il verde fa bene agli occhi.
«Com'è grande il mondo!» esclamarono i piccoli, adesso infatti avevano molto più spazio di quando stavano nell'uovo.
«Credete forse che questo sia tutto il mondo?» chiese la madre. «Si stende molto lontano, oltre il giardino, fino al prato del pastore; ma fin là non sono mai stata. Ci siete tutti, vero?» e intanto si alzò. «No, non siete tutti. L'uovo più grande è ancora qui. Quanto ci vorrà? Ormai sono quasi stufa» e si rimise a covare.
«Allora, come va?» chiese una vecchia anatra giunta a farle visita.
«Ci vuole tanto tempo per quest'unico uovo!» rispose l'anatra che covava. «Non vuole rompersi. Ma dovresti vedere gli altri! Sono i più deliziosi anatroccoli che io abbia mai visto assomigliano tanto al loro padre, quel briccone, che non viene neppure a trovarmi.»
«Fammi vedere l'uovo che non si vuole rompere!» disse la vecchia. «Può essere un uovo di tacchina! Anch'io sono stata ingannata una volta, e ho passato dei guai con i piccoli che avevano una paura incredibile dell'acqua. Non riuscii a farli uscire. Schiamazzai e beccai, ma non servì a nulla. Fammi vedere l'uovo. Sì, è un uovo di tacchina. Lascialo stare e insegna piuttosto a nuotare ai tuoi piccoli.»
«Adesso lo covo ancora un po'; l'ho covato così a lungo che posso farlo ancora un po'!»
«Fai come vuoi!» commentò la vecchia anatra andandosene.
Finalmente quel grosso uovo si ruppe. «Pip, pip» esclamò il piccolo e uscì: era molto grande e brutto. L'anatra lo osservò.
«È un anatroccolo esageratamente grosso!» disse. «Nessuno degli altri è come lui! Purché non sia un piccolo di tacchina! Bene, lo scopriremo presto. Deve entrare in acqua, anche a costo di prenderlo a calci!»
Il giorno dopo era una giornata bellissima; il sole splendeva sulle verdi foglie di farfaraccio. Mamma anatra arrivò con tutta la famiglia al canale. Splash! si buttò in acqua; «qua, qua!» disse, e tutti i piccoli si tuffarono uno dopo l'altro. L'acqua coprì le loro testoline, ma subito tornarono a galla e galleggiarono beatamente; le zampe si muovevano da sole e c'erano proprio tutti, anche il piccolo brutto e grigio nuotava con loro.
«No, non è un tacchino!» esclamò l'anatra «guarda come muove bene le zampe, come si tiene ben dritto! È proprio mio! In fondo è anche carino se lo si guarda bene. Qua, qua! venite con me, vi condurrò nel mondo e vi presenterò agli altri abitanti del pollaio, ma state sempre vicino a me, che nessuno vi calpesti, e fate attenzione al gatto!»
Entrarono nel pollaio. C'era un chiasso terribile, perché due famiglie si contendevano una testa d'anguilla, che alla fine andò al gatto.
«Vedete come va il mondo!» disse la mamma anatra leccandosi il becco, dato che anche lei avrebbe voluto la testa d'anguilla. «Adesso muovete le zampe» aggiunse «provate a salutare e a inchinarvi a quella vecchia anatra. È la più distinta di tutte, è di origine spagnola, per questo è così pesante! Guardate, ha uno straccio rosso intorno a una zampa. È una cosa proprio straordinaria, la massima onorificenza che un'anatra possa ottenere. Significa che non la si vuole abbandonare, e che è rispettata sia dagli animali che dagli uomini. Muovetevi! Non tenete i piedi in dentro! Un anatroccolo ben educato tiene le gambe ben larghe, proprio come il babbo e la mamma. Ecco! Adesso chinate il collo e dite qua!»
E così fecero, ma le altre anatre lì intorno li guardarono e esclamarono: «Guardate! Adesso arriva la processione, come se non fossimo abbastanza, e, mamma mia com'è brutto quell'anatroccolo! Lui non lo vogliamo!» e subito un'anatra gli volò vicino e lo beccò alla nuca.
«Lasciatelo stare» gridò la madre «non ha fatto niente a nessuno!»
«Sì, ma è troppo grosso e strano!» rispose l'anatra che lo aveva beccato «e quindi ne prenderà un bel po'!»
«Che bei piccini ha mamma anatra!» disse la vecchia con lo straccetto intorno alla zampa «sono tutti belli, eccetto uno, che non è venuto bene. Sarebbe bello che lo potesse rifare!»
«Non è possibile, Vostra Grazia!» rispose mamma anatra «non è bello, ma è di animo molto buono e nuota bene come tutti gli altri, anzi un po' meglio. Credo che, crescendo, diventerà più bello e che col tempo sarà meno grosso. È rimasto troppo a lungo nell'uovo, per questo ha un corpo non del tutto normale». E intanto lo grattò col becco sulla nuca e gli lisciò le piume. «Comunque è un maschio» aggiunse «e quindi non è così importante. Credo che avrà molta forza e riuscirà a cavarsela!».
«Gli altri anatroccoli sono graziosi» disse la vecchia. «Fate come se foste a casa vostra e, se trovate una testa d'anguilla, portatemela.»
E così fecero come se fossero a casa loro.
Ma il povero anatroccolo che era uscito per ultimo dall'uovo e che era così brutto venne beccato, spinto e preso in giro, sia dalle anatre che dalle galline: «È troppo grosso!» dicevano tutti, e il tacchino, che era nato con gli speroni e quindi credeva di essere imperatore, si gonfiò come un'imbarcazione a vele spiegate e si precipitò contro di lui, gorgogliando e con la testa tutta rossa. Il povero anatroccolo non sapeva se doveva rimanere o andare via, era molto abbattuto perché era così brutto e tutto il pollaio lo prendeva in giro.
Così passò il primo giorno, e col tempo fu sempre peggio. Il povero anatroccolo veniva cacciato da tutti, persino i suoi fratelli erano cattivi con lui e dicevano sempre: «Se solo il gatto ti prendesse, brutto mostro!» e la madre pensava: "Se tu fossi lontano da qui!". Le anatre lo beccavano, le galline
10 colpivano e la ragazza che portava il mangime alle bestie lo allontanava a calci.
Così volò oltre la siepe; gli uccellini che si trovavano tra i cespugli si alzarono in volo spaventati. "È perché io sono così brutto" pensò l'anatroccolo e chiuse gli occhi, ma continuò a correre. Arrivò così nella grande palude, abitata dalle anatre selvatiche. Lì giacque tutta la notte: era molto stanco e triste.
11 mattino dopo le anatre selvatiche si alzarono e guardarono il loro nuovo compagno. «E tu chi sei?» gli chiesero, e l'anatroccolo si voltò da ogni parte e salutò come meglio potè.
«Sei proprio brutto!» esclamarono le anatre selvatiche «ma a noi non importa nulla, purché tu non ti sposi con qualcuno della nostra famiglia!» Quel poveretto non pensava certo a sposarsi, gli bastava solamente poter stare tra i giunchi e bere un po' di acqua della palude.
Lì rimase due giorni, poi giunsero due oche selvatiche, o meglio, due paperi selvatici, dato che erano maschi. Era passato poco tempo da quando erano usciti dall'uovo e per questo erano molto spavaldi.
«Ascolta, compagno» dissero «tu sei così brutto che ci piaci molto! Vuoi venire con noi e essere uccello di passo? In un'altra palude qui vicino si trovano delle graziose oche selvatiche, tutte signorine, che sanno dire qua! Tu potresti avere fortuna, dato che sei così brutto!»
"Pum, pum!" si sentì in quel momento, entrambe le anatre caddero morte tra i giunchi e l'acqua si arrossò per il sangue. "Pum, pum!» si sentì di nuovo, e tutte le oche selvatiche si sollevarono in schiere. Poi spararono di nuovo. C'era caccia grossa; i cacciatori giravano per la palude, sì, alcuni s'erano arrampicati sui rami degli alberi e si affacciavano sui giunchi. Il fumo grigio si spandeva come una nuvola tra gli alberi neri e rimase a lungo sull'acqua. Nel fango giunsero i cani da caccia plasch, plasch! Canne e giunchi dondolavano da ogni parte. Spaventato, il povero anatroccolo piegò la testa cercando di infilarsela sotto le ali, ma in quello stesso momento si trovò vicino un cane terribilmente grosso, con la lingua che gli pendeva fuori dalla bocca e gli occhi che brillavano orrendamente; avvicinò il muso all'anatroccolo, mostrò i denti aguzzi e plasch! se ne andò senza fargli nulla.
«Dio sia lodato!» sospirò l'anatroccolo «sono così brutto che persino il cane non osa mordermi.»
E rimase tranquillo, mentre i pallini fischiavano tra i giunchi e si sentiva sparare un colpo dopo l'altro.
Solo a giorno inoltrato tornò la quiete, ma il povero giovane ancora non osava rialzarsi; attese ancora molte ore prima di guardarsi intorno, e poi si affrettò a lasciare la palude il più presto possibile. Corse per campi e prati, ma c'era molto vento e faceva fatica a avanzare.
Verso sera raggiunse una povera e piccola casa di contadini, era così misera che lei stessa non sapeva da che parte doveva cadere, e così rimaneva in piedi. Il vento soffiava intorno all'anatroccolo, tanto che lui dovette sedere sulla coda per poter resistere, ma diventava sempre peggio. Allora notò che la porta si era scardinata da un lato e era tutta inclinata, e che lui, attraverso la fessura, poteva infilarsi nella stanza, e così fece.
Qui abitava una vecchia col suo gatto e la gallina; il gatto, che lei chiamava "figliolo", sapeva incurvare la schiena e fare le fusa, e faceva persino scintille se lo si accarezzava contro pelo. La gallina aveva le zampe piccole e basse e per questo era chiamata "coccodè gamba corta", faceva le uova e la donna le voleva bene come a una figlia.
Al mattino si accorsero subito dell'anatroccolo estraneo, e il gatto cominciò a fare le fusa e la gallina a chiocciare.
«Che succede?» chiese la vecchia, e si guardò intorno, ma non ci vedeva bene e così credette che l'anatroccolo fosse una grassa anatra che si era smarrita. «È proprio una bella preda!» disse «ora potrò avere uova di anatra, purché non sia un maschio! Lo metterò alla prova.»
E così l'anatroccolo restò in prova per tre settimane, ma non fece nessun uovo. Il gatto era il padrone di casa e la gallina era la padrona, e sempre dicevano: «Noi e il mondo!» perché credevano di esserne la metà, e naturalmente la metà migliore. L'anatroccolo pensava che si potesse avere anche un'altra opinione, ma questo la gallina non lo sopportava.
«Fai le uova?» chiese la gallina.
«No.»
«Allora te ne vuoi stare zitto!»
E il gatto gli disse: «Sei capace di inarcare la schiena, di fare le fusa e di fare scintille?».
«No!»
«Bene, allora non devi avere più opinioni, quando parlano le persone ragionevoli.»
E l'anatroccolo se ne stava in un angolo, di cattivo umore. Poi cominciò a pensare all'aria fresca e al bel sole. Lo prese una strana voglia di andare nell'acqua, alla fine non potè trattenersi e lo disse alla gallina.
«Cosa ti succede?» gli chiese lei. «Non hai niente da fare, è per questo che ti vengono le fantasie. Fai le uova, o fai le fusa, vedrai che ti passa!»
«Ma è così bello galleggiare sull'acqua!» disse l'anatroccolo «così bello averla sulla testa e tuffarsi giù fino al fondo!»
«Sì, è certo un gran divertimento!» commentò la gallina «tu sei ammattito! Chiedi al gatto, che è il più intelligente che io conosca, se gli piace galleggiare sull'acqua o tuffarsi sotto! Quanto a me, neanche a parlarne! Chiedilo anche alla nostra signora, la vecchia dama! Più intelligente di lei non c'è nessuno nel mondo. Credi che lei abbia voglia di galleggiare o di avere l'acqua sopra la testa?»
«Voi non mi capite!» disse l'anatroccolo.
«Certo, se non ti capiamo noi chi dovrebbe capirti, allora? Non sei certo più intelligente del gatto o della donna, per non parlare di me! Non darti delle arie, piccolo! e ringrazia il tuo creatore per tutto il bene che ti è stato fatto. Non sei forse stato in una stanza calda e non hai una compagnia da cui puoi imparare qualcosa? Ma tu sei strambo, e non è certo divertente vivere con te. A me puoi credere: io faccio il tuo bene se ti dico cose spiacevoli; da questo si riconoscono i veri amici. Cerca piuttosto di fare le uova o di fare le fusa o le scintille!»
«Credo che me ne andrò per il mondo» disse l'anatroccolo.
«Fai come vuoi!» gli rispose la gallina.
E così l'anatroccolo se ne andò. Galleggiava sull'acqua e vi si tuffava, ma era disprezzato da tutti gli animali per la sua bruttezza.
Venne l'autunno. Le foglie del bosco ingiallirono, il vento le afferrò e le fece danzare e su nel cielo sembrava facesse proprio freddo. Le nuvole erano cariche di grandine e di fiocchi di neve, e sulla siepe si trovava un corvo che, ah! ah! si lamentava dal freddo. Vengono i brividi solo a pensarci. Il povero anatroccolo non stava certo bene.
Una sera che il sole tramontava splendidamente, uscì dai cespugli uno stormo di bellissimi e grandi uccelli; l'anatroccolo non ne aveva mai visti di così belli. Erano di un bianco lucente, con lunghi colli flessibili: erano cigni. Mandarono un grido bizzarro, allargarono le loro magnifiche e lunghe ali e volarono via, dalle fredde regioni fino ai paesi più caldi, ai mari aperti! Si alzarono così alti che il brutto anatroccolo sentì una strana nostalgia, si rotolò nell'acqua come una ruota, sollevò il collo verso di loro e emise un grido così acuto e strano, che lui stesso ne ebbe paura. Oh, non riusciva a dimenticare quei bellissimi e fortunati uccelli e quando non li vide più, si tuffò nell'acqua fino sul fondo, e tornato a galla era come fuori di sé. Non sapeva che uccelli fossero e neppure dove si stavano dirigendo, ma ciò nonostante li amava come non aveva mai amato nessun altro. Non li invidiava affatto. Come avrebbe potuto desiderare una simile bellezza! Sarebbe stato contento se solo le anatre lo avessero accettato tra loro. Povero brutto animale!
E l'inverno fu freddo, molto freddo. L'anatroccolo dovette nuotare continuamente per evitare che l'acqua ghiacciasse, ma ogni notte il buco in cui nuotava si faceva sempre più stretto. Ghiacciò, poi la superficie scricchiolò. L'anatroccolo doveva muovere le zampe senza fermarsi, affinché l'acqua non si chiudesse; alla fine si indebolì, si fermò e restò intrappolato nel ghiaccio.
Al mattino presto arrivò un contadino, lo vide e col suo zoccolo ruppe il ghiaccio, poi lo portò a casa da sua moglie. Lì lo fecero rinvenire.
I bambini volevano giocare con lui, ma l'anatroccolo credette che gli volessero fare del male; e per paura cadde nel secchio del latte e lo fece traboccare nella stanza. La donna gridò e agitò le mani, lui allora volò sulla dispensa dove c'era il burro, e poi nel barile della farina, e poi fuori di nuovo! Uh, come si era ridotto! La donna gridava e lo inseguiva con le molle del camino e i bambini si urtavano tra loro cercando di afferrarlo e intanto ridevano e gridavano. Per fortuna la porta era aperta; l'anatroccolo volò fuori tra i cespugli, nella neve caduta, e lì restò, stordito.
Sarebbe troppo straziante raccontare tutte le miserie e i patimenti che dovette sopportare nel duro inverno. Si trovava nella palude tra le canne, quando il sole ricominciò a splendere caldo. Le allodole cantavano, era giunta la bella primavera!
Allora sollevò con un colpo solo le ali, che frusciarono più robuste di prima e che lo sostennero con forza, e prima ancora di accorgersene si trovò in un grande giardino, pieno di meli in fiore, dove i cespugli di lilla profumavano e piegavano i lunghi rami verdi giù fino ai canali serpeggianti. Oh! Che bel posto! e com'era fresca l'aria di primavera! Dalle fitte piante uscirono, proprio davanti a lui, tre bellissimi cigni bianchi; frullarono le piume e galleggiarono dolcemente sull'acqua. L'anatroccolo riconobbe quegli splendidi animali e fu invaso da una strana tristezza.
"Voglio volare da loro, da quegli uccelli reali; mi uccideranno con le loro beccate, perché io, così brutto, oso avvicinarmi a loro. Ma non mi importa! è meglio essere ucciso da loro che essere beccato dalle anatre, beccato dalle galline, preso a calci dalla ragazza che ha cura del pollaio, e soffrire tanto d'inverno!" E volò nell'acqua e nuotò verso quei magnifici cigni questi lo guardarono e si diressero verso di lui frullando le piume. «Uccidetemi!» esclamò il povero animale e abbassò la testa verso la superfìcie dell'acqua in attesa della morte, ma, che cosa vide in quell'acqua chiara? Vide sotto di sé la sua propria immagine: non era più il goffo uccello grigio scuro, brutto e sgraziato, era anche lui un cigno.
Che cosa importa essere nati in un pollaio di anatre, quando si e usciti da un uovo di cigno?
Ora era contento di tutte quelle sofferenze e avversità che aveva patito, si godeva di più la felicità e la bellezza che lo salutavano. E i grandi cigni nuotavano intorno a lui e lo accarezzavano col becco.
Nel giardino giunsero alcuni bambini e gettarono pane e grano nell'acqua; poi il più piccolo gridò: «Ce n'è uno nuovo!». E gli altri bambini esultarono con lui: «Sì, ne è arrivato uno nuovo!». Battevano le mani e saltavano, poi corsero a chiamare il padre e la madre, e gettarono di nuovo pane e dolci in acqua, e tutti dicevano: «Il nuovo è il più bello, così giovane e fiero!». E i vecchi cigni si inchinarono davanti a lui.
Allora si sentì timidissimo e infilò la testa dietro le ali, non sapeva neppure lui cosa avesse! Era troppo felice, ma non era affatto superbo, perché un cuore buono non diventa mai superbo! Ricordava come era stato perseguitato e insultato, e ora sentiva dire che era il più bello di tutti gli uccelli! I lilla piegarono i rami fino all'acqua e il sole splendeva caldo e luminoso. Allora lui frullò le piume, rialzò il collo slanciato e esultò nel cuore: "Tanta felicità non l'avevo mai sognata, quando ero un brutto anatroccolo!."
Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso |
Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso |
Ma andiamo per ordine.
Qualche tempo fa la Carolina ,esasperata dalle intemperanze di Dio ci scampi aveva chiesto la separazione.Il poveraccio,per riconquistarla,le ho proposto di passare sette giorni a Venezia,città che la Carolina non aveva mai visto.
Tre settimane fa,lasciati i bambini alla Taide,i Capricorni sono partiti.
Potevano le cose andare bene con un tipo come Berengario?Scordatevelo!
Ecco,minuto per minuto,quello che è acaduto
LUNEDI'- Melchiorre Scozzagalli ha consigliato a Berengario un ottimo albergo vicino a Piazza S.Marco, "Il colombo d'oro".Berengario ,cretino cretino,è partito senza prenotare e solo una volta arrivato ha scoperto che detto albergo era stato chiuso 50 anni prima (Melchiorre è l'uomo più vecchio di S.Tobia,nda),Peccato che prima di saperlo abbia girovagato con moglie e bagagli al seguito per 7 ore.
Alla fine,i Capricorni hanno preso una camera nella prima pensione che hanno trovato ,la "Pensione Pagliaccion"
MARTEDI'- I poveracci all'alba sono scappati.
Hanno dovuto passare la notte in un sottoscala,dividendosi un sacco a pelo che puzzava di piscio di gatto e,per farla più pulita,hanno pure dovuto contendere il sacco a pelo a una famiglia di pantegane che non erano affatto contente di essere state sfrattate.
Per fortuna hanno trovato una pensione decente vicino al Ponte di Rialto.
MERCOLEDI'- Il Capricorni voleva fotografare la moglie in piedi sulla spalletta del ponte e non ha sentito ragioni.
La poveretta è caduta di sotto,atterrando sulla gondola che trasportava i coniugi giapponesi Nakakata,che si sono leggermente alterati e l'hanno scaraventata in acqua.
GIOVEDI'- I Capricorni hanno deciso di salire sul campanile di S.marco,Berengario era avanti e teneva la moglie per mano,ma ad un certo punto l'ha lasciata andare per soffiarsi il naso.
La Carolina è caduta all'indietro,travolgendo chi? Ma i Nakakata, naturalmente!
Stavolta è stata presa a colpi di karatè
VENERDI'- Berengario voleva fotografare la moglie in Piazza S.Marco,circondata dai colombi.
243 colombi l'hanno usata come water in contemporanea,cosa che non accadeva da ben 314 anni!
Berengario e tutti i presenti sono stati colti da ridarella.
SABATO- Berengario ha portato la moglie in gondola.
Ad un certo punto si è alzato di scatto,facendo cadere in acqua il gondoliere Bepi Mutandon.
L'imbarcazione alla deriva è finita addosso ad una chiatta addetta al trasporto dell'immondizia.
I Capricorni sono finiti in mezzo al pattume
DOMENICA- Quando il marito le ha proposto un'altra gita in gondola,la Carolina,pazza di rabbia,ha cominciato a inseguirlo,decisa a restare vedova,ma Berengario è riuscito a seminarla.
Come dicevo questo accadeva tre settimane fa.
La Carolina è più che mai decisa a separarsi.
Berengario è scomparso e nessuno ne sente la mancanza
Il qui scrivente passa e chiude.
Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso |
Ogni mattina, dopo il segno della croce,
scriverti
è come recitare una preghiera.
Non si può far di peggio,
ma io so fare di meglio.
Ora che non ti vedo,
di buon mattino,
mentre tutti dormono,
prendo la penna, come un ladro prenderebbe
la chiave di un forziere,
e con la penna
rubo la vita che non mi appartiene
e scavo un camminamento
per raggiungere te che, contro ogni legge,
considero mia.
Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso |
Delaware,1996.
Anne Marie Fahey,giovane assistente del governatore dello stato,sparisce misteriosamente da casa sua,senza alcun motivo,lasciando nello sconforto i fratelli e il fidanzato.
E' chiaro che la sua non è una scomparsa volontaria.
Lentamente,gli investigatori cominciano a scoprire molte cose sulla ragazza e puntano i sospetti su un noto imprenditore della zona,Tom Capano,con cui la ragazza aveva una relazione e che aveva lasciato.
E' solo l'inizio di una storia tragica e crudele,la storia di un uomo assetato di dominio sulle donne,che arriva anche all'omicidio pur di non perdere quello che ritiene suo di diritto.
Avvincente,toccante,da non perdere,il resoconto di una storia purtroppo vera di stalking finito tragicamente
Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso |
Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso |
Inviato da: RicamiAmo
il 01/08/2014 alle 18:11
Inviato da: Dolce.pa44
il 26/07/2014 alle 18:22
Inviato da: do_re_mi0
il 23/04/2014 alle 18:01
Inviato da: odio_via_col_vento
il 14/04/2014 alle 20:57
Inviato da: Krielle
il 23/03/2014 alle 04:38