Messaggi del 05/09/2011

La figlia del sole

Post n°633 pubblicato il 05 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Un re e una regina, dopo averlo tanto atteso, stavano per avere un bambino.
Il re chiamò gli astrologhi per sapere se sarebbe stato maschio o femmina e quale destino avrebbe avuto. Gli astrologhi guardarono il cielo e dissero che sarebbe nata una bimba, e che a venti anni avrebbe fatto innamorare il sole e avrebbe avuto da lui una figlia.
Il re e la regina ci rimasero male di questo marito che sarebbe stato sempre in cielo, e fecero costruire una torre con finestre tanto alte che il sole non potesse entrare fino in fondo e vi rinchiusero la bambina con la balia.
La balia aveva una figlia della stessa età di quella del re, le due bambine crebbero insieme nella torre.
Avevano quasi venti anni quando, parlando di ciò che poteva esserci fuori, nel mondo, ebbero il desiderio di affacciarsi alla finestra. Fecero una catasta di sedie, salirono fino alla finestra e guardarono fuori. Il sole vide la figlia del re, se ne innamorò e le mandò un raggio, e da quel momento la ragazza attese una figlia dal sole.
Quando la bambina nacque la balia, che temeva la collera del re, l'avvolse ben bene con fasce d'oro da regina e l'abbandonò in un campo di fave.
Di lì a poco la figlia del re compì vent'anni e il padre la fece uscire dalla torre pensando che il pericolo fosse passato e non poteva immaginare che in quel momento la figlia di sua figlia e del sole stava piangendo in un campo di fave.
Da quel campo passò un altro re che andava a caccia, sentì i vagiti e si impietosì di quella bella e piccola creatura abbandonata. La prese con sé e la portò al suo castello dove la fece crescere con suo figlio, un po’ più grande di lei, ma di poco.
I due , divenuti grandi, si innamorarono e il figlio del re voleva sposare la ragazza, ma il padre, che era contrario a questo matrimonio, con una trovatella, la confinò in una casa solitaria senza sapere che essa era in grado di fare cose meravigliose, e cercò per il figlio una sposa di sangue reale.
Si prepararono le nozze, e furono mandati degli ambasciatori a portare confetti a tutti, anche alla figlia del sole.
Gli ambasciatori bussarono, la figlia del sole aprì la porta, ma era senza testa:
- Oh! Scusate- disse - Mi pettinavo e ho dimenticato la testa sulla toeletta, vado a prenderla.
Tornò con la testa sul collo e sorrise:
- Cosa vi dò per regalo di nozze?-.
Portò gli ambasciatori in cucina e disse:- Forno, apriti; legna, va' nel forno; fuoco, accenditi; forno, quando sei caldo chiamami -.
Gli ambasciatori, con i capelli dritti sulla testa, rimasero senza parole.
Quando il forno gridò:- Sora padrona, sono caldo!-
la figlia del sole vi si gettò con tutto il corpo, vi si rivoltò dentro e quando ne uscì aveva in mano un bel pasticcio dorato, che mandò al re come regalo di nozze.
Quando gli ambasciatori tornarono al palazzo e raccontarono quello che era successo, la sposa, ingelosita, disse che anche lei avrebbe saputo fare la stessa cosa e, messa subito alla prova dal figlio del re, fu costretta a saltare dentro un forno rovente e in un attimo era già morta bruciata.
Dopo un po' di tempo, il figlio del re si lasciò convincere a prendere un'altra moglie e il giorno delle nozze gli ambasciatori tornarono dalla figlia del sole a portarle i confetti; bussarono e la figlia del sole usci fuori passando attraverso il muro.
Come aveva fatto la prima volta, volle preparare un dono di nozze; ordinò al forno di accendersi e all'olio di andare nella padella. Quando l'olio fu caldo e la chiamò, la figlia del sole vi tuffo le dentro le dita che si trasformarono in dieci bei pesci fritti che mandò al re.
Gli ambasciatori tornarono al palazzo e raccontarono quello che avevano veduto, e la sposa, ingelosita, disse che anche lei era in grado di fare la stessa cosa.
Il principe la prese in parola, fece preparare una padella d'olio bollente, la poveretta ci tuffò le dita e si scottò così forte che le venne male e morì.
Trovarono una terza sposa per il principe e gli ambasciatori tornarono dalla figlia del sole a darle i confetti e la trovarono in aria che scivolava lungo una tela di ragno.
Anche questa volta volle preparare un dono di nozze: si tagliò un orecchio e ne uscì una trina così bella che, quando la portarono a corte, tutti vollero sapere da dove fosse uscita.
Quando la sposa ebbe ascoltato il racconto degli ambasciatori scioccamente si vantò di aver guarnito tutti i suoi abiti con una trina che aveva fatto allo stesso modo e quando il principe le dette un coltello dicendole:
- Prova un po'!-
La scriteriata si taglò un orecchio e ne uscì tanto sangue che morì.
Il principe, che era sempre più innamorato della figlia del sole, si ammalò di malinconia e nessuno riusciva a guarirlo.
Chiamarono infine una vecchia maga che disse che sarebbe guarito solo se avesse mangiato una pappa fatta di un orzo che in un'ora fosse seminato, nascesse, fosse raccolto e cucinato.
Il re era disperato, ma, ricordandosi di quella ragazza che faceva cose tanto meravigliose, la mandò a chiamare.
La ragazza andò a corte, preparò la pappa e lei stessa volle darla al principe che stava a letto con gli occhi chiusi.
La pappa era così cattiva che il figlio del re la sputò e un po' fini in un occhio della ragazza.
La figlia del sole si adirò e cominciò a dire:- Come osi sputare in un occhio a me, figlia del sole, nipote di re?
Il re che era vicino le chiese se veramente fosse nipote di re e alla sua risposta affermativa acconsentì alle nozze.
Il principe guari, sposò la figlia del sole che da quel giorno non fece più cose strane.

 
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Brancaleone

Post n°632 pubblicato il 05 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Tanto tempo fa in una regione ricca di foreste selvagge e di piane coltivate viveva un mugnaio brutale e rozzo, che aveva un asino dalle orecchie lunghe lunghe, con grosse labbra pendule, che se ragliava faceva risuonare la sua voce per tutta la piana.
Il mugnaio gli dava così poco da mangiare che l'asino non ce la faceva a sopportare il duro lavoro, e lo bastonava così tanto che al povero animale era rimasta solo la pelle sulle ossa ammaccate.
Una volta l'asino, arrabbiato per le botte che prendeva ogni giorno e per la scarsità del cibo, se ne andò dalla casa del mugnaio e col basto ancora sul dorso si allontanò per un buon tratto.
Dopo aver camminato tanto, ormai stanco morto, arrivò ai piedi di un bel monte, dall'aspetto ospitale, non selvaggio. E vedendolo così verdeggiante e bello, decise fra sé di salire sul monte per abitare lì tutto il resto della sua vita.
Mentre pensava queste cose, l'asino guardava intorno se qualcuno lo vedeva, e siccome non c'era nessuno che gli potesse dare fastidio, coraggiosamente salì sul monte, e con grande piacere si mise a pascolare, ringraziando il Cielo di averlo liberato dalle mani di quell'orribile tiranno e di avergli fatto trovare del cibo così buono per continuare la sua povera vita.
Mentre il buon asino abitava sul monte e si nutriva di piccole tenere erbe portando ancora il basto sul dorso, ecco un feroce leone uscire da un'oscura caverna: avendo visto l'asino lo guardò con molta attenzione, e rimase meravigliato per l'arroganza e il coraggio che aveva avuto salendo sul monte senza dirglielo e senza chiedergli il permesso. E siccome il leone fino ad allora non aveva mai visto animali di quella specie, ebbe paura di avanzare oltre.
L'asino quando vide il leone si sentì accapponare la pelle e gli si rizzarono tutti i peli, per lo spavento smise di mangiare e non osava fare una mossa. Il leone, facendosi coraggio, andò un po' avanti e gli disse:
"Che fai qua tu, caro compare? Chi ti ha dato il permesso di salire quassù? E chi sei tu?".
Allora l'asino si diede un tono gagliardo e gli rispose: "E tu chi sei per domandarmi chi sono io?".
Stupito da questa risposta il leone disse: "Io sono il re di tutti gli animali".
"E come ti chiami di nome?", gli chiese l'asino.
Lui rispose: "Leone è il mio nome, ma il tuo nome qual è?".
Allora l'asino tutto fiero disse: "E io mi chiamo Brancaleone!".
"Questo," si disse il leone, "dev'essere proprio più forte di me", e rivolto all'asino: "Brancaleone, il tuo nome e il tuo parlare mi dimostrano chiaramente che tu sei più possente e più gagliardo di me; ma voglio che facciamo qualche prova".
Allora l'asino si sentì molto più ardito e girando il suo deretano verso il leone disse:
"Vedi questo basto e la balestra che ho sotto la coda? se io te la facessi sentire ci rimarresti secco". E così dicendo tirò un paio di calci in aria e sparò una scarica di peti che fecero quasi svenire il leone.
Sentendo il gran rimbombo dei calci e il rumore tonante che veniva fuori dalla balestra, il leone si era spaventato moltissimo, e siccome ormai era quasi sera, disse:
"Fratello mio, io non voglio che litighiamo, né che ci ammazziamo, perché non c'è cosa peggiore della morte, voglio che andiamo a riposarci, e quando sarà venuto il nuovo giorno ci ritroveremo e faremo una gara di tre grandi prove; chi tra noi due sarà vincitore, diventerà padrone di questo monte", e così rimasero d'accordo.
La mattina dopo si incontrarono e il leone, che voleva vedere qualche bella prodezza, disse:
"Brancaleone, mi piaci moltissimo, e non sarò contento finché non ti vedrò compiere qualche meravigliosa impresa".
Camminando insieme arrivarono a un fossato largo e profondo, e il leone disse:
"Ora è giunto il tempo che vediamo chi di noi due è più bravo a saltare questo fosso".
Il leone, gagliardo com'era, si avvicinò al fosso e con un balzo fu dall'altra parte; l'asino quando fu sulla sponda si fece animo e saltò, ma saltando cadde in mezzo al fosso, e finì a cavalcioni di un tronco rimanendo lì sospeso, e un po' pendeva da una parte, un po' dall'altra, rischiando di rompersi l'osso del collo.
Vedendolo il leone gli chiese: "Che fai caro compare?"
L'asino, che era trascinato via dalla corrente a gran velocità, non rispondeva. Allora il leone, temendo che l'asino morisse, scese nel fosso e gli prestò aiuto. L'asino, appena fu fuori da quel pericolo, si diede un tono fiero e rivoltandosi contro il leone gliene disse di tutti i colori. Il leone rimase di sasso, e tutto meravigliato gli chiese perché lo offendeva così, dopo che gli aveva salvato la vita. L'asino, accendendosi di sdegno, rispose con fare superbo:
"Ah! Disgraziato ignorante, tu mi chiedi perché ti offendo? Sappi che mi hai privato del piacere più soave che io abbia mai goduto nella mia vita. Tu pensavi che morissi, e invece io mi divertivo ed ero felice".
"E qual era il tuo divertimento?", chiese il leone.
"Io," rispose l'asino, "mi ero messo su quel tronco, e pendevo un po' da una parte e un po' dall'altra, perché volevo ad ogni costo scoprire che cosa mi pesava di più, se il capo o la coda".
Disse il leone: "Ti prometto sul mio onore che non ti darò più fastidio in nessun caso, e mi rendo conto fin da questo momento che sarai tu il padrone del monte".
Andarono via da quel posto e arrivarono a un fiume largo e vorticoso, e il leone disse:
"Voglio, Brancaleone mio, che ciascuno di noi dimostri quanto vale guadando questo fiume".
"Mi sta bene," disse Brancaleone, "ma voglio che cominci tu".
Il leone, che sapeva nuotare benissimo, con grande agilità attraversò il fiume, e dall'altra sponda gridò: "Compare, che fai? attraversa anche tu il fiume".
L'asino, capendo che non poteva tirarsi indietro, si buttò nell'acqua e nuotò tanto che ce la fece ad arrivare in mezzo al fiume, ma catturato dai gorghi un momento finiva a testa in giù, poi si trovava rigirato, poi andava tutto sott'acqua, tanto che il leone non lo vedeva quasi più. Ricordandosi che l'asino lo aveva maltrattato, se da una parte avrebbe voluto aiutarlo, dall'altra aveva paura che se lo salvava Brancaleone si sarebbe arrabbiato tanto da ucciderlo. Era molto incerto, ma a un certo punto decise, qualunque cosa potesse capitare, di aiutarlo, e si tuffò, gli andò vicino, e dopo averlo afferrato per la coda lo tirò e lo fece uscire dall'acqua.
Quando si vide al sicuro sulla riva del fiume e capì che ormai non annegava più, l'asino si rannuvolò tutto, e fremente d'ira urlò:
"Ah, infame! Ah, ribaldo! non so chi mi tenga dallo scoccare la mia balestra e farti sentire quello che non vorresti provare! Tu sei la mia disgrazia e mi privi di tutte le gioie. Quando mai potrà capitarmi di divertirmi come poco fa?".
Il leone, che aveva più paura di prima, disse: "Io, caro compare, avevo paura che tu annegassi nel fiume, e perciò sono venuto e ti ho aiutato, pensando di farti un piacere, non certo un dispiacere".
"Non dire più nulla," ribattè l'asino, "voglio che tu mi dica solo una cosa: quale beneficio, quale vantaggio hai ricavato dall'attraversamento del fiume?".
"Nulla", rispose il leone.
E l'asino voltandosi disse: "Guarda bene se godevo mentre ero nel fiume", e scrollandosi l'acqua gli fece vedere i pesciolini e gli altri animaletti che gli uscivano dalle orecchie, e con voce addolorata disse:
"Vedi che errore hai fatto? Se io andavo in fondo al fiume prendevo con mio immenso piacere dei pesci che ti avrebbero riempito di meraviglia. Ma fa in modo di non darmi più fastidio d'ora in avanti, perché sennò da amici come siamo diventeremmo nemici, e sarebbe peggio per te. E anche se tu mi vedessi morto, voglio che tu non ci pensi, perché quello che a te sembrerà morte, per me sarà piacere e vita".
Ormai il sole stava tramontando, e il leone propose al suo compare che tutti e due andassero a riposare, per ritrovarsi la mattina dopo.
Appena fu giorno, l'asino e il leone si incontrarono, e decisero di andare a caccia uno da una parte e uno dall'altra, per poi ritrovarsi in un posto a una certa ora: il monte sarebbe stato del cacciatore più bravo. Il leone cominciò a inseguire le sue prede, e ne prendeva tante, mentre l'asino, trovando la porta di una casa aperta, entrò dentro e vedendo nell'aia un immenso mucchio di sorgo si mise lì e ne mangiò tanto e tanto che il suo pancione rischiava di scoppiare. Poi, tornato al luogo dell'appuntamento, si stese a dormire, ed essendo così pieno spesso alzava la coda e scoccava la balestra, che si apriva e si chiudeva come la bocca di un grosso pesce.
Volando da quelle parti una cornacchia lo vide, e siccome era sdraiato in terra e non si muoveva sembrava morto, e così guardando il sorgo mal digerito sotto la coda dell'asino accanto al deretano tutto imbrattato, la cornacchia si posò e cominciò a mangiare il sorgo, e beccando andò tanto avanti che per beccare gli mise la testa dentro il corpo. L'asino, sentendosi beccare strinse il didietro, la cornacchia rimase col capo dentro e soffocò.
Giunse il leone con tutte le sue prede e disse all'asino: "Hai visto che animali ho preso, caro compare?"
L'asino gli domandò: "E come hai fatto a prenderli?".
Il leone raccontava in che modo li aveva cacciati, ma l'asino lo interruppe dicendo: "Ah, pazzo e sciocco che sei! Hai durato una fatica immane andando per boschi, foreste e montagne, mentre io me ne sono stato qua comodamente disteso e con il mio deretano ho catturato tante cornacchie e tanti altri animali che ho nella pancia, che come vedi è bella piena. Mi è rimasta mezza fuori solo questa cornacchia, che ho riservato a te, e ti prego di accettarla per farmi contento".
Allora il leone ebbe ancora più paura, e dopo aver preso la cornacchia per far piacere al compare se ne andò.
Mentre correva via piuttosto impaurito, si imbatté nel lupo che andava molto di fretta.
Il leone gli disse: "Compare lupo, dove vai solo solo, così di fretta?"
Il lupo rispose: "Ho da fare una faccenda della massima importanza".
Il leone voleva trattenerlo, ma il lupo temeva il leone e faceva di tutto per andarsene. Il leone, sicuro che andando da quella parte il lupo rischiava la vita, gli consigliava di non andarci:
"Perché," gli disse, "poco più avanti c'è Brancaleone, un animale ferocissimo, che ha sotto la coda una balestra con la quale spara dei colpi esplosivi, e chi ne è colpito è spacciato. Ha poi sul dorso una cosa bigia di pelle durissima che lo copre quasi tutto, compie grandi prodezze, e spaventa chiunque gli si avvicina".
Ma il lupo, avendo capito bene dalla descrizione del leone di quale animale stava parlando, disse: "Compare, non aver paura, perché quello si chiama asino, è l'animale più vigliacco che sia stato creato, e non sa compiere altre imprese che portare la soma e prendere le bastonate. Io da solo ai miei tempi ne avrò divorato un centinaio. Andiamo compare, senza timore, e vedrai bene che è come dico io".
"Compare," replicò il leone, "io non voglio venire, e se ci vuoi andare, vacci da solo".
Il lupo continuava a dirgli che non c'era proprio da aver paura, e il leone, vedendo che il lupo non cambiava idea, disse:
"Siccome tu vuoi che venga con te e dici che non c'è pericolo, voglio che ci leghiamo perbene per la coda, così se attaccherà resteremo insieme e ci aiuteremo a scappare".
Così si annodarono strette le code e andarono a trovarlo.
L'asino, che si era alzato in piedi e stava brucando l'erba, vide il leone e il lupo di lontano, s'impaurì e fece per scappare, ma il leone, indicando Brancaleone al lupo, disse:
"Guarda che si muove, ora ci attacca, non aspettiamo o ci farà fuori!".
Il lupo, che aveva visto e riconosciuto l'asino, disse: "Fermati compare, non dubitare che quello è l'asino!"
Ma il leone impaurito scappò a gambe levate, e correva tra alberi e cespugli spinosi, saltando ora una macchia, ora un'altra, e mentre balzava una lunga spina gli cavò un occhio. Credendo di essere stato colpito dall'arma che Brancaleone portava sotto la coda, senza smettere di correre disse al lupo:
"Compare, non te l'avevo detto io che bisognava scappare? Mi ha cavato un occhio con la sua balestra!".
Correndo sempre più forte tirava il lupo e lo strascicava su cespugli spinosi, per fossi scoscesi, attraverso fitti boschi e altri luoghi accidentati e impervi, finché il lupo tutto ammaccato e lacerato morì.
Quando si sentì in un posto sicuro il leone si fermò e disse:
"Compare, ora sciogliamoci le code", ma il lupo non rispondeva nulla.
Allora il leone voltandosi vide che era morto e rimase di sasso, poi disse:
"Compare, non te l'avevo detto io che ti avrebbe ucciso? Tu hai perso la vita, e io l'occhio sinistro, ma meglio aver perso una parte che il tutto".
Si sciolse la coda, lasciò lì il lupo morto e andò ad abitare per sempre nelle caverne e nelle foreste, mentre l'asino rimase signore e proprietario del monte ospitale, dove visse per tanto tempo allegramente.



di Gianfrancesco Straparola

 
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Il palazzo della regina dannata

Post n°631 pubblicato il 05 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Viveva nei tempi passati una vecchia vedova che faceva la filatrice, e aveva tre figliole, filatrici pure loro. Per quanto s'affaticassero a filare mattino e sera, le tre filatrici non giungevano mai a mettere da parte un centesimo, perché il guadagno bastava appena alle loro spese.
Intanto, alla vecchia venne una gran febbre, e in due o tre giorni la ridusse in fin di vita. Chiamò intorno al letto le figliole tutte in lagrime, e disse:
- Non piangete; sono vecchia e piú che vecchia non si campa, sicché un giorno o l'altro vi doveva toccare di vedermi morta. Quello che mi rincresce è di lasciarvi cosí povere, ma avete un mestiere e potete campare; io intanto pregherò Dio che vi aiuti. Di dote non posso lasciarvi altro che i tre gomitoli di canapa filata che sono nell'armadio, - e detto questo, la madre spirò.
Dopo qualche giorno le sorelle discorrevano tra loro.
- Domenica è Pasqua, - dissero. - E non abbiamo da fare un pranzo come si deve.
Disse Maria, che era la maggiore:
- Venderò il mio gomitolo e ci compreremo il pranzo -.
Difatti, il giorno di Pasqua, portò il gomitolo al mercato. Era canapa filata come si deve, e lo vendette molto bene. Comprò pane, un quarto d'agnello e il vino. Tornava a casa con tutta questa roba, quando le corse addosso un cane, le addentò il quarto d'agnello e il pane, ruppe il fiasco, e scappò via, lasciandola mezza tramortita dalla paura. Maria tornò a casa a raccontare il fatto alle sorelle, e per quel giorno si sfamarono con un po' di pane nero.
- Domani voglio andare io, - disse Rosa, la mezzana, - vedremo se il cane mi darà noia.
Andò, vendette il suo gomitolo, comprò una coratella, il pane e il vino, e s'avviò a casa per un'altra strada. Ed ecco che quel cane corse addosso anche a lei, portò via la coratella e il pane, ruppe il fiasco e scappò. Rosa, che era piú coraggiosa di Maria gli corse dietro, ma non poté raggiungerlo e tornò a casa trafelata, a raccontare tutto alle sorelle. Anche quel giorno bisognò che facessero pranzo col pane nero.
- Domani ci andrò io, - disse Nina, la piú piccola, - e vediamo se il cane riesce a farla anche a me.
La mattina dopo, piú presto delle altre volte, prese il suo gomitolo, lo vendette e fece una buona provvista. Mentre tornava a casa per un'altra strada, le andò addosso quel cane, ruppe il fiasco e portò via tutto il resto. Nina prese a corrergli dietro, e corri, corri lo vide entrare in un palazzo.
Nina pensò: " Se mi vede qualcuno di qui dentro, gli dirò del cane che ci ha rubato il pranzo per tre giorni e mi farò ridare il danaro ", e cosí pensando entrò.
Salí le scale e c'era una bella cucina col fuoco acceso, e roba che bolliva in pentole e in tegami e uno spiedo con un quarto d'agnello. Nina alzò il coperchio d'una pentola e ci vide la carne che aveva comprato poco prima; guardò in un tegame e vide cuocere la coratella; nella madia c'erano i tre pani. Continuò a girare la casa e non vide anima viva; ma in tinello c'era una tavola apparecchiata per tre. " Pare proprio che ci abbiano apparecchiato il pranzo, - pensò Nina, - e con la nostra roba, per giunta! Se ci fossero le mie sorelle mi metterei a tavola! "
In quel momento sentí passare un barroccio per la strada; s'affacciò alla finestra e siccome il barrocciaio era uno di sua conoscenza, lo pregò d'avvisare le sue sorelle che le aspettava lí, e che c'era pronto un bel pranzo.
Quando le sorelle arrivarono, Nina raccontò loro ogni cosa e disse:
- Mettiamoci a tavola. Se vengono i padroni, spiegheremo che mangiamo del nostro.
Le sorelle non si fidavano tanto, ma la fame stringeva dappresso, cosí si misero a tavola. Era venuto buio, e d'improvviso le tre ragazze videro chiudere le finestre e accendersi i lumi. Non s'erano ancora riavute dalla meraviglia, quando videro il pranzo venire a posarsi da sé sulla tovaglia.
- Chiunque sia che ci risparmia la fatica, - disse Nina, - noi lo ringraziamo. E ora, sorelle mie, buon appetito, - e addentò l'agnello.
Le sorelle, con la paura in corpo che avevano, masticavano a fatica, e si guardavano intorno aspettandosi che da un momento all'altro saltasse fuori qualche mostro.
Nina invece diceva: - Se non ci volevano a pranzo qui, non dovevano apparecchiare per noi, accenderci i lumi, e servirci a tavola.
Dopo cena, cominciarono ad aver sonno e Nina le portò in giro per la casa, finché non trovarono una camera con tre bei letti preparati. - Ora andiamo a dormire, - disse.
-0 piuttosto, - dissero le sorelle, - torniamo a casa nostra, perché qui abbiamo paura.
-Brave grulle! - disse Nina. - S'è trovato il verso di star bene e dovremmo andarcene! Io per me vado a letto, sarà quel che sarà!
Le aveva già convinte a restare, quando dal fondo delle scale si sentí una voce:
- Nina, fammi lume.
Le sorelle si spaventarono. - Gesummaria! Chi sarà? Non ci andare, Nina!
-Io ci vado, - disse Nina. Prese il lume e scese le scale. Si trovò in una stanza dov'era una Regina incatenata che buttava fuoco dalla bocca dagli orecchi e dal naso.
-Nina, dimmi: vuoi far fortuna? - disse la Regina, parlando tra le fiamme.
- Sí.
-Ma bisogna che t'aiutino anche le tue sorelle.
-Glíelo dirò.
-Ma bada che dovete fare cose terribili, e se vi viene paura morirete.
- Le persuaderò.
-Va bene. Apri quei tre cassoni: sono pieni di vestiti da regina, tutti d'oro e di gemme. Sappi che io ero la Regina di Spagna; m'innamorai d'un giovane di questa città ed è per colpa sua che mi trovo dannata. Ora, dopo il male che m'ha fatto, vorrebbe sposarsi un'altra, ma io voglio che venga a soffrire con me com'è giusto. Domani mettiti il mio abito, acconciati a mia immagine e somiglianza, e poi affacciato alla ringhiera con un libro in mano. Vedrai che a una cert'ora passerà quel giovane e ti dirà: " Signora, gradisce una mia visita? " Tu digli di sí, invitalo a prendere il caffè, e dàgli questa tazza avvelenata. Quando cadrà morto portalo quaggiú, apri questo cassone, buttalo dentro, e accendigli intorno quattro candele. lo ero ricchissima: questo è il libro dei miei beni, col quale potrai rilevarli dalle mani dei fattori, che ora mi scroccano ogni cosa.
Nina tornò su e raccontò tutto alle sorelle. - Giurate d'aiutarmi, se no guai a voi! -
La mattina dopo si vestí da regina, divenne tutta simile alla morta e si affacciò alla ringhiera sfogliando un libro.
A una cert'ora senti un cavallo: veniva avanti un bel giovane e si fermò a guardarla. Nina gli fece un cenno di saluto.
-Gradirebbe una visita, Signora?
-Sì...
Il giovane smontò di cavallo e sali le scale.
-Ora berremo assieme una tazza di caffè.
-Volentieri -. Bevve dalla tazza avvelenata e cadde morto.
Nina chiamò le sorelle perché l'aiutassero a portar giú il cadavere, e poiché quelle si rifiutavano, disse:
- Se non venite ammazzo anche voi! -
Lei prese il morto per il capo, le sorelle per le gambe, scesero le scale, e c'era il cassone chiuso con le quattro candele accese ai lati.
Le sorelle tremavano e volevano lasciar cadere il morto e fuggire.
- Provate a scappare, - disse Nina, - e vedrete cosa vi faccio!
Le sorelle, che l'avevano vista alla prova, sapevano che non scherzava, e le obbedirono.
Nina aperse il cassone: dentro c'era la Regina seduta su un trono di fiamma. Le misero vicino il suo innamorato e lei lo prese per mano e gli disse:
- Vieni con me all'Inferno, scellerato. Cosí non m'abbandonerai mai piú.
E in quel momento il cassone si rinchiuse e sprofondò sotto terra con un gran frastuono.
Nina soccorse le sorelle che s'erano svenute, le riportò su e le fece riavere.
Poi rivendicarono tutti i beni dalle mani dei fattori e restarono padrone d'ogni cosa.
Le sorelle dopo qualche anno presero marito e Nina diede loro una dote da principesse; poi prese marito anche lei, e stette come una regina.


Da Fiabe italiane di Italo Calvino

 
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La regina vanitosa

Post n°630 pubblicato il 05 Settembre 2011 da odette.teresa1958

C'era una volta una regina molto vanitosa che, rivolgendosi alle sue damigelle d'onore, soleva chiedere sempre: “Conoscete al mondo un viso più bello del mio?” ed esse rispondevano che non ne esisteva nessuno. La stessa domanda la poneva alle sue ancelle personali, le quali rispondevano allo stesso modo. Un giorno lo chiese anche al suo cappellano, ed egli rispose: “Sì, sappia Vostra Maestà che esiste un viso più' bello del Vostro.”

La regina, sentendo queste parole, volle assolutamente sapere a chi si riferisse, ed egli rispose che si trattava della principessa. Allora la regina ordinò che preparassero una carrozza, e portassero via, lontano, la fanciulla e di tagliarle la testa, e di riportarle la lingua in prova della sua morte. I servi ubbidirono all'ordine regale, e condussero la principessa lontano, ma quando furono sul punto di ucciderla, non ebbero il coraggio e dissero: “Altezza, Voi non sapete per quale motivo vi abbiamo condotta qui, ma non vi faremo del male.” Infatti trovarono una piccola serpe, la ammazzarono, e ne tagliarono la lingua, spiegando alla principessa che l'avrebbero portata alla regina, per farle credere che fosse la sua. Poi raccomandarono alla fanciulla di allontanarsi e non tornare più, in modo da non tradirli con la regina.

La fanciulla si mise in cammino e continuò a camminare attraverso boschi e foreste senza incontrare anima viva, fino a quando vide in lontananza una piccola fattoria, e avvicinandosi trovò le tracce di qualche maialino, ma la capannuccia sembrava disabitata. Entrò nella prima cameretta e vi trovò una vecchia cassa di pino; nella seconda stanzina c'era un letto fatto di un vecchissimo materasso di paglia, e nella terza camera, un camino e un tavolo. Aprì il cassetto del tavolino e vi trovò del cibo, che mise a cuocere sul fuoco. Apparecchiò per se la tavola, e quando stava apprestandosi a mangiare, udì i passi di un uomo. Spaventata, si nascose allora sotto il tavolo, ma l'uomo, che l'aveva vista, la richiamò, dicendole di non temere e di non vergognarsi di niente; allora ella si tranquillizzò, e pranzarono e bevvero insieme. Finito il pasto, l'uomo chiese alla fanciulla se preferiva restare con lui in qualità di moglie o di figlia, ed ella rispose in qualità di figlia. L'uomo preparò un letto separato apposta per lei, ed andarono a dormire. Vissero per un breve periodo così, tranquillamente e serenamente insieme.

Un giorno l'uomo suggerì alla giovinetta di uscire un po' a passeggio; ella rispose che il suo vestito era troppo vecchio per uscire, allora l'uomo aprì un armadio che conteneva un bel guardaroba adatto alla vita di campagna. La fanciulla ne scelse uno e così poté uscire di casa. Mentre era a passeggio, vide un gentiluomo venirle incontro, allorché fece dietro-front, spaventata, e tornò a nascondersi in casa. Quando la sera l'uomo rientrò a casa, le chiese se si era divertita fuori, ed essa rispose timidamente di si. Allora il giorno dopo egli la incoraggiò nuovamente a uscire, ma mentre era fuori, capitò come il giorno prima, che incontrasse lo stesso giovanotto, e si spaventò ancora di più e si rifiondò in casa. Quando il buon uomo la sera le chiese se si fosse divertita, rispose di no perché si era vista avvicinata da uno sconosciuto, e si era spaventata molto, ragion per cui non desiderava più uscire, allorché l'uomo tacque. In realtà, il bel giovane che la principessa aveva incontrato per caso, era un principe che era tornato la seconda volta sullo stesso posto per rivederla, perché era innamorato di lei. Allora, non rivedendola più, si ammalò gravemente d'amore, e furono chiamati eminenti specialisti a visitarlo, e spiegarono che egli era ammalato d’amore. Allora la regina fece proclamare che la ragazza che aveva conosciuto il principe si sarebbe dovuta presentare a palazzo, scortata da una guardia reale, e sarebbe stata ricompensata e fatta sposa del principe. Purtroppo la fanciulla non era più uscita di casa, ragion per cui non seppe nulla della faccenda, allora la regina, vedendo che la ragazza non si presentava, mandò una guardia a cercarla.

La guardia bussò alla porta, e spiegò che la regina la mandava a chiamare, e che sarebbe stata adeguatamente ricompensata; allora ella disse di ritornare il giorno dopo, quando avrebbe dato una risposta. La sera ebbe tempo di parlarne con il padre putativo, il quale le consigliò di dire che non desiderava recarsi al palazzo, ma che preferiva che fosse la regina a venire alla casetta.

Il giorno dopo la guardia reale tornò per la risposta, e la fanciulla disse che non se la sentiva di fargli sapere quale era la sua decisione; la guardia giurò che avrebbe riferito fedelmente e con la massima discrezione le sue parole alla regina, così ella fece la sua richiesta, come le aveva consigliato l’uomo. Alla guardia sembrò una singolare richiesta, e temeva la reazione della sovrana, la quale lo obbligò a parlare. La regina allora andò in collera, ma vedendo che proprio in quel momento il diletto figlio fu preso da violente convulsioni, si decise ad accettare per amor suo; fece preparare la carrozza e si diresse verso la capanna, ma, mano mano che si avvicinava, la capanna fu trasformata in un palazzo, l’uomo che aveva accolto la principessa in fuga fu tramutato in un potente imperatore, i maiali in duchi, la campagnola in una sontuosa principessa, e tutto fu risplendente di lusso e ricchezze. Quando la regina vide tutto questo, fu molto sorpresa e fece molte scuse alla principessa per averle richiesto inizialmente di recarsi al suo palazzo. Disse alla giovane donna che suo figlio era perdutamente innamorato e chiedeva in continuazione di lei, e che desiderava con tutte le sue forze sposarla, altrimenti sarebbe certamente morto di dolore se ella avesse rifiutato. Ma la ragazza non lo respinse, il giovane principe guarì, essi in breve tempo si sposarono con grande sfarzo, ed essi vissero a lungo felici e contenti.

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Il mostro a tre teste

Post n°629 pubblicato il 05 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Un re avea una greggia, di cui si perdea un capo tutti i giorni. Il re puniva di morte il pastore, e già parecchi pastori avevano subito lo stesso supplizio. Finalmente la greggia fu affidata ad un garzoncello. Andando al pascolo incontrò una vecchierella: "Non sai, ragazzo mio", gli disse, "quale fu la sorte dei guardiani che ti han preceduto? Sappi che un mostro si mangia quotidianamente una di queste pecore, ed il re punisce di morte il pastore. Però non voglio tollerare che a te debba toccare la stessa sorte, prendi questa bacchetta, colla quale disegnerai nel prato un cerchio, da cui non uscirà alcuna pecora, prendi anche questo falcetto, col quale taglierai le (tre) teste dei mostro divoratore: entro le teste troverai tre chiavi, che ti apriranno la via alla dimora del mostro".

Il pastorello assicurò il gregge entro il circolo fatato, e si appostò allo speco donde sole uscire il terribile animale. Appena apparve gli tagliò una testa, entro la quale trovò una chiave di ferro. Si introdusse nella caverna ed a pochi passi si abbatté in una porta di ferro, che aperta lo mise in una grande abitazione tutta di ferro con un giardino bellissimo. Vi raccolse alcuni fiori e poi ritornò al suo gregge (intatto). Alla sera di ritorno a casa fu lodato dal re e la stessa figlia del re gli fece tali cerimonie da mostrare che n'era presa d'amore. Le offrì il mazzetto di fiori che avea raccolto, ma non si diede inteso di nulla. Il giorno seguente ritornò allo stesso luogo, operò secondo i consigli della vecchia e stavolta nella seconda testa del mostro trovò una chiave d'argento, che gli aprì un palazzo d'argento adorno di splendido giardino. Vi fece un mazzolino di fiori, e ritornò presso al re, dal quale ebbe nuove lodi e dalla figlia del re, ch'era tutto amore per lui, ebbe segni cordialissimi. All'indomani tagliò l'ultima testa al mago, poiché tale era il mostro, e vi rinvenne una chiave d'oro, che dovea aprirgli uno splendido palazzo d'oro, con giardino incantevole. In una stanza del palazzo vide tre vecchioni dalla barba bianca e lunghissima, i quali lo salutarono liberatore: "Noi eravamo condannati qui fino a che qualcuno avesse tagliato le teste al mostro che ci teneva schiavi: ora tu sei meritatamente il padrone di questi luoghi" Ritornato al re fu ricolmo di infinite lodi; la figlia regale non potè più contenere il suo immenso amore, e chiese di sposarsi al bravo ed avvenente pastorello. Questi non si manifestò molto contento del partito principesco, tuttavia cedette all'amore della giovine regina. Non andò guari che essa gli chiese dove avesse preso i bellissimi fiori donatile, e lo sposo decise di condurla nei giardini in cui li aveva colti. Fu lietissimo di poterle far vedere che non l'amore dell'oro lo avea determinato a sposarla, poiché egli era possessore di meravigliosi tesori. Questa scoperta recò grande piacere alla consorte e allo stesso re, e contribuì a rendere più sicura e duratura la loro felicità.

 
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Il contadino astrologo

Post n°628 pubblicato il 05 Settembre 2011 da odette.teresa1958

C'era una volta un Re che aveva perduto un anello prezioso. Cerca qua, cerca là, non si trova. Mise fuori un bando che se un astrologo gli sa dire dov'è, lo fa ricco per tutta la vita.

C'era un contadino senza un soldo, che non sapeva né leggere né scrivere, e si chiamava Gàmbara. ' Sarà tanto difficile fare l'astrologo? ' si disse. ' Mi ci voglio provare. ' E andò dal Re. Il Re lo prese in parola, e lo chiuse a studiare in una stanza. Nella stanza c'era solo un letto e un tavolo con un gran libraccio d'astrologia, e penna carta e calamaio. Gàmbara si sedette al tavolo e cominciò a scartabellare il libro senza capirci niente e a farci dei segni con la penna. Siccome non sapeva scrivere, venivano fuori dei segni ben strani, e i servi che entravano due volte al giorno a portargli da mangiare, si fecero l'idea che fosse un astrologo molto sapiente. Questi servi erano stati loro a rubare l'anello, e con la coscienza sporca che avevano, quelle occhiatacce che loro rivolgeva Gàmbara ogni volta che entravano, per darsi aria d'uomo d'autorità, parevano loro occhiate di sospetto. Cominciarono ad aver paura d'essere scoperti e, non la finivano più con le riverenze, le attenzioni: "Si, signor astrologo! Comandi, signor astrologo!" Gàmbara, che astrologo non era, ma contadino, e perciò malizioso, subito aveva pensato che i servi dovessero saperne qualcosa dell'anello. E pensò di farli cascare in un inganno.

Un giorno, all'ora in cui gli portavano il pranzo, si nascose sotto il letto. Entrò il primo dei servi e non vide nessuno. Di sotto il letto Gàmbara disse forte: "E uno!" il servo lasciò il piatto e si ritirò spaventato. Entrò il secondo servo, e sentì quella voce che pareva venisse di sotto terra: "E due!" e scappò via anche lui. Entrò il terzo, "E tre!" I servi si consultarono: "Ormai siamo scoperti, se l'astrologo ci accusa al Re, siamo spacciati." Cosi decisero d'andare dall'astrologo e confessargli il furto. "Noi siamo povera gente," gli fecero, "e se dite al Re quello che avete scoperto, siamo perduti. Eccovi questa borsa d'oro: vi preghiamo di non tradirci." Gàmbara prese la borsa e disse: "lo non vi tradirò, però voi fate quel che vi dico. Prendete l'anello e fatelo inghiottire a quel tacchino che c'è laggiù in cortile. Poi lasciate fare a me." Il giorno dopo Gàmbara si presentò al Re e gli disse che dopo lunghi studi era riuscito a sapere dov'era l'anello. "E dov'è?" "L'ha inghiottito un tacchino." Fu sventrato il tacchino e si trovò l'anello. Il Re colmò di ricchezze l'astrologo e diede un pranzo in suo onore, con tutti i Conti, i Marchesi, i Baroni e Grandi del Regno. Fra le tante pietanze fu portato in tavola un piatto di gamberi.

Bisogna sapere che in quel paese non si conoscevano i gamberi e quella era la prima volta che se ne vedevano, regalo di un re d'altro paese. "Tu che sei astrologo," disse il Re al contadino, "dovresti sapermi dire come si chiamano questi che sono qui nel piatto." Il poveretto di bestie così non ne aveva mai viste né sentite nominare. E disse tra sé, a mezza voce: "Ah, Gàmbara, Gàmbara.. sei finito male!" "Bravo!" disse il Re che non sapeva il vero nome del contadino. "Hai indovinato: quello è il nome: gamberi! Sei il più grande astrologo dei mondo."

 
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Il fan ovvero sempre lui

Post n°627 pubblicato il 05 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Alzi la mano fra voi chi non è o non è mai stato fan di un calciatore,cantante,attore e quant'altro.Anche Bernabò Trogoloni è un fan,anzi IL fan per eccellenza della famosa e affascinante attrice Rosinella Peracotta da Canicattì che in questi giorni sta girando a Firenze il film storico "La profetessa medicea",diretto dal grande regista Ludwig Asinonen.Pur di vederla,Bernabò ne ha fatte così tante che,tanto per cambiare,è assurto agli onori della cronaca.Leggete qua!
LUNEDI'- Sapendo che il suo idolo pranza sempre al ristorante "Chez chef cocu"(tradotto in fiorentino Dal Cuoco Becco)Bernabò vi si è intrufolato travestito da cameriere.
Non guardando dove andava,è finito lungo disteso sul tavolo della contessa Marianastasia Strascicotti,sua e nostra vecchia conoscenza,che alla sua vista ha dato l'allarme strillando come un'aquila.
MARTEDI'- Bernabò si è infilato in uno degli innumerevoli cesti di fiori che la Peracotta riceve.Disgraziatamente per lui,il cesto è stato recapitato alla giornalista di gossip Piccarda Strombazzoni-Bon,sorella minore dell'Amalasunta.
La tardona,alla vista del baldo giovane,ha tentato di violentarlo e al Trogoloni non è rimasto che fuggire.
MERCOLEDI'- Rapito il massaggiatore della Peracotta,Bernabò ha preso il suo posto.
Si è ritrovato a dover massaggiare il protagonista maschile del film,il fustaccio Bellorofonte Traccheggioni,idolo delle ragazzine.
Il problema è che il Traccheggioni è gay e per difendere l'onore Bernabò ha dovuto tramortirlo a scarpate
GIOVEDI'- Introdottosi in camerino,Bernabò è stato aggredito dai 5 mastini napoletani dell'attrice e dal suo boa da passeggio.
VENERDI'-Travestitosi da cameriera,Bernabò è entrato in camera della Peracotta.
Il problema è che ha sbalgiato stanza ed è finito in quella di Asinonen,che gli è zompato addosso.
Il Trogoloni si è salvato buttandosi dal balcone e finendo in piscina.
SABATO-Bernabò ha tentato di rapire la Peracotta,ma si è ritrovato solo nel seminterrato con la Piccarda.
Le sue urla disperate sono state sentite solo dopo 4 ore.
DOMENICA-Il Trogoloni è finalmente entrato in camera della Peracotta,ma lei era partita la sera prima ed al suo posto c'era un panciuto commendatore milanese settantenne che ha chiamato la polizia.
Questo accadeva dieci giorni fa.
La Strascicotti è ricoverata nella clinica Luminaris:si crede un criceto nella ruota.
La Piccarda due giorni fa è andata a S.Tobia ed ha chiesto ai Trogoloni la mano del figlio.I due le hanno sgiunzagliato contro cesarone.
Asinonen,per ritrovare la bella cameriera che gli ha rapito il cuore,ha assunto un investigatore privato.
L'artefice di tanto scompiglio è introvabile.
Sperando lo resti per molto,molto tempo,passo e chiudo


 
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Canzone (Teasdale)

Post n°626 pubblicato il 05 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Amami con il tuo cuore intero
O non darmi nessun amore,
L'amore a metà è una cosa povera,
Né legame né libera.
Devi amarmi volentieri
Anche anima e corpo,
Altrimenti trova un nuovo amore
Ed addio a te.

 
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Libri dimenticati:Quando il nonno fece fucilare papà

Post n°625 pubblicato il 05 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Fabrizio è il primo di tre fratelli,gli altri due sono Dindina e Marzio,detto Mowgli.
Fabrizio non è un bambino qualunque.Suo padre è Galeazzo Ciano,sua madre è Edda Mussolini.
In questo libro molto sofferto Fabrizio Ciano racconta con assoluta sincerità quello che ha vissuto,senza cercare sconti o assoluzioni per se stesso e gli altri.
E' un libro molto sofferto,da leggere

 
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Frase del giorno

Post n°624 pubblicato il 05 Settembre 2011 da odette.teresa1958

La fede è una scala appoggiata a una parete invisibile (Anonimo)

 
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