Messaggi del 01/09/2011

L'uccello a 9 teste

Post n°597 pubblicato il 01 Settembre 2011 da odette.teresa1958

C'erano una volta un re e una regina che avevano una figlia bellissima. Un giorno la ragazza stava passeggiando in giardino quando scoppiò un fortissimo temporale che la portò via con se. Il temporale era stato provocato dall'uccello con le nove teste. Il re bandì che chiunque gli avesse riportato la figlia l'avrebbe avuto in sposa.
Un giovane contadino aveva visto l'uccello a nove teste portare la principessa nella sua caverna, che si trovava su una montagna scoscesa, non raggiungibile né dal basso né dall'alto. Mentre il ragazzo osservava la montagna arrivò un tale che gli chiese cosa stesse facendo. Il ragazzo spiegò tutto e allora l'uomo si offrì di calarlo nella caverna con una cesta per salvare la principessa.
Il ragazzo accettò e si lasciò calare. Ma dopo aver salvato la principessa per prima, l'uomo fuggì via con lei, lasciando il ragazzo nella caverna dell'uccello a nove teste. Il ragazzo cominciò a vagare nella caverna: ad un tratto vide un pesce attaccato alla parete. Il ragazzo lo staccò ed il pesce si trasformò in un ragazzo che si proclamò suo fratello per l'eternità. Il ragazzo uscì poi dalla caverna: aveva fame e vide un drago, in cima alla montagna, che leccava un sasso. Lo imitò e la fame scomparve. Chiese al drago come poteva andarsene dalla montagna. Il drago lo invitò a salire sulla sua schiena.
Il ragazzo fu di nuovo in pianura. Iniziò a camminare e trovò un guscio di tartaruga pieno di perle bellissime: erano perle fatate. Poco dopo arrivò in riva al mare: vi buttò dentro una perla e l'acqua si aprì, mostrandogli la casa del drago del mare. Il drago del mare riconobbe che lui aveva salvato suo figlio dall'uccello dalle nove teste: era infatti il padre del pesce e gli offrì ospitalità.
Il ragazzo visse per qualche tempo in fondo al mare, e poi decise di tornare sulla Terra. Il figlio del drago gli consigliò di chiedere in regalo una fiaschetta di zucca magica a suo padre. Il ragazzo fece così e si diresse verso la città della principessa.
La principessa stava per sposare l'impostore quando arrivò il giovane che buttò per terra la fiaschetta: dalla fiaschetta uscì dell'acqua, che formò uno specchio magico nel quale fu visto cosa era veramente successo nella caverna. L'impostore fu allontanato e il principe sposò la principessa e vissero tutti felici e contenti.

Valid HTML 4.01 Strict Valid CSS!

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 

Il vascello volante

Post n°596 pubblicato il 01 Settembre 2011 da odette.teresa1958

C'era una volta un uomo e una donna, che avevano tre figli. I primi due erano intelligenti, il terzo stupido. I primi due la madre li amava, dava loro bei vestiti; l'ultimo invece era vestito male; indossava una camiciaccia nera. Era loro arrivata una carta dello zar, che diceva: «Chi costruirà un vascello in grado di volare, avrà mia figlia in sposa». I due figli maggiori decisero di tentare la sorte e chiesero ai loro vecchi la benedizione; la madre li equipaggiò per il viaggio, dette loro due pani bianchi, carni di vario,tipo, una bottiglia di acquavite, e li accompagnò all'inizio della strada. Lo stupido, vedendo questo, cominciò anche lui a chiedere il permesso di andare. La madre cercò di convincerlo a non andar via: "Dove vuoi andare, imbecille? I lupi ti mangeranno". Ma lo stupido insistette: "Andrò e poi andrò!" La baba, vedendo che non c'era niente da fare, gli dette per la strada dei pani neri e una fiasca d'acqua e lo accompagnò fuori di casa.

Lo stupido camminò e camminò e incontrò un vecchio. Si salutarono. Il vecchio chiede allo sciocco: "Dove vai?" "Lo zar ha promesso in sposa la principessa a chi costruirà un vascello volante." "Sei forse capace di costruire un simile vascello?" " No, non sono capace." "E allora perché vai?" "Lo sa Dio perché." "Beh, se é così, siediti qui, riposati un pò e mangeremo qualcosa. Tira fuori quello che hai nel sacco." "Ho dentro della roba che mi vergogno a far vedere." "Non importa: tirala fuori lo stesso. Mangeremo quello che Dio ci ha dato!" Lo sciocco aprì il sacco, e non credette ai suoi occhi: c'erano delle pagnotte bianche companatico e condimenti vari. Dette quella roba al vecchio. "Vedi," disse il vecchio "come Dio aiuta gli sciocchi? Anche se tua madre non ti ama, ecco che anche tu sei ricompensato. Su, beviamo insieme un pò di vodka." E difatti nella fiasca invece dell' acqua c' era l'acquavite; bevvero, mangiarono, e disse il vecchio allo sciocco: "Sentimi, và nel bosco, avvicinati al primo albero, fatti tre volte il segno della croce, e poi colpisci l'albero con la scure, tu stesso casca in giù con la faccia a terra e aspetta che ti risveglino. Allora vedrai vicino a te il vascello; sali sopra e vola dove devi; prendi con te chiunque incontrerai".

Lo sciocco ringraziò il vecchio, lo salutò e andò nel bosco. Si avvicinò al primo albero, fece tutto quello che gli era stato detto di fare: si fece tre volte il segno della croce, colpì l'albero con l'accetta; cadde a faccia in giù e si addormentò. Dopo qualche tempo qualcuno lo sveglia. Lo sciocco si svegliò e vede il vascello bell'e pronto. Non stette molto a pensarci, vi salì sopra e il vascello s'involò nell'aria. Vola, vola e vola, c'è un uomo coricato sulla strada, con l'orecchio appoggiato a terra. "Salute, zietto!" "Salute, a te, uomo" "Che cosa fai?" "Ascolto quello che si fa nell'altro mondo." "Sali sul mio vascello". L'altro non volle rifiutare, salì sul vascello e continuarono a volare. Vola, vola e vola, c'è un uomo che cammina su una gamba sola, l'altra è come legata all'orecchio: "Salute, zietto. Perché cammini su una gamba sola?" "Me la sono attaccata a un orecchio, altrimenti corro troppo veloce, così cammino su una gamba sola" "Vieni con noi." Quello salì e continuarono a volare. Vola, vola, vola ed ecco che vedono un uomo con un fucile, che prende la mira, ma non vedono il bersaglio. "Salute, zietto, a cosa miri? Non si vede neanche un uccello." "Ma come vuoi che possa sparare vicino? Dovrei sparare a una belva o a un uccello a mille versty(verste *) da qui altrimenti non posso colpire niente!" "Sali con noi!" Anche lui salì sul vascello e volarono oltre. Vola, vola e vola e vedono un uomo che porta un sacco pieno di pane. "Salute; zietto! Dove vai?" "Vado a procurare il pane per un pranzo." "Ma come: ne hai già un sacco pieno!" "A me questo pane non basta per una sola volta." "Sali con noi". Il mangione salì sul vascello e s'involarono. Vola, vola e vola ed ecco che vedono un uomo che sta girando intorno a un lago. "Salute zietto! Che cosa cerchi?" "Vorrei bere, ma non trovo l'acqua." "Ma se davanti a te c'è un lago intero, perché non bevi?" "Ah, quest'acqua non mi basta neppure per un sorso!" "Allora sali con noi!" Egli salì e volarono ancora. Vola, vola e vola, ed ecco vedono un uomo che va nel bosco. Sulle spalle ha un mucchio di legna. "Salve zietto. Perché porti la legna nel bosco?" "Non si tratta di semplice legna." "Che legna è?" "Se la butti in giro viene su un intero esercito." "Vieni con noi!"Anch'egli salì sul vascello e continuarono il volo. Vola, vola e vola, ed ecco che vedono un uomo che porta un sacco di paglia. "Salute, zietto. Dove porti quella paglia?" "Al villaggio." "Forse che nel villaggio c'è poca paglia?" "Ma questa è una paglia speciale: se c'è un'estate calda, e tu spargi questa paglia, di colpo viene giù il freddo: neve e gelo!" "Vieni con noi!" Questo fu l'ultimo incontro.

Così volarono verso il palazzo dello zar. In quel momento lo zar stava a pranzo. Vide il vascello volante, si stupì, e mandò il suo servo a chiedere chi fosse arrivato con quel vascello. Il servo va al vascello, vede che su di esso sono tutti contadini; non chiede niente e, tornato al palazzo, riferisce che sul vascello non c'è neppure un pan**, c'è solo gente bassa. Lo zar rifletté che dare la figlia in sposa ad un contadino non andava bene e meditò su come sbarazzarsi di un tale genero. Poi trovò: "Gli affiderò vari incarichi difficili!" Subito manda qualcuno dallo sciocco e gli chiede di portargli l'acqua viva e l'acqua morta, prima che il pranzo regale finisca. Mentre comunicava questo suo ordine al servo, la prima persona incontrata (quello che ascoltava ciò che si faceva all'altro mondo) sentì l' ordine trasmesso al servo del re e lo comunicò allo sciocco. "E adesso che devo fare? Neppure in un anno e neppure in tutta la vita riuscirò a trovare una tale acqua." "Non temere" gli disse quello che camminava veloce "io ci riuscirò." Arrivò il servo e comunicò allo sciocco l'ordine del re e lo sciocco rispose: "Digli che gliela porterò!" Il compagno dello sciocco staccò allora la sua gamba dall' orecchio, corse e in un attimo trovo l'acqua che curava e faceva vivere (l'acqua viva e l' acqua morta). "Ci sono riuscito!" si disse. E volle riposarsi sotto un mulino, ma si addormentò. Il pranzo dello zar sta finendo, e lui non compare. Sul vascello sono tutti inquieti. Il primo incontrato mette l'orecchio a terra, ascolta e dice: "Ehi! Si è addormentato sotto un mulino!" Il miratore prese il suo fucile, sparò al mulino e il colpo risvegliò il corri-veloce. Questi si mise a correre e in un momento portò l'acqua magica. Lo zar non si era ancora alzato da tavola e il suo ordine era stato eseguito come meglio non si poteva. Non c'era niente da fare: bisognava trovare un altro comando.

Lo zar ordinò allo sciocco: "Così, se sei così furbo, mostra la tua bravura: mangia, con i tuoi compagni, in una sola volta, dodici tori arrostiti e dodici sacchi di pane." Il primo amico sentì e riferì allo sciocco la decisione dello zar. Lo sciocco si spaventò e disse: "In una sola volta io non sono capace di mangiare neppure un pane." "Non temere" risponde il Divoratore "per me tutto ciò è ancora poco!" Giunse il servo e comunicò l'ordine dello zar. "Bene," rispose lo sciocco, "dateci quel cibo e mangeremo tutto!" Portarono dodici tori e dodici sacchi di pane. Il Divoratore da solo si mangiò tutto. "Ehi," dice, "è poco. Ne vorrei ancora un poco."

Lo zar allora ordinò allo sciocco di bersi quaranta botti di vino, ogni botte di quaranta secchi. Il primo amico sentì questo ordine e lo riferì allo sciocco, che si spaventò. "Eh, disse,io non sarei capace di bere neppure un secchio." "Non temere," disse Bevitutto, "io solo sono in grado di bere tutto quel vino, e ce n'è ancora poco!". Riempirono di vino le quaranta botti; Bevitutto arrivò e senza neppure tirare il fiato si bevve tutte le botti fino all'ultima. Poi disse: "È poco: ne vorrei ancora!".

Dopo di che lo zar ordinò allo sciocco di prepararsi alle nozze, di andare nel bagno per lavarsi. Il bagno era di ferro, di ghisa, e lo zar ordinò di scaldarlo caldo caldo, in modo che lo sciocco morisse soffocato. Così riscaldarono il bagno fino all'incandescenza; giunse lo sciocco e dietro a lui l'uomo con la paglia. Doveva metterla per terra. Li rinchiusero tutti e due nel bagno. Il contadino sparse la paglia, a venne giù un tale freddo, che lo sciocco riuscì a malapena a lavarsi, perché l'acqua nelle vasche di ghisa ghiacciò. Salì sulla stufa e lì passò la notte. La mattina aprirono il bagno: lo sciocco è vivo e vegeto, è coricato sulla stufa e canta canzoni. Lo riferirono allo zar. Questi si rattrista; non sa come liberarsi dallo sciocco. Pensa e ripensa, gli ordina di apprestare un intero reggimento di soldati. E pensa tra sè: "Da dove tirerà fuori tutti quei soldati? Questo comando non riuscirà ad eseguirlo!". Quando lo sciocco seppe di questo incarico, si spaventa e dice: "Ecco che sono spacciato! Voi, fratelli, mi avete tirato fuori dai guai più di una volta; ma adesso non c'è niente da fare" "Ehi tu!" esclamò l'uomo della legna, "ti sei forse dimenticato di me? Ricordati che io sono un maestro per questa cosa! Non temere!" Arrivò il servo, trasmise l'ordine dello zar: "Se vuoi sposare la principessa, prepara per domani un intero reggimento di soldati" "Bene, lo farò!" disse lo sciocco. "Però se lo zar mi rifiuterà ancora, con tutto questo reggimento io invaderò lo stato e mi prenderò a forza la principessa!"

La notte l'amico dello sciocco portò il suo fascio di legna e sparse la legna in varie parti. Subito saltò su uno smisurato esercito, con cavalleria, fanteria e cannoni. Il mattino lo zar vide questi soldati e questa volta fu lui a spaventarsi; mandò subito allo sciocco preziosi ornamenti e vestiti e lo invitò a entrare nel palazzo e a sposare la principessa. Lo sciocco si adornò con quelle ricche vesti e divenne così bello, che non lo si può neanche descrivere. Comparve davanti allo zar, sposò la principessa, ricevette una grande dote e divenne intelligente ed accorto. Lo zar e la zarina gli vollero bene, e la principessa lo amò con tutta l'anima. Festeggiarono, banchettarono e infine tornarono nel proprio regno, dove vissero felici e contenti.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 

Il soldo bucato

Post n°595 pubblicato il 01 Settembre 2011 da odette.teresa1958

C'era una volta una povera donna rimasta vedova con un figliolino al petto. Era di cattiva salute, e con quel bimbo da allattare poteva lavorare pochino. Faceva dei piccoli servigi alle vicine, e così lei e la sua creatura non morivano di fame. Quel figliolino era bello come il sole; e la sua mamma, ogni mattina, dopo averlo rifasciato, lavato e pettinato, un po' per buon augurio, un pò per chiasso, soleva dirgli:

"Bimbo mio, tu sarai barone!
Bimbo mio, tu sarai duca!
Bimbo mio, tu sarai principe!
Bimbo mio, tu sarai Re!"

E ogni volta che lei gli diceva: tu sarai Re, il bimbo accennava di sì colla testina, come se avesse capito.

Un giorno si trovò a passare proprio il Re, e sentito: Bimbo mio, tu sarai Re, la prese in mala parte, perché non aveva avuto ancora figliuoli e ne era accorato assai. "Comarina," le disse "non vi arrischiate più a dire così, o guai a voi!" La povera donna, dalla paura, non disse più nulla. Però quel figliolino, ora che la sua mamma stava zitta, ogni mattina, appena rifasciato, lavato e pettinato, si metteva a piangere e strillare. Lei gli ripeteva: "Bimbo mio, tu sarai barone!... Tu sarai duca!... Tu sarai principe!..." Ma il bimbo non si chetava. Talché una volta, per prova, tornò a dirgli sottovoce: "Bimbo mio, tu sarai Re!" Il bimbo accennò di sì colla testina, come se avesse capito, e non strillò più. Allora la povera donna si persuase che quel figliolino doveva avere una gran fortuna; e temendo la collera del Re, già pensava di mutar paese. Intanto, poiché il figliuolo era spoppato, quando le capitava di fare qualche servizio, pregava una vicina: "Comare, tenetemi d'occhio il bambino; vado e torno in due minuti."

Un giorno le accadde di tardare. La vicina era seccata di tenere in braccio quel cattivello che piangeva perché voleva la mamma. In quel punto comparve un cenciaiolo: "Cenci, donnine, cenci!" "Lo volete questo cencio qui?" "Se ci si combina, lo prendo." "Ve lo do per un soldo." Il cenciaiuolo le tolse il bimbo di braccio e le mise in mano un soldo bucato. A quella scena lei e le altre vicine presenti ridevano: il cenciaiuolo in questo mentre svoltava la cantonata e spariva. Corri, cerca, chiama... L'avete più visto? Figuriamoci che pianto, quella povera mamma, quando apprese la sua disgrazia! Corse subito dal Re: "Giustizia, Maestà!... Mi han rapito il bambino!" "Bimbo mio, tu sarai Re!" le rispose il Re facendole il verso, per canzonarla. E la mandò via, tutto contento che quel malaugurio per la sua discendenza fosse sparito. Gli occhi della povera donna parevano un fiume. Andava attorno tutta la giornata, fermando la gente: "Buona gente, incontraste per caso il cenciaiuolo che mi ha rubato il mio bambino?" Le persone, che non ne sapevano nulla, la prendevano per matta e le ridevano in viso. Quel giorno della disgrazia, la vicina le aveva dato il soldo bucato messole in mano dal cenciaiuolo; ma la povera donna, dalla gran rabbia che aveva, lo buttò via. La mattina dopo, apre un cassetto... il soldo bucato era lì. "Soldaccio maledetto! Non ti voglio neppur vedere!" E lo buttò nuovamente via dalla finestra. Ma la mattina dopo, torna ad aprire quel cassetto e che vede? Il soldo bucato. Richiuse il cassetto con stizza. "Fossero almeno dieci lire...! Mi comprerei uno straccio di veste!" Non avea finito di dirlo, che sentì lì dentro un suono di soldi rimescolati. Stupita, riapre. Pareva che il soldo avesse figliato. Oltre a quello, c'erano lì tanti soldi, da fare giusto dieci lire. Da allora in poi, quando avea bisogno di denaro, le bastava che dicesse: "Soldino mio, vo' cento lire, vo' mille lire!" Le cento lire, le mille lire erano subito lì.

La buona donna non si teneva questa fortuna per sé sola; faceva spesso la carità a tutte le persone bisognose al par di lei, ed era già diventata una benedizione del cielo.Ma quel bene lei lo faceva sempre col pensiero al figliolino perduto: Che le importava di tanta fortuna, senza il suo figliolino? E sperava sempre che, un giorno o l'altro, il cielo l'avrebbe consolata. In quel tempo il Re ebbe il capriccio di comprarsi un magnifico cavallo. Conchiuso il negozio, andò per prendere il denaro dallo scrigno ove solea tenerlo riposto, e si accorse che mancava una bella somma. Appostò lì due guardie per acchiappare il ladro; e, passati alquanti giorni, tornò a guardare: mancava un'altra bella somma! Si mise in agguato lui stesso; cominciava a sospettare dei suoi Ministri. Una mattina, ecco una voce nell'aria, lontana, lontana: "Soldino mio, vo' mille lire!" E, subito, un rimescolìo nello scrigno, come se qualcuno vi prendesse quattrini a manate. Apre in fretta in fretta... Le mille lire mancavano, ma lì dentro non c'era nessuno! Come andava questa faccenda? Il Re ci perdeva la testa. Però, benché fosse un pò avaro, gli dispiaceva di più dover morire senza figliuoli. Se la prendeva colla Regina, come se la colpa fosse stata di lei, e la maltrattava: "Non era buona a fargli un figliuolo, neppure di terra cotta!" La Regina, indispettita, gli fece colle sue mani un bel puttino di terra cotta. Ecco, se era buona! Tutti accorrevano al palazzo reale per vedere quel puttino di terra cotta, che era una meraviglia, e vi andò anche quella povera donna. "Oh Dio! È tutto il mio bambino!... Ma non era così che ti volevo Re, figliolino mio!" E si mise a piangere. Il Re, a quelle parole, montò in furore. Diè un calcio al puttino di terra cotta e lo ridusse in mille pezzi. Alla povera donna parve di vedersi squarciare sotto gli occhi il figliolino perduto. Ma che poteva dire a Sua Maestà? Dovette ingozzare anche quell'amarezza, e tornarsene a casa zitta zitta. Intanto nello scrigno del Re i quattrini continuavano a mancare; e sempre quella voce nell'aria, lontana lontana: "Soldino mio, vo' cento lire, vo' mille lire!" E quanti diceva la voce, tanti il Re ne sentiva prendere dalla mano del ladro invisibile. Il Re mise le sue spie per scoprire di chi fosse quella voce: e un giorno le spie gli condussero dinanzi ammanettata la donna del bambino rubato: Era lei che aveva detto: «Soldino mio, vo' cento lire!». Il Re non volle neppure ascoltare la povera donna, che voleva raccontargli come stesse la cosa, e la fece gettare in un fondo di carcere. Ma da quel giorno egli non ebbe più pace. Voleva andare a letto? E gli strappavano le coperte: "Maestà, non si dorme!" Chi era? Non si vedeva nessuno. Si sedeva a tavola per mangiare? E gli portavano via il piatto: "Maestà, non si mangia!" Chi era? Non si vedeva nessuno. Se durava un altro pò, il Re moriva d'inedia. Perciò mandò a consultare un vecchio Mago. Il Mago (che poi era quel cenciaiuolo che avea rapito il bambino per proteggerlo) rispose soltanto: "Bimbo mio, tu sarai Re!"

Visto che il destino era quello, e non volendo morire d'inedia, il Re cominciò dallo scarcerare la povera donna, e tornò a mandare dal Mago: "Come rintracciare il bimbo? Lo avea rapito un cenciaiuolo e non se ne sapeva più notizia." Il Mago rispose: "Raccatti i cocci di quel puttino di terra cotta e li saldi insieme collo sputo." Il Re, sebbene di mala voglia, raccattò i cocci del puttino e li saldò collo sputo."Ed ora?" "Ed ora" rispose il Mago "prepari una bella festa e faccia così e così." Il Re fece dei grandi preparativi, poi, secondo le istruzioni del Mago, mandò a chiamare la mamma del bimbo a palazzo reale e la fece sedere a lato della Regina. Il puttino di terra cotta bello e saldato si vedeva collocato nel mezzo del salone e, attorno attorno, ministri, principi, cavalieri in gran gala che aspettavano. Quando fu l'ora, s'intese nella via: "Cenci, donnine, cenci!" A questo grido il puttino di terra cotta scoppiò, e ne uscì fuori un bel giovinotto fra un gran rovesciarsi di monete, che ruzzolavano da tutte le parti. Il Re, contento anche perché riacquistava tutti i suoi quattrini, voleva abbracciarlo come un figliuolo; ma quello corse prima dalla sua mamma e non sapeva staccarsela dal petto: "Bimbo mio, tu sarai Re!" Ed era già Reuccio, poiché il Re lo adottava! Qui entrò una guardia e disse: "Maestà, c'è di là un cenciaiuolo; rivuole il suo soldo bucato." Il Re non ne sapeva nulla; ma la povera donna rispose subito: "Eccolo qui." Sentita la storia di quel soldo, il Re pensò ch'era meglio tenerselo per sé. Andò di là, bucò un altro soldo e diede questo in cambio di quello al cenciaiuolo. Ma gliene incolse male. La prima volta che disse: "Soldino mio, vo' mille lire!" Invece di mille lire furono mille nerbate, che lo conciarono per le feste, tanto che morì. "Bimbo mio, tu sarai Re!" E si era avverato.

Stretta è la foglia, larga è la via,
Dite la vostra, ché ho detto la mia.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 

L'isola

Post n°594 pubblicato il 01 Settembre 2011 da odette.teresa1958

C’era un’isola dove tutti i sentimenti hanno vissuto Felicità, Tristezza, Conoscenza ed altri, compreso l’Amore.

Un giorno fu annunciato a tutti un pericolo imminente e tutti furono invitati a lasciare subito l’isola, così iniziarono a preparare le barche…

Quando l’isola iniziò ad affondare, l’Amore, che era da solo, decise di chiedere aiuto alle barche che passavano.

Passò la Ricchezza, e l’Amore gli chiese: “Ricchezza, mi puoi prendere con te?”… ed ella rispose: “No non posso, ho oro e gioielli con me… per te posto non c’è”…

Di li a poco passò la Vanità… ed anche ad ella l’Amore chiese aiuto… Ma la Vanità rispose: “Non posso aiutarti Amore, sei tutto bagnato e potresti rovinare la mia barca”…

La barca successiva era quella della Tristezza… e l’Amore chiese aiuto anche ad essa…
Ma ella rispose: “Sono cosi’ triste che preferisco andare da solo..”

E subito la Felicità passò così veloce che nemmeno si accorse dell’Amore che chiedeva aiuto..

Ma ecco che improvvisamente una voce disse: “Vieni Amore, ti prenderò io con me sulla mia barca”. Era una persona anziana, e tale era la concitazione che l’Amore dimenticò di chiederle chi fosse. Giunti su un altra isola, l’Amore chiese dunque il suo nome… e scoprì che era il Tempo. L’Amore chiese allora perché lo aveva aiutato… e il tempo rispose…
Solo il tempo e’ capace di comprendere quanto grande e’ l’AMORE…

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 

Il cavaliere verde

Post n°593 pubblicato il 01 Settembre 2011 da odette.teresa1958

C'erano una volta un re ed una regina che avevano un'unica figlia, e quando la bimba era ancora molto piccola, la mamma si ammalò di una grave malattia; quando fu in punto di morte, ella chiamò a sé il marito e disse: "Mio caro e adorato consorte, promettetemi solennemente che da questo momento farete di tutto per accontentare la nostra bambina in ogni suo desiderio". Il re promise e poco dopo la regina morí. Morta la regina, il re fu inconsolabile: neanche il pensiero della sua cara creatura fu sufficiente a lenire le sue pene, poiché aveva amato talmente la moglie, che ora il dolore della perdita era troppo grande.

Gli anni passarono, e il re non ebbe difficoltà a mantenere la promessa fatta alla regina: egli esaudiva ogni richiesta che la figliola gli faceva, a costo di viziarla un po'; la principessina era comunque cresciuta bene, era una ragazza buona e affettuosa a cui non mancava nulla, se non l'amore di una madre. Per questo, la principessa crebbe triste e malinconica: da bambina non dimostrò mai interesse ai giochi e ai divertimenti come fanno tutti gli altri bambini del mondo, ma preferiva invece trascorrere il suo tempo in lunghe passeggiate solitarie nei giardini e nei boschi della reggia. Amava e rispettava profondamente la natura, adorava i fiori e gli uccelli, inoltre le piaceva moltissimo leggere poesie e racconti.

Nei pressi del palazzo reale viveva una contessa vedova con sua figlia, una ragazza poco più grande d'età della principessa; la contessina, però, non era affatto di buona indole come la sua coetanea: era vanitosa ed egoista, e cattiva di cuore, mentre era scaltra come la madre, e capace di mentire per servire i suoi scopi. L'astuta contessa non perdeva occasione per incoraggiare l'amicizia tra le due ragazze, ed entrambe facevano di tutto per compiacerla e divertirla. Cosí, la principessa s'affezionò terribilmente alla contessina, che in breve tempo non poté più fare a meno della sua compagnia.

La principessa, senza saperlo, fece esattamente il gioco della vecchia contessa, che aveva ottenuto proprio quello che voleva, e un giorno istruí per bene la figlia ad andare in lacrime dalla principessa facendole credere che esse dovevano separarsi per sempre perché madre e figlia erano in procinto di partire per nuove terre lontane. Allora la principessa corse dalla contessa a supplicarla di restare, perché non poteva più vivere senza l'amica, e che se questa fosse partita, le avrebbe spezzato il cuore: la contessa finse di essere profondamente addolorata per il fatto, e disse che c'era un'unica via di uscita, ossia che suo padre il re medesimo acconsentisse a sposarla. In questo modo tutte e tre sarebbero rimaste per sempre insieme e il cuore della principessa si riempí di gioia a questo pensiero. Quindi, andò da suo padre e lo implorò di prendere la contessa in moglie, altrimenti la signora se ne sarebbe andata via lontano con sua figlia, e le si sarebbe spezzato perciò il cuore dal dolore. Ma il buon re rispose: "Potrei anche accontentarti, ma temo che te ne pentiresti", "e anch'io stesso me ne pentirei, perché non sento proprio il bisogno di risposarmi, specialmente con una signora che neanche conosco." La principessa però non smise di piangere e di disperarsi finché non riuscí a strappare la promessa a suo padre: cosí, per amore di sua figlia, il re chiese la mano della contessa, la quale acconsentí, ovviamente. Poco tempo dopo, la cerimonia ebbe luogo, e la contessa divenne regina e ora era anche la matrigna della principessa. Ma dopo il matrimonio, tutto cambiò: la matrigna cominciò a tormentare e a maltrattare la figliastra, mentre per sua figlia, niente era abbastanza; anche la sorellastra smise di essere buona con lei, e tutte e due fecero di tutto per rovinarle la vita. Il re, che assisteva impotente a tutto questo, non poteva rimanerne indifferente, perché adorava immensamente la sua bambina, e cosí, un giorno, le fece una proposta: "Povera piccina mia, come temevo, ora ti sarai pentita amaramente di aver insistito per farmi sposare quella donna, e ora quelle due ti hanno reso una vita un inferno! Però fortunatamente, siamo ancora in tempo per rimediare: io penso che per te sia molto meglio andare a stare nel mio palazzo sull'isola, che é la residenza estiva della nostra famiglia: lí starai in pace." La principessa fu d'accordo con suo padre, e nonostante le costasse molto dolore andar via, lo fece, perché non ce la faceva proprio più a stare accanto alla perfida matrigna e alla malvagia sorellastra. Cosí, crebbe e divenne una splendida dama, pura, innocente e buona con tutti, sia con gli esseri umani che con gli animali, ma triste e infelice.

Un giorno, suo padre andò da lei per salutarla, perché doveva partire per recarsi a un grande raduno di nobili e sovrani di altre terre, e non sarebbe tornato per molto tempo. Nondimeno, egli desiderava renderle omaggio in qualche modo, perciò le disse che avrebbe cercato attentamente uno sposo degno di lei tra tutti i nobili e i gentiluomini che avrebbe incontrato. La principessa annuí e rispose: "Ti ringrazio, mio caro padre; se ti capiterà di trovare il Cavaliere Verde, salutalo da parte mia e digli che io lo aspetto, perché lui é il solo che potrebbe alleviare le mie pene." Cosí dicendo, la principessa pensava al cimitero con tutte le sue tombe verdi, poiché la sua infelicità era tale che ormai desiderava solo morire. Il re però non comprese lí per lí le sue parole, ma per amore di sua figlia si augurò di trovare presto quello strano cavaliere che non aveva mai sentito nominare prima di allora, e dopo un tenero addio, si congedò da lei.

Alla riunione gli presentarono molti principi, cavalieri e gentiluomini, ma nessuno di loro era il Cavaliere Verde, perciò non poté consegnare il messaggio della figlia a nessuno. Alla fine si rassegnò a tornarsene a casa: durante il viaggio dovette attraversare vaste foreste e lunghi fiumi, finché giunse presso una grande pianura dove pascolavano migliaia di cinghiali, che, però, non sembravano affatto selvatici, ed erano sorvegliati da un pastore in abiti da cacciatore, seduto su un colle e circondato da cani, mentre suonava un piffero che funzionava da richiamo per il bestiame. Il re, stupito alla vista di quei branchi di cinghiali addomesticati, mandò a informarsi presso il pastore, per sapere a chi appartenessero, e quello rispose che erano del Cavaliere Verde. Allora, ricordandosi della promessa fatta a sua figlia, scese da cavallo e andò lui stesso dal pastore a chiedergli dove viveva il Cavaliere. Quello gli rispose che il Cavaliere Verde risiedeva lontano da lí, da qualche parte verso est, e di seguire il sentiero finché avrebbe trovato altri pastori che certamente gli avrebbero saputo indicare la strada per il castello. Cosí, il re e il suo seguito cavalcarono per tre lunghi giorni in direzione est, passando per una grande foresta, finché arrivarono ad un'ampia vallata circondata da grandi boschi, dove una mandria ancora più grande di alci e buoi selvatici pascolavano tranquilli, sorvegliati da un altro pastore vestito da cacciatore, e dai suoi cani. Il re cavalcò fino a lui e gli chiese chi fosse il proprietario di tutti quegli animali, e quello rispose ancora che si trattava del Cavaliere Verde, che abitava più a est. Per altri tre giorni il re e i suoi uomini proseguirono a cavallo verso est, finché giunsero a una nuova pianura verde dove pascolavano grandi mandrie di cervi e caprioli, e il pastore del posto riferí che il proprietario di tutto era il Cavaliere Verde, che abitava poco più distante, e che sarebbe bastato un solo giorno per arrivarci. Il re cavalcò ancora per un altro giorno, attraversando verdi sentieri, verdi boschi, finché finalmente arrivò al castello che era verde anch'esso, e completamente ricoperto di vigneti e piante rampicanti. Appena giunti davanti al castello, il re e la sua scorta furono accolti da un gran numero di servitori e stallieri, tutti vestiti in uniformi verdi, e il re fu annunciato subito al padrone. E il signore del castello (un bellissimo giovane, alto e slanciato e vestito di verde), accolse i suoi ospiti con modi gentili e signorili. Disse poi il re al Cavaliere: "Signore, voi vivete assai lontano dal mio regno, e cosí grandi ed estesi sono i vostri territori, che ho dovuto affrontare un lunghissimo viaggio per arrivare fino a qui ad onorare il desiderio di mia figlia, e per consegnarvi il suo messaggio. Quando sono partito per il mio viaggio, le ho promesso che avrei cercato per lei il Cavaliere Verde, e dunque sono qui a riferirvi che ella desidera incontrarvi, che vi aspetta, perché secondo lei, soltanto Voi siete in grado di lenire le sue pene. Mi rendo conto che questa richiesta possa suonare alquanto bizzarra alle vostre orecchie, ma vi assicuro che mia figlia é una giovane di gran valore e giudizio, e, inoltre, io promisi a sua madre in punto di morte che l'avrei sempre accontentata. Perciò sono qui per mantenere la promessa che le ho fatto." E il Cavaliere Verde rispose: "Vostra figlia soffre molto, e di sicuro non era a me che pensava quando vi riferí quelle parole, poiché ella ed io non ci siamo mai conosciuti: probabilmente, é al cimitero, con le sue grandi e verdi tombe, che pensava, e forse é la morte che ella vuole incontrare, ma io credo di avere qualcosa che potrà alleviare il suo dolore e darle gioia: prendete questo libro e ditele che quando si sentirà triste e con il cuore straziato, non dovrà far altro che aprire la finestra che dà sull'est e leggerlo, e subito si sentirà felice." Cosí, il Cavaliere Verde consegnò al re un libro verde, scritto in una lingua che il re non capiva: il re, però, lo prese ugualmente, ringraziando caldamente il Cavaliere Verde per la splendida accoglienza, spiacente di averlo dovuto disturbare senza essere stato invitato. Poi, con il suo seguito dovette trascorrere la notte al castello del Cavaliere, da dove sarebbe ripartito solo il mattino seguente. Il Cavaliere Verde disse che lo avrebbe ospitato più a lungo e volentieri, ma il re rispose che non poteva assolutamente fermarsi, e cosí, il giorno dopo prese commiato dal suo gentile ospite e ripartí alla volta del suo regno. Ripercorse con il suo corteo la strada dell'andata, attraverso tutti i vasti territori del Cavaliere Verde, finché giunse dritto a casa.

La prima cosa che volle fare al suo rientro, fu di recarsi subito dalla figlia al castello sull'isola, per portarle il libro verde da parte del Cavaliere Verde. A quelle notizie sensazionali, ella rimase molto stupita, perché non si aspettava di certo che il Cavaliere Verde esistesse per davvero, ma quella stessa sera, dopo che il padre se ne fu andato, la principessa aprí la finestra che dava ad est e cominciò a leggere il libro verde, anche se era scritto in una lingua a lei straniera; era un libro di poesie, scritto in una lingua molto bella, e la prima che lesse, testé recitava:

Soffia il vento dal mare, veloce corre su verdi boschi e prati, e quando sulla terra s'affaccia silenziosa la notte, quale gentildonna vorrà il Cavaliere Verde portare a nozze?

Leggendo il primo verso, udí chiaramente il soffio del vento sulle acquee; al secondo, sentii stormire le chiome degli alberi, al terzo, vide che le sue dame crollarono addormentate, e tutto il palazzo era piombato in un profondo sonno. Alla lettura della quarta riga, il Cavaliere Verde sotto forma di uccello balzò al volo dentro la sua finestra, poi riprese le sue sembianze umane e l'omaggiò rispettosamente, invitandola a non avere paura, perché egli era il famoso Cavaliere Verde che le aveva donato il libro di poesie che stava leggendo, e che proprio per mezzo di quei versi, era stato trasportato lí telepaticamente. La principessa si sentí subito libera di parlargli apertamente, e questo le procurò un istantaneo benessere; instaurò con lui un rapporto di gran confidenza, e riuscí pertanto ad aprirgli il cuore: dal canto suo, il Cavaliere Verde le dimostrò tanta sensibilità ed empatia, da suscitare in lei una gran felicità, mai avvertita prima. Ed egli le disse che ogni volta che si sentiva sola e triste, non avrebbe dovuto fare altro che aprire il libro, leggere gli stessi versi, e tutto si sarebbe ripetuto come per magia: sull'isola e sui suoi abitanti sarebbe calato il silenzio, tranne che su di lei, e nello stesso istante ella avrebbe ricevuto una sua visita a rallegrarla. Poteva fare cosí ogni volta che ne avesse sentito il bisogno, disse, e che ora era venuto il momento per lei di coricarsi e riposare. E nello stesso istante in cui la principessa richiuse il libro, il Cavaliere Verde scomparve, e tutta la corte si risvegliò, poi ella andò a letto e sognò di lui, e ricordò tutto quanto si erano detti. Quando si svegliò il mattino dopo, si sentí deliziosamente leggera e felice come non era mai stata, e cosí, giorno dopo giorno, la sua salute migliorò; le sue gote presero colore ed ella cominciò a ridere e a scherzare, e tutti questi cambiamenti destarono gran stupore in tutta la servitù. Il re suo padre pensò che il merito fosse tutto dell'aria buona e del grazioso libretto: la principessa annuí, ma nessuno sapeva come stavano realmente le cose, e ignoravano che ogni sera ella riceveva le visite del Cavaliere Verde, e che trascorrevano il tempo a chiacchierare insieme piacevolmente. La terza sera egli le diede un anello d'oro in segno di fidanzamento, e le annunciò che di lí a tre mesi, non prima, si sarebbe recato da suo padre a chiedere la sua mano. Quel giorno, l'avrebbe presa con sé e l'avrebbe condotta al suo castello come sua legittima sposa.

Nel frattempo, la matrigna cattiva venne a sapere che la figliastra godeva di ottima salute e che diventava ogni giorno più bella, perché era più felice che mai, e questo la rese furiosa, perché credeva e sperava che la figliastra si ammalasse fino a morire, poiché desiderava che sua figlia prendesse il suo posto sul trono diventando principessa, potendo cosí ereditare le fortune del regno. Cosí, un giorno inviò una sua dama di corte sull'isola a far visita alla principessa, sperando di scoprire quale fosse il segreto di quella improvvisa fioritura. Il giorno dopo la donna tornò dicendo che, a quanto sembrava, la principessa trovava giovamento nella lettura serale di un libro, e che, grazie a ciò, riceveva tutte le sere la visita di un bellissimo principe a rallegrarla, ma che non aveva potuto accertarsene di persona, poiché l'aria della notte l'aveva rilassata fino a farla addormentare, e che lo stesso strano fatto accadeva puntualmente a tutti i membri della corte che lamentavano di peggiorare di salute, mentre la principessa, al contrario, diventava ogni giorno più florida.

Il giorno dopo, la regina mandò sua figlia stessa a spiare la sorellastra, e le raccomandò di fare molta attenzione ai movimenti della principessa: "C'é qualcosa di misterioso in questa faccenda.. si dice che ci sia di mezzo un uomo." La figlia della regina ritornò a casa il giorno seguente, ma non seppe fornire alla madre niente di più di quanto aveva precedentemente riferito la dama, in quanto, anche a lei era capitato d'addormentarsi profondamente nel mentre stesso in cui la principessa sedette alla finestra a leggere. Allora, il terzo giorno la regina decise di recarsi di persona a far visita alla figliastra: finse di essere dolce e affettuosa e finse di essere felice per lei nel vedere quanto stava bene, poi, fece molte domande alla principessa per cercare di capire la verità, ma dalla ragazza non riuscí a sapere nulla. La sera andò ad esaminare la finestra ad est dove la principessa era solita sedere a leggere il suo libro, ma non riuscí a scoprire nulla di particolare: era molto alta, ma era ricoperta da rampicanti verdi dall'alto in basso, e dedusse pertanto, che poteva anche essere possibile per un giovane in buona salute arrampicarsi sui rami e salire fino a lí. Perciò, la scaltra regina si muní di forbici, che intinse di veleno, e le annodò alla finestra con le punte in alto, in modo che nessuno potesse scorgerle. Quando venne la sera, la principessa sedette al suo posto presso la finestra con in mano il suo libro verde, e la regina pensò che doveva fare molta attenzione a non farsi sorprendere a sua volta dal sonno, ma non riuscí a resistere e alla fine, quando la principessa cominciò a leggere, le sue palpebre si chiusero e crollò addormentata insieme agli altri. Nello stesso momento, arrivò il Cavaliere Verde trasformato in uccello e oltrepassò la finestra senza essere visto da nessuno, tranne che dalla principessa. I due giovani parlarono d'amore e si rallegrarono poiché mancava una sola settimana allo scadere dei tre mesi fissati, e poi egli avrebbe potuto andare dal re a chiedere la sua mano. Felici e innamorati, immaginavano trepidanti il giorno in cui egli l'avrebbe portata nella sua grande casa, quel palazzo tanto lontano da lí, che capeggiava i vasti territori verdi del Cavaliere Verde, e di cui egli le aveva tanto parlato. Poi, il Cavaliere diede un tenerissimo arrivederci alla sua amata, si ritrasformò in uccello e volò via, fuori dalla finestra, ma questa volta volò basso, e non poté fare a meno di restare ferito a una gamba dalle forbici che la perfida regina aveva messo al davanzale come trappola: egli emise istintivamente un verso di dolore, poi scomparve. La principessa però udí il grido, quindi, si alzò di scatto dalla sedia, ma il libro le cadde per terra e si richiuse; ella stessa emise un grido di spavento, e in quel mentre tutto il palazzo si risvegliò. Anche la regina si svegliò, e tutti accorsero per vedere cosa era successo: la fanciulla rispose che non era accaduto nulla di grave, che si era svegliata spaventata da un brutto sogno. Ma subito dopo alla principessa venne la febbre alta e dovette rimanere a letto. La regina si sbrigò a recuperare le forbici, e vide che erano insanguinate, e di ciò si compiacque, perché voleva dire che ci aveva visto giusto. Avvolse le forbici in un fazzoletto e le portò via.

Quella notte, la principessa non riuscí a chiudere occhio, e il giorno dopo si sentí terribilmente debole; nonostante tutto, quella sera si alzò ugualmente dal letto per prendere un po' d'aria fresca, cosí, si sedette alla finestra, aprí il suo amato libro e lesse ancora una volta:

 

Soffia il vento dal mare, veloce corre su verdi boschi e prati, e quando sulla terra s'affaccia silenziosa la notte, quale gentildonna vorrà il Cavaliere Verde portare a nozze?

Il vento sibilò, gli alberi stormirono, e tutti dormirono come di consueto, tranne lei: ma quella sera il Cavaliere non venne, e fu cosí per tanti altri giorni ancora. La principessa attese speranzosa, guardava la finestra e leggeva il suo libro, proferiva i versi famosi, ma del Cavaliere Verde, neanche l'ombra. E fu cosí che alla fine, le sue belle gote rosee impallidirono di nuovo, e il suo cuore, che un giorno fu gonfio di gioia, tornò ad essere pieno di tristezza e infelicità: piano piano deperiva ogni giorno di più, sotto gli angosciati occhi del padre, ma con segreta soddisfazione della regina cattiva.

Un giorno la principessa si spinse flebilmente fino al giardino del castello, e si sedette su una panca sotto un alto albero, e vi rimase a lungo, sopraffatta dai suoi dolorosi pensieri, e mentre se ne stava cosí sola, arrivarono in volo due corvi che si posarono su un ramo sopra la sua testa e cominciarono a chiacchierare tra di loro e a dire: "E' un vero peccato," disse uno, "vedere la nostra povera principessa che si dispera cosí tanto per il suo amato." "Sí" rispose l'altro, "specialmente sapendo che ella é l'unica che può curarlo dalle ferite inflitte dalle forbici avvelenate della regina." "Cioé?" chiese il primo corvo. "Solo l'amore scaccia il male," rispose l'altro corvo, "Al castello del re, sotto una pietra del fosso, a ovest delle scuderie, c'é una vipera con nove piccoli. Se la principessa riuscisse a catturarli e a cuocerli, e a nutrire l'amato ogni giorno con queste bestiole, lui potrebbe facilmente guarire, altrimenti, sarà la fine per lui."

Cosí, quando calò la notte, la principessa sgusciò via, verso il castello del re. Alla spiaggia trovò una barca, e remò fino al palazzo; corse alla buca dove stavano le vipere, e, pesante com'era la pietra, la fece rotolare via e sotto ci trovò le nove viperette. Le raccolse, le conservò in un fazzoletto, e si mise sul sentiero che portava al castello dell'amato, lo stesso che aveva un percorso un tempo anche suo padre il re. Viaggiò cosí a piedi per settimane e mesi attraversando alti monti e vaste foreste, fino a quando giunse finalmente presso lo stesso pastore che aveva incontrato il re. Quello le indicò la via per arrivare al secondo pastore, e cosí via fino all'ultimo. Alla fine giunse al castello dell'amato, il Cavaliere Verde, gravemente ammalato da mesi, che giaceva incosciente nel suo letto, in preda al delirio della malattia. Grandi medici e sapienti erano stati chiamati da ogni parte del mondo, ma nessuno di loro aveva trovato rimedio per strapparlo da morte ormai certa.

La principessa si recò nelle cucine e chiese di essere assunta: disse che avrebbe fatto volentieri qualsiasi lavoro, anche lavare i piatti, pur di poter restare al palazzo del padrone. Il cuoco acconsentí, e, dal momento che essa era cosí candida e modesta e volonterosa, trovò presto in lei una valida lavorante, che svolgeva ogni giorno varie mansioni. Cosí, presto ella gli chiese di poter preparare la zuppa per il padrone malato: "So esattamente come va cucinata, ma ci tengo moltissimo a farla da sola". Il cuoco acconsentí, e cosí ella cucinò tre dei nove piccoli di vipera e li mise nel pasto del padrone, e la zuppa fu servita al povero malato. Già al primo pasto di quella miracolosa ricetta, il Cavaliere Verde si sentí subito meglio, la febbre scese a tal punto che riprese conoscenza dei presenti, e fu anche in grado di proferire parola; allora, chiamò il cuoco e volle sapere se era stato lui a preparare quella zuppa che gli aveva fatto tanto bene. Il cuoco, mentendo, asserí di essere stato lui, e che a nessun altro era permesso cucinare i pasti del padrone. Il Cavaliere Verde lo pregò allora di preparargliene ancora all'indomani. A questo punto, fu lo stesso cuoco che pregò la principessa di cucinare nuovamente il pasto per il padrone, esattamente allo stesso modo in cui l'aveva fatto il giorno prima, poiché il Cavaliere l'aveva cosí tanto gradito. Allora, la principessa mise altri tre cuccioli di vipera nella minestra successiva, e, questa volta, dopo averla mangiata tutta, il Cavaliere si sentí talmente bene che addirittura poté sedersi sul letto. Alla luce di questi clamorosi avvenimenti, tutti i medici rimasero stupefatti e nessuno seppe spiegare scientificamente il miracoloso miglioramento del Cavaliere Verde, allora, giunsero all'unica conclusione possibile che potevano essere state soltanto le loro medicine a fare finalmente effetto.

Il terzo giorno, la principessa dovette preparare nuovamente la zuppa, e vi mise gli ultimi tre cuccioli di vipera. Consumata anche quest'ultima dose, ecco che il Cavaliere saltò giù dal letto, perfettamente risanato. Immensamente grato al suo guaritore, volle andare giù nelle cucine per ringraziare personalmente l'autore di quelle minestre miracolose. Ora, avvenne che quando arrivò in cucina, ci trovò soltanto una servetta che stava lavando i piatti. Ma come la vide, riconobbe in lei la sua adorata fidanzata, e subito comprese quanto ella aveva fatto per salvarlo. L'abbracciò e disse: "Sei stata tu, dunque, a salvarmi la vita, curandomi dal veleno che mi fu iniettato quella volta in cui volai radente dalla tua finestra, quando rimasi ferito con quelle forbici che la tua perfida matrigna aveva nascosto sul davanzale?" Ella non poté negare, e ora il suo cuore rideva di gioia, insieme a quello dell'amato.

Poco tempo dopo, furono celebrate le nozze, lí, al castello verde del Cavaliere Verde, e ora essi saranno probabilmente ancora lí, insieme, a regnare sui territori verdi dalle grandi e vaste pianure verdi.

separatore grafico

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 

Frau Holle

Post n°592 pubblicato il 01 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Una vedova aveva due figlie. Una era bella e laboriosa, l'altra brutta e pigra. Ma la donna aveva molto più affetto per quella brutta e pigra perché era figlia sua, mentre l'altra era costretta a sbrigare tutte le faccende di casa come una serva, una cenerentola. Tutti i giorni la povera ragazza, seduta accanto al pozzo che c'era sulla via maestra, doveva filare, filare e filare fino a che le dita cominciavano a sanguinarle.

Un giorno successe che il fuso si era tutto imbrattato di sangue e la ragazza si spenzolò nel pozzo per sciacquarlo, ma il fuso le sfuggì di mano e cadde giù. La ragazza si mise a piangere, corse dalla matrigna e le raccontò la disgrazia che le era successa. Ma la donna la rimproverò aspramente e, senza muoversi a pietà, le disse: "Hai fatto cadere il fuso nel pozzo? Bene, e allora ritiralo fuori!". Così, la ragazza tornò al pozzo senza sapere cosa fare; angosciata com'era, non seppe trovare di meglio, per recuperare il fuso, che saltare lei stessa dentro al pozzo. Perse i sensi, e quando si ridestò e tornò in sé, si ritrovò in un bel prato dove il sole splendeva su mille e mille fiori colorati. Prese a camminare e arrivò a un forno pieno di pane; il pane gridava: "Oh, tirami fuori, tirami fuori, se no brucio. E' un bel pezzo che son cotto!". La ragazza si avvicinò e con la pala tirò fuori, uno per uno, tutti i pani. Poi riprese il cammino e arrivò vicino a un albero carico di mele; l'albero gridò: "Oh, scuotimi, scuotimi, noialtre mele siamo bell'e mature!" La ragazza scosse l'albero così che le mele caddero a pioggia, e continuò a scuoterlo finche' sulla pianta non rimase un solo frutto. Dopo aver raccolto tutte le mele in un bel mucchio, proseguì per la strada. Alla fine arrivò in vista di una casetta alla quale stava affacciata una vecchia. La ragazza si spaventò perché la donna aveva dei dentoni da non si dire, ma, mentre faceva l'atto di scappar via, la vecchia le rivolse la parola: "Perche' hai paura, bambina mia! Resta da me, se farai tutte le faccende di casa a puntino, ti troverai bene! Devi solo stare attenta a rifarmi il letto per bene e a sprimacciarlo a dovere, perche' le piume volino via e cada così la neve sulla terra. "Io sono Frau Holle".

Data la gentilezza con cui la vecchia le aveva parlato, la ragazza riprese coraggio, accettò la proposta e si mise al servizio della donna. Svolse tutti i lavori con piena soddisfazione della vecchia e il letto lo sprimacciava sempre con tale energia che le piume volavano all'intorno come fiocchi di neve. In cambio, stava bene in quella casa, mai una parola cattiva, e tutti i giorni in tavola non mancava né il lesso né l'arrosto. Era già un bel pezzo che la ragazza stava da Frau Holle, quando, a un certo punto, cominciò a sentirsi triste. All'inizio non sapeva neppure lei cosa le mancava, ma alla fine si rese conto di avere nostalgia di casa. Benché qui, da Frau Holle, stesse mille volte meglio che a casa sua, sentiva però nostalgia di tornarci. Ne parlò con la vecchia: "Mi è venuta nostalgia di casa, e anche se laggiù non sto bene come qui, non posso restare ancora; devo tornare dai miei". Frau Holle rispose: "Mi fa piacere che tu desideri tornare a casa, e poiché mi hai servito così fedelmente, ti voglio portare lassù io stessa". La prese per mano e la condusse davanti a un grande portone. Questo si aprì, e, appena la ragazza fu sotto la volta, cadde giù una scrosciante pioggia d'oro, e tutto quell'oro, che era davvero tanto, le restò attaccato addosso."E' giusto che tu lo abbia, perche' sei stata laboriosa", disse Frau Holle, riconsegnandole anche il fuso che le era caduto nel pozzo. In quel mentre il portone si richiuse e la ragazza si trovò lassù nel mondo, non distante dalla casa della madre. E quando arrivò nel cortile, il galletto che era appollaiato sul pozzo cominciò a cantare:

"Chicchirichì!
La nostra fanciulla tutta d'oro, eccola qui!"

Entrò in casa e, dato che era tutta coperta d'oro, ebbe una buona accoglienza dalla madre e dalla sorella. La ragazza raccontò tutto quello che le era capitato, e quando la madre sentì come le era arrivata tutta quella ricchezza, s'intese di procurare la stessa fortuna alla figlia brutta e pigra. Quest'ultima dovette mettersi accanto al pozzo a filare, e, per sporcare di sangue il fuso, si punse la mano infilandola fra i rovi. Poi gettò il fuso nell'acqua e ci saltò dentro anche lei. Come l'altra arrivò su un bel prato e imboccò il medesimo sentiero. Quando fu in prossimità del forno, ecco il pane che grida: "Oh, tirami fuori, tirami fuori, se no brucio! E' un bel pezzo che son cotto". Ma la pigra rispose: "Sì, avessi voglia di sporcarmi!" e tirò avanti. Subito dopo arrivò vicino al melo, che gridò: "Oh, scuotimi, scuotimi, noialtre mele siamo bell'e mature!". Ma lei rispose: "Ma che sei matto, me ne avesse a cascare una in capo!". E tirò dritto. Quando fu davanti alla casa di Frau Holle, non ebbe paura perché sapeva già dei dentoni, e subito si mise al suo servizio. Il primo giorno, facendo forza su se stessa, fu laboriosa ed eseguì tutto quello che Frau Holle le diceva di fare. Il secondo giorno, però, cominciò a bighellonare, e il terzo ancora di più e finì che la mattina non voleva neppure alzarsi. Non rifaceva neanche a dovere il letto di Frau Holle e non lo sprimacciava in modo che le piume volassero via. Tutto ciò non piacque alla vecchia che la licenziò. La pigra ne fu contenta perché pensava che adesso sarebbe stato il momento della pioggia d'oro. Frau Holle condusse anche lei al portone, ma, quando fu sotto la volta, al posto dell'oro, le si riversò addosso un paiolo di pece. "E' in ricompensa dei tuoi servigi", disse Frau Holle, e chiuse il portone. La pigra arrivò a casa, ma era coperta di pece, e il galletto sul pozzo, appena la vide, si mise a gridare:

"Chicchirichì,
la nostra fanciulla tutta sudicia, eccola qui!"

E la pece le restò attaccata addosso e non volle andarsene finché visse.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 

Fiocco di neve

Post n°591 pubblicato il 01 Settembre 2011 da odette.teresa1958

C'era una volta un contadino di nome Ivan, e sua moglie, Maria. Essi sarebbero stati veramente felici se non fosse stato per un fatto: non avevano figlioli con cui giocare, e siccome erano ormai in età avanzata, non restava loro che guardare con ammirazione ai figli dei loro vicini, anche se non ciò non era certamente come averne dei propri.

Venne un inverno tanto duro che nessuno avrebbe mai dimenticato: la neve era così profonda che arrivava alle ginocchia di qualunque uomo, perfino del più alto. Quando finalmente ebbe smesso di nevicare, e il sole tornò a splendere, i bambini tornarono gioiosi a giocare per la strada, mentre Ivan e sua moglie stavano seduti alla finestra a rimirarli. I bambini costruirono prima una specie di piedistallo e lo impressero bene a terra con i piedi, dopodiché costruirono una donna di neve. Ivan e Maria osservavano e pensavano a molte cose. Improvvisamente, il volto di Ivan si illuminò, e, voltandosi verso sua moglie, disse: "Moglie, perché non la facciamo anche noi una donna di neve?" "Perché no?" rispose Maria, che in quel momento era molto di buon umore: "potrebbe essere divertente, anche se in realtà è una cosa del tutto inutile. Facciamo un bambino di neve, invece, e fingiamo che sia vero." "Si, facciamo così", disse Ivan. Prese il cappello e andarono tutti e due in giardino.

Così, si misero tutti e due alacremente al lavoro, per creare una bella bambola di neve; diedero forma al corpo, e poi vi lavorarono mani e piedi. In cima, vi misero una palla di neve, che sarebbe diventata la testa. "Che diamine state facendo?" chiese un passante. "Non indovini?" rispose Ivan. "Stiamo facendo una bambina di neve", rispose Maria. Avevano terminato già il naso e il mento. Avevano lasciato due fori per gli occhi, poi Ivan diede forma con molta cura alla bocca. Aveva fatto così presto, che avvertì un respiro caldo all'altezza del mento. Proseguì a formarla, e con sorpresa vide che gli occhi della bambina di neve fissavano i suoi, e le sue labbra, che erano rosse come lamponi, gli sorridevano! "Cosa succede?" gridò Ivan, "sto diventando matto, o questa cosa è stregata?" Alché la bambina di neve mosse il capo come se fosse una bambina vera. Mosse gambe e piedi nella neve come facevano tutti gli altri bambini. "Oh, Ivan, Ivan!" esclamò Maria, tremante di gioia, "il Cielo ci ha mandato una figlia finalmente!" E così dicendo si buttò verso Fiocco di Neve (questo era il nome della fanciulla di neve), e la ricoprì di baci. Così facendo, la neve si sciolse da Fiocco di Neve come un guscio d'uovo si squaglia, e davanti a loro ci fu improvvisamente una vera bimba in carne ed ossa, tra le braccia di Maria. "Oh, mia piccola cara Fiocco di Neve!" esultò Maria, e la portarono dentro con loro.

Passò del tempo, e Fiocco di Neve crebbe velocemente; cambiava di giorno in giorno, e si faceva sempre più bella. La vecchia coppia riuscivano a malapena a contenere la loro gioia, e non riuscivano a pensare ad altro. La loro casetta era sempre piena di ragazzi, poiché Fiocco di Neve piaceva a tutti, e non c'era niente al mondo che essi non avrebbero fatto per farle piacere. Era la loro bambola, ed erano sempre presi a creare nuovi abiti per lei; le insegnavano sempre nuove canzoni e giocavano con lei, ed ella era così intelligente! Notava tutto, e riusciva ad imparare una lezione in un momento. Sembrava anche più grande di quanto fosse in realtà, e, cosa più importante, era buona e ubbidiente. E così bella, anche! Aveva la pelle bianca come la neve, gli occhi blu come i non-ti-scordar-di-me, e lunghi e fluenti capelli d'oro. Soltanto le guance non avevano colore, ma erano chiare come la sua fronte.

Passò l'inverno, finché finalmente la primavera giunse a illuminare e scaldare con i raggi del sole la terra. L'erba dei prati si fece verde, e si ricominciò a sentire i passerotti cinguettare. Le ragazze del villaggio si incontravano e ballavano in cerchio, cantando, "Bella primavera, come sei venuta qui? Come sei venuta qui? Ti ha condotta qui una freccia? O è stato un aratro?" Solo Fiocco di Neve stava seduta tranquilla alla finestra della casetta. "Che cosa succede, bimba mia?" chiese Maria. "Perché sei così triste? Sei malata? Ti hanno forse trattata male?" "No," rispose Fiocco di Neve, "non è niene, mamma, nessuno mi ha fatto del male, sto bene."

La primavera aveva cacciato via l'ultima neve dai tetti, i campi erano ormai pieni di fiori, gli usignoli cantavano sugli alberi, e tutto intorno era gaio e solare. Ma più allegri diventavano gli uccelli, e più triste si faceva Fiocco di Neve. Si tenne al riparo dai compagni di gioco, e si raggomitolava quando le ombre si facevano più scure, come un lillà fa con le sue foglie. Il suo unico piacere era accoccolarsi all'ombra dei verdi salici vicino ai vivaci torrenti. Solo all'alba e al tramonto sembrava felice. Quando accadeva qualche temporale, e la terra si faceva bianca per la grandine, allora, si, che tornava ad essere la gioiosa Fiocco di Neve di sempre; ma come le nuvole passavano, e la grandine si scioglieva in acqua nel terreno, ella scoppiava a piangere a dirotto.

Passò anche la primavera, e si arrivò alla notte di San Giovanni, detta anche la Notte di Mezza Estate. Quella era la festa più importante dell'anno, quando le giovinette escono la sera e si incontrano nel bosco per ballare e cantare. Andarono a bussare alla porta di casa, e chiesero a Maria il permesso di portare anche Fiocco di Neve con loro. Ma Maria era preoccupata; non sapeva dire il perché, ma sentiva che era meglio non lasciarla andare; Fiocco di Neve non desiderava di andarci, ma Maria non si era preparata una scusa per rifiutare, così, baciò la bambina e disse: "Vai, Fiocco di Neve, e divertiti con i tuoi amici; e voi, ragazze, state attente a lei. Sapete che è la luce dei miei occhi." "Oh, non si preoccupi, ci prenderemo noi cura di Fiocco di Neve" risposero le ragazze allegramente, e poi corsero tutte insieme verso il bosco. Indossarono ghirlande, raccolsero fiori e ne fecero dei mazzolini, e cantarono canzoni, alcune malinconiche, altre allegre. Così fece anche Fiocco di Neve. Al tramonto accesero il fuoco, e si misero tutte in fila, con Fiocco di Neve in fondo a tutte. "Ora guarda noi, " dissero, "e salta come facciamo noi." E tutte a cantare e saltellare intorno al fuoco.

Improvvisamente, vicino a loro, si udì un lamento, poi un gemito sempre più forte. "Che cos'è stato?" si chiesero, guardandosi fra di loro, ma nulla. Si guardarono ancora, ma dov'era finita Fiocco di Neve? Pensarono che forse si era nascosta per gioco, e la cercarono dappertutto. La chiamarono ovunque a gran voce: "Fiocco di Neve! Fiocco di Neve!" Ma nessuna risposta. "Dove può essere? Sarà andata a casa?" Tornarono al villaggio, ma di Fiocco di Neve non c'era traccia.

Quattro giorni dopo la cercarono ovunque, da cima a fondo, guardando in ogni angolo di bosco, in ogni cespuglio, in ogni angolo, ma non c'era traccia di lei da nessuna parte. E quando, dopo molto tempo, ognuno al villaggio aveva perso ogni speranza di ritrovarla, Ivan e Maria presero a vagare per la foresta gridando: "Fiocco di Neve, mia colomba, ti prego, torna a casa!" E spesso credevano di avvertire la sua voce, ma non era mai la sua.

Che ne era stato di Fiocco di Neve? Era forse stata divorata da qualche bestia feroce, nella foresta? Era forse stata rapita e portata via in volo da qualche potente uccello? No, nessun animale l'aveva toccata, e nessun uccello l'aveva portata via. Con il primo alito di calore che le fiamme avevano emanato sul suo corpo la notte in cui ballò nel bosco con le amiche, Fiocco di Neve si era sciolta per sempre, evaporando in una picolissima e soffice foschia. Questo fu tutto quello che rimase di lei.

separatore grafico

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 

Preti e topi

Post n°590 pubblicato il 01 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Ci mancavano solo i topi,lettori miei!
So che un'invasione di topo solitamente non fa notizia,ma se si verifica a S.Tobia e per di più nella cantina di Ireneo Cornacchioni,la cosa cambia aspetto.
Una persona normale non si porrebbe problemi e si rivolgerebbe ad esperti,ma non essendo Ireneo normale,questa settimana è successo di tutto e di più,come vedrete.
LUNEDI'- Non essendo tipo da mezze misure,Ireneo ha fatto ricorso al kalashnikov,sparando all'impazzata in cantina.
La polizia gli ha sequestrato un arsenale che se lo vedessero i casalesi sverrebbero.
MARTEDI'- Privato dell'artiglieria,il Cornacchioni ha usato lo spegnimoccoli,sequestrato pure quello.
MERCOLEDI'- Deciso ad annegare i topi,Ireneo ha noleggiato un'autobotte da 200 litri.
Risultato.non ha allagato la cantina,ma la farmacia adiacente di proprietà di Baldovino Fetidoni,salvato da morte certa dall'Anarchico.
GIOVEDI'- Oggi Ireneo ha provato a stanare i topi coi suffumigi.
Mezzo paese èstato evacuato perchè si temeva una nube tossica.
VENERDI'- Ireneo ha piazzato in cantina 1643 trappole per topi.Evaristo è in prognosi riservata.
SABATO- Stufo marcio,Ireneo ha fatto saltare la cantina,con questi risultati:
Morte certa di tutti i topi
Distruzione delle case del Fetidoni,dei Lepracchioni e di quella di Virgilio Scozzagalli
Crollo dell'unico lampione di S.Tobia
Gravi lesioni al campanile
Disintegrazione dei vetri nel raggio di 30 km
Fuga di tutti gli animali dei Martellacci e dei Trogoloni
Domenica-Protetto da 150 agenti di polizia,Ireneo ha lasciato S.Tobia.
Sono passate tre settimane.
Evaristo passa il tempo a compilare una lista delle torture da inflieggere al fratello quando lo troverà.
La Marianna ha chiesto e ottenuto il finanziamento previsto dal governo per le calamità naturali ed ha ripudiato Ireneo.
Il Fetidoni,i Lepracchioni e gli Scozzagalli vivono in roulotte e hanno citato Ireneo ha Forum.
Gli animali sono ancora introvabili,tranne Cesarone che è stato ritrovato arrampicato su una quercia.
Ireneo è introvabile.Si vocifera sia in Alaska.
Lo sostituisce don Pericle Frollocconi (uno dei 56 nipoti dell'Ildebrando)
Riuscirà il nostro pretone a tornare a S.Tobia senza essere ucciso?
Con questo dubbio amletico vi saluto

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 

Se devi amarmi

Post n°589 pubblicato il 01 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Se devi amarmi, per null'altro sia
se non che per amore; non dire mai:
"L'amo per il sorriso, per lo sguardo,
la gentilezza del parlare, il modo
di pensare conforme al mio,
che mi rese sereno un giorno". Queste
son tutte cose che posson mutare,
Amato, in sé o per te, e un amore
così sorto potrebbe poi morire.
E non amarmi per pietà di lacrime
che bagnino il mio volto. Può scordare
il pianto chi ebbe a lungo il tuo conforto,
e perderti. Soltanto per amore
amami - e sempre, per l'eternità.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 

Vitaliano Ravagli

Post n°588 pubblicato il 01 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Vitaliano Ravagli (Imola, 23 luglio 1934[1]) è un antifascista italiano. È noto per aver scritto, insieme al collettivo Wu Ming, il romanzo Asce di guerra, in cui si narra l'esperienza autobiografica di Ravagli dai tardi anni trenta fino al 1958.

 Biografia

Dopo un'infanzia segnata dalla povertà e dalle sofferenze della guerra, lavorò come falegname in varie botteghe e in una cooperativa; allo stesso tempo si prendeva cura dei familiari, in gran parte affetti da tubercolosi[2].

Attivista comunista, noto anche con il nome di battaglia Gap[3], tra la fine degli anni quaranta e i primi anni cinquanta partecipò a numerose manifestazioni operaie, avendo frequenti scontri con le forze dell'ordine. Nel 1948 si iscrisse alla FGCI, pur collocandosi su posizioni critiche rispetto allo scarso slancio rivoluzionario del Partito[4].

Nel 1956 disertò il servizio di leva e si recò clandestinamente a combattere nel Laos, in una brigata comunista che fiancheggiava il Viet Minh. Dopo quattro mesi rientrò in Italia e svolse il servizio militare in una compagnia di disciplina, il 21° Genio Pontieri di Trani. Nel 1958, terminato il periodo di leva e incapace di riadattarsi alla vita quotidiana, decise di fare ritorno nel Laos[5].

Nuovamente rientrato in Italia, si è sposato ed ha avuto due figli. La sua storia, narrata in due autobiografie pubblicate a proprie spese, I sentieri dell'odio e Il prato degli uomini spenti, è tuttavia rimasta sconosciuta ai più fin quando Ravagli è stato presentato ai Wu Ming da Carlo Lucarelli ed è nata l'idea di Asce di guerra[6].

 Polemiche

Vitaliano Ravagli è stato attaccato in più circostanze da quotidiani di centrodestra. In particolare, sono state oggetto di articoli fortemente polemici la partecipazione ad un dibattito all'Università di Perugia nel 2001[7] e la proiezione del documentario Le guerre di Vitaliano. Il vietcong romagnolo avvenuta in due circoli romani di Rifondazione Comunista nel 2003[8]. Repliche a tali articoli sono presenti nel sito della Wu Ming Foundation[9][10].

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 

Libri dimenticati:Asce di guerra

Post n°587 pubblicato il 01 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Scritto da Vitaliano Ravagli e i Wu Ming,questo libro racconta la straordinaria vita di Vitaliano Ravagli  l'unico italiano a partecipare dalla parte dei vietminh alla famosa battaglia di Dien Bien Phu.
Ravagli è un uomo sopra le righe,spesso scomodo e polemico,ma indubbiamente un gran personaggio che pochi conoscono e che io l'ho onore di avere come amico.
Il libro racconta la sua infanzia di miseria a Imola,come lui bambino ha vissuto la guerra (cominiciata quando lui aveva 6 anni) la sua militanza politica nel PCI,la sua ribellione,il suo anticonformismo.
Ravagli parla in prima persona e non fa sconti a se stesso è un uomo che o ami o detesti.
E' un libro da leggere!

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 

Frase del giorno

Post n°586 pubblicato il 01 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Se tutti i becchi fossero un lampione Madonna santa che illuminazione! (Anonimo fiorentino)

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 
 

Archivio messaggi

 
 << Settembre 2011 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
      1 2 3 4
5 6 7 8 9 10 11
12 13 14 15 16 17 18
19 20 21 22 23 24 25
26 27 28 29 30    
 
 

Cerca in questo Blog

  Trova
 

FACEBOOK

 
 
Citazioni nei Blog Amici: 4
 

Ultime visite al Blog

giovirocSOCRATE85comagiusdott.marino.parodisgnudidavidamoreeva0012lutorrelliDUCEtipregotornacrescenzopinadiamond770cdilas0RosaDiMaggioSpinosamaurinofitnessAppaliumador
 

Ultimi commenti

Ciao, serena serata
Inviato da: RicamiAmo
il 01/08/2014 alle 18:11
 
Ciao per passare le tue vacanze vi consigliamo Lampedusa...
Inviato da: Dolce.pa44
il 26/07/2014 alle 18:22
 
Buon pomeriggio.Tiziana
Inviato da: do_re_mi0
il 23/04/2014 alle 18:01
 
i gatti sono proprio così.:)
Inviato da: odio_via_col_vento
il 14/04/2014 alle 20:57
 
questi versi sono tanto struggenti quanto veritieri. Ciao e...
Inviato da: Krielle
il 23/03/2014 alle 04:38
 
 

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963