Messaggi del 17/08/2011

I dodici fratelli

Post n°436 pubblicato il 17 Agosto 2011 da odette.teresa1958

C'era una volta un re e una regina che vivevano insieme tranquillamente e avevano dodici figli tutti maschi. Allora il re disse alla moglie: "Se il tredicesimo figlio che metterai al mondo sarà una bambina, i dodici maschi moriranno, perché‚ ella abbia grandi ricchezze e il regno tocchi a lei sola." E ordinò dodici bare, già riempite di trucioli, e in ciascuna c'era un guancialino funebre; le fece portare in una stanza chiusa a tutti, diede poi la chiave alla regina e le ordinò di non parlare a nessuno della cosa.

Ma la madre passava tutto il giorno in grande tristezza; e il più piccolo dei figli, che le stava sempre accanto e che ella aveva chiamato con il nome biblico di Beniamino, le disse: "Cara mamma, perché‚ sei così triste?" - "Mio diletto, non posso dirtelo," rispose la regina. Ma egli non le diede pace fino a quando ella non gli aprì la stanza e gli mostrò le dodici bare già riempite di trucioli. Poi disse: "Mio carissimo Beniamino, queste bare le ha fatte fare tuo padre per te e i tuoi undici fratelli, poiché‚ se metterò al mondo una bambina voi dovrete essere tutti uccisi e sepolti qui." Allora il figlio rispose: "Non piangere, cara mamma, ce la caveremo e ce ne andremo." Ella disse: "Vai nel bosco con i tuoi undici fratelli e uno stia sempre di guardia sull'albero più alto che troverete, e osservi la torre qui nel castello. Se nascerà un maschietto, isserò una bandiera bianca e voi potrete ritornare; se nascerà una femmina isserò una bandiera rossa, e allora fuggite e che il buon Dio abbia cura di voi. Ogni notte mi alzerò a pregare per voi, d'inverno che possiate scaldarvi al fuoco, d'estate che la calura non vi faccia languire."

Dopo avere ricevuto la sua benedizione, i figli se ne andarono nel bosco. Stavano di guardia uno dopo l'altro sulla quercia più alta e osservavano la torre. Quando furono passati undici giorni e il turno toccò a Beniamino, egli vide che veniva issata una bandiera, ma non era bianca bensì rosso sangue e annunciava che dovevano morire tutti. Quando i fratelli lo seppero andarono in collera e dissero: "Dovremmo morire a causa di una femmina! Giuriamo che quando ne incontreremo una ci vendicheremo e faremo scorrere il suo sangue vermiglio."

Poi entrarono nel profondo del bosco dove era più buio e là trovarono una piccola casetta vuota, ma era stregata. Allora dissero: "Qui abiteremo; e tu Beniamino, che sei il più piccolo e il più debole, rimarrai a badare alla casa, mentre noi andremo a cercare da mangiare." Andavano nella foresta e uccidevano lepri, caprioli selvatici, uccelli, piccioncini e tutto ciò che vi era da mangiare; li portavano a Beniamino che doveva cucinarli perché‚ potessero sfamarsi. Vissero insieme nella casetta dieci anni e il tempo non parve loro lungo.

Nel frattempo la bambina che la regina aveva partorito era cresciuta, era bella e aveva una stella d'oro in fronte. Una volta, mentre si faceva il bucato, vide dodici camicie da uomo e chiese a sua madre: "Di chi sono queste dodici camicie? Per il babbo sono troppo piccole." Allora la regina rispose con il cuore grosso: "Bimba cara, sono dei tuoi dodici fratelli." Disse la fanciulla: "Dove sono i miei dodici fratelli? Non ne ho mai sentito parlare." La madre rispose: "Lo sa Iddio dove sono, vagano in giro per il mondo." Prese allora la fanciulla, le aprì la stanza e le mostrò le dodici bare con i trucioli e i guancialini funebri. "Queste bare," disse, "erano destinate a loro, ma essi sono fuggiti di nascosto, prima che tu nascessi" e le raccontò quel che era accaduto. Allora la fanciulla disse: "Cara madre, non piangere; andrò a cercare i miei fratelli." Prese le dodici camicie, partì e si addentrò subito nella gran foresta. Camminò tutto il giorno e la sera giunse alla casetta incantata. Entrò e trovò un ragazzino che le chiese: "Donde vieni e dove vai?" e si meravigliò che fosse così bella, portasse abiti regali e avesse una stella in fronte. Ed ella rispose: "Sono una principessa e cerco i miei dodici fratelli e andrò fin dove il cielo è azzurro pur di trovarli." E gli mostrò le loro dodici camicie. Allora Beniamino capì che era sua sorella e disse: "Sono Beniamino il tuo fratello più giovane!" Ella si mise a piangere dalla gioia e Beniamino fece lo stesso, e si baciarono e si abbracciarono con grande affetto. Poi egli disse: "Cara sorella, c'è ancora un problema: avevamo deciso e pattuito che ogni ragazza che ci incontrasse doveva morire, poiché‚ fummo costretti a lasciare il nostro regno per una ragazza." Allora ella disse: "Morirò volentieri se così potrò liberare i miei dodici fratelli." - "No," egli rispose, "tu non devi morire; nasconditi sotto questa tinozza fino a quando arriveranno gli undici fratelli, poi mi metterò io d'accordo con loro." La fanciulla obbedì e quando scese la notte gli altri tornarono dalla caccia e la cena era pronta. Sedettero a tavola e mentre mangiavano domandarono: "Che c'è di nuovo?" Beniamino disse: "Non sapete nulla?" - "No," risposero. Egli continuò: "Voi siete andati nella foresta e io sono rimasto a casa, eppure ne so più di voi." - "Orsù raccontaci!" esclamarono gli altri. Egli rispose: "Mi promettete anche che la prima fanciulla che incontreremo non sarà uccisa?" - "Sì," esclamarono tutti, "le faremo grazia; ma racconta!" Allora egli disse: "C'è qui nostra sorella." Sollevò la tinozza e ne uscì la principessa in abiti regali con la stella d'oro in fronte: era molto bella, delicata e fine. Tutti allora se ne rallegrarono, le saltarono al collo, la baciarono e l'amarono con tutto il cuore.

Ora ella rimaneva a casa con Beniamino e lo aiutava nei lavori domestici. Gli undici fratelli andavano nel bosco e cercavano selvaggina, caprioli, lepri, uccelli e piccioncini perché‚ potessero mangiare, e la sorella e Beniamino pensavano a prepararli. Ella cercava la legna per cuocere e le erbe per la verdura e le metteva sul fuoco, cosicché‚ il pranzo era sempre pronto quando gli undici rientravano. Teneva inoltre in ordine la casetta e preparava i lettini con biancheria bianca e pulita, e i fratelli erano sempre contenti e vivevano in grande armonia con lei.

Per un certo periodo di tempo i due a casa prepararono buoni cibi e, quando si ritrovavano tutti insieme, sedevano, mangiavano, bevevano ed erano felici. Ma la casetta stregata aveva un piccolo giardinetto nel quale c'erano dodici gigli (chiamati anche fiori di Sant'Antonio). Un giorno ella volle fare un piacere ai suoi fratelli, colse i dodici fiori e pensava di regalarne uno a ciascuno durante la cena. Ma, come ebbe colto i fiori, in quel medesimo istante i dodici fratelli furono tramutati in dodici corvi che volarono via per la foresta, e anche la casa e il giardino sparirono. Ora la povera fanciulla era sola nella foresta selvaggia, e quando si guardò intorno vi era accanto a lei una vecchia che disse: "Ah, bimba mia, che hai fatto? Perché‚ non hai lasciato stare i dodici fiori bianchi? Erano i tuoi fratelli che ora sono tramutati in corvi per sempre." La ragazza disse piangendo: "Non vi è nessun modo per liberarli?" - "No," disse la vecchia, "non ve n'è che uno in tutto il mondo, ma è così difficile che non riuscirai a liberarli: perché‚ devi essere muta per sette anni, non puoi n‚ parlare n‚ ridere e se dici una sola parola, e manca soltanto un'ora ai sette anni, tutto è vano e i tuoi fratelli saranno uccisi da quella sola parola."

Allora la ragazza disse in cuor suo: "Voglio liberare i miei fratelli ad ogni costo!" Andò in cerca di un albero alto, ci si arrampicò, e li filava senza parlare ni ridere.

Ora avvenne che un re andò a caccia nella foresta; aveva un grosso levriero che corse all'albero sul quale si trovava seduta la fanciulla e cominciò a saltare tutt'attorno abbaiando e latrando verso la cima. Il re allora si avvicinò e vide la bella principessa con la stella d'oro sulla fronte e fu così rapito dalla sua bellezza che le domandò se voleva diventare sua sposa. Ella non rispose, ma fece un lieve cenno con il capo. Allora egli salì sull'albero, la portò giù e la mise sul suo cavallo. Le nozze furono celebrate con gran pompa e tripudio anche se la sposa non parlava n‚ rideva. Quand'ebbero trascorso insieme felici un paio di anni, la matrigna del re, che era una donna cattiva, incominciò a calunniare la giovane regina e disse al re: "E' una volgare accattona quella che ti sei portato in casa, chissà quali malvagità combina in segreto! Se è muta e non può parlare, potrebbe almeno ridere; ma chi non ride, ha una cattiva coscienza." Il re da principio non volle crederle, ma la madre insistette così tanto che egli alla fine si lasciò convincere e la condannò a morte.

Nel cortile fu così acceso un grande fuoco da cui ella doveva essere bruciata; e il re, da sopra, guardava con gli occhi pieni di lacrime, poiché‚ l'amava ancora tanto. E quando era già legata al palo, e le lingue di fuoco lambivano già le sue vesti, ecco trascorso l'ultimo istante dei sette anni. Nell'aria si udì un frullar d'ali: arrivarono dodici corvi e si posarono a terra; e come ebbero toccato il suolo si trasformarono nei suoi dodici fratelli liberati da lei. Essi distrussero il rogo, spensero le fiamme, slegarono la loro cara sorella, la baciarono e l'abbracciarono. Ora pot‚ schiudere la bocca per parlare e raccontò al re perché‚ prima fosse muta e non avesse mai riso. Il re si rallegrò che essa fosse innocente e vissero tutti insieme felici e in armonia fino alla morte. La cattiva matrigna fu messa in una botte piena di olio bollente e di serpenti velenosi e morì di una mala morte.

FINE

Immagine: I dodici fratelli (Grimm)

 
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La fanciulla senza mani

Post n°435 pubblicato il 17 Agosto 2011 da odette.teresa1958

Un mugnaio era caduto a poco a poco in miseria e non aveva più nulla all'infuori del suo mulino e, dietro, un grosso melo. Un giorno che era andato a far legna nel bosco gli si avvicinò un vecchio e gli disse: -Perché‚ ti affanni a spaccar legna? Io ti farò ricco, se in cambio mi prometti quello che c'è dietro al tuo mulino; fra tre anni verrò a prenderlo-. "Che altro può essere se non il mio melo?" pensò il mugnaio; così acconsentì e s'impegnò per iscritto con lo sconosciuto, che se ne andò ridendo. Quando il mugnaio tornò a casa, gli venne incontro la moglie e gli disse: -Di dove viene tutta questa ricchezza in casa nostra? Casse e cassoni sono pieni di roba, senza che nessuno sia venuto a portarla- Il mugnaio rispose: -Da un vecchio che ho incontrato nel bosco; in cambio mi sono impegnato a cedergli quello che c'è dietro il mulino-. -Ah, marito- disse la donna spaventata -ce la vedremo brutta: era il diavolo! E intendeva nostra figlia che spazzava il cortile dietro il mulino.- La figlia del mugnaio era una fanciulla bella e pia e visse quei tre anni nel timore di Dio e senza peccato. Quando venne il giorno in cui il maligno doveva prenderla, ella si lavò per bene e tracciò con il gesso un cerchio intorno a s‚. Il diavolo comparve di buon mattino, ma non pot‚ avvicinarla. Incollerito disse al mugnaio: -Portale via tutta l'acqua, che non possa più lavarsi; così l'avrò in mio potere-. Atterrito, il mugnaio obbedì. Il giorno dopo il diavolo tornò, ma ella aveva pianto sulle sue mani, che erano pulitissime. Così non pot‚ avvicinarsi di nuovo e, furioso, disse al mugnaio: -Tagliale le mani; altrimenti non posso farle nulla-. Ma il padre inorridì e rispose: -Come potrei tagliare le mani a mia figlia!-. Allora il maligno lo minacciò e disse: -Se non lo fai, sei mio e prendo te-. Spaventato, il padre promise di obbedirgli. Andò dalla fanciulla e le disse: -Bimba mia, se non ti mozzo le mani, il diavolo mi porta via, e nello spavento gli ho promesso di farlo. Ti prego di perdonarmi-. Ella rispose: -Padre, fate di me ciò che volete, sono vostra figlia-. Porse le mani e se le lasciò mozzare. Il diavolo tornò per la terza volta, ma ella aveva pianto tanto e così a lungo sui moncherini che erano pulitissimi. Egli aveva perduto così ogni diritto su di lei e dovette andarsene. Il mugnaio le disse: -Per merito tuo ho guadagnato tante ricchezze che per tutta la vita voglio trattarti da regina-. Ma ella rispose: -Non posso rimanere qui; me ne andrò: creature pietose provvederanno di certo al mio bisogno-. Si fece legare i moncherini dietro la schiena e al levar del sole si mise in cammino e camminò tutto il giorno, fino a notte. Arrivò al giardino di una reggia dove, al chiaro di luna, vide degli alberi carichi di frutta; ma il giardino era circondato da un fosso. E siccome non aveva mangiato nulla per tutto il giorno e aveva tanta fame, pensò: "Ah, fossi là dentro e potessi mangiare un po' di quei frutti! Se no mi tocca morir di fame". Si inginocchiò, invocò il Signore e pregò. D'un tratto apparve un angelo che chiuse una cateratta, sicché‚ il fosso si prosciugò ed ella pot‚ attraversarlo. Entrò nel giardino e l'angelo la seguì. Vide un albero da frutta: erano belle pere, ma erano tutte contate. Ella si avvicinò e, per placare la fame, ne mangiò una staccandola con la bocca. Il giardiniere la vide ma, siccome c'era l'angelo, egli ebbe paura e pensò che la fanciulla fosse uno spettro; così non osò chiamare n‚ dir nulla. Dopo aver mangiato la pera ella fu sazia, e andò a nascondersi nel boschetto. Il mattino seguente venne il re cui apparteneva il giardino, contò le pere e, vedendo che ne mancava una, domandò al giardiniere dove fosse. Non era sotto l'albero, eppure non c'era più. Il giardiniere rispose: -La notte scorsa è venuto uno spettro senza mani e l'ha mangiata, staccandola con la bocca-. Il re disse: -Come ha fatto ad attraversare l'acqua, e dov'è andato?-. Il giardiniere rispose: -Un essere è venuto dal cielo, con una veste candida come la neve, e ha chiuso la cateratta prosciugando l'acqua. Doveva essere un angelo e io ho avuto paura, così non ho fatto domande n‚ ho chiamato. Poi lo spettro è scomparso di nuovo-. Il re disse: -Questa notte veglierò con te-. Quando fu buio il re si recò in giardino accompagnato da un prete che doveva rivolgere la parola allo spettro. Si sedettero tutti e tre sotto l'albero e attesero. A mezzanotte la fanciulla uscì dal boschetto, si avvicinò all'albero e mangiò un'altra pera, staccandola con la bocca; accanto a lei c'era l'angelo biancovestito. Allora il prete si fece avanti e disse: -Vieni dal cielo o dalla terra? Sei uno spettro o una creatura umana?-. -No- rispose ella -non sono uno spettro, ma una povera creatura che tutti hanno abbandonata, tranne Dio.- Il re disse: -Se tutti ti hanno abbandonata, io non ti abbandonerò-. La prese con s‚ nel suo castello, le fece fare due mani d'argento e, poiché‚ era tanto bella e buona, se ne innamorò e la prese come sua sposa. Un anno dopo, il re dovette partire per la guerra; raccomandò la giovane regina a sua madre, dicendole: -Quando partorirà abbiatene cura e scrivetemi subito-. La regina diede alla luce un bel bambino, e la vecchia madre si affrettò a scrivere al re per annunciargli la felice notizia. Ma per via il messo si riposò accanto a un ruscello e si addormentò. Allora venne il diavolo che cercava sempre di nuocere alla buona regina, e scambiò la lettera con un'altra in cui si diceva che la regina aveva messo al mondo un mostro. Quando il re lesse la lettera si spaventò e si rattristò profondamente, ma rispose che dovevano avere cura della regina fino al suo ritorno. Il messaggero ripartì con la lettera, ma si riposò nello stesso luogo e si addormentò un'altra volta. Allora tornò il diavolo e gli mise in tasca un'altra lettera nella quale era scritto che uccidessero la regina e il bambino. Quando la vecchia madre ricevette la lettera, inorridì e scrisse al re ancora una volta, ma non ricevette altra risposta, perché‚ ogni volta il diavolo dava al messo una lettera falsa e, nell'ultima, ordinava addirittura di conservare la lingua e gli occhi della regina come prova della sua morte. Ma la vecchia madre piangeva all'idea che fosse versato quel sangue innocente; così mandò a prendere, di notte, una cerva, le strappò la lingua e gli occhi e li mise da parte. Poi disse alla regina: -Non posso farti uccidere, ma non puoi più fermarti qui: va' per il mondo con il tuo bambino e non ritornare-. Le legò il bambino sul dorso, e la povera donna se ne andò con gli occhi pieni di lacrime. Arrivò in una grande foresta selvaggia; si inginocchiò a pregare e le apparve l'angelo del Signore che la condusse a una casetta sulla quale era una piccola insegna che diceva: -Qui si alloggia gratuitamente-. Dalla casetta uscì una fanciulla bianca come la neve che disse: -Benvenuta, Maestà!- e la fece entrare. Le tolse il bimbo dalla schiena e glielo pose al seno, perché‚ poppasse, poi lo mise in un bel lettino già pronto. Allora la povera donna disse: -Come sai che ero una regina?-. La fanciulla bianca rispose: -Sono un angelo mandato da Dio per avere cura di te e del tuo bambino-. Ed ella visse sette anni nella casetta, sotto la tutela dell'angelo, e per la sua devozione, Dio le fece la grazia e le ricrebbero le mani. Intanto il re, quando rientrò a casa, volle vedere sua moglie e il suo bambino. Allora la vecchia madre si mise a piangere e disse: -Uomo malvagio, perché‚ mi hai scritto di uccidere due innocenti creature?-. Gli mostrò le due lettere scambiate dal diavolo e soggiunse: -Ho fatto quanto hai ordinato- e gli mostrò, come prova, la lingua e gli occhi. Allora il re si mise a piangere ancora più amaramente sulla sua povera moglie e sul figlioletto, tanto che la vecchia madre si impietosì e gli disse: -Rallegrati, è ancora viva: ho fatto uccidere di nascosto una cerva da cui ho tolto le prove; ma a tua moglie ho legato il bambino sul dorso, e le ho detto che andasse per il mondo e che promettesse di non tornare mai più, poiché‚ tu eri così adirato con lei-. Allora il re disse: -Camminerò fin dove il cielo è azzurro e non mangerò n‚ berrò finché‚ non avrò ritrovato la mia cara moglie e il mio bambino, se non sono morti di fame-. Così errò qua e là per sette anni, cercandola per tutte le rupi; ma non la trovò e pensava che fosse morta. Per tutto quel tempo, non mangiò n‚ bevve nulla, ma Dio lo mantenne in vita. Alla fine giunse nella grande foresta e trovò la casettina con l'insegna che diceva: -Qui si alloggia gratuitamente-. La fanciulla bianca uscì, lo prese per mano e lo fece entrare dicendo: -Benvenuta, Maestà!- e gli domandò di dove venisse. Egli rispose: -Sono quasi sette anni che vado in giro alla ricerca di mia moglie e del suo bambino, ma non riesco a trovarli; saranno morti di fame!-. L'angelo gli offrì da mangiare e da bere, ma egli non prese nulla e volle soltanto riposarsi un poco. Si mise a dormire, coprendosi il volto con un fazzoletto. Allora l'angelo andò nella camera dov'era la regina con il bimbo, che ella soleva chiamare Doloroso, e le disse: -Vieni con il tuo bambino, è giunto il tuo sposo-. La donna andò dove egli dormiva, e il fazzoletto gli cadde dal volto. Allora ella disse: -Doloroso, raccogli il fazzoletto a tuo padre e coprigli di nuovo il volto-. Il bimbo lo raccolse e gli coprì il volto. Ma il re l'udì nel dormiveglia e lasciò cadere apposta di nuovo il fazzoletto. Allora ella disse nuovamente: -Doloroso, raccogli il fazzoletto a tuo padre e coprigli di nuovo il volto-. Il bambino s'impazientì e disse: -Cara madre, come posso coprire il volto a mio padre se non ho padre sulla terra? Ho imparato la preghiera: Padre nostro, che sei nei cieli; tu hai detto che mio padre era in cielo ed era il buon Dio. Come potrei conoscere un uomo così selvaggio? Non è mio padre!-. In quel mentre il re si rizzò a sedere e chiese alla donna chi fosse. Ella disse: -Sono tua moglie, e questo è tuo figlio Doloroso-. Ma egli vide che aveva le mani vere e disse: -Mia moglie ha mani d'argento-. Ella rispose: -Il buon Dio me le ha fatte ricrescere-. E l'angelo andò nella sua camera, prese le mani d'argento e le mostrò al re. Allora egli fu certo che quelli erano proprio la sua cara moglie e il suo caro figlio, e li baciò tutto contento. L'angelo di Dio li cibò ancora una volta insieme, poi andarono a casa dalla vecchia madre. Vi fu gran gioia ovunque e il re e la regina celebrarono nuovamente le nozze e vissero felici fino alla loro santa morte.

FINE

 
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Il pifferaio di Hamelin

Post n°434 pubblicato il 17 Agosto 2011 da odette.teresa1958

Hamelin è una piccola e strana città della Prussia, arroccata su un colle gaio e fiorito. Tutte le strade scendono di là verso un ampio fiume.

Vi fu un tempo in cui la gente qui viveva felice.

Ma un brutto giorno avvenne una terribile invasione: topi, topi ovunque... e così gagliardi da spaventare i gatti più coraggiosi! Mordevano i neonati nelle culle, divoravano in un battibaleno enormi forme di cacio, leccavano la salsa sotto gli occhi delle cuoche, pappavano interi barili di sardine e... fischiavano, stridevano cosi forte, da coprire persino le chiacchiere delle donne. Fssch.....sgrr... ssch! Il loro sibilo era in cinquanta e più toni, dai più gravi ai più acuti.

Fu da allora che gli abitanti di Hamelin cominciarono ad ispirare un' immensa pietà!
Il sindaco, disperato, arrivò ad offrire mille fiorini a chi fosse riuscito a liberare il paese da un simile incubo.

Una mattina arrivò in città un forestiero: era secco e allampanato, aveva negli occhi una luce strana e sul volto lo stesso colore giallognolo del cielo di Hamelin in quella fosca giornata di novembre.

I suoi occhi guizzavano come le fiammelle delle candele quando vi si butta il sale e l'uomo misterioso si mise a suonare. Ed ecco, alla terza nota, un rosicchio assordante levarsi d'improvviso: grasc... crosc... grig... sgrr... e milioni e milioni di topi riversarsi sulle strade. Sbucavano a frotte dalle case, codine dritte e baffetti a punta, saltellando, ruzzolando, traballando, famiglie intere a dozzine, a ventine; mogli e mariti, fratelli e sorelle, topi bianchi e neri, grigi e rigati, grassi e magri, tutti dietro al pifferaio che suonava e suonava facendo scorrere le lunghe dita nervose sul suo magico strumento.

....Tutti dietro a quella musica che diceva pressappoco cosi " O topi, il mondo non è che una grande credenza.. " e somigliava al rumorino del cacio quando vien grattato, delle mele mature pestate ben bene nel mortaio per ricavarne il sidro, di vasi di conserva scoperchiati, di fiaschi di sciroppo stappati, di barattoli di burro sfasciati .... E via e via fin dentro le acque gelide del fiume, dove annegarono tutti allegramente.

Che scampanio in città, che festa per le strade! Ora che l'incubo era finito, la gioia di un tempo era tornata nei cuori della gente di Hamelin.

Ed ecco, tra la folla, farsi largo il pifferaio - Sono venuto a riscuotere i miei mille fiorini - disse senza esitazione. Il sindaco impallidì.

- Mille fiorini? E dovrei sborsarli a quel vagabondo? Già già - rispose beffardo - chi affoga non risuscita... se volete un boccale di vino da bagnarvi la bocca, non vi sarà negato, quanto ai mille fiorini, non era che una burletta .... cinquanta saranno anche troppi!

- Giusto, giusto! - gridò la folla.

Un lampo di collera passò negli occhi del forestiero. Egli non disse nulla e si allontanò, ma riapparve subito dopo nella piazza principale. Allora sotto gli sguardi di una piccola folla attonita, aggrinzò le labbra, soffiò dentro il piffero magico e ne trasse tre dolcissime note....Subito un brusio festoso, un batter di manine, un calpestio di zoccoletti, un rimbalzar di voci fresche echeggiò nella piazza e.... decine, centinaia di bambini con le guancette rosee e gli occhietti vispi, biondi e bruni, paffuti e mingherlini, si misero in marcia dietro il pifferaio.

Invano padri e madri, balie e nutrici cercarono di trattenere le loro creature, i loro piedi restavano incollati ai ciottoli della piazza e le loro labbra non avevano voce...

Il pifferaio attraversò la città poi si volse. - Verso il fiume? - domanderete voi. Ebbene no, questa volta si diresse dalla parte opposta, verso la grande montagna. Giunto fin là, il fianco del monte si apri ed egli vi entrò seguito da tutti i bambini. Poi lentamente la parete si richiuse.

A nulla servì il pianto delle madri, che ogni giorno raggiungevano la montagna e appoggiavano gli orecchi contro la roccia per cercare di udire la voce dei loro bambini....La montagna era fredda e silenziosa e non si sarebbe riaperta mai più.

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Questa versione del Pifferaio Magico possiede un finale più lieto rispetto al racconto originale

C’era una volta una piccola città di nome Hamelin. I suoi abitanti erano sempre vissuti felici, ma da qualche tempo regnava una gran confusione! Hamelin, infatti, era stata invasa dai topi! Non c’era solo qualche topolino nelle cantine, ma centinaia di musini sbucavano da ogni angolo: si intrufolavano nelle cucine, saltavano dalle finestre aperte, correvano lungo i tetti delle case, sui cornicioni, si inseguivano per le scale…

I cittadini erano disperati e decisero di rivolgersi al sindaco della città, radunandosi nella piazza davanti alla sua finestra per protestare.

"La città è piena di topi!, gridavano infuriati.

"Ormai ci sono più topi che bambini! Bisogna trovare al più presto una soluzione."

Il sindaco si affacciò alla finestra cercando di sorridere, ma in realtà non sapeva proprio che cosa fare e cominciava ad agitarsi.

Mentre stava cercando di farsi venire un’idea, sentì tre leggeri colpetti alla porta. Aveva una gran paura che fosse un cittadino infuriato.

"Posso entrare?", chiese una strana vocetta.

"Avanti …", rispose il sindaco un po’ preoccupato.

Entrò un buffo personaggio con un vestito azzurro a righe, delle scarpe con una lunga punta ed un cappello con la piuma.

"Sono venuto a liberare la città dai topi. Io possiedo un potere magico …con la mia musica posso condurre con me oggetti, animali e uomini", incominciò l’uomo.

"Allora tu sei la mia salvezza!", esclamò il sindaco contento.

"Arrivi proprio al momento giusto! Se riuscirai davvero a far sparire tutti questi topi ti ricompenserò generosamente, lo prometto."

"Non preoccuparti, tornerò presto", rispose sicuro di sé il Pifferaio.

"Vedrai, fra meno di un’ora, in tutta Hamelin, non incontrerai più neanche un topo!"

Così uscì dal municipio e si incamminò verso la piazza del paese impugnando il suo piffero magico. Poi, si fermò a pensare, come per ricordare una melodia particolare, e sotto gli occhi incuriositi di grandi e bambini incominciò a suonare una canzoncina molto allegra, seduto vicino ad una fontana di pietra. Immediatamente, come per magia, un fiume di topolini attratti da quelle note bizzarre, uscì dalle case ed invase la piazza: saltellavano tutti intorno al Pifferaio!

Senza smettere un solo istante di suonare, incominciò a camminare svelto, attraversando la città a grandi passi verso il fiume che scorreva poco lontano. Gli abitanti di Hamelin si chiedevano stupiti chi fosse quell’omino che incantava con la sua musica persino gli animali.

Tutti correvano nelle strade, seguendo quello strano corteo e si arrampicavano sugli alberi per vedere meglio.

Intanto il Pifferaio continuava ad allontanarsi seguito da centinaia di topi e si dirigeva alle porte di Hamelin. Arrivato al fiume, si fermò di colpo sulla riva, lasciando che i topi si tuffassero nell’acqua. In pochi minuti sparirono tutti!

Come aveva promesso, non si trovò più un solo topo in tutta la città. Anche i gatti, che se ne stavano nascosti da tempo, non credevano ai loro occhi e cominciarono a festeggiare nelle strade.

Il sindaco invece, prendendosi il merito di tutto, si ritirò soddisfatto nel municipio.

All’improvviso, come la prima volta, si udirono alla porta tre leggeri colpetti: era il Pifferaio Magico. "Buongiorno", disse tranquillo, "il mio compito è finito!"

Appena il sindaco lo vide entrare, si finse molto sorpreso e rispose: "Posso fare qualcosa per te?"

"Sono venuto a ritirare il compenso che mi ha promesso"

"Compenso? Ma, ma di che cosa stai parlando?, esclamò il sindaco.

"Io non ti ho promesso proprio niente."

"Aveva dato la tua parola d’onore! Ha detto che mi avrebbe ricompensato generosamente se avessi liberato dai topi la città di Hamelin!", rispose il Pifferaio seccato.

"Non mi ricordo di averti mai detto questo", disse il sindaco imbroglione scoppiando in una fragorosa risata.

"Comunque ora tutti i topi sono morti e non torneranno di certo. Ti ringrazio molto anche a nome di tutta la città e ti faccio tanti auguri! Ora puoi andare."

"Sta molto attento", mormorò allora il Pifferaio con un viso minaccioso, "non prenderti gioco di me perché questa volta potrei suonare una melodia molto diversa …"

Senza aggiungere altro se ne andò con uno strano sorriso.

Scese nelle vie di Hamelin e cominciò ad attraversare la città con passo deciso ed il suo piffero di legno in mano.

Arrivato nella piazza in cui aveva suonato la prima volta, si fermò per un momento a pensare, come per ricordare una melodia e cominciò una canzoncina allegra, un po’ diversa dalla prima. All’improvviso tutti i bambini, ma proprio tutti, iniziarono a correre fuori dalle case, incantati dalla sua musica e dalle note magiche. Seguivano il buffo omino con le scarpe a punta e la piuma sul cappello, dimenticando i loro giochi e quello che stavano facendo.

Presto un allegro corteo di centinaia di bambini attraversava la città, proprio come era successo con i topolini!

La musica infatti trascinava i piccoli sempre più lontano, attraverso i prati ed i boschi, finchè giunsero ai piedi di un’immensa montagna.

Il Pifferaio subito cambiò melodia e magicamente, una porta di pietra cominciò ad aprirsi.

Entrò svelto e tutti lo seguirono, soltanto uno di loro era rimasto indietro perché era un po’ lento.

"Ehi, Pifferaio! Bambini! Aspettatemi! Voglio venire anch’io con voi!", gridava, ma la misteriosa porta di pietra ormai si era chiusa.

In quel momento, arrivarono di corsa i genitori ed il bambino raccontò ogni cosa.

Restarono fino a sera ad aspettare, ma nessuno rispondeva e decisero di tornare a casa.

L’unico bambino rimasto ad Hamelin era davvero triste e si sentiva terribilmente solo senza nessuno con cui giocare. Il suo unico desiderio era raggiungere gli altri bambini.

Così una mattina, senza dir niente a nessuno, si allontanò, ripercorrendo il sentiero che aveva fatto quel giorno con i suoi amici.

Si era costruito con un bastoncino di legno un piccolo piffero ed arrivato di fronte alla grande porta di pietra, cominciò a suonare l’allegra melodia del Pifferaio, che non aveva mai dimenticato.

Ad un tratto, dall’altra parte della roccia, un flauto rispose alla sua musica. Il bambino ricominciò a suonare e le note del piffero magico risposero ancora.

La roccia della montagna iniziò a tremare come la prima volta e la grande porta lentamente si aprì. Tutti i bambini di Hamelin uscirono correndo felici sui prati ed abbracciarono con gioia il bambino che li aveva salvati.

"Il Pifferaio ti vuole parlare", gli dissero.

Così, il piccolo bambino entrò senza avere timore nella grande montagna, curioso di scoprire il segreto della musica magica.

Intanto ad Hamelin il sindaco se ne stava rinchiuso nel suo palazzo tremando di paura per quello che aveva combinato …ma ormai era troppo tardi.

Nessuno rideva, nessuno cantava più, non c’erano le voci dei bambini che giocavano nelle strade e tutti erano preoccupati per il piccolo che era partito solo e non era più tornato.

Improvvisamente, da lontano, sentirono un allegro frastuono! I cittadini di Hamelin si precipitarono a guardare cosa stava succedendo e videro un corteo di più di trecento bambini che scendeva attraverso i prati della grande montagna.

Tutti cantavano e correvano allegramente, preceduti dal piccolo bambino che stringeva tra le mani, con gli occhi che gli luccicavano dalla felicità, un meraviglioso piffero di legno. Era proprio il piffero magico che l’uomo con la piuma sul cappello gli aveva regalato. Non vi dico gli abbracci, i baci, i salti di gioia dei genitori!

Ad Hamelin si fece festa per tre giorni e tre notti!

I bambini però non raccontarono mai dove erano stati e che cosa avevano fatto in montagna.

Il sindaco invece imparò a mantenere le promesse!

 
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I tre figli della fortuna

Post n°433 pubblicato il 17 Agosto 2011 da odette.teresa1958

Una volta un padre chiamò a s‚ i suoi tre figli, e al primo regalò un gallo, al secondo una falce e al terzo un gatto. -Sono già vecchio- disse -e la mia morte è vicina, prima della mia fine voglio riuscire a provvedere ancora a voi. Danaro non ne ho, e ciò che vi ho dato adesso sembra aver poco valore; in realtà non avete che da usarlo con giudizio: cercate un paese dove queste cose siano ancora sconosciute e sarà la vostra fortuna.- Dopo la morte del padre, il maggiore dei fratelli se ne andò di casa con il suo gallo, ma in qualunque città si recasse, già di lontano scorgeva, sulle torri, il gallo girare al vento; nei villaggi ne udì cantare più di uno, e nessuno si meravigliò di quella bestia, sicché‚ non pareva proprio che dovesse fare la sua fortuna. Ma alla fine gli capitò di arrivare in un'isola, dove la gente non sapeva che cosa fosse un gallo e ignorava persino come si potesse dividere il giorno. Sapevano, è vero, quando era mattina o sera, ma di notte, se non dormivano, nessuno sapeva che ora fosse. -Guardate- diss'egli -che animale superbo, ha una corona color del rubino sulla testa, e porta gli speroni come un cavaliere; di notte vi chiama tre volte a ore fisse, e l'ultima volta è quando sta per sorgere il sole. Ma se canta in pieno giorno, allora state all'erta che certo pioverà.- Alla gente piacque la novità: non dormì per un'intera notte, e ascoltò con soddisfazione il gallo gridare a piena gola alle due, alle quattro e alle sei. Gli domandò se l'animale era in vendita e quanto denaro egli volesse. -Tant'oro quanto può portarne un asino- rispose -Un modico prezzo per un animale così prezioso!- esclamarono tutti in coro, e gli diedero ciò che aveva chiesto. Quand'egli fece ritorno a casa con tutta quella ricchezza, i suoi fratelli si meravigliarono, e il secondo disse: -Mi metterò anch'io in cammino per vedere se riesco a vendere altrettanto bene la mia falce-. Ma sembrava proprio di no, poiché‚ ovunque incontrava dei contadini che portavano sulle spalle una falce come la sua. Alla fine, però, ebbe anche lui la fortuna di trovare un'isola dove la gente non aveva mai visto una falce. Quando il grano era maturo, piazzavano dei cannoni davanti ai campi e l'abbattevano a forza di spari. Ma la cosa era maldestra: qualcuno sbagliava il tiro sparando oltre, altri invece dello stelo colpivano le spighe e le spazzavano via, sicché‚ molto grano andava perduto, e per di più c'era un gran baccano. Il giovane allora si mise all'opera e falciò così in fretta e in silenzio, che la gente rimase a bocca aperta per lo stupore. Gli diedero volentieri il prezzo che chiedeva ed egli si prese un cavallo carico d'oro, quanto poteva portarne. Ora anche il terzo fratello volle cercare qualcuno a cui vendere il suo gatto. Anche a lui le cose non andarono diversamente: finché‚ rimase sulla terraferma, non vi fu nulla da fare, poiché‚ ovunque c'erano gatti, e ce n'erano tanti che i piccoli, appena nati, venivano spesso annegati. Finalmente si fece trasportare su di un'isola, e là gli capitò la fortuna che non avessero mai visto un gatto; e i topi prosperavano al punto che ballavano su tavole e panche, ci fosse o no il padrone di casa. La gente si dava alla disperazione e lo stesso re non riusciva a mettersi al riparo da quella piaga: in ogni angolo del castello i topi fischiavano, e rosicchiavano tutto quel che potevano mettere sotto i denti. Allora il gatto incominciò la sua caccia e, ben presto, ripulì un paio di sale, tanto che la gente pregò il re di acquistare per il regno quell'animale meraviglioso. Il re diede volentieri ciò che gli fu chiesto: un mulo carico d'oro; e il terzo fratello se ne tornò a casa più ricco di tutti. Nel castello, il gatto si divertiva un mondo con i topi, finché ne ammazzò tanti che non si contavano più. Alla fine, a forza di lavorare, gli venne caldo ed ebbe sete: allora si fermò, alzò la testa e gridò: -Miau, miau!-. All'udire quello strano grido, il re e i cortigiani si spaventarono e corsero tutti insieme fuori dal castello, pieni di paura. Il re tenne consiglio sul da farsi, e infine si stabilì di inviare al galoppo un araldo a ordinargli di lasciare il castello, se non voleva che usassero la forza. I consiglieri dicevano: -Piuttosto preferiamo il flagello dei topi, cui siamo abituati, che lasciare la nostra vita in preda a quel mostro-. Un paggio dovette andare a chiedere al gatto se intendeva abbandonare il castello. Ma il gatto, che aveva ancora più sete, rispose semplicemente: -Miau, miau!-. Il paggio capì: -Assolutamente no!- e portò la risposta al re. -Se è così- dissero i consiglieri -cederà alla forza!- Furono appostati dei cannoni e spararono provocando un incendio nel castello. Quando il fuoco giunse nella sala dove si trovava il gatto, questi saltò agilmente fuori dalla finestra; ma gli assedianti non smisero di sparare, finché‚ tutto il castello fu ridotto a un cumulo di macerie.

FINE



 
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Le tre filatrici

Post n°432 pubblicato il 17 Agosto 2011 da odette.teresa1958

C'era una volta una ragazza pigra che non voleva filare; la madre poteva dire qualunque cosa, ma non riusciva a persuaderla. Un giorno la madre andò in collera e le scappò la pazienza, cosicché‚ la picchiò, ed ella incominciò a piangere forte. In quel momento passava di lì la regina, e quando sentì piangere fece fermare la carrozza, entrò in casa e domandò alla madre perché‚ picchiasse sua figlia, dato che si sentivano le grida da fuori.

Allora la donna si vergognò di dover rivelare la pigrizia di sua figlia e disse: "Non posso staccarla dal filatoio, vuole sempre e soltanto filare e io sono povera e non posso procurarle il lino." - "Ah," rispose la regina, "non c'è cosa che mi faccia più piacere del sentir filare e nulla mi rallegra di più del ronzio delle ruote: datemi vostra figlia, la porterò al castello; ho lino a sufficienza perché‚ fili quanto ne ha voglia." La madre acconsentì di cuore e la regina si prese la ragazza. Quando giunsero al castello, la condusse su in tre stanze piene da cima a fondo del più bel lino. "Filami questo lino," disse, "e quando avrai finito sposerai il mio figlio maggiore; anche se sei povera, non importa: il tuo zelo infaticabile è una dote sufficiente."

La fanciulla inorridì in cuor suo poiché‚ non avrebbe potuto filare quel lino nemmeno se fosse vissuta trecento anni, seduta là ogni giorno da mane a sera. Quando fu sola incominciò a piangere, e così rimase tre giorni senza muovere un dito. Il terzo giorno venne la regina e quando vide che non aveva ancora filato niente si meravigliò, ma la fanciulla si scusò dicendo che non aveva potuto cominciare per la grande tristezza di essere lontana dalla casa di sua madre. La regina accettò la scusa, ma andandosene disse: "Domani però devi incominciare a lavorare."

Quando la fanciulla fu di nuovo sola, non sapeva più a che santo votarsi e, triste, andò alla finestra. Vide avvicinarsi tre donne: la prima aveva un gran piedone, la seconda aveva il labbro inferiore così grosso che arrivava a coprirle il mento, e la terza un gran pollice largo. Quando furono davanti alla finestra, si fermarono, guardarono in su e offrirono il loro aiuto alla ragazza dicendo: "Se ci inviterai a nozze, se non ti vergognerai di noi, se ci chiamerai cugine e ci farai sedere alla tua tavola, ti fileremo tutto il lino in poco tempo." - "Di gran cuore!" rispose la fanciulla. "Entrate pure e incominciate subito il lavoro." Introdusse quelle strane donne nella prima stanza, fece un po' di spazio ed esse vi si accomodarono e presero a filare. La prima traeva il filo e calcava la ruota, la seconda lo inumidiva, la terza lo torceva e batteva con il dito sulla tavola e ogni volta che essa batteva, cadeva a terra una quantità di filato sottilissimo. Alla regina la fanciulla nascondeva le tre filatrici, e quando essa veniva le mostrava il mucchio di filato, tanto che la regina non smetteva più di lodarla. Quando la prima camera fu vuota, fu la volta della seconda, poi della terza, e ben presto fu sgombrata anche questa. Allora le tre donne presero congedo e dissero alla fanciulla: "Non dimenticare quel che ci hai promesso: sarà la tua fortuna."

Quando la fanciulla mostrò alla regina le stanze vuote e il gran mucchio di filato, questa preparò le nozze; lo sposo era contento di avere una moglie così abile e diligente e la lodava. "Ho tre cugine," disse la fanciulla. "Sono state molto buone con me e io non vorrei dimenticarle nella mia felicità: permettete che le inviti a nozze e che siedano alla nostra tavola?" La regina e lo sposo diedero volentieri il loro consenso.

Quando la festa incominciò, le tre zitelle entrarono stranamente abbigliate, e la sposa disse: "Siate le benvenute, care cugine." - "Ah," disse lo sposo, "che cosa ti lega a queste donne così brutte?" E andò da quella con il gran piedone e chiese: "Come mai avete un piede così largo?" - "A furia di calcare," rispose quella, "a furia di calcare." Allora lo sposo andò dalla seconda e disse: "Come mai avete quel labbro così cascante?" - "A furia di leccare," rispose, "a furia di leccare." Allora domandò alla terza: "Come mai avete il pollice così largo?" - "A furia di torcere il filo," rispose, "a furia di torcere il filo." Allora il principe inorridì e disse: "D'ora in poi la mia bella sposa non dovrà più toccare un filatoio!" E così la liberò da quell'impiccio.

FINE



 
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Comare Morte

Post n°431 pubblicato il 17 Agosto 2011 da odette.teresa1958

Un pover’uomo aveva dodici figli e doveva lavorare giorno e notte per poter procurare loro soltanto il pane. Quando venne al mondo il tredicesimo, non sapendo più cosa fare, corse sulla strada per pregare il primo che incontrasse di fare da padrino. Il primo che incontrò fu il buon Dio. Il buon Dio già sapeva cosa gli pesava sul cuore e gli disse: “Pover’uomo, mi fai pena: terrò a battesimo il tuo bambino e provvederò perché‚ sia felice sulla terra.” - “Chi sei?” domandò l’uomo. “Sono il buon Dio.” - “Allora non ti voglio per compare, perché‚ dai ai ricchi e fai patire ai poveri la fame.” Così parlò l’uomo poiché‚ non sapeva con quanta saggezza Iddio dispensi ricchezza e povertà. Volse così le spalle al Signore e proseguì. Gli si avvicinò il diavolo e disse: “Cosa cerchi? Se sarò padrino di tuo figlio, gli darò oro e tutti i piaceri del mondo.” L’uomo domandò: “Chi sei?” - “Sono il diavolo.” - “Allora non ti voglio per compare: tu inganni gli uomini per sedurli,” disse l’uomo, e proseguì. Gli venne incontro la Morte e gli disse: “Prendimi per comare” - “Chi sei?” domandò l’uomo. “Sono la Morte, che fa tutti uguali.” Allora l’uomo disse: “Tu sei giusta: prendi sia il ricco sia il povero senza fare differenze; sarai la mia comare.” La Morte rispose: “Farò diventare tuo figlio ricco e famoso; chi mi ha per amica, non manca di nulla.” Disse l’uomo: “Domenica prossima c’è il battesimo: sii puntuale.” La Morte comparve come aveva promesso e fece da madrina al piccolo.

Quando il ragazzo fu adulto, un bel giorno la comare lo prese con s‚, lo portò nel bosco e, quando furono soli, gli disse: “Ora avrai il mio regalo di battesimo. Farò di te un medico famoso. Quando sarai chiamato al letto di un ammalato, ti apparirò ogni volta: se mi vedrai ai piedi del letto, puoi dire francamente che lo risanerai; gli darai un’erba che ti indicherò e guarirà; ma se mi vedi al capezzale dell’infermo, allora è mio e dovrai dire che ogni rimedio è inutile e che deve morire.” Poi la Morte gli indicò l’erba miracolosa e gli disse: “Guardati dall’usarla contro il mio volere.”

Ben presto il giovane divenne famoso in tutto il mondo. “Gli basta guardare l’ammalato per capire se guarirà o se deve morire.” Così si diceva di lui e la gente accorreva da ogni parte per condurlo dagli ammalati e gli davano tanto oro quanto egli chiedeva, cosicché‚ in poco tempo divenne un uomo ricco. Ora avvenne che anche il re si ammalò, e mandarono a chiamare il medico perché‚ dicesse se doveva morire. Ma quand’egli si avvicinò al letto, vide che la Morte si trovava al capezzale dell’ammalato: non vi era più erba che giovasse. Ma il medico pensò: “Forse per una volta posso ingannare la Morte, e dato che è la mia madrina, non se l’avrà poi tanto a male!” Così prese il re e lo voltò di modo che la Morte venne a trovarsi ai suoi piedi; poi gli diede l’erba e il re si riebbe e guarì. Ma la Morte andò dal medico adirata e con la faccia scura gli disse: “Per questa volta te la passo perché‚ sono la tua madrina, ma se ti azzardi a ingannarmi ancora una volta, ne andrà della tua stessa vita!”

Non molto tempo dopo si ammalò la principessa e nessuno riusciva e guarirla. Il re piangeva giorno e notte da non vederci più; infine fece sapere che chiunque la salvasse dalla morte, sarebbe diventato il suo sposo e l’erede della corona. Quando il medico giunse al letto dell’ammalata, vide la Morte al suo capezzale. Ma pensò alla promessa del re e inoltre la principessa era così bella che egli dimenticò l’ammonimento e, anche se la Morte gli lanciava terribili occhiate, voltò l’ammalata mettendole la testa al posto dei piedi e le diede l’erba, cosicché‚ ella tornò in vita.

Ma la Morte, vedendosi defraudata per la seconda volta di ciò che le spettava, andò dal medico e disse: “Seguimi!” lo afferrò con la sua mano di ghiaccio e lo condusse in una caverna sotterranea, ove si trovavano migliaia e migliaia di luci a perdita d’occhio. Alcune erano grandi, altre medie, altre ancora piccole. A ogni istante alcune si spegnevano e altre si accendevano, di modo che le fiammelle sembravano saltellare qua e là. “Vedi,” disse la Morte, “queste luci sono le vite degli uomini. Le più alte sono dei bambini, le medie dei coniugi nel fiore degli anni, le piccole dei vecchi. Ma a volte anche i bambini e giovani hanno soltanto una piccola candelina. Quando si spegne, la loro vita è alla fine ed essi mi appartengono.” Il medico disse: “Mostrami la mia.” Allora la Morte gli indicò un moccoletto piccolo piccolo che minacciava di spegnersi e disse: “Eccola!” Allora il medico si spaventò e disse: “Ah, cara madrina, accendetene un’altra perché‚ possa godere la mia vita, diventando re e sposo della bella principessa!” - “Non posso,” rispose la Morte, “deve spegnersi una candela prima che se ne accenda un’altra.” - “Allora mettete quella vecchia su di una nuova, che arda subito quando l’altra è finita,” supplicò il medico. Allora la Morte finse di esaudire il suo desiderio, e prese una grande candela nuova. Ma, nel congiungerle, sbagliò volutamente, poiché‚ voleva vendicarsi, e il moccolo cadde e si spense. Subito il medico stramazzò a terra: anch’egli era caduto nelle mani della Morte.

 
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La figlia della Madonna

Post n°430 pubblicato il 17 Agosto 2011 da odette.teresa1958

Davanti a un gran bosco viveva un taglialegna con la moglie e l’unica figlia, una bambina di tre anni. Ma erano così poveri che non tutti i giorni avevano il pane e non sapevano che cosa dare da mangiare alla bimba. Un giorno il taglialegna andò a lavorare nel bosco tutto preoccupato e, mentre tagliava la legna, gli apparve all’improvviso una bella signora d’alta statura, che aveva una corona di stelle lucenti sul capo, e gli disse: “Io sono la Vergine Maria, la madre del Bambino Gesù; tu sei povero e bisognoso: portami la tua bimba; la prenderò con me, sarò la sua mamma e provvederò a lei.” Il taglialegna prese la bimba e la diede alla Vergine Maria che la portò con s‚ in Cielo. Là stava bene: mangiava marzapane, beveva latte dolce, i suoi vestiti erano d’oro e gli angioletti giocavano con lei. Quando ebbe quattordici anni, la Vergine Maria la chiamò a s‚ e disse: “Cara bambina, devo fare un lungo viaggio; prendi in consegna le chiavi delle tredici porte del regno dei Cieli: dodici puoi aprirle e contemplare le meraviglie che custodiscono, ma la tredicesima, per cui si deve usare questa piccola chiave, ti è vietata; guardati dall’aprirla, o sarai infelice.” La ragazza promise di essere ubbidiente e, quando la Vergine Maria se ne fu andata, incominciò a visitare le stanze del regno dei cieli: ogni giorno ne visitava una, fino a quando ne ebbe viste dodici. In ogni stanza c’era un apostolo, e all’intorno un grande splendore. Ella gioiva non avendo mai visto in vita sua tanta magnificenza e grandiosità, e gli angioletti, che l’accompagnavano sempre, gioivano con lei. Ora non rimaneva che la porta proibita; ella provò un gran desiderio di sapere che cosa nascondesse, e disse agli angioletti: “Non voglio aprirla del tutto, ma soltanto un pochino, che si possa vedere attraverso la fessura.” - “Ah, no,” esclamarono gli angioletti, “sarebbe peccato: la Vergine Maria lo ha proibito e potrebbe essere la tua rovina.” Allora ella tacque, ma non tacquero la curiosità e la brama che continuavano a tormentarla in cuor suo. E una volta che gli angioletti erano via, ella pensò: “Ora sono sola: chi può vedermi?” Così prese la chiave, e dopo averla presa la infilò nella serratura, e dopo averla infilata la girò. La porta si spalancò, ed ella vide la Trinità circonfusa di fuoco e splendore. Sfiorò appena quel fulgore con il dito, ed esso si ricoprì d’oro. Allora fu presa dalla paura, chiuse violentemente la porta e corse via. Ma qualsiasi cosa facesse, la paura non passava e il cuore continuava a battere forte, e non si voleva chetare, e anche l’oro rimase sul dito e non se ne andò, per quanto lo lavasse.

Dopo pochi giorni la Vergine Maria ritornò dal suo viaggio. Chiamò la fanciulla e disse: “Ridammi le chiavi del Cielo.” Quando la fanciulla le porse il mazzo, la Vergine la guardò e le chiese: “Non hai forse aperto anche la tredicesima porta?” - “No,” rispose. La Vergine le mise la mano sul cuore, sentì come batteva e capì che ella aveva trasgredito il suo ordine e aveva aperto la porta. Domandò ancora una volta: “Davvero non l’hai fatto?” - “No,” rispose la fanciulla per la seconda volta. Allora la Vergine scorse il dito d’oro, con il quale la fanciulla aveva sfiorato il fuoco divino, vide che aveva peccato e domandò per la terza volta: “Non l’hai fatto?” - “No,” rispose la fanciulla per la terza volta. Allora la Vergine Maria disse: “Non mi hai obbedito, hai mentito: non sei più degna di stare in Cielo.”

La fanciulla cadde in un sonno profondo e, quando si risvegliò, giaceva sulla terra vicino a un albero alto, circondato da una fitta boscaglia impossibile a penetrarsi. La sua bocca era muta e non poteva pronunciare parola. Nell’albero vi era una cavità dov’ella dormiva di notte e si riparava quando pioveva o vi era tempesta. Radici e bacche erano il suo unico nutrimento, le cercava fin dove poteva arrivare. In autunno raccoglieva le foglie dell’albero, le portava nella cavità e, se nevicava o gelava, si copriva con esse. I suoi vestiti si sciuparono e le caddero di dosso e dovette così avvolgersi nelle foglie. Appena il sole splendeva caldo, usciva e si sedeva davanti all’albero, e i suoi lunghi capelli la ricoprivano da ogni parte come un mantello. Così visse a lungo e sentì il dolore e la miseria del mondo.

Un giorno di primavera il re di quella terra cacciava nel bosco inseguendo un capriolo e, siccome la bestia si era addentrata nella boscaglia che circondava l’albero cavo, discese da cavallo, spezzò gli sterpi e si aprì un varco con la spada. Penetrato nel fogliame, vide seduta sotto l’albero una fanciulla bellissima, coperta da una chioma dorata che le arrivava fino ai piedi. Egli si meravigliò e disse: “Come hai potuto arrivare in questo luogo deserto?” Ma essa non rispose, perché‚ non poteva schiudere le labbra. Il re proseguì: “Vuoi venire con me al mio castello?” La fanciulla annuì leggermente con il capo. Il re la prese allora tra le braccia, la mise sul suo cavallo e la portò a casa dove le fece indossare dei vestiti e le diede ogni cosa in abbondanza. E, anche se non poteva parlare, era così bella e leggiadra che egli se ne innamorò e la sposò.

Dopo circa un anno, la regina mise al mondo un bimbo. Di notte, mentre era sola, le apparve la Vergine Maria e disse: “Se dici la verità e ammetti di avere aperto la porta proibita, ti dischiuderò le labbra e ti ridarò la parola, ma se ti ostini a mentire rimanendo nel peccato, allora mi prenderò il bambino appena nato.” La regina pot‚ rispondere questa volta, ma disse: “No, non ho aperto la porta proibita,” e la Vergine Maria prese dalle sue braccia il bambino appena nato e scomparve con lui. Il giorno seguente quando si scoprì che il bambino era sparito, la gente cominciò a mormorare che la regina era un mostro e che aveva ucciso il suo bambino. Ella udiva ogni cosa, ma non poteva replicare nulla. Il re però non credette a niente di tutto ciò, tanto l’amava.

Dopo un anno la regina diede alla luce un altro figlio. Di notte comparve nuovamente la Vergine Maria e disse: “Se ammetti di avere aperto la porta proibita, ti ridarò il tuo bambino e ti scioglierò la lingua, ma se persisti nel peccato e neghi, allora prenderò anche questo neonato con me.” Ma la regina disse nuovamente: “No, non ho aperto la porta proibita,” e la Vergine Maria le prese il bimbo dalle braccia e lo portò con s‚ in Cielo. La mattina, scomparso di nuovo il piccino, la gente disse ad alta voce che la regina lo aveva divorato e i consiglieri del re chiesero che fosse giudicata. Ma il re l’amava tanto che non volle crederlo e ordinò ai consiglieri di non parlarne più, pena la vita.

Dopo un anno la regina partorì una bella figlioletta; la Vergine Maria le apparve nuovamente di notte e disse: “Seguimi.” La prese per mano, la condusse in Cielo e le mostrò i due figli maggiori che le sorridevano e giocavano con la palla del mondo. La regina se ne rallegrò; allora disse la Vergine Maria: “Se ammetti di avere aperto la porta proibita ti ridarò i due figlioletti.” Ma la regina rispose per la terza volta: “No, non ho aperto la porta proibita!” Allora la Vergine la lasciò ricadere sulla terra e le prese anche il terzo bambino.

La mattina dopo, quando la cosa trapelò, la gente gridò a gran voce: “La regina è un mostro e deve essere condannata!” E il re non pot‚ più trattenere i suoi consiglieri. La regina fu giudicata e, poiché‚ non poteva rispondere n‚ difendersi, fu condannata a morire sul rogo. Ammucchiarono la legna e, quando fu legata al palo e il fuoco incominciò ad avvampare intorno a lei, il suo cuore fu mosso dal pentimento ed ella pensò: Potessi confessare, prima di morire, di avere aperto la porta! e gridò: “Oh Maria, sì l’ho fatto!” Come ebbe in cuore questo pensiero, dal cielo incominciò a piovere e l’acqua spense le fiamme, ella fu inondata di luce e la Vergine Maria discese fra i due bambini e con la neonata in braccio. Le disse amorevolmente: “Chi si pente della propria colpa e la confessa è perdonato,” le porse i bambini, le sciolse la bocca e la rese felice per tutta la vita

 
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L'ultrà di S.Tobia

Post n°429 pubblicato il 17 Agosto 2011 da odette.teresa1958

Cari lettori,ricordate la nostra squadra di calcio,nata quasi per caso?Bene,adesso noi siamo i primi in classifica nella serie Z!
E anche noi,ahimè,abbiamo gli ultras,concentrati nelle "Brigate S.Tobia",capitanati dal figlio minore di Be'erino e della Targiona,Vladimiro.
Proprio lui domenica scorsa si è reso protagonistadi numeri incredibili,che per amor di cronaca mi accingo a raccontarvi dettagliatamente.
14.30- Inizio della partita S.Tobia-S.Pancrazio,arbitrata dal signor Merlino Cerbottani di Vernio.
Sugli spalti,avvolto in un bandierone giallo a strice verde pisello ed armato di tamburo c'era Vladimiro,che con lo strumento sottolineava il nome di ogni giocatore.
A un certo punto,il tamburo,sfuggitogli di mano,è finito in testa allo Sgozzaloca,quattro file più sotto.L'Anatolio lo ha rispedito al mittente,ma,accecato dai fumogeni,ha sbagliato mira:Berengario se l'è beccato nei denti,svenendo per il dolore.
14.45- Aveva la palla l'attaccante e capocannoniere del S.Tobia,Evaristo Cornacchioni,sul quale è entrato a gamba tesa Melampo Scapocchiati,difensore avversario.
Dato che il fallo è avvenuto in area,Evaristo ha reclamato il calcio di rigore,che il Cerbottani non ha concesso.
Vladimiro si è levato una scarpa e l'ha tirata,beccando l'allenatore della nostra squadra,che altri non è che Ireneo Cornacchioni,il nostro amato pretone.
Il poveretto ha lasciato il campo in barella.
15.05- Il S.Pancrazio è passato in vatnaggio con un goal alquanto dubbio,che l'arbirtro ha ritenuto valido.
Vladimiro ,urlando oscenità pazzesche,si è messo a saltabeccare,perdendo l'equilibrio e finendo in testa allo Sgozzaloca,appena ripresosi.L'Anatolio gli ha morso a sangue il naso.
15.13- A due minuti dalla fine,Evaristo Cornacchioni ha sparato nella porta avvversaria un tiro pazzesco...facendo la barba al palo!Vladimiro ha preso a capocciate un pilone di cemento,bestemmiando così piano che lo hanno sentito a Firenze
15.35- A 5 minuti dall'inizio del secondo tempo,Ladislao Trogoloni ha atterrato in area l'attaccante Calpurnio Stecchetti.
Il rigore stavolta è stato concesso e il S.Pancrazio conduceva la partita per 2 reti a 0.
Vladimiro ha cominciato a ululare in modo tale che in paese la Clementina,beghina ufficiale,pensando a un lupo mannaro è svenuta.
15.45-Evaristo ha segnato,ma era in fuorigioco,quandi goal annullato.
Vladimiro ha cominciato a insultare sempre più pesantemente il Cerbottani,quando è stato investito da tre erinni che lo hanno preso a borsettate:erano rispettivamente la mamma,la moglie e la sorella dell'arbitro,nonchè nonna,zia e madre del Vladimiro.
Eh sì,cari lettori:Merlino altri non è che il fratello minore della Targiona!Preso dal sacro zelo calcistico,Vlaidimiro si era scordato questo trascurabile particolare!
16.00-Per fermare lo Stecchetti,Camillo gli ha morso a sangue il polpaccio destro ed è stato espulso.I supporters del S.Tobia, hanno cominciato a tirare in campo di tutto.Vladimiro,fuori di sè,ha acchiappato la mascotte del S.Tobia,il nano Terenzio Paperotti e lo ha lanciato in campo.
Terenzio è finito in testa a ireneo,appena rientrato.
Il pretone è dovuto di nuovo uscire in barella.
16.14- Ultimo minuto di gico.
Nell'area del S.tobia c'era una mischia tale, che Ladislao Trogoloni ha regalato la terza rete al S.Pancrazio,che ha vinto 3-0.
I compagni hanno cominciato a inseguirlo decisi a levarlo dal mondo,mentre i tifosi hanno invaso il campo decisi a levarlo dal mondo pure loro.
C'è stata una carica della polizia e Vladimiro ha trascorso la notte in guardina.
Sono passati tre giorni.
Il Capricorni ha citato a "Forum"Vladimiro e Anatolio.
La Clementina vede lupi mannari ovunque e urla ogni tre per due,anche nel sonno.
Nonna,zia e madre hanno fatto celebrare un funerale da vivo per Vladimiro.
Il Paperetti sta benissimo,Ireneo molto meno:sragiona,ed èconvinto di essere stato colpito da un UFO proveniente da Saturno.
Il Trogoloni è scappato in Burundi.
Vladimiro è a letto:per la rabbia gli è venuto un febbrone micidiale.
Ma guarirà,guarirà,ahimè!

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La filatrice pigra

Post n°428 pubblicato il 17 Agosto 2011 da odette.teresa1958

In un villaggio vivevano due sposi, e la donna era così pigra che non aveva mai voglia di lavorare, e quel che il marito le dava da filare, non lo finiva mai, e se anche lo filava, non lo passava all'aspo, ma lasciava tutto quanto avvolto sul rocchetto. Un giorno che il marito la rimproverava, ella lo rimbeccò dicendo: -Come faccio ad annaspare se non ho aspo? Va' nel bosco e fammene uno-. -Se è tutto qui- disse l'uomo -andrò nel bosco e prenderò il legno per fare l'aspo.- Allora la donna temette che, trovato il legno, ne facesse un aspo, ed ella fosse poi costretta ad annaspare e a filare di nuovo. Rifletté‚ un poco e le venne in mente una bella idea: corse di nascosto dietro al marito, e quando egli si fu arrampicato su di un albero per scegliere e tagliare il legno, si acquattò in un cespuglio, dove il marito non poteva vederla, e gridò:-A tagliar legna per aspo, si muore; chi se ne serve è preso da malore.-L'uomo tese l'orecchio, posò un attimo la scure e stette a pensare che cosa ciò potesse voler dire. -Mah- disse infine -cosa vuoi che sia stato! Ti hanno fischiato le orecchie, è inutile spaventarsi!- Prese di nuovo la scure e stava per menare il colpo, quando da sotto gridarono di nuovo:-A tagliar legna per aspo, si muore; chi se ne serve è preso da malore.-Egli si fermò, ebbe una gran paura e si mise a rimuginare. Ma dopo un po' tornò a farsi coraggio, afferrò la scure per la terza volta e fece per menare il colpo. Ma per la terza volta si senti gridar forte:-A tagliar legna per aspo, si muore; chi se ne serve è preso da malore.-Allora egli ne ebbe abbastanza, tutta la voglia gli era passata; scese in fretta dall'albero e s'incamminò verso casa. La moglie corse più veloce che pot‚ per un altro sentiero, per arrivare a casa prima di lui. E quando egli entrò nella stanza, disse, con un aria innocente come se niente fosse: -Be', mi hai portato del buon legno per l'aspo?-. -No- rispose egli -ho capito che annaspare non va bene.- Le raccontò quel che gli era successo nel bosco e, da quel giorno in poi, la lasciò in pace con l'aspo. Ben presto, però, l'uomo prese a seccarsi del disordine che c'era in casa. -Moglie- disse -è una vergogna che quel filato rimanga sul rocchetto.- -Sai?- diss'ella. -Dato che non riusciamo ad avere un aspo, mettiti in solaio, e io starò sotto: ti butterò su il rocchetto e tu lo butterai giù: così faremo la matassa.- -Sì, va bene- rispose il marito. Così fecero e, quand'ebbero finito, egli disse: -Adesso che la matassa è fatta, bisogna anche farla cuocere-. La donna ebbe di nuovo timore ma disse: -Sì, la faremo bollire domattina presto- e pensava intanto a un'altra astuzia. Si alzò di buon mattino, accese il fuoco, appese il paiolo, ma al posto del filo ci mise dentro un mucchio di stoppa e lo fece bollire. Poi andò dal marito, che era ancora a letto, e gli disse: -Io devo uscire, tu nel frattempo alzati e cura il filo che è sul fuoco, nel paiolo; ma devi farlo per tempo, fa' attenzione: se il gallo canta e tu non ci badi, il filo diventa stoppa-. L'uomo non perse tempo, si alzò in fretta e andò in cucina. Ma quando si avvicinò al paiolo e vi guardò dentro, non vide altro che un mucchio di stoppa. Allora se ne stette ben zitto senza fiatare, pensando di essersi sbagliato e che la colpa fosse sua, e da allora in poi non parlò più di filo nè di filare alla moglie, che ne fu ben felice.

FINE




 
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Strade (Bidgood)

Post n°427 pubblicato il 17 Agosto 2011 da odette.teresa1958

Inutile chiedersi che lago protetto da aironi
si trovava nell'altra vallata,
o rimpiangere i canti del bosco
che non avevo attraversato.
Inutile chiedersi dove
potevano portare altre strade,
dato che portavano altrove;
poiché è solo qui e ora
la mia vera destinazione.
È dolce il fiume nella tenera sera
e tutti i passi della mia vita mi hanno
portata a casa.

 
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Libri dimenticati:Com'era verde la mia vallata

Post n°426 pubblicato il 17 Agosto 2011 da odette.teresa1958

Questo romanzo di Richard Llewellyn è ambientato nel Galles dei primi anni del Novecento.
Huw,ormai adulto,racconta la storia della sua numerosa famiglia e la loro vita quotidiana,punteggiata di difficoltà ma anche di amore e unità.
Fra tutte le figure del romanzo,indimenticabile quella di Bronwen,la cognata di Huw,da lui sempre segretamente amata
Da leggere senz'altro!

 
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Frase del giorno

Post n°425 pubblicato il 17 Agosto 2011 da odette.teresa1958

A far del bene ai ciuchi S.Antonio se n'ha per male!

 
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