Messaggi del 24/09/2011

L'osso che canta

Post n°818 pubblicato il 24 Settembre 2011 da odette.teresa1958

In una gran foresta si aggirava un cinghiale che sconvolgeva campi, uccideva il bestiame e azzannava e sbranava gli uomini. Nessuno si avventurava più nei pressi del bosco, poiché‚ l'animale era diventato un vero flagello per il paese. Il re promise una ricompensa, ma tutti coloro che provarono a catturarlo o ucciderlo perirono miseramente, sicché‚ più nessuno era tanto audace da accettare la rischiosa impresa. Infine il re rese noto che colui che avesse abbattuto il cinghiale avrebbe avuto la sua unica figlia in isposa. Da tutto il regno si fecero avanti solo due fratelli, figli di un pover'uomo: il maggiore, accorto e astuto, lo faceva per superbia; il minore, innocente e sciocco, per buon cuore. Il re li fece entrare nel bosco da due punti diversi, dai quali essi dovevano tentare la loro fortuna. Il maggiore entrò da nord e il minore da sud. Come questi fu nel bosco incontrò un omettino che teneva in mano una lancia nera e disse: -Vedi, con questa lancia puoi assalire e uccidere il cinghiale senza timore; te la do perché‚ il tuo cuore è buono-. Il giovane, prese l'arma, ringraziò l'omino e proseguì fiducioso il cammino. Poco dopo scorse l'animale che gli si scagliò contro inferocito; ma egli gli oppose lo spiedo e, nella sua cieca furia, quello vi si precipitò addosso con tanta violenza che ne ebbe il cuore spaccato. Allora il giovane si mise la preda sulle spalle e, tutto contento, prese la via del ritorno per portarla al re. L'altro fratello, strada facendo, aveva incontrato una casa dove la gente si divertiva bevendo e ballando. Era entrato pensando: "Il cinghiale non ti sfuggirà, prima fatti coraggio con una bella bevuta!". Intanto il più giovane, uscendo dal bosco, passò lì davanti e quando il fratello lo vide, carico della preda, divenne invidioso e pensò al modo di nuocergli. Allora gridò -Vieni, caro fratello, riposati un po' e ristorati con un bicchiere di vino-. L'altro, che nella sua ingenuità non sospettava nulla di male, entrò e gli raccontò come era andata e che aveva ucciso il cinghiale con una lancia nera. Il maggiore lo trattenne fino a sera, poi se ne andarono insieme. Era buio quando arrivarono a un ponte su di un ruscello; il maggiore mandò avanti l'altro e quando furono a metà del ponte lo colpì, facendolo precipitare morto. Poi lo seppellì sotto al ponte, prese il cinghiale e lo portò al re, dando a intendere di averlo ucciso lui; e così ebbe la principessa in isposa. Poiché‚ il fratello minore non faceva ritorno, egli disse: -Il cinghiale lo avrà sbranato-. E tutti gli credettero. Ma nulla rimane nascosto davanti a Dio, così anche questo misfatto doveva venire alla luce. Un giorno, dopo molti anni, un pastore, facendo passare il suo gregge sul ponte, vide giù, fra la sabbia, un ossicino bianco come la neve e pensò di farne un bel bocchino. Scese, lo raccolse, e intagliò un bocchino per il suo corno. Ma la prima volta che si mise a suonare, con sua gran meraviglia l'ossicino cominciò a cantare da solo:-Ah pastorello, nel mio osso hai soffiato, è proprio mio fratello colui che mi ha ammazzato! E in questo ruscello dopo mi sotterrò, il cinghiale al re portò e sua figlia si sposò.--Che strano corno- disse il pastore -canta da solo!- e, pur non comprendendo il significato delle parole, lo portò al re. Allora l'ossicino ricominciò a cantare la sua arietta. Il re la capì benissimo e fece scavare sotto il ponte, dove comparve tutto lo scheletro dell'ucciso. Il fratello cattivo non pot‚ negare il delitto; fu gettato in acqua e annegato; le ossa della vittima, invece, ebbero riposo in una bella tomba al cimitero.

FINE

Immagine: L'osso che canta (Grimm)

 
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Il garofano

Post n°817 pubblicato il 24 Settembre 2011 da odette.teresa1958

C'era una volta una regina che non poteva mettere al mondo figli per volere di Nostro Signore. Ogni mattina si recava in giardino a pregare che Iddio le facesse dono di un figlio o di una figlia. Ed ecco, un angelo venne dal cielo e disse: -Rallegrati, avrai un figlio i cui desideri saranno realizzati: qualunque cosa al mondo egli voglia, l'avrà-. Ella andò dal re ad annunciargli la lieta notizia e, quando fu tempo, diede alla luce un figlio con grande gioia del re. Tutte le mattine ella andava a lavarsi nel parco con il bimbo, e un giorno, quando questi era già un po' cresciuto, le accadde di addormentarsi mentre lo aveva in braccio. In quella giunse il vecchio cuoco; egli sapeva che i desideri del bambino si sarebbero realizzati e lo rapì. Prese poi un pollo, lo sgozzò e spruzzò di sangue il grembiule e la veste della regina. Poi portò il bambino in un luogo nascosto, dove lo fece allattare da una balia, e corse dal re ad accusare la regina di esserselo lasciato rapire dalle bestie feroci. Il re, vedendo il sangue sul grembiule, lo credette e s'infuriò a tal punto che fece costruire un'alta torre, nella quale non penetrava luce; là rinchiuse la moglie facendo murare la porta. Ella doveva starci sette anni senza mangiare n‚ bere, e morirvi di fame. Ma Dio le mandò due angeli dal cielo che, sotto forma di bianche colombe, dovevano volare da lei due volte al giorno, per portarle da mangiare fino allo scadere dei sette anni. Ma il cuoco pensò: "Se si avvera qualche desiderio del bambino e io sono qui, potrei essere rovinato". Lasciò così il castello e andò dal fanciullo che era già grande abbastanza per parlare. -Desidera un bel castello- gli disse -con un giardino e tutto ciò che occorre.- E, come il bambino ebbe formulato il desiderio, ecco comparire il castello. Dopo un po' di tempo, il cuoco gli disse: -Non va bene che tu sia così solo, desidera una bella fanciulla come compagna-. Il principe espresse il desiderio e la fanciulla comparve innanzi a lui, bella come nessun pittore avrebbe potuto dipingerla. I due giovani giocavano insieme amandosi teneramente, e il vecchio cuoco andava a caccia come un signore. Ma gli venne in mente che il principe avrebbe potuto desiderare di essere con suo padre, precipitandolo così in grave imbarazzo. Allora andò a casa, prese da parte la fanciulla e le disse: -Questa notte, mentre il ragazzo dorme, vai nel suo letto, piantagli un coltello nel cuore e portami il suo fegato e la sua lingua; se non lo farai perderai la vita-. Poi se ne andò e quando tornò, il giorno dopo, ella non lo aveva fatto e gli disse: -Perché‚ mai dovrei versare il sangue di un innocente che non ha ancora offeso nessuno?-. Il cuoco tornò a dirle: -Se non lo fai, ti costerà la vita-. Allora ella si fece portare una cerbiatta, la fece uccidere, prese il cuore e la lingua, li mise su di un piatto e quando vide arrivare il vecchio, disse al giovane: -Mettiti a letto e copriti con la coperta!-. In quella entrò il malfattore e disse: -Dove sono il cuore e il fegato del ragazzo?-. La fanciulla gli porse il piatto, ma il principe gettò via la coperta e disse: -Vecchio ribaldo, perché‚ volevi uccidermi? Adesso pronuncerò la tua condanna: ti trasformerai in un cane barbone con una catena d'oro intorno al collo e mangerai carboni ardenti così che le fiamme ti divampino dalla gola-. Come ebbe pronunciato queste parole, il vecchio si trasformò in un cane barbone con una catena d'oro intorno al collo, e i cuochi dovettero portargli dei carboni ardenti che egli divorò, sicché‚ le fiamme gli uscivano dalle fauci. Il principe rimase là ancora per qualche tempo, e pensava a sua madre, se mai fosse ancora viva. Infine disse alla fanciulla: -Voglio tornare in patria; se vieni con me penserò io a mantenerti-. -Ah- rispose ella -è così lontano! e poi che farei in un paese sconosciuto?- Così, poiché‚ non consentiva ad accompagnarlo, e tuttavia non volevano lasciarsi, egli desiderò che la fanciulla diventasse un bel garofano, e lo portò con se. Partì, e il cane barbone dovette seguirlo. Giunto in patria, andò subito alla torre dove era rinchiusa sua madre, e siccome la torre era tanto alta, desiderò una scala che arrivasse fino in cima. Salì, guardò dentro e gridò: -Carissima mamma, vivete ancora o siete morta?-.
Ella rispose: -Ho appena mangiato e sono ancora sazia- credendo che ci fossero gli angeli. Egli disse. -Sono il vostro caro figlio, quello che le bestie feroci vi avrebbero rapito, ma sono ancora vivo e presto vi salverò-. Poi scese e andò dal padre facendosi annunciare come un cacciatore forestiero che chiedeva di entrare al suo servizio. Il re rispose che poteva venire se era abile e riusciva a procurargli della selvaggina; ma in tutta quella zona non se n'era mai vista. Il cacciatore promise che avrebbe procurato tanta selvaggina quanta si addiceva a una tavola regale. Poi fece radunare tutti i cacciatori e ordinò che lo seguissero nel bosco. Andarono e, una volta giunti nel bosco, egli li fece disporre a forma di cerchio, aperto da un lato, poi vi entrò e si mise a desiderare della selvaggina. Ed ecco entrare di corsa nel cerchio duecento e più animali selvaggi, e i cacciatori dovettero ucciderli. Poi caricarono il tutto su sessanta carri e lo portarono al re che, finalmente, pot‚ guarnire la propria tavola di selvaggina, dopo essersene privato per tanti anni. Tutto contento, il re decise che il giorno dopo l'intera corte avrebbe pranzato con lui e diede un gran banchetto. Quando furono tutti riuniti, disse al cacciatore: -Vista la tua bravura, siederai accanto a me-. Ma quello rispose: -Sire, Vostra Maestà mi perdoni, sono solo un principiante-. Ma il re insistette dicendo: -Devi sederti accanto a me- finché‚ egli obbedì. Quando fu seduto pensò alla sua diletta madre e desiderò che almeno uno dei cortigiani si mettesse a parlare di lei, chiedendo come stesse nella torre, se viveva ancora o se era morta di fame. Aveva appena formulato questo pensiero, che il maresciallo prese a dire: -Maestà, noi qui banchettiamo allegramente, ma come sta Sua Maestà la regina, nella torre? Vive ancora o è morta di fame?-. Ma il re rispose: -Non voglio sentir parlare di lei: ha lasciato sbranare il mio caro figlio dalle bestie feroci- Allora il cacciatore si alzò e disse: -Mio nobile padre, la regina vive ancora, e io sono suo figlio; non sono stato rapito dalle bestie feroci, ma da quell'infame vecchio cuoco che mi ha portato via dal suo grembo mentre ella dormiva e le ha spruzzato il grembiule con il sangue di un pollo-. Afferrò il cane con il collare d'oro e disse: -Ecco lo scellerato!- e fece portare dei carboni ardenti che il cane dovette mangiare di fronte a tutti, finché‚ le fiamme gli uscirono dalle fauci. Poi il giovane domandò al re se voleva vedere il cuoco nel suo vero aspetto; formulò il desiderio ed eccolo comparire con il grembiule bianco e il coltello al fianco. Vedendolo, il re andò su tutte le furie e ordinò che fosse gettato nel carcere più fondo. Poi il cacciatore aggiunse: -Padre mio, volete vedere anche la fanciulla che mi ha educato amorevolmente, e che doveva uccidermi, ma non l'ha fatto?-. Il re rispose: -Sì, la vedrò volentieri-. Il figlio disse: -Mio nobile padre, ve la mostrerò sotto forma di un bel fiore-. Tirò fuori di tasca il garofano, e lo mise sulla tavola regale, bello come il re non ne aveva mai visti. Poi il figlio disse: -Ora voglio mostrarvela nel suo vero aspetto-. Desiderò che ridiventasse una fanciulla, ed eccola comparire tanto bella, che più bella nessun pittore avrebbe potuto dipingerla. Il re inviò allora due cameriere e due servi alla torre, perché‚ andassero a prendere la regina e la conducessero alla tavola regale. Ma quando vi giunse la regina non toccò cibo e disse: -Iddio clemente e misericordioso, che mi ha mantenuta in vita nella torre, mi libererà presto-. Visse ancora tre giorni,poi morì serenamente. L'accompagnarono alla sepoltura le due bianche colombe che le avevano portato il cibo nella torre, ed erano angeli del cielo; e si posarono sulla sua tomba. Il vecchio re fece squartare il cuoco, ma anch'egli non sopravvisse a lungo per il dolore. Il figlio invece sposò la bella fanciulla che aveva portato in tasca sotto forma di fiore; e se vivono ancora lo sa Iddio.

FINE

 
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Il buontempone

Post n°816 pubblicato il 24 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Una volta ci fu una grande guerra e quando finì molti soldati furono congedati. Anche il Buontempone ebbe il suo congedo, e nient'altro all'infuori di una piccola forma di pane secco e quattro soldi; e così se ne andò. Ma san Pietro si era seduto sul ciglio della strada come un povero mendicante e quando arrivò il Buontempone gli chiese l'elemosina. Quello rispose: -Caro mendicante, che cosa posso darti? Sono stato soldato, ho ottenuto il mio congedo e nient'altro che questo pane e quattro soldi; quando li avrò finiti, dovrò mendicare come te. Ma ti darò lo stesso qualcosa-. Divise il pane in quattro parti, e ne diede una all'apostolo con un soldo. San Pietro ringraziò, proseguì e andò ad aspettarlo di nuovo sulla strada, prendendo le sembianze di un altro mendicante; e quando il soldato lo raggiunse tornò a chiedergli l'elemosina. Il Buontempone parlò come prima e tornò a dargli un quarto di pane e un soldo. San Pietro ringraziò e proseguì, poi prese per la terza volta l'aspetto di un mendicante e, messosi sulla strada, chiese l'elemosina al Buontempone. Questi gli diede anche il terzo quarto di pane e il terzo soldo. San Pietro ringraziò e il Buontempone proseguì il suo cammino con una sola moneta e un solo pezzo di pane. Entrò in un'osteria a mangiarlo e si fece portare un soldo di birra. Quand'ebbe finito continuò per la sua strada, e subito tornò a incontrare san Pietro, con l'aspetto anche lui di un soldato in congedo. -Buon giorno, camerata- disse questi -mi daresti un pezzo di pane e un soldo per una bevuta?- -E dove lo prendo?- rispose il Buontempone. -Insieme al congedo non ho avuto altro che una pagnotta e quattro soldi. Per strada ho incontrato tre mendicanti, e a ciascuno ho dato un quarto del mio pane e un soldo. L'ultimo quarto me lo sono mangiato all'osteria, e con l'ultimo soldo ho bevuto un bicchiere. Adesso non mi resta più nulla, e se anche per te è lo stesso, possiamo andare a mendicare insieme.- -No, non ce n'è bisogno- rispose san Pietro -m'intendo un po' di medicina e così mi guadagnerò da vivere.- -Sì- rispose il Buontempone -io non ne capisco nulla, perciò mi toccherà chiedere l'elemosina da solo.- -Be', vieni con me!- disse san Pietro. -Se guadagno qualcosa avrai la metà.- -Mi sta bene- rispose il Buontempone, e se ne andarono insieme. Passarono davanti a una casa di contadini dove si udivano grida e pianti; entrarono, e c'era l'uomo gravemente ammalato e prossimo a morire, mentre la donna gridava e si disperava. -Non piangete e non lamentatevi più- disse san Pietro -guarirò quest'uomo.- Prese di tasca una pomata, e all'istante sanò l'ammalato che pot‚ alzarsi, perfettamente guarito. Marito e moglie dissero, tutti contenti: -Come possiamo ricompensarvi, cosa dobbiamo darvi?-. Ma san Pietro non voleva nulla e più i contadini insistevano, più egli rifiutava. Allora il Buontempone gli diede una gomitata e disse: -Ma prendi qualcosa, ne abbiamo bisogno!-. Alla fine, la contadina portò un agnello e disse a san Pietro di accettarlo, ma egli non voleva. Il Buontempone tornò a dar di gomito e disse: -Suvvia, prendilo, sciocco; ne abbiamo davvero bisogno!-. Finalmente san Pietro disse: -Va bene, prenderò l'agnello, ma non lo porterò io; visto che sei tu a volerlo, te lo porterai-. -D'accordo- disse il Buontempone -lo porterò io.- E se lo mise in spalla. Camminarono finché‚ giunsero in un bosco; l'agnello incominciava a pesare e il Buontempone aveva fame, sicché‚ disse a san Pietro: -Guarda che bel posto, potremmo cucinare l'agnello e mangiarlo-. -Per me va bene- rispose san Pietro -però non so occuparmi di cucina; se vuoi cucinare tu, eccoti un paiolo; io, intanto, me ne vado in giro qua attorno finché‚ è cotto. Ma non iniziare a mangiare prima che io sia di ritorno; arriverò per tempo.- -Va' pure- disse il Buontempone -so cucinare, ci penserò io.- San Pietro se ne andò e il Buontempone sgozzò l'agnello, accese il fuoco, mise la carne nel paiolo e la fece cuocere. L'agnello era già cotto, ma l'apostolo non tornava; allora il Buontempone lo tolse dal paiolo, lo tagliò e trovò il cuore. -Dev'essere il pezzo migliore- disse, lo assaggiò e finì poi col mangiarselo tutto. Finalmente ritornò san Pietro e disse: -Puoi mangiarti pure tutto l'agnello, io voglio soltanto il cuore: dammelo-. Allora il Buontempone prese coltello e forchetta e finse di cercare fra la carne, ma non riuscì a trovare il cuore; così finì col dire: -Non c'è-. -Ma dove sarà mai?- disse l'apostolo. -Non lo so- rispose il Buontempone -ma guarda un po' che sciocchi che siamo! Cerchiamo il cuore dell'agnello e non ci viene in mente che l'agnello non ha cuore!- -Oh!- esclamò san Pietro -questa è proprio nuova! Tutte le bestie hanno il cuore, perché‚ l'agnello non dovrebbe averlo?- -No di certo, fratello, l'agnello non ha cuore. Pensaci bene un momento e ti verrà in mente che non ce l'ha davvero.- -Va bene, va bene- disse san Pietro -se il cuore non c'è non voglio altri pezzi; puoi mangiarti l'agnello da solo.- -Quello che non riesco a mangiare lo metto nello zaino- disse il Buontempone; mangiò metà agnello e mise il resto nello zaino. Proseguirono e san Pietro fece in modo che un gran corso d'acqua attraversasse il loro cammino, ed essi dovettero attraversarlo. San Pietro disse: -Va' tu avanti-. -No- rispose il Buontempone -vacci tu.- E pensava: "Se l'acqua è troppo alta per lui, io me ne resto qua". San Pietro attraversò e l'acqua gli arrivava soltanto alle ginocchia. Allora volle passare anche il Buontempone, ma l'acqua s'alzò e gli arrivò fino al collo. -Aiutami, fratello!- gridò, ma san Pietro rispose: -Confesserai di aver mangiato il cuore dell'agnello?-. -No- rispose quello -non l'ho mangiato.- L'acqua crebbe ancora e gli arrivò alla bocca. -Aiutami, fratello!- gridò il soldato. San Pietro tornò a dire: -Confesserai di aver mangiato il cuore dell'agnello?-. -No- rispose -non l'ho mangiato.- San Pietro non lo lasciò affogare, fece abbassare l'acqua e lo aiutò a passare sull'altra riva. Proseguirono e giunsero in un regno dove sentirono che la principessa era in punto di morte. -Olà, fratello- disse il soldato a san Pietro -è una bella fortuna per noi! Se la guariamo siamo a posto per tutta la vita.- Ma gli pareva che san Pietro non camminasse abbastanza svelto. -Su, muovi le gambe, caro fratello- gli diceva. -Dobbiamo arrivare in tempo.- Ma san Pietro camminava sempre più adagio, benché‚ il Buontempone lo spingesse e lo incitasse; infine udirono che la principessa era morta. -Ecco, bel risultato!- disse il Buontempone. -E tutto grazie alla tua pigrizia!- -Sta' tranquillo- rispose san Pietro -so far meglio che guarire i malati: posso risuscitare i morti.- -Be', se è così tanto meglio- disse il Buontempone -come ricompensa potremo ottenere almeno metà del regno!- Così entrarono nel castello reale che era in gran lutto; ma san Pietro disse al re che avrebbe risuscitato la morta. Fu condotto da lei e disse: -Portatemi un paiolo con dell'acqua-. Quando l'ebbe, fece uscire tutti, e solo al Buontempone permise di rimanere. Poi tagliò a pezzi le membra della morta, le gettò in acqua, accese il fuoco sotto il paiolo e le fece cuocere. Quando la carne si staccò, prese le belle ossa bianche, le mise sulla tavola disponendole una accanto all'altra secondo il loro ordine naturale. Compiuta quest'operazione, vi si mise davanti e, per tre volte, disse: -In nome della Santissima Trinità, alzati o morta!-. Alla terza volta, la principessa si alzò, viva, bella e sana. Il re, tutto contento disse a san Pietro: -Chiedi pure la tua ricompensa: fosse anche la metà del regno, te la darò-. Ma san Pietro rispose: -Io non voglio nulla-. "Oh, ma che sciocco!" pensò fra s‚ il Buontempone; diede di gomito all'amico e gli disse: -Non essere così stupido: se tu non vuoi niente, a me occorre invece qualcosa!-. Ma san Pietro non voleva nulla. Tuttavia il re vide che l'altro avrebbe accettato volentieri qualcosa e ordinò che gli riempissero lo zaino d'oro. Proseguirono il cammino e, quando giunsero in un bosco, san Pietro disse al Buontempone: -Adesso divideremo l'oro-. -Sì- rispose quello -dividiamolo.- San Pietro divise l'oro e ne fece tre parti. Il Buontempone pensò: "Chissà che razza di nuova idea ha per la testa! Fa tre parti e siamo in due!". Ma san Pietro disse: -Ho fatto le parti giuste: una parte per me, una per te e una per chi ha mangiato il cuore dell'agnello-. -Oh, l'ho mangiato io!- rispose il Buontempone intascando subito l'oro -puoi credermi.- -Come può essere vero?- disse san Pietro -Un agnello non ha cuore!- -Ehi, ma che dici fratello? L'agnello ha il cuore come qualsiasi altro animale: perché‚ solo lui non dovrebbe averlo?- -D'accordo, non ne parliamo più- disse san Pietro -tienti pure tutto il denaro; io però non rimango più con te, me ne andrò per la mia strada.- -Come vuoi, fratello caro- rispose il soldato. -Addio.- San Pietro prese un'altra strada e il Buontempone pensò: "E' un bene che se ne vada: è un tipo così strano!". Ora egli aveva denaro a sufficienza, ma non seppe amministrarlo: lo dissipò, lo regalò e dopo poco tempo non ne aveva più. Giunse allora in un paese dove udì che la principessa era morta. "Olà" pensò "le cose si mettono bene! La risusciterò e mi farò pagare a dovere." Così andò dal re e gli propose di risvegliare la morta. Il re aveva udito parlare di un soldato in congedo che andava in giro a risuscitare i morti, e pensò che si trattasse del Buontempone; tuttavia, dato che non se ne fidava, domandò prima il parere dei suoi consiglieri; e questi gli dissero che poteva rischiare, visto che la fanciulla era ormai morta. Allora il Buontempone si fece portare un paiolo d'acqua, ordinò a tutti di uscire, tagliò le membra della fanciulla, le gettò in acqua e accese il fuoco sotto il paiolo, proprio come aveva visto fare a san Pietro. L'acqua incominciò a bollire e la carne si staccò; allora egli tirò fuori le ossa e le mise sulla tavola; ma non sapeva in che ordine disporle e le mise tutte alla rinfusa. Poi vi si mise davanti e disse: -In nome della Santissima Trinità, alzati, o morta-. Lo disse tre volte ma la principessa non si mosse. Lo disse altre tre volte ma invano. -Alzati, diavolo di una ragazza!- gridò. -Alzati, o guai a te!- Come ebbe pronunciato queste parole, ecco san Pietro entrare dalla finestra con l'aspetto di un soldato in congedo, e disse: -Cosa stai facendo, disgraziato? Come puoi risuscitare la morta se hai buttato all'aria tutte le ossa?-. -Caro fratello, ho fatto quel che ho potuto!- rispose il Buontempone. -Per questa volta ti tirerò fuori dai pasticci; ma bada che se proverai un'altra volta, ti andrà male; inoltre non accetterai o esigerai dal re nemmeno la più piccola ricompensa.- Poi san Pietro dispose le ossa nel loro ordine giusto e disse tre volte: -In nome della Santissima Trinità, alzati o morta!- e la principessa si alzò bella e sana come prima. Poi san Pietro tornò a uscite per la finestra. Il Buontempone era soddisfatto che tutto fosse andato così bene, ma lo irritava l'esser costretto a non accettar nulla. "Vorrei proprio sapere che razza di idee ha per la testa" pensava. "Ciò che dà con una mano, lo toglie con l'altra: non ha senso!" Il re gli offrì ciò che voleva, ma il Buontempone non poteva accettare nulla; tuttavia a forza di astuzie e di allusioni, riuscì a fare in modo che il re gli riempisse lo zaino d'oro; e con quello se ne andò. Quando uscì, davanti al portone trovò san Pietro che gli disse: -Guarda che razza di uomo sei! Ti avevo proibito di accettare alcunché, e hai lo zaino pieno d'oro-. -Che colpa ne ho- rispose il Buontempone -se me l'hanno riempito a mia insaputa!- -Ti avverto: guardati bene dal fare un'altra volta cose simili, o te la vedrai brutta.- -Ehi, non ti preoccupare fratello! Di oro adesso ne ho: perché‚ mai dovrei mettermi a cuocer ossa?- -Sì- disse San Pietro -l'oro durerà a lungo! Ma perché‚ tu non ti rimetta a fare ciò che non devi, farò in modo che il tuo zaino contenga tutto ciò che desideri. Addio, non mi rivedrai più.- -Addio!- disse il Buontempone, e pensava: "Sono ben felice che tu te ne vada, strano tipo! Non ti verrò certo dietro!". Ma al potere miracoloso dello zaino non pensò più. Il Buontempone vagò qua e là con il suo oro, spendendolo e dissipandolo come la prima volta. Quando non gli rimasero che quattro soldi, passò davanti a un'osteria e pensò: "Spendiamo anche questi ultimi!". E si fece portare tre soldi di vino e uno di pane. Mentre se ne stava là seduto a bere gli giunse alle nari il profumo d'oca arrosto. Si guardò attorno e vide che l'oste aveva messo nella stufa due oche. Allora gli venne in mente ciò che il camerata gli aveva detto: qualunque cosa egli desiderasse, l'avrebbe trovata nello zaino. "Olà, devi provare con le oche!" Uscì e, davanti alla porta, disse: -Voglio che le due oche che sono nella stufa finiscano nel mio zaino!-. Detto questo, aprì lo zaino, ci guardò dentro e le trovò tutt'e due. -Ah, così sì che va bene!- esclamò. -Ora sono proprio a posto!- Andò in un prato e tirò fuori l'arrosto. Mentre mangiava di gusto, arrivarono due garzoni e guardarono con occhi affamati l'oca che egli non aveva ancora toccato. Il Buontempone pensò: "Una ti basta". Chiamò i due garzoni e disse: -Prendete quest'oca e mangiatevela alla mia salute!-. Quelli ringraziarono, andarono all'osteria, si fecero portare mezzo litro di vino e del pane, tirarono fuori l'oca regalata e incominciarono a mangiarla. L'ostessa, che li osservava, disse al marito: -Quei due mangiano un'oca, va' un po' a controllare che non sia una delle due che abbiamo nella stufa-. L'oste corse a vedere, ma la stufa era vuota. -Razza di ladri! Volevate mangiare l'oca a buon mercato, vero? Pagate immediatamente o vi lavo con succo di bastone!- I due garzoni dissero: -Non siamo ladri: è stato un soldato in congedo a regalarci l'oca, là fuori, sul prato-. -Non menatemi per il naso! Il soldato è stato qui, ma se n'è andato da persona per bene, ho fatto attenzione a lui, siete voi i ladri e dovete pagare!- Ma siccome non avevano soldi, prese il randello e li cacciò fuori a bastonate. Il Buontempone intanto se ne andava per la sua strada e giunse in un luogo dove c'era uno splendido castello e, non molto lontano, una misera osteria. Egli vi entrò e chiese un letto per la notte, ma l'oste glielo rifiutò e disse: -Non c'è più posto, la locanda è piena di ospiti di riguardo-. -Mi meraviglia- disse il Buontempone -che vengano da voi e non vadano in quel magnifico castello.- -Sì- rispose l'oste -non c'è da fidarsi a passarvi una notte: chi ha provato non ne è uscito vivo.- -Se altri hanno tentato- disse il Buontempone -tenterò anch'io!- -Lasciate perdere!- soggiunse l'oste -ne va della vostra pelle.- -Questo è da vedersi- disse il Buontempone -datemi soltanto le chiavi, da mangiare e da bere in abbondanza.- L'oste gli diede la chiave, da mangiare e da bere; poi, presa ogni cosa, il Buontempone andò al castello. Mangiò di gusto e quando gli venne sonno si sdraiò per terra perché‚ non c'era neanche un letto. Non tardò ad addormentarsi, ma, durante la notte, fu svegliato da un gran rumore, aprì gli occhi e vide che nella stanza c'erano nove orrendi diavoli: avevano fatto cerchio attorno a lui e ballavano. Il Buontempone disse: -Ballate pure quanto volete, basta che non mi veniate troppo vicino-. Ma i diavoli gli si avvicinavano sempre di più e gli pestavano quasi la faccia con i loro sudici piedi. -Piantatela, spiriti maligni!- disse il Buontempone, ma quelli facevano sempre peggio. Allora egli andò in collera e gridò: -Adesso vi metto io a tacere!- Afferrò una sedia per le gambe e si mise a dar colpi a destra e a manca. Ma nove diavoli contro un soldato erano pur sempre troppi e, mentre egli picchiava quelli che gli stavano davanti, gli altri di dietro l'afferrarono per i capelli e lo trascinarono miseramente. -Furfanti di diavoli!- disse -adesso ne ho proprio abbastanza; ma aspettate un po'!- E aggiunse: -Voglio che tutti e nove i diavoli finiscano nel mio zaino-. In un baleno furono dentro; poi egli chiuse lo zaino e lo buttò in un angolo. Di colpo, tutto tornò tranquillo, il Buontempone si sdraiò di nuovo e dormì fino a giorno chiaro. Allora giunsero l'oste e il signore cui apparteneva il castello, per vedere come gli fosse andata. Quando lo videro sano e arzillo si stupirono e gli domandarono: -Non vi hanno fatto niente gli spiriti?. -Perbacco!- rispose il Buontempone -li ho tutti e nove nel mio zaino. Potete tornare ad abitare tranquillamente il vostro castello: d'ora in poi non ci saranno più spiriti!- Il nobiluomo lo ringraziò ricompensandolo con ricchi doni e offrendogli di entrare al suo servizio: avrebbe provveduto a mantenerlo per tutta la vita. -No- rispose il Buontempone -sono abituato a girovagare per il mondo, voglio proseguire per la mia strada.- Così se ne andò; entrò in una fucina, mise sull'incudine lo zaino con dentro i nove diavoli e pregò il fabbro e i suoi garzoni di picchiarci sopra. Quelli adoperarono tutta la forza che avevano e picchiarono con i loro grossi martelli, sicché‚ i diavoli levavano grida da far paura. Poi quando egli apri lo zaino, otto erano morti; solo uno viveva ancora, perché‚ si era rannicchiato in una piega; saltò fuori e se ne andò all'inferno. Il Buontempone andò a lungo in giro per il mondo e, a saperle, se ne potrebbero raccontare molte. Ma alla fine diventò vecchio e pensò alla morte. Allora andò da un eremita, conosciuto come uomo pio, e gli disse: -Sono stanco di girovagare, desidererei entrare nel Regno dei cieli-. L'eremita rispose: -Vi sono due vie: una è larga e piacevole e conduce all'inferno, l'altra è stretta e aspra e conduce in cielo-. "Sarei proprio uno sciocco, se scegliessi il cammino stretto e aspro!" pensò il Buontempone. Imboccò la via larga e piacevole e giunse infine davanti a una grande porta nera, che era la porta dell'inferno. Bussò e il custode guardò chi fosse. Ma quando riconobbe il Buontempone, si spaventò: si trattava proprio del nono diavolo, che era stato chiuso nello zaino e ne era uscito con un occhio nero. Perciò tornò a tirare in fretta il catenaccio, corse dal capo dei diavoli e gridò: -Fuori c'è un tale con uno zaino e vuole venire dentro; ma per carità, non lasciatelo entrare, altrimenti tutto l'inferno finisce nel suo zaino. Là dentro, una volta, mi ha fatto picchiare di santa ragione con il martello-. Perciò gridarono al Buontempone di andarsene via, che non l'avrebbero lasciato entrare. "Se qui non mi vogliono" pensò "andrò a vedere se troverò asilo in paradiso: da qualche parte devo pur alloggiare!" Tornò indietro e camminò finché‚ giunse davanti alla porta del paradiso, e bussò di nuovo. San Pietro faceva da guardiano proprio in quel momento; il Buontempone lo riconobbe e pensò: "Qui trovo qualcuno che conosco, le cose andranno meglio". Ma san Pietro disse: -Suppongo che tu voglia entrare in paradiso-. -Suvvia, fratello, lasciami entrare! Devo pure alloggiare da qualche parte; se all'inferno mi avessero preso, non sarei venuto qui!- -No- disse san Pietro -tu non entri.- -Bene, se non vuoi lasciarmi entrare, riprenditi pure il tuo zaino: non voglio avere niente da te!- disse il Buontempone. -Dammelo!- disse san Pietro. Egli fece allora passare lo zaino in paradiso attraverso l'inferriata, san Pietro lo prese e lo mise accanto alla sua sedia. Allora il Buontempone disse: -E ora voglio essere nello zaino-. In un baleno vi fu dentro, ed eccolo in paradiso; e san Pietro dovette lasciarvelo.

FINE

 
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La casa dell'agonia (Pirandello)

Post n°815 pubblicato il 24 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Il visitatore, entrando, aveva detto certamente il suo nome; ma la vecchia negra sbilenca venuta ad aprire la porta come una scimmia col grembiule, o non aveva inteso o l’aveva dimenticato; sicché da tre quarti d’ora per tutta quella casa silenziosa lui era, senza più nome, "un signore che aspetta di là".
Di là, voleva dire nel salotto.
In casa, oltre quella negra che doveva essersi rintanata in cucina, non c’era nessuno; e il silenzio era tanto, che un tic–tac lento di antica pendola, forse nella sala da pranzo, s’udiva spiccato in tutte le altre stanze, come il battito del cuore della casa; e pareva che i mobili di ciascuna stanza, anche delle più remote, consunti ma ben curati, tutti un po’ ridicoli perché d’una foggia ormai passata di moda, stessero ad ascoltarlo, rassicurati che nulla in quella casa sarebbe mai avvenuto e che essi perciò sarebbero rimasti sempre così, inutili, ad ammirarsi o a commiserarsi tra loro, o meglio anche a sonnecchiare.
Hanno una loro anima anche i mobili, specialmente i vecchi, che vien loro dai ricordi della casa dove sono stati per tanto tempo. Basta, per accorgersene, che un mobile nuovo sia introdotto tra essi.
Un mobile nuovo è ancora senz’anima, ma già, per il solo fatto ch’è stato scelto e comperato, con un desiderio ansioso d’averla.
Ebbene, osservare come subito i mobili vecchi lo guardano male: lo considerano quale un intruso pretenzioso che ancora non sa nulla e non può dir nulla; e chi sa che illusioni intanto si fa. Loro, i mobili vecchi, non se ne fanno più nessuna e sono perciò così tristi: sanno che col tempo i ricordi cominciano a svanire e che con essi anche la loro anima a poco a poco si affievolirà; per cui restano lì, scoloriti se di stoffa e, se di legno, incupiti, senza dir più nulla nemmeno loro.
Se mai per disgrazia qualche ricordo persiste e non è piacevole, corrono il rischio d’esser buttati via.
Quella vecchia poltrona, per esempio, prova un vero struggimento a vedere la polvere che le tarme fanno venir fuori in tanti mucchietti sul piano del tavolinetto che le sta davanti e a cui è molto affezionata. Lei sa d’esser troppo pesante; conosce la debolezza delle sue corte cianche, specialmente delle due di dietro; teme d’esser presa, non sia mai, per la spalliera e trascinata fuor di posto; con quel tavolinetto davanti si sente più sicura, riparata; e non vorrebbe che le tarme, facendogli fare una così cattiva figura con tutti quei buffi mucchietti di polvere sul piano, lo facessero anche prendere e buttare in soffitta.

Tutte queste osservazioni e considerazioni erano fatte dall’anonimo visitatore dimenticato nel salotto.
Quasi assorbito dal silenzio della casa, costui, come vi aveva già perduto il nome, così pareva vi avesse anche perduto la persona e fosse diventato anche lui uno di quei mobili in cui s’era tanto immedesimato, intento ad ascoltare il tic–tac lento della pendola che arrivava spiccato fin lì nel salotto attraverso l’uscio rimasto semichiuso.
Esiguo di corpo, spariva nella grande poltrona cupa di velluto viola sulla quale s’era messo a sedere. Spariva anche nell’abito che indossava. I braccini, le gambine si doveva quasi cercarglieli nelle maniche e nei calzoni. Era soltanto una testa calva, con due occhi aguzzi e due baffetti da topo.
Certo il padrone di casa non aveva più pensato all’invito che gli aveva fatto di venirlo a trovare; e già più volte l’ometto si era domandato se aveva ancora il diritto di star lì ad aspettarlo, trascorsa oltre ogni termine di comporto l’ora fissata nell’invito.
Ma lui non aspettava più adesso il padrone di casa. Se anzi questo fosse finalmente sopravvenuto, lui ne avrebbe provato dispiacere.
Lì confuso con la poltrona su cui sedeva, con una fissità spasimosa negli occhietti aguzzi e un’angoscia di punto in punto crescente che gli toglieva il respiro, lui aspettava un’altra cosa, terribile: un grido dalla strada: un grido che gli annunziasse la morte di qualcuno; la morte d’un viandante qualunque che al momento giusto, tra i tanti che andavano giù per la strada, uomini, donne, giovani, vecchi, ragazzi, di cui gli arrivava fin lassù confuso il brusìo, si trovasse a passare sotto la finestra di quel salotto al quinto piano.
E tutto questo, perché un grosso gatto bigio era entrato, senza nemmeno accorgersi di lui, nel salotto per l’uscio semichiuso, e d’un balzo era montato sul davanzale della finestra aperta.
Tra tutti gli animali il gatto è quello che fa meno rumore. Non poteva mancare in una casa piena di tanto silenzio.

Sul rettangolo d’azzurro della finestra spiccava un vaso di gerani rossi. L’azzurro, dapprima vivo e ardente, s’era a poco a poco soffuso di viola, come d’un fiato d’ombra appena che vi avesse soffiato da lontano la sera che ancora tardava a venire.
Le rondini, che vi volteggiavano a stormi, come impazzite da quell’ultima luce del giorno, lanciavano di tratto in tratto acutissimi gridi e s’assaettavano contro la finestra come volessero irrompere nel salotto, ma subito, arrivate al davanzale, sguizzavano via. Non tutte. Ora una, poi un’altra, ogni volta, si cacciavano sotto il davanzale, non si sapeva come, né perché.

Incuriosito, prima che quel gatto fosse entrato, lui s’era appressato alla finestra, aveva scostato un po’ il vaso di gerani e s’era sporto a guardare per darsi una spiegazione: aveva scoperto così che una coppia di rondini aveva fatto il nido proprio sotto il davanzale di quella finestra.
Ora la cosa terribile era questa: che nessuno dei tanti che continuamente passavano per via, assorti nelle loro cure e nelle loro faccende, poteva andare a pensare a un nido appeso sotto il davanzale d’una finestra al quinto piano d’una delle tante case della via, e a un vaso di gerani esposto su quel davanzale, e a un gatto che dava la caccia alle due rondini di quel nido. E tanto meno poteva pensare alla gente che passava per via sotto la finestra il gatto che ora, tutto aggruppato dietro quel vaso di cui s’era fatto riparo, moveva appena la testa per seguire con gli occhi vani nel cielo il volo di quegli stormi di rondini che strillavano ebbre d’aria e di luce passando davanti la finestra, e ogni volta, al passaggio d’ogni stormo, agitava appena la punta della coda penzoloni, pronto a ghermire con le zampe unghiute la prima delle due rondini che avrebbe fatto per cacciarsi nel nido.
Lo sapeva lui, lui solo, che quel vaso di gerani, a un urto del gatto, sarebbe precipitato giù dalla finestra sulla testa di qualcuno; già il vaso s’era spostato due volte per le mosse impazienti del gatto; era ormai quasi all’orlo del davanzale; e lui non fiatava già più dall’angoscia e aveva tutto il cranio imperlato di grosse gocce di sudore. Gli era talmente insopportabile lo spasimo di quell’attesa, che gli era perfino passato per la mente il pensiero diabolico d’andar cheto e chinato, con un dito teso, alla finestra, a dar lui l’ultima spinta a quel vaso, senza più stare ad aspettare che lo facesse il gatto. Tanto, a un altro minimo urto, la cosa sarebbe certamente accaduta.

Non ci poteva far nulla.

Com’era stato ridotto da quel silenzio in quella casa, lui non era più nessuno. Lui era quel silenzio stesso, misurato dal tic–tac lento della pendola. Lui era quei mobili, testimoni muti e impassibili quassù della sciagura che sarebbe accaduta giù nella strada e che loro non avrebbero saputa. La sapeva lui, soltanto per combinazione. Non avrebbe più dovuto esser lì già da un pezzo. Poteva far conto che nel salotto non ci fosse più nessuno, e che fosse già vuota la poltrona su cui era come legato dal fascino di quella fatalità che pendeva sul capo d’un ignoto, lì sospesa sul davanzale di quella finestra.
Era inutile che a lui toccasse quella fatalità, la naturale combinazione di quel gatto, di quel vaso di gerani e di quel nido di rondini.
Quel vaso era lì proprio per stare esposto a quella finestra. Se lui l’avesse levato per impedir la disgrazia, l’avrebbe impedita oggi; domani la vecchia serva negra avrebbe rimesso il vaso al suo posto, sul davanzale: appunto perché il davanzale, per quel vaso, era il suo posto. E il gatto, cacciato via oggi, sarebbe ritornato domani a dar la caccia alle due rondini.
Era inevitabile.

Ecco, il vaso era stato spinto ancora più là; era già quasi un dito fuori dell’orlo del davanzale.
Lui non poté più reggere; se ne fuggì. Precipitandosi giù per le scale, ebbe in un baleno l’idea che sarebbe arrivato giusto in tempo a ricevere sul capo il vaso di gerani che proprio in quell’attimo cadeva dalla finestra.

Inizi

937 - "UNA GIORNATA"

9. Il buon cuore (1937)

 
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Bernabò cerca moglie

Post n°814 pubblicato il 24 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Non fate quella faccia,lettori miei!Anche un caposcarico come Bernabò Trogoloni ha bisogno di trovarsi una compagna e crearsi una famiglia.Visto che finora tale ricerca è stata vana (e te credo!)Bernabò si è rivolto all'agenzia matrimoniale "Due cuori e un monolocale",con i risultati che passo a illustrarvi
LUNEDI' - Bernabò ha incontrato la signorina ipplita Strippaossi e l'ha portata da "Chez chef cocu" (tradotto alla fiorentina Dal cuoco becco).Ecco quel che è accaduto
a) Ritenendo il consommè bollente,il Trogloni lo ha sputato..dritto in faccia all'Ippolita
b) Ritenendo la carne dura,l'ha buttata per terra ee ha cominciato a saltarci su,mentre la poveretta scivolava sotto il tavolo per la vergogna
c)Non avendo trovato la carta igienica in bagno,ha dato la stura a pittoresche imprecazioni che si sono sentite fino a Prato
C'è da meravigliarsi se l'Ippolita è scappata via urlando?
MARTEDI'- Oggi è stata la volta di Pellegrina Focaccioni,che ha condotto Bernabò all'esclusivo defilè dello stilista Teofrasto Beccaccioni,a Palazzo Pitti.
In dieci secondi il Trogoloni ha emesso 40 rutti supersonici,che hanno fatto fuggire metà dei presenti,mentre l'altra metà se l'è data quando Bernabò,toltosi le scarpe,ha fatto sentire a tutti il profumo dei suoi calzini.
Ha poi concluso in bellezza chiedendosi (a voce tanto bassa che lo hanno comodamente sentito fino a Livorno) se sotto i vestiti le modelle avevano le mutande.C'è da stupirsi se la Pellegrina lo ha semiaccoppato a borsettate?
MERCOLEDI'- Condotta Celestina Stortarelli in discoteca,il Trogoloni l'ha piantata in asso per la cubista.
E' stato tramortito a scarpate.
GIOVEDI'- Bernabò ha condotto Epifania Battifiacchi a una partita di basket,dove
a) Venuto alle mani con un supporter avversario,è rotolato giù dalle gradinate,travolgendo 25 spettatori innocenti
b)Raccolta la palla l'ha ritirata in campo così piano che l'arbitro è rimasto svenuto 15 minuti.
c)la sua squadra ha vinto e lui ha improvvisato uno strip tease,rimanendo coi soli boxer
C'è da meravigliarsi se la Battifiacchi ha avuto una crisi nervosa?
VENERDI'- Cordelia Scapestrati ha passeggiato con Bernabò lungo il greto dell'Arno.
Inciampata in un sasso, èfinita seduta su una cacca di cane ed un pipistrello le si è posato intesta.
invece di soccorrerla,Bernabò è stato colto da una attacco di ridarola e lei lo ha quasi decapitato a morsi.
SABATO- Bernabò ha portato al Luna Park Eulalia Troppacchioni.
Sulle montagne russe la ha vomitato addosso,nel tunnel della paura se l'è fatta addosso.
C'è da meravigliarsi se quella lo voleva uccidere con un fucile del tiro a segno?
DOMENICA-Dio volendo Bernabò ha concluso che non è ancora maturo per il matrimonio.
Sono passate due settimane.
Le sfortunate vittime del Trgoloni hanno fondato la "Lega per la protezione della giovane da bernabò"
Il Trogoloni è sparito,ma il mio sesto senso mi dice che avremo presto sue notizie



 

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Che tu sia per me il coltello (Grossmann)

Post n°813 pubblicato il 24 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Mi stringerai
ancora più forte
e mi bacerai
con tutta l’anima,
come se,
così facendo,
riversassi in me
tutto quello che
è racchiuso e celato in te,
che si aprirà
e si svelerà nel mio corpo,
piano piano,
finché tutto si scioglierà.

 
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Libri dimenticati: Piccoli sacrifici

Post n°812 pubblicato il 24 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Christie,Cheryl e Danny sono tre splendidi bambini,ma hanno una disgrazia:avere per madre Diane,una donna egocentrica ed instabile.
Quando Diane si innamora di lew,che è un uomo sposato che non vuole i suoi figli,lei,molto semplicemente,tenta di ucciderli,riuscendoci con Cheryl ,ferendo gravemente Christie e rendendo Danny paralitico.
E' l'inizio di un appassionante caso giudiziario che ha diviso l'America,ricostruito da Anne Rule

 
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Frase del giorno

Post n°811 pubblicato il 24 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Amava con tutta se stessa quell'uomo:era un poeta,un filosofo,un intellettuale,un artista,uno scrittore...Ma essendo una donna molto concreta preferì sposare l'idraulico.
Magari avessi fatto come lei!!!

 
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