Messaggi del 28/08/2011

Il forte Hans

Post n°555 pubblicato il 28 Agosto 2011 da odette.teresa1958

C'era una volta un uomo e sua moglie che avevano un solo bambino. Essi vivevano soletti in una vallata deserta. Un giorno la donna andò nel bosco per raccogliere rami secchi e prese con se il piccolo Hans che aveva giusto due anni. Se era agli inizi della primavera, e il piccolino si divertì molto nel vedere tutti i fiori che stavano allora sbocciando. Così che, correndo dall’uno all’altro, Hans e la sua mamma s’inoltrarono un bel pezzo nella foresta. All’improvviso due briganti saltarono fuori da un cespuglio e, afferrati entrambi, li portarono nel cuore del bosco, dove da anni e anni nessuno aveva messo piede. La povera donna li supplicò in ogni modo di lasciarla tornare a casa con il suo piccolo, ma quei due avevano il cuore di pietra e non badarono affatto ai suoi pianti e alle sue preghiere: anzi, la costrinsero ancor più brutalmente a seguirli. Dopo aver camminato per più di due miglia fra rovi e cespugli, giunsero a una rupe in cui si apriva una porta: bussarono e la porta si aprì da sola. S’inoltrarono per un lungo corridoio buio e alla fine giunsero in una vasta caverna illuminata da un gran fuoco che ardeva nel focolare. Alle pareti erano appese spade, sciabole e altre armi che brillavano al bagliore delle fiamme; nel mezzo della caverna c’era una tavola nera intorno a cui altri briganti giocavano a carte. A capotavola sedeva il capo brigante. Costui, non appena vide la donna, si alzò le andò incontro e le disse che, se stava tranquilla e non faceva storie, non le avrebbero fatto alcun male. Volevano solo che badasse alle faccende di casa: se avesse tenuto tutto in ordine sarebbe stata trattata benissimo. Così dicendo le diede da mangiare e le indicò il letto in cui avrebbe dovuto dormire col suo bambino. La donna rimase parecchi anni con quei briganti e Hans divenne grande e forte. La mamma gli raccontava antiche fiabe e gli insegnò a leggere su un vecchio libro di racconti cavallereschi che aveva trovato nella caverna. Quando Hans ebbe compiuto gli undici anni, si fece un grosso bastone con un ramo di abete, lo nascose nel suo letto e si presentò alla madre chiedendole: "Cara mamma, dimmi chi è mio padre, perché devo e voglio conoscerlo." Ma la madre non gli rispose nulla per timore che lo prendesse la nostalgia della casa. Ed ella sapeva bene che i briganti non lo avrebbero lasciato fuggire. Ma le si spezzava il cuore all’idea che il suo Hans non avrebbe più rivisto il padre. La notte, quando i briganti tornarono dalle loro rapine, Hans tirò fuori il suo bastone e, piantatosi davanti al capo, gli chiese: "Io voglio sapere chi è mio padre, e se voi non volete rispondermi vi prendo a legnate quanti siete." Il capo si mise a ridere appioppandogli un tale scapaccione da mandarlo a ruzzolare sotto la tavola. Hans si rimise subito in piedi, ma non disse nulla pensando: “Aspetterò ancora un anno e poi proverò ancora; forse allora me la caverò meglio”. Quando l’anno fu trascorso, Hans tornò a prendere il suo bastone, lo lisciò ben bene, osservando con molta soddisfazione che era un’arma solida e adatta al suo scopo. A notte i briganti tornarono e cominciarono a bere un fiasco dietro l’altro, finché rimasero tutti con le teste ciondolanti sulla tavola. Allora Hans prese il bastone e, piantatosi davanti al capo, gli domandò ancora: "Chi è mio padre?" Il capo, invece di rispondergli, gli menò un altro scapaccione che lo fece ruzzolare ancora una volta sotto la tavola; ma Hans fu subito in piedi e cominciò a menare legnate sul capo brigante e su tutti gli altri con tal forza che in breve tutti avevano le braccia e le gambe ammaccate e non potevano muoversi. La madre, frattanto, era rimasta in un angolo della caverna, sbigottita dalla forza e del coraggio di suo figlio. Quando a lui, appena terminata la sua impresa, le corse accanto e disse: "Come vedi non scherzo; adesso voglio sapere chi è mio padre."

"Caro Hans" ella rispose, "andiamocene via e cerchiamo finché non lo avremo trovato." Tolse la chiave della caverna al capo, che era tutto intontito, mentre Hans, dopo essersi procurato un grosso sacco, lo riempiva d’oro, d’argento e di tutte le cose preziose che potè trovare, caricandoselo poi in spalla. Lasciarono la caverna, e immaginate quale fu lo stupore di Hans quando uscì dall’oscurità di quell’antro alla luce del giorno e vide gli alberi verdi, i fiori, gli uccelli e il sole che splendeva alto nel cielo azzurro. Attonito si guardava intorno pieno di gioioso sgomento mentre sua madre cercava la strada per tornare alla loro casa di un tempo. Dopo due ore di cammino, la raggiunsero felicemente nella solitaria vallata. Il padre sedeva sulla porta, versò lacrime di gioia nel riconoscere la moglie e nell’udire che Hans, il quale sebbene avesse dodici anni, lo soprastava di tutta la testa, era suo figlio: li credeva morti da tempo. Entrarono in casa, e Hans depose il suo sacco nell’angolo del camino: ma il pavimento non resse al peso, cedette e tutto andò a finire in cantina. "Il cielo ti protegga!" esclamò il padre: "Che succede? Tu mi mandi la casa in rovina." "Caro babbo," rispose Hans, "non fare i capelli bianchi per questo: nel mio sacco c’è molto di più di quanto occorra per ricostruire una casa."

Padre e figlio cominciarono subito a costruire una nuova casa, e poi acquistarono bestiame e terreni, e ogni settimana andavano al mercato a vendere i prodotti. Hans arava i campi, e quando egli stava dietro l’aratro e lo spingeva, i buoi avevano ben poco da tirare. La primavera seguente Hans disse: "Babbo mio, dammi qualche soldo, e lascia che mi faccia un bel bastone di cinquanta libbre e me ne vada un po’ per il mondo." Quando il bastone fu pronto, Hans lasciò la casa paterna e se ne andò di buon passo finché giunse a una grande e folta foresta. A un tratto sentì uno scricchiolio e, guardandosi attorno, vide un abete con il tronco attorcigliato come una corda. Alzando gli occhi, scorse un pezzo d’uomo che, afferrato l’albero, lo stava torcendo come un fuscello. "Ohè," gridò Hans, "che diavolo fate?" "Ho raccolto un po’ di fascine" rispose l’altro, "e adesso mi fabbrico una corda per tenerle insieme." “Questo è un tipo in gamba, “ pensò Hans, “mi può essere utile”. "Lascia quel lavoro e vieni con me." L’uomo scese dall’albero e si avviò con Hans; lo superava di tutta la testa sebbene Hans non fosse davvero piccolo. "Ti chiamerai Torci-abeti" gli disse Hans.

Strada facendo udirono battere e picchiare con tanta forza che la terra tremava ad ogni colpo: poco dopo giunsero a una rupe che un gigante stava frantumando a furia di pugni. Hans gli domandò che cosa facesse e quello rispose: "La notte, quando dormo, orsi, lupi e altre bestiole del genere mi annusano e mi girano attorno impedendomi di dormire; e così ho deciso di costruirmi una casa: come vedi mi sto procurando le pietre." “Bene, “ pensò Hans, “anche tu mi puoi essere utile”. E poi disse al gigante: "Vieni con me e non pensare per ora a costruirti una casa. Ti chiamerai Schianta-rupi." Il gigante acconsentì, e tutti e tre proseguirono per la foresta. Dove passavano, le belve scappavano via atterrite. A sera giunsero a un vecchio castello abbandonato; vi entrarono e si sdraiarono nel salone per dormire. Il mattino seguente Hans scese in giardino e lo trovò tutto incolto e pieno di pruni e di sterpi. Mentre girellava di qua e di la, un gran cinghiale gli si avventò improvvisamente addosso, ma lui gli menò una tal legnata col suo bastone che la bestia stramazzò morta ai suoi piedi. Hans se lo caricò sulle spalle, lo portò a casa, e lo infilò in uno spiedo per arrostirlo, tutto contento del festino che stava per ammannire ai suoi compagni. Dopo aver desinato, i tre amici decisero che ogni giorno, a turno, due di loro sarebbero andati a caccia e il terzo sarebbe rimasto a casa per far cucina: ognuno avrebbe avuto nove libbre di carne. Il primo giorno Hans e Schianta-rupi andarono a caccia e rimase a casa Torci-abeti. Mentre era tutto intento ai fornelli, capitò al castello un vecchietto tutto raggrinzito chiedendo un po’ di carne. "Levati dai piedi, vermiciattolo" gli disse il cuoco. "Tu non hai bisogno di carne." Ma aveva appena pronunciato queste parole che, con sua gran meraviglia, lo striminzito ometto gli saltò addosso menandogli una tal carica di pugni che lui non riuscì a pararne uno solo e ruzzolò a terra senza fiato. Solo quando ebbe preso piena vendetta l’’ometto se ne andò. Quando gli altri due tornarono dalla caccia, Torci-abeti non disse nulla del vecchietto e dei suoi pugni pensando che, quando sarebbe toccato a loro di rimanere a casa, avrebbero sperimentato direttamente di che cosa si trattava; e questa idea lo divertiva un mucchio. Il giorno dopo, secondo l’accordo, rimase a casa Schianta-rupi a cui capitò esattamente ciò che era capitato al suo compagno: il vecchietto lo pestò di santa ragione perché gli aveva negato un po’ di carne. Al ritorno dalla caccia, Torci-abeti, solo a guardare in viso Schianta-rupi, capì subito quello che era successo: ma nessuno dei due disse parola pensando che anche Hans doveva sentire il gusto di quella minestra. Il giorno dopo era la volta di Hans, ed egli si mise a lavorare in cucina di buona lena. Stava appunto lucidando una pentola quando arrivò l’ometto e gli domandò un pezzo di carne senza tanti complimenti. “E’ un povero diavolo”,  pensò Hans, “gli darò un po’ della mia parte in modo che gli altri non abbiano a rimetterci”. E gli allungò un bel pezzo di arrosto. Il nano lo divorò in un battibaleno e ne domandò ancora. Hans, di buon cuore, lo accontentò facendogli notare che, dopo quella bella fetta, poteva dirsi soddisfatto. Ma, poiché il nano continuava a richiederne, Hans concluse: "Dovresti vergognarti a essere così ingordo."

L’irascibile nano cercò subito di saltargli addosso e di pettinarlo come aveva fatto con Torci-abeti e Schianta-rupi, ma aveva scelto male il suo uomo perché Hans con un paio di pugni gli fece ruzzolare tutte le scale del castello. Poi gli corse appresso, ma avendo preso troppo slancio, gli cadde addosso: quando si rialzò, il nano già lontano. Riuscì tuttavia a inseguirlo fin nella foresta e lo vide scivolare dentro una fessura della roccia. Allora si fissò bene in mente il luogo e tornò a casa. Gli altri due, quando tornarono da caccia, si meravigliarono al vederlo così allegro e tranquillo. Egli raccontò quello che era avvenuto durante la loro assenza e allora anch’essi gli raccontarono la loro avventura. "Vi sta bene" disse Hans, canzonandoli, "non dovevate essere così avari. E come si fa, quando si è grandi e grossi come voi, a farsi prendere a pugni da un nano?"

Dopo desinare, presero una cesta e un bastone e si recarono tutti e tre alla caverna in cui era sgattaiolato il nanetto: misero Hans nella cesta e lo calarono giù col suo bravo bastone in mano. Arrivato in fondo all’abisso, egli vide una porta e, apertala, si trovò di fronte una fanciulla più bella che non si possa descrivere: accanto a lei c’era il nano, il quale, appena lo scorse, mostrò i denti soffiando come un gatto arrabbiato. La fanciulla era incatenata e guardava Hans con tanta tristezza che egli ne fu profondamente commosso. “Devo assolutamente liberarla da questo nano maledetto”, pensò. E menò un tal colpo sulla testa del malvagio vecchio, che lo stese morto. Nello stesso momento caddero le catene della fanciulla, e Hans rimase affascinato dalla sua bellezza. Ella gli raccontò di essere una principessa rapita da un barone ribelle e nascosta in quella caverna perché non aveva voluto accettarlo come marito. Il barone stesso le aveva messo a fianco come custode quel nano che l’aveva tormentata in mille modi. Allora Hans mise la fanciulla nella cesta e la fece tirar su; ma, quando la cesta scese ancora, non fidandosi dei compagni, i quali gli avevano già dimostrato la loro falsità non dicendogli nulla del nano, mise nella cesta solo l suo pesante bastone, e fu un buon indovino perché, dopo averla tirata su per un pezzo, i due lasciarono cadere la cesta di schianto e Hans, se ci fosse stato dentro, si sarebbe sfracellato. Ma adesso non sapeva davvero come andarsene da quella caverna, e per quando si guardasse attorno, rimase un pezzo senza sapere che decisione prendere. Mentre andava in su e in giù, si trovò ancora davanti al nano disteso a terra e si accorse che aveva al dito un anello di meraviglioso splendore. Glielo tolse, se lo infilò, e appena lo ebbe stretto un poco udì un fruscio sulla sua testa: guardò in alto e vide due spiritelli che volavano nell’aria dicendogli che adesso egli era il loro signore e invitandolo a esprimere tutti i suoi desideri. Hans a tutta prima rimase di stucco, ma poi chiese di essere riportato alla luce del giorno. Fu immediatamente obbedito e riportato a volo fino all’orlo della caverna; quando però mise piede a terra, non vide nessuno, e anche il castello era stato abbandonato. Torci-abeti e Schianta-rupi erano fuggiti portandosi via la bella fanciulla. Hans diede subito una stretta al suo anello, e gli spiritelli apparvero avvertendolo che i due falsi amici erano già in alto mare: non potè fare altro che correre alla spiaggia, appena in tempo per vedere in lontananza la nave in cui si erano imbarcati i due perfidi compari.pieno di ansia e di furore, saltò in acqua col suo bastone in mano e cominciò a nuotare; ma il peso dell’enorme bastone gli impediva di tener la testa sopra le onde. Stava proprio per annegare quando ricorse ancora al suo anello, e subito gli spiritelli apparvero e lo portarono sulla nave con la velocità di un lampo. Senza perder tempo, Hans cominciò a lavorare con il bastone e diede ai due traditori una meritata lezione, buttandoli quindi in mare. Poi diresse la nave verso la patria della bella principessa, che, nelle mani dei due giganti, aveva passato le più orribili paure, e la restituì ai suoi genitori. Poco dopo Hans sposò la principessa, e le loro nozze avvennero tra splendidi festeggiamenti.

 
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Il folletto del droghiere

Post n°554 pubblicato il 28 Agosto 2011 da odette.teresa1958

C'era una volta un vero studente, che abitava in una mansarda e non possedeva niente; c'era anche un vero droghiere, che abitava al pianterreno e possedeva tutta la casa. Il folletto stava sempre con quest'ultimo perché ogni sera di Natale riceveva una scodella di riso e latte con un grosso pezzetto di burro, il droghiere poteva permettersi di darglielo, quindi il folletto restava nel negozio, e così imparava molto.

Una sera entrò lo studente dal retrobottega per acquistare una candela e del formaggio; non aveva nessuno da mandare, e era sceso lui stesso. Gli diedero quello che aveva chiesto, lui pagò e venne salutato con un cenno dal droghiere e dalla moglie, una donna che, altro che far cenno, aveva il dono dell'eloquenza! Lo studente rispose al saluto e chinò lo sguardo a leggere il foglio di carta in cui era stato avvolto il formaggio. Era un foglio strappato da un vecchio libro che non avrebbe mai dovuto essere fatto a pezzi perché pieno di poesia. "Ne ho ancora di quei fogli" esclamò il droghiere. "Il libro me l'ha dato una vecchietta per pochi chicchi di caffè, se mi dà otto scellini, le do tutto quello che mi resta." "Grazie" rispose lo studente "lo prenderò al posto del formaggio." "Posso mangiare il pane da solo, mentre sarebbe un peccato se tutto il libro venisse ridotto a pezzetti. Lei è un'ottima persona, molto pratica, ma di poesia non ne capisce più di quel barile." Non erano parole molto gentili, soprattutto per il barile, ma il droghiere rise e anche lo studente si mise a ridere, l'aveva detto per scherzo. Ma il folletto si arrabbiò: come ci si permetteva di scherzare sul droghiere, che era il padrone di casa e vendeva dell'ottimo burro? Quando venne sera, la bottega fu chiusa e tutti andarono a letto, eccetto lo studente; allora il folletto andò a prendere la lingua della padrona, che lei non usava quando dormiva. Qualunque oggetto su cui venisse posata acquistava subito la parola e poteva esprimere i suoi pensieri e i suoi sentimenti proprio come la padrona; ma poteva farlo solo un oggetto alla volta, e questo era un vantaggio, perché altrimenti avrebbero parlato tutti insieme. Il folletto posò la lingua sul barile, dove si trovavano i giornali vecchi. "È proprio vero" chiese "che non sai che cos'è la poesia?" "Sì che lo sò" rispose il barile "è qualcosa che sta scritta nella parte inferiore dei giornali e che viene ritagliata; credo addirittura di averne dentro di me più dello studente, mentre per il droghiere sono soltanto un povero barile." Il folletto mise la lingua sul macinino del caffè, oh, quanto parlava! poi la mise sul mastello del burro e sul cassetto del denaro. Tutti condividevano l'opinione del barile e bisogna sempre rispettare il parere della maggioranza. "Adesso sentirò lo studente!" e il folletto salì piano piano le scale della cucina fino alla mansarda, dove lo studente abitava. C'era luce dentro e il folletto guardò attraverso il buco della serratura e vide che lo studente stava leggendo quel libro stracciato.

Che luce emanava! Dal libro proveniva un raggio trasparente, che si trasformava prima in tronco, poi in un enorme albero che si alzava altissimo e allargava i suoi rami sopra lo studente. Ogni foglia era freschissima e i fiori erano graziose teste di ragazza, alcune con occhi neri e lucenti, altre azzurri e straordinariamente trasparenti. Ogni frutto era una stella luminosa, e risuonava un canto mirabile. Una meraviglia simile il folletto non l'aveva mai immaginata, figuratevi poi vista o udita! Restò immobile in punta di piedi, guardò finché la luce non si spense. Lo studente spense la lampada e andò a letto, ma il folletto restò lì ugualmente, perché il canto risuonava ancora dolcissimo e meraviglioso, come una ninna nanna per lo studente che era andato a riposare. "Che meraviglia!" esclamò il piccolo folletto "non me lo sarei mai aspettato! Credo che resterò presso lo studente!" Poi ci rifletté sopra e alla fine sospirò: "Lo studente non ha il riso al latte!" così se ne andò, sì, se ne tornò dal droghiere. E fece bene a tornare perché il barile aveva quasi consumato tutta la lingua della padrona, raccontando, facciata per facciata, tutto quello che aveva dentro di sé, e ora stava per voltarsi e dire quello che c'era sulle altre facciate. Il folletto si riprese la lingua e la riportò alla padrona; ma tutto il negozio, dal cassetto dei soldi alle fascine per ardere, da quel momento fu dell'opinione del barile e lo stimò tanto e ebbe tanta fiducia che, quando alla sera il droghiere si metteva a leggere «Critiche d'arte e teatro» dal suo giornale, credeva fosse farina del barile. Il piccolo folletto non se ne stava più tranquillo a ascoltare tutte quelle cose sagge e ragionevoli che si dicevano laggiù; non appena s'accendeva la luce nella mansarda era come se i raggi lo trascinassero lassù simili a robuste gomene, e lui si sentiva costretto a salire e a guardare attraverso il buco della serratura. Lì lo avvolgeva un senso di grandezza, come quello che proviamo noi di fronte al mare agitato, quando Dio è presente con la tempesta. Poi scoppiava a piangere, senza neppure sapere perché, ma quel pianto era per lui come una benedizione. Sarebbe stato meraviglioso stare con lo studente sotto quell'albero, ma non poteva essere così, e lui si accontentava del buco della serratura. Si trovava nel freddo corridoio anche quando il vento autunnale soffiava dalla botola del soffitto e portava un freddo terribile, ma il piccolo folletto lo notava solo quando si spegneva la luce della mansarda e la melodia si perdeva nel vento. Uh! allora rabbrividiva e se ne ritornava nel suo angolino tiepido; era così comodo e piacevole! Quando poi ricevette il suo riso al latte di Natale con un bel pezzo di burro, allora il droghiere ridivenne il suo campione! Ma nel cuore della notte il folletto si svegliò a causa di un terribile baccano: la gente batteva sulle imposte delle finestre e il guardiano fischiava; c'era un grosso incendio, tutta la strada era in fiamme. Era in casa loro o in quella di fronte? Dove? Che spavento! La moglie del droghiere era così turbata che si tolse gli orecchini d'oro e se li mise in tasca. Tanto per salvare qualcosa. Il droghiere andò a cercare le sue obbligazioni e la domestica andò a prendere il suo scialle di seta, l'unico lusso che si poteva permettere. Ognuno voleva salvare le cose più belle e lo stesso volle fare anche il folletto; con un balzo fu in cima alle scale, dallo studente: questi se ne stava tranquillo alla finestra a guardare l'incendio, che infuriava nel cortile dei vicini. Il piccolo folletto afferrò dal tavolo quello straordinario libro, lo mise nel suo berretto rosso e lo tenne con tutte e due le mani: il tesoro della casa era salvo. Così se ne corse sul tetto, in cima al comignolo, e lì se ne stette, seduto, illuminato dalla casa di fronte che bruciava, tenendo stretto tra le mani il berretto rosso in cui si trovava il suo tesoro. In quel momento conobbe il suo cuore, e capì a chi apparteneva; ma quando il fuoco fu spento e lui ricominciò a riflettere, disse: "Sì, mi dividerò tra loro. Non posso fare a meno del droghiere, a causa del riso al latte!" E questo è molto umano! Anche noi andiamo dal droghiere per il riso.

 
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Il cavallo di bronzo

Post n°553 pubblicato il 28 Agosto 2011 da odette.teresa1958

C'era una volta un Re e una Regina, che avevano una figliuola più bella della luna e del sole, e le volevano bene come alla pupilla degli occhi. Un giorno venne uno, e disse al Re: "Maestà, passavo pel bosco qui vicino, e incontrai l'Uomo selvaggio. Mi disse: «Vai dal Re, e digli che voglio la Reginotta per moglie. Se non l'avrò qui fra tre giorni, guai a lui!»." Il Re, sentendo questo, fu molto costernato e radunò il Consiglio di corona: "Che cosa doveva fare? L'Uomo selvaggio era terribile: poteva devastare tutto il regno." "Maestà," disse uno dei ministri "cerchiamo una bella ragazza, vestiamola come la Reginotta e mandiamola lì:l'Uomo selvaggio sarà contento." Trovarono una ragazza bella come la Reginotta, le fecero indossare uno dei più ricchi abiti di lei, e la mandarono nel bosco. Dovea dire che lei era la figlia del Re. Il giorno appresso quella ragazza tornò indietro. "Che cosa è stato?" "Maestà, trovai l'Uomo selvaggio, e mi domandò: «Chi sei?». «Sono la Reginotta.» «Lasciami vedere.» Mi sbottonò la manica del braccio sinistro e urlò: «Non è vero! La Reginotta» dice «ha una voglia in quel braccio!» e mi ha rimandato. Se fra due giorni non avrà lì la sposa, guai a voi!" Il Re non sapeva che cosa fare, e radunò di bel nuovo il Consiglio di corona: "L'Uomo selvaggio sa che la Reginotta ha una voglia nel braccio sinistro; è impossibile ingannarlo." "Maestà," disse il ministro "cerchiamo un'altra ragazza,chiamiamo un pittore che le dipinga una voglia simile a quella della Reginotta, vestiamola con uno dei suoi vestiti, e mandiamola lì. Questa volta l'Uomo selvaggio non avrà da ridire." Trovarono un'altra bella ragazza, le fecero dipingere una voglia sul braccio, simile a quella della Reginotta, l'abbigliarono con uno dei più ricchi abiti di lei e la mandarono nel bosco. Doveva dire che lei era la figlia del Re. Ma, il giorno appresso, quella ragazza tornò indietro. "Che cosa è stato?" "Maestà, trovai l'Uomo selvaggio e mi domandò: «Chi sei?». «Sono la Reginotta.» «Lasciami vedere.» Mi osservò tra i capelli e urlò: «Non è vero! La Reginotta» dice «ha tre capelli bianchi sulla nuca». Se domani la sposa non sarà lì, guai a voi." Il povero Re e la povera Regina avrebbero battuto il capo nel muro. "Dunque dovean buttare quella gioia di figliuola in braccio all'Uomo selvaggio?" "Maestà," dissero i ministri "facciamo un ultimo tentativo. Cerchiamo un' altra ragazza. Il pittore le dipingerà la voglia sul braccio, le tingerà di bianco tre capelli sulla nuca; poi le metteremo indosso uno dei vestiti della Reginotta e la manderemo lì. Questa volta l'Uomo selvaggio non avrà più da ridire." Ma il giorno appresso ecco quella ragazza che torna indietro anch'essa. "Che cosa è stato?" "Maestà, trovai l'Uomo selvaggio e mi domandò: «Chi sei?». «Sono la Reginotta.» «Lasciami vedere.» Mi osservò il braccio sinistro: «Va bene!». Mi osservò tra i capelli, sulla nuca: «Va bene!». Poi prese un paio di scarpine ricamate e mi ordinò: «Calza queste qui». E siccome i miei piedi non c'entravano, urlò: «Non è vero!». E mi ha rimandato dicendo: «Guai! Guai!»." Allora i ministri: "Maestà, ora succede certamente un disastro! Per la salvezza del regno, bisogna sacrificare la Reginotta!"

Il Re non sapeva rassegnarsi: avrebbe dato anche il sangue delle sue vene invece della figliuola! Ma il destino voleva così, e bisognava piegare il capo. LaReginotta si mostrava più coraggiosa di tutti: infine l'Uomo selvaggio non l'avrebbe mangiata! Indossò l'abito da sposa, e accompagnata dal Re, dalla Regina, dalla corte e da un popolo immenso, tra pianti ed urli strazianti, s'avviò verso il bosco. Arrivata lì, abbracciò il Re e la Regina confortandoli che sarebbe tornata a vederli, e sparì tra gli alberi e le macchie folte. Non si seppe più nuova di lei né dell'Uomo selvaggio.

Passato un anno, un mese e un giorno, arriva a corte un forestiero, che chiede di parlare col Re. Era un nanetto alto due spanne, gobbo e sbilenco, con un naso che pareva un becco di barbagianni e certi occhietti piccini piccini. Il Re non aveva voglia di ridere; ma come vide quello sgorbio non seppe frenarsi. "Che cosa voleva?" "Maestà," disse il Nano "vengo a farvi una proposta. Se mi darete mezzo regno e la Reginotta per moglie, io andrò a liberarla dalle mani dell'Uomo selvaggio." "Magari!" rispose il Re. "Non mezzo, caro amico, ma ti darei il regno intiero." "Parola di Re non si ritira." "Parola di Re!" Il Nano partì. E non era trascorsa una settimana, che il Re riceveva un avviso: «Domani, allo spuntar del sole, si trovasse presso il bosco, colla Regina, con la corte e con tutto il popolo, per far festa alla sua figliuola, che ritornava!». Il Re e la Regina non osavano credere: dubitavano che quello sgorbio si facesse beffa di loro: pure andarono. E allo spuntar del sole, ecco il Nanetto gobbo e sbilenco, che conduceva per mano la Reginotta vestita da sposa, come quando era entrata nel bosco per l'Uomo selvaggio. Figuriamoci che allegrezza! Le feste e i banchetti non ebbero a finir più. Ma di nozze non se ne parlava, e della metà del regno nemmeno. Il Re, ora che aveva lì la figliuola, e che l'Uomo selvaggio era stato ucciso dal Nano, non intendeva più saperne di mantener la sua parola. Il Nano, di quando in quando, gli domandava: "Maestà, e le mie nozze?" Ma quello cambiava discorso: da quell'orecchio non ci sentiva. "Maestà, e la mia metà del regno?" Ma quello cambiava discorso: da quell'altro non ci sentiva neppure. "Bella parola di Re!" gli disse il Nano una volta. "Ah, nanaccio impertinente!" E il Re gli tirò un calcio alla schiena, che lo fece saltare dalla finestra. "Doveva esser morto!" Andarono a vedere in istrada; ma il Nano non c'era più. Si era rizzato di terra, si era ripulito il vestitino, ed era andato via, lesto lesto, come se nulla fosse stato. "Buon viaggio!" disse il Re tutto contento. Ma la Reginotta, da quel giorno in poi, diventò di malumore; non diceva una parola, non rideva più, andava perdendo il colorito. "Che cosa ti senti, figliuola mia?" "Maestà, non mi sento nulla; ma... chi dà la sua parola la dovrebbe mantenere." "Come? Lei dunque voleva quel Nano gobbo e sbilenco?" "Non intendevo dir questo; ma... chi dà la sua parola la dovrebbe mantenere." Anche la Regina non viveva tranquilla: "Quel Nano era potente: aveva vinto l'Uomo selvaggio; doveva tramare qualche brutta vendetta!" Il Re rispondeva con una spallucciata: "Se quello sgorbio gli veniva un'altra volta dinanzi!" Ma la Reginotta ripeteva: "Chi dà la sua parola, la dovrebbemantenere!"

Intanto essendosi sparsa la notizia che la Reginotta era stata liberata dalle mani dell'Uomo selvaggio, il Reuccio del Portogallo mandò a domandarla per moglie. La Reginotta non disse né di sì, né di no; ma il Re e la Regina non vedevano l'ora di celebrare le nozze. Il Reuccio di Portogallo si mise in viaggio, e per via incontrò un uomo, che conduceva un gran carro con su un cavallo di bronzo, che pareva proprio vivo. "O quell'uomo, dove lo portate cotesto cavallo di bronzo?" "Lo porto a vendere." Il Reuccio lo comprò e ne fece un regalo a suo suocero. Il giorno delle nozze era vicino. La gente accorreva in folla nel giardino del Re, dove il cavallo di bronzo era stato collocato su un magnifico piedistallo. Restarono tutti meravigliati: "Par proprio vivo! Par di sentirlo nitrire!" Scese a vederlo anche il Re con la corte; e tutti: "Par proprio vivo! Par di sentirlo nitrire!" Solo la Reginotta non diceva nulla. Il Reuccio, stupito, le domandò: "Reginotta, non vi piace?" "Mi piace tanto," rispose lei "che sento una gran voglia di cavalcarlo." Fecero portare una scala, e la Reginotta montò sul cavallo di bronzo. Gli tastava il ciuffo, gli accarezzava il collo, lo spronava leggermente col tacco; e intanto diceva scherzando:

"Cavallo, mio cavallo,
Salta dal piedistallo;
Non metter piede in fallo,
Cavallo, mio cavallo."

Non ebbe finito di dir così, che il cavallo di bronzo si scosse, agitò la criniera, dette fuori un nitrito, e via con un salto per l'aria. In un batter d'occhio cavallo e Reginotta non si videro più. Tutti erano atterriti; non osavano fiatare. Ma in mezzo a quel silenzio scoppia a un tratto una risatina, una risatina di canzonatura! "Ah! Ah! Ah!" Il Re guardò, e vide il Nano che si contorceva dalle risa con quella sua gobbetta e quelle sue gambine sbilenche. Capì subito che quel cavallo fatato era opera del Nano. "Ah! Nano, nanuccio" gli disse pentito; "se tu mi rendi la mia figliuola, essa sarà tua sposa, con mezzo regno per dote." Il Nano continuava a contorcersi dalle risa: "Ah! Ah! Ah!" E a vedergli fare a quel modo, tutta quella gente ch'era lì, cominciarono a ridere anch'essi, e poi perfino la Regina: "Ah! Ah! Ah!" Si tenevano i fianchi, non ne potevano più. Soltanto quel povero Re rimase così afflitto e scornato, che faceva pietà. "Ah! Nano, nanino bello; se tu mi rendi la mia figliuola, essa sarà tua sposa con mezzo regno per dote." "Maestà, se dite per davvero," rispose il Nano "prima dovete riprendervi quel che mi deste l'altra volta." "Che cosa ti diedi?" "Un bel calcio nella schiena." Il Re esitava: avea vergogna di ricevere un calcio in quel posto, davanti al popolo e la corte. Ma l'amore della figliuola gli fece dire di sì. Si rivoltò colle spalle al Nano e stette ad aspettare la pedata: però il Nano volle mostrarsi più generoso di lui; e invece di menargli il calcio, disse:

"Cavallo. mio cavallo,
Non metter piede in fallo;
Torna sul piedistallo,
Cavallo, mio cavallo."

In un batter d'occhio, cavallo e Reginotta furono lì. Allora il Nano disse al Re: "Maestà, datemi un pugno sulla gobba! Non abbiate paura." Il Re gli diede un pugno sulla gobba e questa sparì. "Maestà, datemi una tiratina alle gambe! Non abbiate paura!" Il Re gli diede una tiratina alle gambine, e queste, di bòtto, si raddrizzarono. "Maestà, afferratemi bene, la Regina per le braccia e voi pei piedi, e tiratemi forte." Il Re e la Regina lo afferrarono l'uno pei piedi, l'altra per le braccia, e tira, tira, tira, il Nano, da nano che era, diventò un bel giovine di alta statura. Il Reuccio del Portogallo si persuase ch'era di troppo e disse: "Datemi almeno quel cavallo: farò la strada più presto." Montò sul cavallo di bronzo, e dette le parole fatate, in un colpo sparì. La Reginotta e il Nano (lo chiamarono sempre così) furono moglie e marito. E noi restiamo a leccarci le dita.

 
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I desideri inutili

Post n°552 pubblicato il 28 Agosto 2011 da odette.teresa1958

C'era una volta un povero boscaiolo che, stanco della sua faticosa vita, aveva una gran voglia, a quanto diceva, di andarsi a riposare nell'altro mondo. Infatti, dal giorno che era nato, la Provvidenza non aveva mai soddisfatto uno dolo dei suoi desideri. Un giorno che si lamentava così nel bosco, ecco apparirgli, con tanto di fulmini in mano, Giove in persona. Figuratevi la paura che ebbe il pover’uomo. "Non desidero nulla" disse lui gettandosi con il naso a terra. "Niente desideri da parte mia, niente fulmini da parte vostra; signor mio, facciamo come se nulla fosse stato. "Non aver paura" gli rispose Giove, "i tuoi lamenti mi hanno commosso ed io vengo a dimostrarti che mi fai torto. Stammi bene a sentire: io, che sono il padrone del mondo intero, ti prometto di esaudire i primi tre desideri che tu formulerai su qualsiasi soggetto. Cerca quello che ti può rendere felice, cerca quello che ti può dar soddisfazione e, poiché la tua fortuna dipende dalle tue richieste, pensaci bene prima di pronunciarle."

Così detto Giove se ne risalì in cielo, e il boscaiolo, tutto allegro, abbracciò in mancanza di meglio le sue fascine, se le mise in spalla per tornare a casa, e mai quel peso gli era parso tanto leggero. "In questa faccenda" diceva fra se trottando sulla via del ritorno, "non bisogna agire alla leggera. Si tratta di un caso interessante e sarà bene che mi consigli con mia moglie." Perciò appena entrato nella sua capanna di giunchi, incominciò a gridare: "Vieni qua, Beppina, facciamo un bel fuoco e stiamo allegri, ormai siamo ricchi, ci resta solo da esprimere un desiderio! E le raccontò tutto. A sentire il fatto, sua moglie si sentì brulicare in testa un mucchio di desideri, ma capì che l’affare era serio e che bisognava andar cauti. "Amico Biagio" disse a suo marito, - non sciupiamo l’occasione con la nostra impazienza e riflettiamo bene a qual partito ci dobbiamo rivolgere in simile occorrenza. Qui devi essere serio, prudente e circospetto: rimettiamo a domani il primo desiderio e intanto andiamo a letto." "Giusto" convenne quel brav’ uomo di Biagio. "Ma vammi a prendere un pò di vino dietro quelle fascine."

Quando lei fu tornata col vino, Biagio bevve e schioccò la lingua contento allungandosi sulla sedia presso il fuoco. Poi, preso dal piacere del riposo, disse: "Con un così bel fuoco, come verrebbe a proposito una bella focaccia!" Non aveva ancor finito di parlare che sua moglie, piena di stupore, vide un’enorme focaccia spuntare dall’angolo del camino e avvicinarsi a lei. Diede subito un grido di meraviglia, ma non tardò a capire che quel portento era stato causato dal desiderio espresso da suo marito per pura stupidaggine, e allora incominciò a rovesciar vituperi sullo sciagurato sposo. "Come si fa a desiderare una focaccia?" diceva, "quando si possono chiedere imperi, ori, perle, rubini, diamanti grossi come nocciole e abiti da regina?" "Bé, ho avuto torto" rispose lui, "ho sciupato un desiderio, ho commesso una grande baggianata, farò meglio un’ altra volta." "Bel discorso", rimbecco lei. "Per desiderare una cosa simile bisogna essere più bestia di un bue!

Il marito, che incominciava ad arrabbiarsi, per poco non espresse entro di se il desiderio di essere vedovo, ma si trattenne. Tuttavia andò fuor dei gangheri lo stesso. "Gli uomini" gridò, son proprio nati per tribolare. Accidenti alla focaccia e a quando l’ho desiderata. Dio volesse, brutta pecora, che ti si attaccasse al naso! Subito il Ciel benigno la preghiera ascoltò e Biagio non l’aveva ancor finita che al naso della moglie inviperita quell’enorme focaccia si attaccò Al prodigio, egli restò assai male: Beppina era graziosa e, a dirla francamente a chi vuol sapere, quell’ornamento in faccia alla sua sposa non ci faceva punto un bel vedere. Tuttavia, con quel ciondolo sul mento, fu subito evidente che non potea parlar a suo talento: vantaggio così chiaro e manifesto, per uno sposo, che, per un momento, pensò quasi di non chiedere più niente e rinunciare al resto. ' Certo ' pensava tra se, ' dopo una simile disgrazia, col il desiderio che mi rimane potrei diventare re tutto d’un colpo. Nulla eguaglia, è vero, la grandezza di un sovrano, ma bisogna anche pensare alla faccia che avrebbe la regina, e al dolore che proverebbe se la mettessi sul trono con un naso lungo quattro spanne. Bisogna consultarla in proposito e far decidere a lei stessa se preferisce diventare regina tenendosi quel terribile naso, o rimanere boscaiola con il naso che aveva prima '. La cosa fu considera da ogni parte, e, sebbene ella conoscesse l’importanza di uno scettro e sapesse che, quando si è incoronati, si ha sempre un bel naso, tuttavia preferì riavere il suo bel nasino che essere brutta e regina. Così il boscaiolo rimase quello che era, non divenne monarca ne si riempì la borsa di scudi; e fu felice di poter impegnare l’ultimo desiderio che gli restava per rimettere la moglie nella condizione di prima.

Dobbiam dunque dir che i disgraziati, ciechi, imprudenti, inquieti ed avventati, faranno molto bene a rinunciare ad ogni desiderio e aver pazienza: perché pochi di loro sanno usare con senno i doni della Provvidenza.

 
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I due figli del re

Post n°551 pubblicato il 28 Agosto 2011 da odette.teresa1958

C'era una volta un re che aveva un bambino, e le stelle dicevano che a sedici anni sarebbe stato ucciso da un cervo. Quando li ebbe compiuti, un giorno andò a caccia con i suoi cacciatori. Nel bosco il principe si allontanò dagli altri e scorse all'improvviso un grande cervo: prese la mira, ma non riuscì a colpirlo; il cervo a forza di correre uscì finalmente dal bosco, ed ecco, al posto del cervo, apparire d'un tratto un uomo grande e grosso, che disse: "Finalmente ti ho trovato. A inseguirti con le scarpe di vetro, ne ho già consumate sei paia, senza che potessi raggiungerti". Se lo prese con sé e lo portò al di là di un gran fiume, fino a un grande castello, e il principe dovette sedersi a tavola e mangiare con lui. Dopo aver mangiato il re disse: "Io ho tre figlie; devi vegliare la maggiore per una notte, dalle nove di sera alle sei del mattino. Ogni volta che battono le ore verrò e ti chiamerò, e se mi rispondi sempre avrai mia figlia in isposa".

Quando i due giovani salirono in camera da letto, c'era là un san Cristoforo di pietra e la principessa gli disse: "Mio padre verrà alle nove, e poi a tutte le ore fino allo scoccare delle tre; se chiama dategli voi risposta al posto del principe". Il san Cristoforo annuì con il capo veloce veloce, poi sempre più adagio, finché‚ si fermò. Il mattino seguente il re disse al principe: "Te la sei cavata bene, ma non posso darti mia figlia; devi vegliare per una notte la seconda, poi rifletterò se puoi avere la maggiore in isposa. Io verrò sempre quando suonano le ore e, se ti chiamo, devi rispondermi; ma se ti chiamo e tu non rispondi, scorrerà il tuo sangue". I due giovani salirono in camera da letto; là c'era un san Cristoforo di pietra ancora più grande e la principessa gli disse: "Se mio padre chiama, rispondi tu". Il grande san Cristoforo di pietra annuì con il capo veloce veloce, poi sempre più adagio, finché‚ si fermò. E il principe si coricò sulla soglia, mise la mano sotto la testa e si addormentò.

Il mattino seguente il re gli disse: "Te la sei cavata davvero bene, ma non posso darti mia figlia; devi vegliare per una notte la più giovane, poi rifletterò se puoi avere la seconda in isposa. Ma io verrò a tutte le ore, e se ti chiamo, rispondimi; ma se ti chiamo e tu non rispondi, scorrerà il tuo sangue". I giovani salirono insieme in camera da letto, e là c'era un san Cristoforo ancora più grande e grosso degli altri due. La principessa gli disse: "Se mio padre chiama, rispondi tu". Allora il san Cristoforo di pietra, grande e grosso com'era, annuì con il capo per mezz'ora, finché‚ si fermò. Il mattino seguente il re disse: "Hai vegliato davvero bene, ma non posso ancora darti mia figlia. Io ho un grande bosco: se riesci ad abbatterlo fra le sei di questa mattina e le sei di sera, ci penserò su". E gli diede una scure di vetro, un cuneo di vetro e un maglio di vetro. Quando il principe giunse nel bosco, diede un colpo e la scure si spezzò in due; prese il cuneo e vi batté‚ con il maglio, ed eccolo ridotto in polvere. Egli era disperato e credeva di dover morire; si mise a sedere e pianse. A mezzogiorno il re disse: "Una di voi ragazze gli porti qualcosa da mangiare". "No" risposero le due maggiori "noi non gli porteremo nulla; può portargli qualcosa quella che egli ha vegliato per ultima." Così la più giovane dovette andare a portargli qualcosa da mangiare. Quando giunse nel bosco gli domandò come andava. Oh, rispose egli, andava malissimo. Allora ella gli disse di avvicinarsi e di mangiare qualche boccone. Ma egli rispose di no, non poteva, tanto doveva morire e non voleva più mangiare. Ma ella lo convinse a provare con molte buone parole; e il principe si avvicinò e mangiò. Quand'ebbe mangiato qualcosa ella gli disse: "Ti spidocchierò un poco, così cambierai idea". E, mentre lo spidocchiava, egli sentì una grande stanchezza e si addormentò. Ella prese allora il suo fazzoletto, vi fece un nodo, lo batté‚ tre volte per terra e disse: "Fuori, miei piccoli operai!". Subito apparvero tanti piccoli gnomi e domandarono che cosa ordinasse la principessa. Ella disse: "In tre ore questo bosco deve essere abbattuto e la legna accatastata". Allora gli gnomi se ne andarono di qua e di là e radunarono tutti i loro parenti, perché‚ li aiutassero nel lavoro. Incominciarono subito e tre ore dopo tutto era finito; poi tornarono dalla principessa e glielo dissero. Allora ella tornò a prendere il suo fazzoletto bianco e disse: "A casa, miei piccoli operai!". E tutti scomparvero.

Quando il principe si svegliò era tutto contento, ed ella disse: "Quando suonano le sei, vieni a casa". Egli ubbidì e il re gli domandò: "Hai abbattuto il bosco?". "Sì" rispose il principe. A tavola, il re disse: "Non posso ancora darti mia figlia in moglie". Prima doveva fargli un altro lavoro. Il principe domandò che cosa fosse. "Ho un grande stagno" disse il re. "Domattina devi andarci e pulirlo in modo che sia lustro come uno specchio e ci sia dentro ogni sorta di pesci." Il mattino seguente gli diede una pala di vetro e disse: "Alle sei lo stagno deve essere pronto". Il principe se ne andò e, quando giunse allo stagno e affondò la pala nel fango, quella si spezzò; allora egli vi affondò la zappa e anche quella si spezzò. Allora si fece tristissimo. A mezzogiorno la più giovane gli portò qualcosa da mangiare e gli domandò come andava. Il principe disse che andava malissimo e che ci avrebbe rimesso la testa: "Gli arnesi sono andati di nuovo in pezzi". Oh, doveva venire a mangiare qualcosa, diss'ella: "Poi cambierai idea". No diss'egli, non poteva mangiare, era troppo triste. Ma ella lo pregò con tante buone parole che egli fini col mangiare. Poi si mise a spidocchiarlo ed egli si addormentò. Di nuovo ella prese un fazzoletto, vi fece un nodo e con il nodo picchiò tre volte per terra e disse: "Fuori, miei piccoli operai!" Subito comparvero tanti gnomi e domandarono che cosa desiderasse. In tre ore dovevano pulire tutto lo stagno, che fosse lustro da potercisi specchiare e ci fosse dentro ogni sorta di pesci. Allora gli omini andarono a chiamare tutti i loro parenti perché‚ li aiutassero, e in due ore avevano finito. Allora tornarono e le dissero: "Abbiamo fatto quello che ci hai ordinato". La principessa prese il fazzoletto, lo batté‚ tre volte per terra e disse: "A casa, miei piccoli operai!". E tutti scomparvero.

Quando il principe si svegliò, lo stagno era pronto. Anche la principessa se ne andò e gli disse di tornare a casa allo scoccare delle sei. Quand'egli arrivò a casa, il re gli domandò: "Lo stagno è pronto?". "Sì" rispose il principe, era già pronto. A tavola, il re disse: "Hai sì messo a posto lo stagno, ma non posso ancora darti mia figlia; prima devi farmi un'altra cosa". "Che cosa, dunque" domandò il principe. Il re aveva un grande monte, tutto coperto di spini, doveva toglierli tutti, e in cima doveva costruire un grande castello, il più bello che si potesse immaginare, e dentro doveva esserci tutto ciò che occorreva. Quando si alzò il mattino seguente, il re gli diede una scure di vetro e una barella di vetro, e disse che alle sei tutto doveva essere finito. Quando egli diede il primo colpo di scure nello spineto, la scure andò in frantumi e le schegge volarono intorno, e non pot‚ neanche usare la barella. Egli era molto afflitto e attese la sua amata, se per caso veniva a toglierlo dai guai. A mezzogiorno ella arrivò e gli portò qualcosa da mangiare; allora egli le andò incontro, le raccontò ogni cosa, mangiò, si lasciò spidocchiare e si addormentò. Allora ella prese il fazzoletto con il nodo, lo batté‚ per terra e disse: "Fuori, miei piccoli operai!". Comparvero di nuovo tanti piccoli gnomi e le chiesero che cosa desiderasse. Ella disse: "In tre ore dovete togliere tutte le spine e in cima al monte dovete costruire un castello, il più bello che si possa immaginare, e dentro deve esserci tutto ciò che occorre". Gli gnomi andarono a radunare i loro parenti perché‚ li aiutassero e, allo scadere delle tre ore, tutto era finito. Andarono a dirlo alla principessa ed ella prese il fazzoletto, lo batté‚ tre volte a terra e disse: "A casa, miei piccoli operai!". E tutti scomparvero subito. Quando il principe si svegliò e vide tutto, era felice come un uccello che si libra nell'aria. Allo scoccare delle sei andarono a casa insieme. Disse il re: "Il castello è finito?". "Sì" rispose il principe. A tavola il re disse: "Non posso darti la mia figlia minore se prima non si sposano le due più grandi".

Il principe e la principessa erano disperati, e il principe non sapeva proprio più cosa fare. Di notte andò dalla principessa e fuggì con lei. Dopo aver fatto un tratto di strada, la principessa si guardò attorno e vide il padre che li inseguiva. "Oh" disse "come faremo? Mio padre ci insegue e vuole prenderci! Ti trasformerò in un rosaio, e io diventerò una rosa e mi riparerò in mezzo al cespuglio." Quando il padre arrivò, trovò un rosaio con una rosa; stava per coglierla, ma le spine gli punsero le dita, sicché‚ dovette tornare a casa. Sua moglie gli domandò perché‚ non avesse portato con sé la figlia. Egli le raccontò che stava per raggiungerla quando, d'un tratto, l'aveva persa di vista e aveva trovato un rosaio con una rosa. La regina disse: "Se avessi colto la rosa, ti sarebbe venuto dietro anche il rosaio". Allora il re usci di nuovo per prendere la rosa. Ma nel frattempo i due giovani erano già lontani e il re li inseguiva. La fanciulla si guardò nuovamente attorno, vide venire il padre e disse: "Ah, come faremo? Ti trasformerò in una chiesa, e io sarò il pastore; mi metterò sul pulpito e predicherò".

Quando il re arrivò, trovò una chiesa e, sul pulpito, un pastore che predicava; egli ascoltò la predica e ritornò a casa. La regina gli domandò perché‚ non avesse portato con sé la figlia, ed egli disse: "L'ho inseguita a lungo e, quando credevo di averla raggiunta, c'era una chiesa e, sul pulpito, un pastore che predicava". "Avresti dovuto portare con te il pastore" disse la regina, "e ti sarebbe venuta dietro la chiesa: se mando te, non serve a niente; devo andarci io." Aveva già fatto un tratto di strada e vedeva i due giovani da lontano, quando la principessa si guardò attorno, vide venire la madre e disse: "Miseri noi! Sta arrivando mia madre: ti trasformerò in stagno e io in pesce". Quando la madre arrivò c'era un grande stagno, e in mezzo c'era un pesce che saltava allegramente qua e là, facendo capolino fuori dall'acqua. Ella voleva prendere il pesce, ma non riusciva ad acchiapparlo. Allora si arrabbiò e bevve tutto lo stagno per prendere il pesce ma si sentì così male che dovette rigettare e rigettò tutto lo stagno. Allora disse: "Vedo che non c'è via di scampo" e li pregò di tornare da lei. Essi ci andarono e la regina diede alla figlia tre noci e disse: "Ti serviranno in caso di necessità".

I due giovani se ne andarono e dopo dieci ore di cammino giunsero al castello del principe, accanto al quale vi era un villaggio. Quando vi giunsero il principe disse: "Resta qui, mia cara, andrò al castello e poi verrò a prenderti con i servi in carrozza". Quando arrivò al castello tutti erano felici che il principe fosse tornato. Egli raccontò che giù nel villaggio aveva una sposa, e sarebbero andati a prenderla in carrozza. Attaccarono subito i cavalli e molti servi salirono sulla carrozza. Quando il principe volle salirvi, sua madre gli diede un bacio, ed egli scordò tutto quello che era successo e anche quello che voleva fare. Allora la madre ordinò che staccassero i cavalli e rientrarono tutti in casa. Ma la fanciulla era là nel villaggio e, aspetta aspetta, credeva ch'egli venisse a prenderla; e invece non veniva nessuno. Allora la principessa entrò a servizio al mulino che apparteneva al castello, e tutti i pomeriggi doveva lavare le stoviglie nel fiume.

Una volta la regina scese dal castello, e, passeggiando lungo il fiume, vide la bella fanciulla e disse: "Che bella fanciulla! Come mi piace!". Chiese notizie a tutti, ma nessuno la conosceva. La fanciulla servì fedelmente il mugnaio per lungo tempo. Intanto la regina aveva cercato una sposa per il figlio. La sposa veniva da molto lontano e, quando arrivò, dovevano sposarsi subito. Venne molta gente a vedere le nozze, e la fanciulla pregò il mugnaio che lasciasse andare anche lei. Il mugnaio disse: "Và pure". Prima di andare ella aprì una delle tre noci, e vi trovò una bella veste; l'indossò, andò in chiesa e si fermò all'altare. D'un tratto giunsero lo sposo e la sposa e si sedettero davanti all'altare. Il pastore stava per benedirli quando la sposa guardò di lato e vide la fanciulla; allora si alzò e disse che non voleva sposarsi se prima non aveva anche lei un vestito così bello come quello della dama. Allora ritornarono a casa e fecero chiedere alla dama se voleva vendere il suo vestito. No, non lo vendeva, ma era possibile guadagnarselo. Le chiesero che cosa dovevano fare. Ella rispose che, se avesse potuto dormire una notte davanti alla porta del principe, le avrebbe dato la veste. La sposa disse che si, poteva farlo. I servi dovettero dare al principe un sonnifero, mentre ella si coricò sulla soglia e si lamentò tutta la notte: per lui aveva fatto abbattere il bosco, ripulire lo stagno, costruire il castello; lo aveva trasformato in rosaio, poi in chiesa e infine in stagno, ed egli l'aveva dimenticata così presto! Il principe non senti nulla, ma i servi si erano svegliati, avevano ascoltato tutto e non sapevano che cosa ciò significasse.

Il mattino seguente, quando si alzarono, la sposa indossò il vestito e andò in chiesa con lo sposo. Nel frattempo la bella fanciulla spezzò la seconda noce, e dentro c'era un'altra veste, ancora più bella; indossò anche questa, andò in chiesa e si fermò di fronte all'altare, e tutto andò come la volta precedente. La fanciulla trascorse così un'altra notte coricata davanti alla camera del principe, e i servi dovevano dargli un altro sonnifero; invece andarono e gli diedero qualcosa perché‚ stesse sveglio. Egli si mise a letto e la fanciulla del mulino, sulla soglia, continuò a lamentarsi dicendo quello che aveva fatto. Il principe sentì ogni cosa e si rattristò molto, e gli tornò in mente tutto ciò che era accaduto. Voleva andare da lei, ma sua madre aveva chiuso la porta. Il mattino seguente andò subito dalla sua diletta e le raccontò tutto quello che gli era successo e la pregò di non essere in collera con lui per averla dimenticata così a lungo. Allora la principessa spezzò la terza noce, nella quale c'era una veste ancora più bella; l'indossò e andò in chiesa con il suo sposo. E arrivarono tanti bambini a portare fiori e a stendere nastri variopinti ai loro piedi; gli sposi furono poi benedetti e festeggiarono le loro nozze con allegria; la perfida madre e la fidanzata dovettero invece andarsene.

E a chi per ultimo l'ha raccontata, ancora la bocca non s'è freddata.

 
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Voci nuove a S.Tobia

Post n°550 pubblicato il 28 Agosto 2011 da odette.teresa1958

Cari lettori,adesso a S.tobia ci sono due vulcani d'idee:la Marianna e il direttore di TeleCampagnola6,Agilulfo Taripijo (uno dei 56 nipoti dell'Ildebrando)I nostri eroi hannoavuto un'idea che definire luminosa è poco.fare di S.Tobia la sede di un concorso canoro riservato a talenti sconosciuti.
non vi dico l'entusiasmo die paesani,tutti convinti di essere dotati di ugole a dir poco di platino.
Dopo una spietata selezione otto fra gruppi e solisti sono arrivati ad esibirsi davanti alla giuria composta dal Taripijo,dalla Marianna e dal Cuccurullo.
Per primi sono saliti sul palco l'Astorre,Caino e Ladislao,ovvero il gruppo folk "I Trogoloni campagnoli".
Erano tra ifavoriti,ma il diavolo ci ha messo la coda.
Bernabò,unanimemente considerato il più stonato del paese, ha pensato bene di vendiarsi in modo atroce.tre ore prima della gara,ha regalato ai congiunti ,golosacci notori,uno scatolone di cioccolatini,finito in dieci minuti.
Non sapevano,ahiloro,che lo sciagurato aveva regalato loro un chilo di cioccolatini lassativi!
Trenta secondi dopo il loro ingresso sul palco,si sono accasciati sullo stesso,colti da atroci dolori e sono stati portati via in barella.
Dopo di loro toccava ai coniugi Lepracchioni,novelli Al bano e Romina ma anche coppia più litigiosa di S.Tobia.
Per motivi incomprensibili,fra loro è scoppiato un feroce litigio,culminato quando i due hanno buttato giù dal palco Cuccurullo,che voleva far da paciere.
Il suo posto è stato preso dall'Anarchico.
Senza incidenti si sono esibiti i fratelli Marcantonio e Odoacre Puzzettoni,accompagnati al piano da Andromaca Scozzagalli,nipote del Melchiorre.
Poi è arrivato Be'erino,briaco come un tegolo.
Credendosi Bruce Springsteen nel video "Dancing in the dark",è sceso dal palco,ha abbrancato la Clementina,e si è esibito in uno scatenato boogie woogie,lanciando per aria la poveraccia,che è atterrata in testa allo Sgozzaloca.
Per fortuna non ha combinato altro perchè si è addormentato sul palco.
E' poi stata la volta del complesso rock "Morti in piedi" composto da geremia,dal suo assistente Pomponio Sfigati ,da Vladimiro e Camillo.
Sono dovuti scappare dopo trenta secondi perchè i paesani inviperiti volevano linciarli.
Penultimo concorrente era Ireneo con il brano "Granada"
Preso dal panico il pretone invece di cantare se l'è fatta addosso.
Il pubblico era già pronto a fischiare l'ultimo artista,il veterinario Egisto Brodolotti,ma appena quello ha intonato "Celeste Aida"il teatro è quasi venuto giù per gli applausi.
Eh sì,il nostro ha una voce da fare invidia ai tre tenori messi insieme!
E' stato quindi proclamato vincitore senza neanche bisogno della votazione ed allora ha rivelato a tutti il suo segreto:anche lui è stato in crociera intorno al mondo dopo il famigerato venerdì 17,sulla stessa nave della Candida.
La suddetta è sua moglie,dato che si sono sposati a Porto Said.
Per poco la ragazza non è rimasta vedova,perchè l'Anarchico lo ha stretto a sè in un abbraccio tipo boa constrictor.
Sono passate due settimane.
I Trogoloni stanno cercando Bernabò;viaggiano su un'autoclave piena di olio di ricino,quindi deduco che non abbiano intenzioni pacifiche.
I Lepracchioni stanno in galera,Telesforo in ospedale.
Be'erino vive barricato in casa,perchè lo Sgozzaloca e la Clementina lo vogliono morto.
I due,fra l'altro,si sono innamorati e progettano di sposarsi quando Anatolio avrà ottenuto il divorzio dalla Palmira.
I "Morti in piedi" sono irreperibili e nessuno sente la loro mancanza.
ireneo è ricoverato nella clinica Luminaris.
L'Ildebrando,saputa la storia,ha riso così tanto che lo hanno dovuto ricoverare in ospedale.
Il Brodolotti ha deci so che non canterà più ma farà solo il veterinario e il marito.
E mentre lui e la Candida sono partiti per un'altra luna di miele,il qui scrivente passa e chiude





 
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Se questo è un uomo nei ghetti d'Italia (Sofri)

Post n°549 pubblicato il 28 Agosto 2011 da odette.teresa1958

Di nuovo, considerate di nuovo
Se questo è un uomo,
Come un rospo a gennaio,
Che si avvia quando è buio e nebbia
E torna quando è nebbia e buio,
Che stramazza a un ciglio di strada,
Odora di kiwi e arance di Natale,
Conosce tre lingue e non ne parla nessuna,
Che contende ai topi la sua cena,
Che ha due ciabatte di scorta,
Una domanda d'asilo,
Una laurea in ingegneria, una fotografia,
E le nasconde sotto i cartoni,
E dorme sui cartoni della Rognetta,
Sotto un tetto d'amianto,
O senza tetto,
Fa il fuoco con la monnezza,
Che se ne sta al posto suo,
In nessun posto,
E se ne sbuca, dopo il tiro a segno,
"Ha sbagliato!",
Certo che ha sbagliato,
L'Uomo Nero
Della miseria nera,
Del lavoro nero, e da Milano,
Per l'elemosina di un'attenuante
Scrivono grande: NEGRO,
Scartato da un caporale,
Sputato da un povero cristo locale,
Picchiato dai suoi padroni,
Braccato dai loro cani,
Che invidia i vostri cani,
Che invidia la galera
(Un buon posto per impiccarsi)
Che piscia coi cani,
Che azzanna i cani senza padrone,
Che vive tra un No e un No,
Tra un Comune commissariato per mafia
E un Centro di Ultima Accoglienza,
E quando muore, una colletta
Dei suoi fratelli a un euro all'ora
Lo rimanda oltre il mare, oltre il deserto
Alla sua terra - "A quel paese!"
Meditate che questo è stato,
Che questo è ora,
Che Stato è questo,
Rileggete i vostri saggetti sul Problema
Voi che adottate a distanza
Di sicurezza, in Congo, in Guatemala,
E scrivete al calduccio, né di qua né di là,
Né bontà, roba da Caritas, né
Brutalità, roba da affari interni,
Tiepidi, come una berretta da notte,
E distogliete gli occhi da questa
Che non è una donna
Da questo che non è un uomo
Che non ha una donna
E i figli, se ha figli, sono distanti,
E pregate di nuovo che i vostri nati
Non torcano il viso da voi

 
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Libri dimenticati:Assassine (Tani)

Post n°548 pubblicato il 28 Agosto 2011 da odette.teresa1958

Cinzia Tani in questo libro ricostruisce le vicende di donne più o meno famose che hanno in comune una cosa:l'assassinio.
Si passa dalla Marchesa di Brinvilliers,avvlenatrice per interesse e per diletto,alla follia della Cianciulli;dalla ferocia di Rina Fort alla tracontanza di Lizzie Borden,che uccide padre e matrigna e la fa franca;dall'innocenza tardivamente dimostrata di Marie Lafarge e Marie Besnard alla colpevolezza manifesta di Cora Grisolia...
Più che un libro è uno studio psicologico,interessante per chi si interessa di criminologia

 
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Frase del giorno

Post n°547 pubblicato il 28 Agosto 2011 da odette.teresa1958

Dio chiude una porta per aprire un portone

 
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