Il labirinto
blog diarioMessaggi del 21/08/2011
Quando fu seppellito, il fedele Giovanni raccontò al giovane quello che aveva promesso a suo padre sul letto di morte e disse: “Lo manterrò certamente e ti sarò fedele, dovesse costarmi la vita.” Il giovane piangendo esclamò: “Io pure non dimenticherò mai la tua fedeltà.” Finito il lutto, il fedele Giovanni gli disse: “E' tempo che tu veda i tuoi beni; voglio mostrarti il castello paterno.” Lo condusse in giro da ogni parte, su e giù, e gli fece vedere tutti i tesori e le splendide stanze; non aprì soltanto la camera che racchiudeva il ritratto. Il ritratto era posto in modo che aprendo la porta lo si vedesse subito; era dipinto con tanta arte da sembrare vivo e non vi era al mondo nulla di più soave e di più bello. Ma il giovane re si accorse subito che il fedele Giovanni passava sempre davanti a questa porta senza fermarsi e disse: “Perché‚ questa non la apri?” - “Vi è qualcosa dentro che ti spaventerebbe,” rispose il servo. Ma il re replicò: “Ho visto tutto il castello; voglio sapere anche che cosa c'è qua dentro.” Andò alla porta e cercò di aprirla con la forza. Allora il fedele Giovanni lo trattenne e disse: “Prima che morisse, ho promesso a tuo padre che non avresti visto quello che vi è nella stanza: potrebbe causare a entrambi grande sventura.” - “No,” rispose il giovane re, “se non entro è la mia rovina: non avrò pace giorno e notte, finché‚ non l'avrò visto; non me ne andrò di qui finché‚ non avrai aperto.”
Il fedele Giovanni vide allora che non vi era più nulla da fare e, col cuore grosso e molti sospiri, cercò la chiave nel grosso mazzo. Poi aprì la porta della stanza ed entrò per primo pensando che il re non potesse vedere il ritratto; ma questi era troppo curioso, si mise sulla punta dei piedi e guardò al di sopra della sua spalla. E quando vide l'immagine della fanciulla, così bella e splendente d'oro, cadde a terra svenuto. Il fedele Giovanni lo sollevò, lo portò a letto e pensò preoccupato: “La disgrazia è avvenuta; Signore Iddio, che sarà mai?” Poi lo rinvigorì con del vino finché‚ si riebbe, ma la prima cosa che il giovane re disse fu: “Ah, di chi è quei bel ritratto?” - “E' la principessa dal tetto d'oro,” rispose il fedele Giovanni. Allora il re disse: “Il mio amore per lei è così grande che se tutte le foglie degli alberi fossero lingue, non potrebbero esprimerlo. Pur di ottenerla in isposa rischierei la vita; tu sei il mio fedelissimo Giovanni e devi aiutarmi.”
Il fedele servitore pensò a lungo come agire, poiché‚ giungere al cospetto della principessa era cosa assai difficile. Alla fine escogitò un sistema e disse al re: “Tutto ciò che la circonda è d'oro: tavoli, sedie, piatti, bicchieri, scodelle e ogni altra suppellettile domestica. Fra i tuoi beni vi sono cinque tonnellate d'oro; fanne lavorare una dagli orefici del regno, che ne facciano ogni sorta di vasellame e di utensile, ogni sorta di uccelli, fiere e mostri, con queste cose andremo e tenteremo la fortuna.” Il re fece radunare tutti gli orefici e li fece lavorare giorno e notte, finché‚ furono pronti gli oggetti più splendidi. Il fedele Giovanni fece allora caricare il tutto su di una nave, indossò degli abiti da mercante e così fece pure il re in modo da rendersi irriconoscibile. Poi salparono e navigarono a lungo per il mare finché‚ giunsero alla città nella quale abitava la principessa dal tetto d'oro.
Il fedele Giovanni disse al re di rimanere sulla nave e di aspettarlo. “Forse,” disse, “porterò con me la principessa, per questo abbiate cura che tutto sia in ordine: esponete il vasellame d'oro e fate adornare tutta la nave.” Poi radunò nel grembiule ogni sorta di oggetti d'oro, sbarcò e andò dritto al castello reale. Quando giunse nel cortile del castello, c'era alla fonte una bella fanciulla, che aveva in mano due secchi d'oro e attingeva acqua. Quand'ella si volse per portar via l'acqua dai bagliori dorati, vide lo straniero e gli domandò chi fosse. Allora egli rispose: “Sono un mercante,” e aprì il grembiule, lasciando che vi guardasse dentro. Allora ella esclamò: “Oh, che begli oggetti d'oro!” depose i secchi e si mise a esaminarli uno dopo l'altro. Poi disse: “Deve vederli la principessa, gli oggetti d'oro le piacciono tanto che vi comprerà tutto.” Lo prese per mano e lo condusse fino alle stanze superiori, poiché‚ era la cameriera. Quando la principessa vide la merce, tutta contenta disse: “E' così ben lavorata che voglio comprarti tutto.” Ma il fedele Giovanni disse: “Io sono soltanto il servo di un ricco mercante; ciò che ho qui è nulla in confronto a quello che il mio padrone ha sulla sua nave; là vi è quanto di più artistico e di più prezioso sia mai stato lavorato in oro.” Ella voleva che le portassero tutto al castello, ma egli disse: “Per fare questo occorrono molti giorni, poiché‚ vi è moltissima merce; ci vogliono tante sale per esporla che la vostra casa non basterebbe.” Così la curiosità e il desiderio crebbero in lei sempre più, finché‚ disse: “Conducimi alla nave: voglio andare io stessa a vedere i tesori del tuo padrone.”
Tutto contento, il fedele Giovanni la condusse alla nave e il re, quando la vide, credette che il cuore gli scoppiasse e pot‚ trattenersi a fatica. Ella salì sulla nave e il re la condusse all'interno, ma il fedele Giovanni rimase presso il timoniere e ordinò che la nave salpasse: “Spiegate le vele, che voli come un uccello nell'aria!” Intanto il re le faceva vedere all'interno tutti gli oggetti d'oro uno per uno: i piatti, i bicchieri, le ciotole, gli uccelli, le fiere e i mostri. Passarono diverse ore ed ella rimirava ogni cosa con tale gioia da non accorgersi che la nave era partita. Quand'ebbe esaminato l'ultimo oggetto, ringraziò il mercante e volle ritornare a casa; ma, giunta sul ponte, vide che la nave correva a vele spiegate in alto mare, lontano da terra. “Ah,” gridò spaventata, “sono stata ingannala, rapita; sono nelle mani di un mercante: preferirei morire!” Ma il re la prese per mano e disse: “Non sono un mercante ma un re, non inferiore a te per nascita. Se ti ho rapita con l'astuzia è stato solo per il grande amore che ti porto. Quando vidi il tuo ritratto la prima volta, caddi a terra svenuto.” All'udire queste parole, la principessa dal tetto d'oro si consolò; e fu così incline ad amarlo, che accettò volentieri di diventare sua moglie.
Ma, mentre navigavano in alto mare, il fedele Giovanni, che sedeva a prua e suonava, scorse in aria tre corvi che si avvicinavano a volo. Smise di suonare e ascoltò quel che dicevano, perché‚ lo capiva bene. Uno gracchiò: “Ah, si porta a casa la principessa dal tetto d'oro!” - “Sì” rispose il secondo “ma non l'ha ancora!” E il terzo disse: “Ma sì, è con lui sulla nave!” Allora il primo riprese a dire: “A che giova questo? Quando sbarcheranno, gli balzerà incontro un cavallo sauro: allora egli vorrà cavalcarlo e se lo farà il cavallo correrà via con lui e si alzerà in volo, cosicché‚ egli non rivedrà mai più la sua fanciulla.” Il secondo disse: “Non vi è modo per salvarsi?” - “Oh sì, se colui che è in sella estrae il fucile che è infilato nella cavezza del cavallo e lo uccide, il giovane re è salvo; ma chi può saperlo? E chi sapendolo glielo dicesse, diventerebbe di pietra dalla punta dei piedi alle ginocchia.” Allora il secondo disse: “Io so di più: anche se il cavallo viene ucciso, il giovane re non serba la sua sposa! Quando entreranno nel castello, troveranno su di un vassoio una camicia nuziale che sembrerà intessuta d'oro e d'argento, ma non si tratterà che di pece e zolfo: Se egli la indosserà brucerà fino al midollo.” Il terzo disse: “Non vi è modo per salvarsi?” - “Oh sì,” rispose il secondo, “se uno afferra la camicia con dei guanti e la getta nel fuoco, in modo che bruci, il giovane re è salvo. Ma a che giova? Chi sapendolo glielo dicesse, diventerebbe di pietra dal ginocchio al cuore.” Allora il terzo disse: “Io so di più: anche se bruciasse la camicia nuziale, il giovane re non avrebbe ancora la sua sposa! Quando, dopo le nozze, incomincerà il ballo e la giovane regina danzerà, impallidirà all'improvviso e cadrà come morta. E se qualcuno non la solleva e non succhia tre gocce di sangue dalla sua mammella destra e non le risputa, ella morirà. Ma se qualcuno lo sa e lo rivela, diventerà tutto di pietra, dalla testa fino alla punta dei piedi.” Quando i corvi si furono scambiati queste parole, volarono via, e il fedele Giovanni aveva capito tutto; ma da quel momento in poi fu triste e taciturno: infatti se avesse taciuto al suo signore ciò che aveva udito, questi sarebbe stato infelice, e se glielo avesse rivelato avrebbe dovuto sacrificare la sua stessa vita. Infine egli disse fra s’: “Voglio salvare il mio signore, anche se questo dovesse causare la mia rovina.”
Quando giunsero a terra, accadde quel che il corvo aveva predetto e uno splendido sauro balzò loro innanzi. “Oh,” esclamò il re, “mi porterà al mio castello,” e volle montare in sella; ma il fedele Giovanni lo precedette, balzò velocemente in sella, estrasse l'arma dalla cavezza e lo uccise. Allora gli altri servi del re, che non amavano il fedele Giovanni, esclamarono: “Che cosa ignobile, uccidere quel bell'animale che doveva portare il re al castello!” Ma il re disse: “Tacete e lasciatelo fare: è il mio fedelissimo Giovanni, avrà un buon motivo.” Poi andarono al castello e nella sala c'era il vassoio sul quale era posata la camicia nuziale, che sembrava tutta d'oro e d'argento. Il giovane re si fece avanti per prenderla, ma il fedele Giovanni lo spinse via, afferrò la camicia con i guanti, la gettò nel fuoco e la bruciò. Gli altri servi ricominciarono a mormorare e dissero: “Guardate, ora brucia persino la camicia nuziale del re!” Ma il giovane re disse: “Avrà un buon motivo, lasciatelo fare, è il mio fedelissimo Giovanni.” Poi si celebrarono le nozze; il ballo incominciò e anche la sposa vi prese parte. Il fedele Giovanni stava attento e la guardava in viso. D'un tratto impallidì e cadde a terra come morta. Allora egli corse a lei, la sollevò e la portò in una stanza; qui la distese, si inginocchiò, succhiò le tre gocce di sangue dalla sua mammella destra e le sputò. Subito ella riprese a respirare e si riebbe, ma il giovane re aveva visto tutto e, non sapendo perché‚ il fedele Giovanni lo avesse fatto, andò in collera e gridò: “Gettatelo in prigione!” Il mattino dopo il fedele Giovanni fu condannato e condotto al patibolo e quando fu lassù e stava per essere giustiziato, disse: “Chi deve morire, può parlare ancora una volta prima della sua fine; ho anch'io questo diritto?” - “Sì,” rispose il re, “ti sia concesso.” Allora il fedele Giovanni disse: “Sono condannato ingiustamente e ti sono sempre stato fedele.” E gli raccontò come avesse udito sul mare il discorso dei corvi e deciso di salvare il suo signore; per questo aveva dovuto fare tutto quello che aveva fatto. Allora il re esclamò: “Oh mio fedelissimo Giovanni! Grazia! Grazia! Portatelo giù.” Ma il fedele Giovanni, appena aveva pronunciato l'ultima parola, era caduto senza vita ed era diventato di pietra.
Il re e la regina se ne afflissero molto e il re diceva: “Ah, come ho mal ricompensato tanta fedeltà!” Fece sollevare la statua di pietra e la fece mettere nella sua stanza accanto al suo letto. Ogni volta che la guardava, piangeva e diceva: “Ah, potessi ridarti la vita, mio fedelissimo Giovanni!” Passò qualche tempo e la regina partorì due gemelli, due maschietti, che crebbero ed erano la sua gioia. Un giorno che la regina era in chiesa e i due bambini giocavano accanto al padre, il re guardò la statua di pietra con grande tristezza, sospirò e disse: “Ah, potessi ridarti la vita, mio fedelissimo Giovanni!” Allora la statua incominciò a parlare e disse: “Sì, puoi ridarmi la vita se sarai disposto a dare ciò che ti è più caro.” Allora il re esclamò: “Per te darò tutto quello che ho al mondo!” La pietra proseguì: “Se di tua mano tagli la testa ai tuoi due bambini e mi ricopri con il loro sangue, allora riavrò la vita.” Il re inorridì quando udì che doveva uccidere egli stesso i suoi diletti figli, ma pensò alla grande fedeltà del fedele Giovanni, che era morto per lui: trasse la spada e di sua mano tagliò la testa ai bambini. E quando ebbe ricoperto la statua con il loro sangue, essa si rianimò e il fedele Giovanni gli stette di nuovo innanzi, fresco e sano. Ed egli disse al re: “Voglio ricompensare la tua fedeltà” e, prese le teste dei bambini, le rimise sul busto e spalmò le ferite con il loro sangue. In un attimo i bambini ritornarono sani e ripresero a saltare e a giocare come se nulla fosse accaduto. Il re era felice e, quando vide venire la regina, nascose il fedele Giovanni e i due bambini in un grande armadio. Quando ella entrò le disse: “Hai pregato in chiesa?” - “Sì” rispose la regina “ma ho sempre pensato al fedele Giovanni che è stato così sventurato per colpa nostra.” Allora egli disse: “Cara moglie, noi possiamo ridargli la vita, ma a prezzo del sacrificio dei nostri figlioletti.” La regina impallidì e le si gelò il sangue, ma disse: “Glielo dobbiamo per la sua grande fedeltà.” E il re si rallegrò che ella pensasse come lui; andò ad aprire l'armadio e ne uscirono i bambini e il fedele Giovanni. Il re disse: “Grazie a Dio egli è libero dall'incantesimo e abbiamo ancora i nostri figlioletti.” E le raccontò tutto quello che era successo. Poi vissero felici insieme fino alla morte.
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Prese così la carta geografica che aveva in camera sua e cercò il castello; ma non c'era. -Non importa- disse -sopra, in un armadio, ho delle carte anche più grandi: vedrò se riesco a trovarlo là.- Andarono a vedere, ma inutilmente. L'uomo voleva proseguire il suo viaggio, ma il gigante lo pregò di aspettare ancora qualche giorno, finché‚ tornasse suo fratello, che era andato via per cercare qualcosa da mangiare. Anche lui aveva una carta geografica, avrebbero cercato ancora una volta insieme, e avrebbero trovato sicuramente il castello. Allora l'uomo aspettò e quando il fratello del gigante tornò disse che non lo sapeva con esattezza, ma comunque credeva che il castello d'oro di Stromberg si trovasse sulla carta. Tutti e tre mangiarono ancora una volta a sazietà, poi il secondo gigante disse: -Vado a vedere se c'è sulla mia carta-. Ma non c'era di nuovo. Allora disse che di sopra aveva una stanza piena di carte geografiche, e doveva andare a vedere là. Quando le ebbe portate di sotto, si misero di nuovo a cercare e finalmente trovarono il castello d'oro di Stromberg; ma era mille miglia lontano. -Come farò a raggiungerlo?- disse l'uomo. -Ho due ore di tempo- disse il gigante. -Ti porterò fin nelle vicinanze, ma poi devo tornare a casa ad allattare il nostro bambino.- Il gigante lo portò all'incirca a cento ore dal castello e disse: -Adesso devo tornare indietro, il resto della strada puoi farlo da te-. -Oh sì!- rispose l'uomo -posso benissimo!- Prima di congedarsi, l'uomo disse ancora: -Sfamiamoci per bene-. Mangiarono insieme, poi il gigante lo salutò e se ne tornò a casa. L'uomo invece andò avanti giorno e notte, finché‚ giunse al castello d'oro di Stromberg. Ma il castello era su di un monte di vetro, sul quale vide la fanciulla stregata in carrozza; egli voleva raggiungerla, ma ogni volta che ci provava scivolava in basso. Allora si rattristò molto e pensò fra s‚: -La cosa migliore che puoi fare è di costruirti una capanna qui; da mangiare e da bere non ti manca-. Così si costruì una capanna e ci restò per un anno intero; e tutti i giorni vedeva la principessa passare con la carrozza in cima al monte, ma non poteva salire fino a lei. Un giorno vide tre giganti che si azzuffavano e gridò loro: -Dio sia con voi!-. A quel grido essi si fermarono ma, non vedendo nessuno, ricominciarono a picchiarsi con gran ferocia. Egli tornò a gridare: -Dio sia con voi!-. Quelli si fermarono di nuovo, si guardarono intorno, ma siccome non vedevano nessuno, ripresero nuovamente a picchiarsi. Allora egli disse per la terza volta: -Dio sia con voi!- e pensò: "Devi proprio andate a vedere che intenzioni hanno quei tre". Andò da loro e domandò perché‚ si picchiassero. Allora uno disse di aver trovato un bastone: se con esso batteva su una porta, questa si spalancava; il secondo disse di aver trovato un mantello: se lo indossava, diventava invisibile; ma il terzo disse di aver catturato un cavallo con il quale si poteva andare sul monte di vetro. Allora l'uomo disse: -Voglio barattare con voi queste tre cose; di denaro veramente non ne ho, ma ho dell'altro che vale di più. Prima però devo fare una prova, per vedere se avete detto la verità-. Quelli lo fecero salire a cavallo, gli misero il mantello addosso e il bastone in mano; e quando egli ebbe tutto ciò, non poterono più vederlo. Allora egli li caricò di botte e gridò: -Adesso siete soddisfatti?- e cavalcò sul monte di vetro. Quando arrivò davanti al castello lo trovò chiuso; allora picchiò alla porta con il bastone, e subito la porta si spalancò. Egli entrò, salì le scale, e nella sala di sopra, trovò la fanciulla che aveva dinanzi a s‚ un calice d'oro colmo di vino; ella tuttavia non poteva vedere l'uomo, poiché‚ egli indossava il mantello. E quando le fu davanti, egli si tolse dal dito l'anello ch'ella gli aveva dato, e lo gettò nel calice che tintinnò. Allora ella esclamò: -E' il mio anello! Deve esserci, dunque, anche l'uomo che mi libererà!-. Lo cercarono in tutto il castello ma non lo trovarono, poiché‚ egli era uscito, si era seduto a cavallo e si era tolto il mantello. Quando uscirono dalla porta, lo videro e gridarono di gioia. Egli scese da cavallo e prese la principessa fra le braccia; ed ella lo baciò e disse: -Adesso mi hai davvero liberata!-. Poi festeggiarono le nozze e vissero felici insieme.
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Ella disse alla figlia dell'uomo: "Ascolta, di' a tuo padre che vorrei sposarlo; poi ogni mattina ti laverai nel latte e berrai vino; mia figlia invece si laverà nell'acqua e berrà acqua." La fanciulla andò a casa e raccontò al padre ciò che la donna le aveva detto. L'uomo disse: "Che cosa devo fare? Sposarsi è una gioia e un tormento insieme!" Infine si tolse lo stivale e disse: "Prendi questo stivale che ha un buco nella suola; vai in solaio, appendilo al chiodo grosso e versaci dentro dell'acqua. Se tiene, prenderò di nuovo moglie; ma se l'acqua cola, non la prenderò." La fanciulla fece come le era stato ordinato; ma l'acqua restrinse il buco e lo stivale si riempì fino all'orlo. Allora riferì al padre com'era andata; egli stesso salì in solaio e quando vide che era proprio vero andò dalla vedova, la chiese in sposa, e furono celebrate le nozze.
La mattina dopo, quando le due fanciulle si alzarono, davanti alla figlia dell'uomo c'era latte per lavarsi e vino da bere mentre davanti alla figlia della donna c'era acqua per lavarsi e acqua da bere. La seconda mattina c'era acqua per lavarsi e acqua da bere sia davanti all'una sia davanti all'altra. E la terza mattina c'era acqua per lavarsi e acqua da bere davanti alla figlia dell'uomo, e latte per lavarsi e vino da bere davanti alla figlia della donna; e così fu sempre. La donna si accanì contro la figliastra e non sapeva cosa inventare per farla stare ogni giorno peggio. Era anche invidiosa, perché‚ la figliastra era bella e amabile, mentre la figlia vera era brutta e antipatica.
Una volta, d'inverno, che c'era un gelo da spaccare le pietre e il monte e la valle erano coperti di neve, la donna fece un vestito di carta, chiamò la figliastra e disse: "Su, mettiti questo vestito va' nel bosco e raccoglimi un cestino di fragole: ne ho voglia." - "Buon Dio," disse la fanciulla, "d'inverno non crescono le fragole, la terra è gelata e la neve ha coperto tutto. E come posso andare con l'abito di carta? Fuori fa così freddo che gela il fiato, il vento lo attraverserà e le spine me lo strapperanno di dosso." - "Vuoi anche contraddirmi?" disse la matrigna. "Vattene e non farti vedere se non hai riempito il cestino di fragole." Poi le diede anche un pezzetto di pane duro e disse: "Così hai da mangiare per tutto il giorno." E pensava: Fuori gelerà e morirà di fame: non mi comparirà mai più davanti agli occhi.
La fanciulla obbedì, indossò il vestito di carta e uscì col cestino. Da ogni parte non c'era che neve e neanche un filo di verde. Quando giunse nel bosco, vide una piccola casetta dalla quale sbirciavano tre nani. La fanciulla diede loro il buongiorno e bussò alla porta.
Essi gridarono: "Avanti!" ed ella entrò nella stanza e si sedette sulla panca accanto alla stufa; voleva scaldarsi e mangiare la sua colazione. I nani dissero: "Danne un po' anche a noi." - "Volentieri," ella disse; divise in due il suo pezzetto di pane e ne diede loro metà. Essi domandarono: "Che cosa cerchi nel bosco d'inverno, con quel vestitino leggero?" - "Ah," rispose ella, "devo riempire un cestino di fragole, e non posso tornare a casa se non le trovo." Quando ebbe mangiato il suo pane, essi le diedero una scopa e dissero: "Spazza via la neve davanti alla porta, dietro casa." Ma come fu uscita, i tre omini dissero fra loro: "Che cosa dobbiamo regalarle, poiché‚ è così gentile e buona e ha diviso il suo pane con noi?"
Allora disse il primo: "Che diventi più bella ogni giorno."
Disse il secondo: "Che le cadano di bocca monete d'oro a ogni parola che dice."
Il terzo disse: "Che venga un re e la sposi."
La fanciulla, con la scopa dei nani, spazzò via la neve dietro alla piccola casetta, e là sotto era tutto rosso di belle fragole mature. Allora, con gran gioia, si affrettò a riempire il cestino, ringraziò gli omini, prese congedo da loro e corse a casa a portare le fragole alla matrigna.
Quando entrò e disse: "Buona sera!" subito le cadde di bocca una moneta d'oro. Poi raccontò quel che le era accaduto nel bosco, e a ogni parola che diceva le uscivano di bocca le monete d'oro, cosicché‚ ben presto l'intera casa ne fu piena. Ma la sorellastra divenne invidiosa e insistette a lungo con la madre perché‚ la mandasse nel bosco. Questa però non voleva e disse: "No, mia cara piccina, è troppo freddo, potresti gelare." Ma dato che la figlia continuava ad insistere e non la lasciava in pace, finì col cedere, ma prima le cucì un magnifico giubbetto di pelliccia, glielo fece indossare e le diede pane, burro e focaccia da mangiare per la strada. La fanciulla giunse nel bosco proprio dove si trovava la casetta.
Anche questa volta i tre nanetti sbirciavano fuori, ma lei non li salutò ed entrò nella stanza senza indugio, sedette vicino alla stufa e incominciò a mangiare il suo pane imburrato e la sua focaccia. "Daccene un po'," esclamarono i nani, ma ella rispose: "Non basta neanche a me, come potrei darne ad altri?"
Quando ebbe finito di mangiare, essi dissero: "Eccoti una scopa, spazza davanti alla porta dietro casa." - "Sì, spazzate voi," rispose, "non sono mica la vostra serva!" Quando vide che non volevano regalarle nulla, prese la porta. Allora gli omini dissero fra loro: "Che cosa dobbiamo regalarle, poiché‚ è così scortese e ha un cuore cattivo e invidioso, senza carità?"
Il primo disse: "Che diventi ogni giorno più brutta."
Il secondo disse: "Che le esca di bocca un rospo a ogni parola che dice."
Il terzo disse: "Che muoia di mala morte."
La ragazza fuori cercò le fragole ma, non avendone trovata neanche una, andò a casa stizzita. E quando aprì la bocca per raccontare a sua madre quel che le era successo nel bosco, a ogni parola le saltava fuori un rospo, cosicché‚ tutti avevano ribrezzo di lei. Allora la matrigna si adirò ancora di più e pensava soltanto a tormentare la figlia del marito, che tuttavia ogni giorno diventava più bella. Infine prese un paiolo, lo mise sul fuoco e vi fece bollire del filo. Quando fu bollito lo diede alla povera ragazza insieme a una scure, perché‚ andasse sul fiume gelato, aprisse un buco nel ghiaccio e vi immergesse il filo.
Ella obbedì, andò e fece un buco nel ghiaccio; e, mentre adoperava la scure, arrivò una splendida carrozza in cui sedeva il re. Questi si fermò e chiese: "Bimba mia, cosa fai qui?" - "Sono una povera fanciulla e bagno il filo." Allora il re si impietosì e vedendo che era così bella disse: "Vuoi venire con me?" - "Ah sì, di tutto cuore," ella rispose; poiché‚ era felice di lasciare la madre e la sorella.
Salì dunque in carrozza e partì con il re, e quando giunsero al castello si celebrarono le nozze con gran pompa, come gli omini avevano augurato alla fanciulla. Dopo un anno la giovane regina partorì un bambino e, quando la matrigna venne a sapere la fortuna che le era toccata, venne con sua figlia con il pretesto di farle visita. Ma una volta che il re non era in casa, e non c'era nessun altro, la perfida donna afferrò la regina per la testa e sua figlia l'afferrò per i piedi, la sollevarono dal letto e la gettarono dalla finestra nel fiume che scorreva là sotto. Poi la matrigna fece distendere la brutta figlia nel letto e la coprì fin sopra la testa. Quando il re fu di ritorno e volle parlare con sua moglie, la vecchia gridò: "Zitto, zitto, adesso no: è tutta in sudore, dovete lasciarla riposare per oggi."
Il re non pensò a nulla di malvagio e tornò soltanto la mattina dopo, e quando parlò con sua moglie ed ella dovette rispondergli, a ogni parola saltava fuori un rospo, mentre di solito cadeva una moneta d'oro. Allora egli chiese di che cosa si trattasse, ma la vecchia disse che era l'effetto di quella gran sudata e che poi tutto sarebbe scomparso.
Ma quella notte lo sguattero vide un'anatra che veniva nuotando lungo la canaletta di scolo dell'acqua e che disse:
"Che fa a quest'ora il mio Sire?E, siccome egli non diede risposta, aggiunse:
Veglia o è già andato a dormire?"
"Le mie ospiti che stan facendo?"Lo sguattero rispose:
"A quest'ora stanno dormendo."Ha chiesto:
"E il mio bimbo che cosa fa?"Egli rispose:
"Nel suo lettino dorme di già!"Allora ella prese le sembianze della regina, allattò il bambino, gli sprimacciò il lettino, lo coprì e nuotò via lungo lo scolo dell'acqua con l'aspetto di anatra. Allo stesso modo venne per due notti; la terza disse allo sguattero: "Vai e di' al re che prenda la spada e, sulla soglia, la brandisca per tre volte sul mio capo." Lo sguattero corse a dirlo al re; questi venne con la sua spada e la brandì tre volte sullo spettro, e alla terza volta gli apparve la sua sposa, viva e sana come prima.
Il re era felice ma tenne la regina nascosta in una camera fino alla domenica, giorno in cui il bambino doveva essere battezzato. Dopo il battesimo, disse: "Che cosa merita una persona che ne toglie un'altra dal letto e la getta in acqua?" - "Ah," rispose la vecchia, "che sia messa in una botte foderata di chiodi e fatta rotolare giù per il monte nell'acqua." Allora il re mandò a prendere una botte siffatta e vi fece mettere dentro la vecchia e sua figlia; poi ne inchiodarono il fondo e la fecero ruzzolare giù per il pendio, fin che rotolò nel fiume.
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ccomo a voi,cari lettori,per raccontarvi cos'è successo due settimane fa in occasione del battesimo del terzogenito di Berengario e Carolina Capricorni,Lucio Cornelio.
"Un battesimo?! E a noi...?"
Lettori,lettori,ma vi devo sempre rammentare dove siamo?devo sempre ricordarvi che ciò che altrove è normale qua diventa (se va bene)una catastrofe?
Ma andiamo per ordine.
Alle 15.30 è iniziata la cerimonia ed è cascato il primo asino.
I Cuccurullo dovevano essere i padrini del battenzzando.Il problema è che,se Asmodeo ed Ercolino sono amici fraterni,Anselmo e lo stesso si detestano cordialmente.
Metterli nello stesso posto per mezzo secondo equivale a far scoppiare le 4 giornate di Napoli e le 5 giornate di Milano messe insieme.
Quando Anselmo ed Asmodeo si sono visti,entrambi,lancaito un urlo belluino ed incuranti del luogo sacro,hanno cominciato a darsele di santa ragione,decisi a levarsi dal mondo l'un l'altro.
A riportare la calma ci ha pensato Ireneo che prima li ha tramortiti con lo spegmnimococli e poi li ha fatti chiudere in cantina da Evaristo.
E qua è cascato il secondo asino.
Le nonne di Lucio Cornelio si sono commosse:una ha cominciato a piangere come una fontana,l'altra a ridere istericamente.
In pochi secondi metà dei presenti piangeva (compreso Ireneo,le cui soffiate di naso hanno impaurito i pratesi,convinti che fosse arrivato il giorno del giudizio) e l'altra rideva (compreso Berengario,le cui omeriche risate hanno spaventato a morte tutti gli animali del circondario.Cesarone si è addirittura arrampicato su un fico)
Per tornare alla nomralità c'è voluta mezz'ora.
Nel frattempo Telesforo è stato colto da allergia fulminante per le candele ed è dovuto intervenire il 118.
Rimasti senza padrini,I Capricorni hanno beccato i primi che passavano davanti alla chiesa ,vale a dire il becchino Geremia e la moglie Fidalma.
Dato che la Carolina non ha mai dimenticato la passione giovanile del marito per la Martellacci nè l'ha dimenticata Geremia,non vi dico con che spirito la cerimonia è proseguita.
Al momento del battesimo Lucio Cornelio,infastidito dall'acqua,ha azzannato il pollice del Cornacchioni e ci è attaccato,come e peggio di un rotweiler.
Mentre Ireneo lanciava urla terrificanti che costringevano i fiorentini all'esodo in massa, i presenti tentavano di liberare il poveraccio.
Alla fine la Carolina,con grande sprezzo del pericolo,ha infilato in bocca a quel piranha che si ostina a chiamare figlio il ciuccio e come Dio vuole la cerimonia è finalmente terminata.
Sono passate due settimane.
Ireneo ancora non è guarito e il suo umore segna tempesta perfetta.
Cuccurullo è in convalescenza.
Asmodeo e Anselmo se le danno come prima.
E Lucio Cornelio?
Per ora mangia,beve e dorme ma son certo che sentiremo ancora parlare di lui.
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Tornano in alto ad ardere le favole.
Cadranno colle foglie al primo vento.
Ma venga un altro soffio,
Ritornerà scintillamento nuovo.
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Protagonista di questo romanzo è Ran Warren,giovane orfano che con infiniti sacrifici riesce a diventare medico.
Ran è un idealista e un medico onesto,destinato a scontrarsi con i giochi di potere delle industrie farmaceutiche e dei baroni della medicina ed a vivere tragedie personali prima di riuscire ad ottenere ciò che vuole.
E' un romanzo intenso,toccante,da leggere
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Inviato da: RicamiAmo
il 01/08/2014 alle 18:11
Inviato da: Dolce.pa44
il 26/07/2014 alle 18:22
Inviato da: do_re_mi0
il 23/04/2014 alle 18:01
Inviato da: odio_via_col_vento
il 14/04/2014 alle 20:57
Inviato da: Krielle
il 23/03/2014 alle 04:38