Messaggi del 26/09/2011

Lo strano violinista

Post n°828 pubblicato il 26 Settembre 2011 da odette.teresa1958

C’era una volta uno strano violinista, che se ne andava solo solo per un bosco, e pensava a questo e a quello; e quando la sua mente non ebbe ove posarsi, disse fra sé: “Mi annoio molto qui nel bosco, voglio cercarmi un buon compagno.” Si tolse di dosso il violino e si mise a sonare, sicché il suono si diffuse fra gli alberi. Poco dopo, ecco venire un lupo, trottando per la boscaglia. “Ah, viene un lupo! quello non lo desidero proprio,” disse il violinista. Ma il lupo si avvicinò e gli disse: “Oh, caro violinista! come suoni bene! vorrei imparare anch’io.” - “È presto fatto,” gli rispose il violinista, “devi soltanto fare tutto quello che ti ordino.” - “O violinista,” disse il lupo, “ti obbedirò come uno scolaro il suo maestro.” Il violinista gli ordinò di seguirlo, e, quando ebbero fatto un pezzo di strada insieme, giunsero a una vecchia quercia, che era cava internamente e spaccata nel mezzo. “Guarda,” disse il violinista, “se vuoi imparar a sonare il violino, metti le zampe davanti in questa spaccatura.” Il lupo obbedí, ma il violinista prese in fretta un sasso e d’un sol colpo gli conficcò le zampe nel legno cosí saldamente, che il lupo dovette starsene là prigioniero. “Aspetta qui finché torno,” disse il violinista, e se ne andò per la sua strada.

Dopo un po’, disse di nuovo fra sé: “Mi annoio molto qui nel bosco, voglio cercarmi un altro compagno.” Prese il violino, e di nuovo si diffuse il suono nel bosco. Poco dopo, ecco venire una volpe strisciando fra gli alberi. “Ah, viene una volpe,” disse il violinista, quella non la desidero proprio. Ma la volpe gli si accostò e disse: “Ah, caro violinista, come suoni bene! Vorrei imparare anch’io.” È presto fatto, disse il violinista: devi soltanto fare tutto quel che ti ordino. “O violinista,” rispose la volpe, “ti obbedirò come uno scolaro il suo maestro.” - “Seguimi,” disse il violinista, e quando ebbero fatto un pezzo di strada, giunsero a un sentiero fiancheggiato da alti cespugli. Allora il violinista si fermò, da un lato del sentiero curvò fino a terra un giovane nocciolo e ne premette la cima col piede; dall’altro lato incurvò un altro alberello e disse: “Orsú, volpicina, se vuoi imparar qualcosa, porgimi una delle tue zampe davanti, la sinistra.” La volpe obbedí ed egli le legò la zampa al fusto di sinistra. “Volpicina,” disse, “ora porgimi la destra.” E la legò al fusto di destra. E, dopo essersi assicurato che i nodi delle corde fossero abbastanza solidi, lasciò la presa, e gli alberelli si rizzarono e lanciarono in alto la volpe, che restò sospesa in aria a sgambettare. “Aspettami qui fìnché torno,” disse il violinista e se ne andò per la sua strada.

Di nuovo disse fra sé: “Mi annoio qui nel bosco; voglio cercarmi un altro compagno.” Prese il violino, e il suono si diffuse per il bosco. Allora ecco venire a gran balzi un leprotto. “Ah, viene una lepre!” disse il violinista, “questa non la volevo.” - “Ah, caro violinista,” disse il leprotto, “come suoni bene! vorrei imparare anch’io.” - “È presto fatto,” disse il violinista, “devi soltanto fare tutto quel che ti ordino.” - “O violinista,” disse il leprotto, “ti obbedirò come uno scolaro il suo maestro.” Fecero un pezzo di strada insieme, finché giunsero a una radura nel bosco, dove c’era una tremula. Il violinista legò un lungo spago al collo del leprotto e ne annodò l’altro capo all’albero. “Svelto, leprottino, ora salta venti volte intorno all’albero!” esclamò il violinista, e il leprotto obbedi, e quando ebbe fatto i suoi venti giri, lo spago si era attorto venti volte intorno al tronco; e il leprotto era prigioniero, e aveva un bel tirare e dar strattoni: si tagliava soltanto il collo delicato con lo spago. “Aspetta qui finché torno,” disse il violinista e proseguí.

Intanto il lupo aveva dato spinte e strattoni, aveva morso la pietra e si era tanto adoprato, che alla fine si era liberato tirando fuori le zampe dalla spaccatura. Pieno di collera e di rabbia, corse dietro al violinista e voleva sbranarlo. Quando la volpe lo vide, cominciò a lamentarsi e gridò con tutte le sue forze: “Fratello lupo, vieni ad aiutarmi: il violinista mi ha ingannata.” Il lupo curvò gli alberelli, con un morso spezzò le funi e liberò la volpe, che lo accompagnò, per vendicarsi del violinista. Trovarono il leprotto legato, liberarono anche lui, e poi tutti insieme andarono in cerca del loro nemico.

Per la strada il violinista aveva ripreso a sonare, e questa volta era stato piú fortunato. I suoni giunsero all’orecchio di un povero boscaiolo, che subito, lo volesse o no, interruppe il suo lavoro e con l’ascia sotto il braccio si avvicinò per sentire la musica. “Finalmente viene il compagno che fa per me,” disse il violinista, “un uomo cercavo, non bestie selvagge.” E cominciò a sonar cosí bene e con tanta dolcezza, che il pover’uomo se ne stava incantato e si sentiva allargare il cuore dalla gioia. E mentre se ne stava cosí, si avvicinarono il lupo, la volpe e il leprotto ed egli si accorse che tramavano qualcosa. Allora sollevò l’ascia rilucente e si mise davanti al violinista, come a dire: “Chi gli vuol male si guardi, l’avrà da fare con me.” Allora le bestie, impaurite, di corsa tornarono nel bosco; ma il violinista per ringraziamento sonò un altro pezzo e poi proseguí la sua strada.

FINE

Immagine: Lo strano violinista (Grimm)

 
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Il re di macchia e l'orso

Post n°827 pubblicato il 26 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Una volta, d'estate, l'orso e il lupo se ne andavano insieme a spasso nel bosco; l'orso udì un dolce canto d'uccello e disse -Fratello lupo, che uccello è questo che canta così bene?-. -E' il re degli uccelli- rispose il lupo -dobbiamo inchinarci davanti a lui.- E invece era il re di macchia. -Se è così- disse l'orso -mi piacerebbe anche vedere la sua reggia: vieni, conducimi da lui.- -Non è così facile come credi- disse il lupo. -Devi aspettare che torni Sua Maestà la regina.- Poco dopo giunse Sua Maestà la regina con un po' di cibo nel becco, e così pure Sua Maestà il re; e volevano imbeccare i loro piccoli. L'orso avrebbe voluto seguirli subito, ma il lupo lo trattenne per la manica e disse: -No, prima devi aspettare che il re e la regina se ne siano andati-. Così guardarono bene dove si trovava il nido e se ne andarono. Ma l'orso non aveva pace, voleva vedere la reggia, e poco dopo tornò là davanti. Il re e la regina erano volati via: egli guardò dentro e vide cinque o sei piccoli nel nido -Sarebbe questa la reggia?- disse l'orso. -E' un palazzo ben misero! E anche voi non siete principini, ma gentaglia!- All'udire queste parole, gli scriccioletti andarono su tutte le furie e gridarono: -No, questo non è vero, i nostri genitori sono gente onorata. Orso, questa ce la pagherai!-. Il lupo e l'orso si spaventarono, e scapparono a rifugiarsi nelle loro tane. Ma i piccoli scriccioletti continuarono a gridare e a strepitare, e quando i genitori ritornarono con il cibo dissero: -Non toccheremo neanche una zampetta di mosca, a costo di morir di fame, se prima non mettete in chiaro se siamo o no gente onorata: è venuto l'orso e ci ha insultati-. Allora il vecchio re disse -State tranquilli, tutto sarà chiarito-. Poi volò con Sua Maestà la regina davanti alla tana dell'orso e gridò: -Orso brontolone, hai insultato i nostri piccoli: peggio per te, risolveremo la cosa in una guerra sanguinosa-. Così dichiararono guerra all'orso e furono chiamati a raccolta tutti i quadrupedi: il bue, l'asino, il toro, il cervo, il capriolo e tutte le bestie che vi sono sulla terra. Il re di macchia, invece, radunò tutte quelle che volano, non solo gli uccelli grandi e piccoli, ma anche le zanzare, i calabroni, le api e le mosche. Quando venne il momento di incominciare la guerra, il re di macchia inviò delle spie per sapere chi fosse il comandante in capo del nemico. La zanzara fu più furba di tutti, vagò per il bosco dove si radunava il nemico e andò infine a posarsi sotto una foglia dell'albero dove si dava la parola d'ordine. C'era l'orso che chiamò la volpe e disse: -Volpe, tu sei il più astuto degli animali, devi essere generale e guidarci; quali segnali adopereremo?-. La volpe rispose: -Io ho una bella coda lunga e folta che sembra quasi un pennacchio rosso: se la tengo diritta, le cose vanno bene, e voi dovete andare all'assalto; se invece la lascio pendere, scappate via in fretta-. Dopo aver sentito questo, la zanzara volò via e riferì tutto per filo e per segno al re di macchia. Quando giunse il giorno in cui si doveva dare battaglia, olà, i quadrupedi arrivarono di carriera facendo tanto rumore che la terra tremava; anche il re di macchia giunse a volo con la sua armata che ronzava, strillava e svolazzava da far paura. Così mossero gli uni contro gli altri. Ma il re di macchia mandò giù il calabrone, che doveva posarsi sotto la coda della volpe e pungerla a più non posso. Alla prima puntura, la volpe saltò su e alzò una gamba, ma sopportò e tenne la coda diritta; alla seconda dovette abbassarla per un momento; ma alla terza non pot‚ più trattenersi, mandò un grido e si prese la coda fra le gambe. A quella vista, gli animali credettero che tutto fosse perduto e si misero a correre, ognuno nella sua tana. Così gli uccelli vinsero la battaglia. Allora il re e la regina volarono dai loro piccoli e gridarono: -Allegri piccini, mangiate e bevete a volontà: abbiamo vinto la guerra!-. Ma i piccoli scriccioletti dissero: -Non mangiamo ancora: prima l'orso deve venire davanti al nido a scusarsi e dire che siamo figli di gente onorata-. Allora il re di macchia volò alla tana dell'orso e gridò: -Orso brontolone, devi andare al nido dai miei piccini a chiedere perdono, e devi dire che sono figli di gente onorata, altrimenti ti romperemo le costole-. L orso, pieno di paura, andò a chieder perdono. Allora finalmente i piccoli scriccioletti si sedettero tutti insieme, mangiarono, bevvero e se la spassarono fino a tarda notte.

FINE


 
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Il re del monte d'oro

Post n°826 pubblicato il 26 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Un mercante aveva due figli, un maschietto e una femminuccia, che erano piccoli e non camminavano ancora. Egli mandò in mare due navi cariche di merci e lì c'erano tutti i suoi beni; e mentre sperava in un cospicuo guadagno, giunse la notizia che erano colate a picco. Invece di essere un riccone, egli era adesso un pover'uomo, e non gli restava altro che un campo fuori dalla città. Per dimenticare un po' i suoi guai, andò nel campo; e mentre passeggiava su e giù, si trovò accanto all'improvviso un omino nero, che gli domandò perché‚ fosse così triste e che cosa lo affliggesse tanto. Il mercante disse: “Se potessi aiutarmi, te lo direi.” - “Chissà,” rispose l'omino nero, “forse posso; parla!” Allora il mercante gli raccontò che tutta la sua ricchezza era andata persa in mare e che gli rimaneva soltanto quel campo. “Oh! Non preoccuparti per questo,” rispose l'omino. “Se mi prometti di portare qui fra dodici anni la cosa che a casa ti verrà fra le gambe per prima, avrai denaro a volontà.” Il mercante pensò: E' ben poca cosa: che mai altro può essere se non il mio cane? Non pensò al suo piccino, acconsentì e lasciò all'uomo una promessa scritta con tanto di sigillo; poi se ne andò a casa.

Quando giunse a casa, il suo bambino fu così contento che reggendosi alle sedie, gli andò incontro barcollando, e gli si aggrappò alle gambe. Allora il padre si spaventò e capì quale promessa avesse fatto, ma poiché‚ di denaro non ne vedeva, pensò che si fosse trattato di uno scherzo da parte dell'omino. Circa un mese più tardi andò in solaio per cercare del vecchio vasellame di stagno, che voleva vendere per ricavare qualche soldo; e vide per terra un gran mucchio di denaro. A quella vista si rallegrò, fece degli acquisti, divenne un mercante ancora più ricco di prima, e lasciò correre le acque per la loro china. Nel frattempo il bambino cresceva e divenne un giovane giudizioso. Ma più si avvicinavano i dodici anni, più il mercante si affliggeva, tanto che gli si leggeva in faccia il tormento. Così, un giorno il figlio gli domandò cosa avesse. Il padre non voleva dirlo, ma il ragazzo insistette tanto, finché‚ egli rivelò di averlo promesso a un omino nero, senza sapere cosa stesse facendo, e di aver ricevuto in cambio molto denaro. Aveva rilasciato una promessa scritta e sigillata, e allo scadere dei dodici anni doveva consegnarlo. Il figlio disse: “Babbo, non abbiate paura: tutto andrà bene, l'uomo nero non ha alcun potere su di me.”

Il figlio si fece benedire dal sacerdote e, quando venne il momento, andò nel campo con il padre; tracciò un cerchio e vi entrarono tutti e due. Allora venne l'omino nero e disse al vecchio: “Hai portato ciò che mi hai promesso?” Ma l'uomo taceva e il figlio domandò: “Che cosa vuoi tu qui?” Disse l'omino nero: “Devo parlare con tuo padre, non con te.” Il figlio rispose: “Tu hai adescato e ingannato mio padre, restituisci la promessa scritta.” - “No,” rispose l'omino nero, “non rinuncio al mio diritto.” Parlarono ancora a lungo insieme, e finirono col mettersi d'accordo: il figlio non apparteneva più al Nemico, ma neanche a suo padre; doveva salire su una barchetta, su un fiume che scorreva giù per la china; proprio il padre avrebbe scostato la barca con il piede, abbandonando il figlio alle acque. Così il giovane prese congedo dal padre, salì su una barchetta e il padre stesso dovette scostarla con il piede. La barchetta si capovolse, sicché‚ la chiglia venne a galla e il ponte finì sott'acqua; il padre credette che il figlio fosse morto, andò a casa e si mise in lutto.

Ma la barchetta non affondò, continuò tranquillamente il suo viaggio, e il giovane se ne stava là dentro al sicuro; la barchetta navigò a lungo, finché‚ si arenò su una riva sconosciuta. Allora il giovane scese a terra e vide un bel castello davanti a s‚, e vi si diresse subito, ma quando entrò si accorse che il castello era stregato; le stanze erano vuote meno l'ultima, nella quale si imbatté‚ in una serpe. Ma la serpe era una principessa stregata che si rallegrò al vederlo e gli disse: “Vieni, mio liberatore! Ti ho atteso per dodici anni; questo regno è stregato e tu devi liberarlo. Questa notte verranno dodici uomini neri carichi di catene che ti chiederanno cosa sei venuto a fare qui; tu sta' zitto e non dare loro risposta, lascia che facciano di te quello che vogliono: ti tormenteranno, ti picchieranno e ti trafiggeranno; tu lasciali fare e taci: a mezzanotte devono andarsene. La seconda notte ne verranno altri dodici; e la terza ventiquattro, che ti taglieranno la testa; ma a mezzanotte cessa il loro potere, e se tu hai resistito e non hai detto neanche una parola, allora sono libera. Verrò da te e porterò l'acqua della vita, ti fregherò con quella e tornerai vivo e sano come prima.” Egli disse: “Ti libererò volentieri-. E tutto si svolse com'ella aveva detto: gli uomini neri non poterono strappargli neanche una parola, e la terza notte la serpe si mutò in una bella principessa che venne con l'acqua della vita e lo risuscitò. Allora ella gli saltò al collo e lo baciò, e in tutto il castello vi fu grande gioia. Fu celebrato il loro matrimonio ed egli divenne re del monte d'oro. Vivevano felici insieme e la regina partorì un bel maschietto. Erano già passati otto anni, quando il giovane si ricordò di suo padre; il suo cuore si commosse e desiderò andarlo a trovare. La regina però non voleva lasciarlo partire e diceva: -So già che ciò sarà la mia disgrazia-. Ma egli non le dette pace, finché ella acconsentì. Quando si salutarono, ella gli diede un anello magico e disse: -Prendi questo anello e mettilo al dito; sarai subito trasportato dove desideri andare; ma devi promettermi di non desiderare che io venga da tuo padre-. Egli promise, si mise l'anello al dito e desiderò di trovarsi davanti alla città dove viveva suo padre. Ci fu immediatamente, ma quando arrivò davanti alla porta della città, le guardie non volevano lasciarlo entrare, poiché‚ le sue vesti erano sfarzose ma bizzarre. Allora egli andò su di un monte dove c'era un pastore che custodiva le pecore; scambiò gli abiti con lui, indossò il vecchio vestito da pecoraio e così entrò indisturbato in città. Quando giunse da suo padre, si fece riconoscere, ma il mercante disse che non voleva credere che egli fosse suo figlio; ne aveva avuto sì uno, ma era morto da un pezzo. Ma siccome vedeva che era un povero pastore bisognoso, gli avrebbe dato volentieri un piatto di minestra. Allora il pastore disse ai suoi genitori: -Io sono davvero vostro figlio: non sapete se sul mio corpo c'è qualche voglia dalla quale possiate riconoscermi?-. -Sì- rispose la madre -nostro figlio aveva una voglia di lampone sotto il braccio destro.- Allora egli rimboccò la manica della camicia, essi videro la voglia di lampone e non dubitarono più che fosse loro figlio. Poi egli raccontò che era il re del monte d'oro, che sua moglie era una principessa e che avevano un bel bambino di sette anni. Disse il padre: -Non lo crederò mai! Bel re davvero che se ne va in giro con un vestito da pecoraio!-. Allora il figlio andò in collera e, senza pensare alla sua promessa, girò l'anello e desiderò di avere con s‚ la moglie e il bambino. In un attimo essi comparvero, ma la regina piangeva e si lamentava, dicendo che egli non aveva mantenuto la sua parola e l'aveva resa infelice. Egli la placò e cercò di rabbonirla; ella finse di chetarsi, ma in realtà aveva intenzioni cattive. Egli la condusse fuori dalla città, nel campo, e le mostrò il fiume dove la barchetta era stata allontanata; poi disse: -Sono stanco; siediti, voglio dormire un po' sul tuo grembo-. Le mise la testa in grembo ed ella lo spidocchiò un poco, finché‚ egli si addormentò. Quando si fu addormentato, ella gli sfilò l'anello dal dito, ritrasse il piede che era sotto di lui e lasciò soltanto la pantofola. Quindi prese con s‚ il bambino e desiderò di ritornare nel suo regno. Quand'egli si svegliò, si ritrovò solo: la moglie e il bambino erano scomparsi, e così pure l'anello che portava al dito; soltanto la pantofola era ancora là, come segno. "Non puoi più ritornare a casa dai tuoi genitori" pensò. "Direbbero che sei uno stregone. Devi metterti in cammino e andare, finché‚ arrivi nel tuo regno." Così se ne andò finché‚ giunse a una montagna dove tre giganti si stavano dividendo l'eredità paterna. Quando lo videro passare lo chiamarono e dissero che gli ometti sono assennati: egli doveva perciò ripartire l'eredità fra di loro. Essa consisteva in una spada: se uno la prendeva in mano e diceva: -Giù tutte le teste, meno la mia- tutte le teste cadevano a terra. Poi c'era un mantello: chi lo indossava era invisibile. Infine un paio di stivali: chi li infilava, e desiderava di essere da qualche parte, vi era all'istante. Egli disse che dovevano dargli i tre oggetti, perché‚ potesse constatare se erano ancora in buono stato. Allora gli diedero il mantello; egli se lo mise addosso, desiderò di essere invisibile come una mosca e subito lo divenne. -Il mantello va bene- disse. -Adesso datemi la spada.- Essi dissero: -No, non te la diamo, perché‚ se tu dicessi: "giù tutte le teste, meno la mia" le nostre teste cadrebbero, e soltanto tu conserveresti la tua-. Ma poi gliela diedero lo stesso a condizione che la provasse su di un albero. Così fece, e constatò che anche la spada funzionava bene. Allora egli volle provare anche gli stivali, ma i giganti dissero: -No, non te li diamo, poiché‚ se tu li infilassi e desiderassi di essere in cima al monte, noi staremmo quaggiù a mani vuote-. -No- diss'egli -non lo farò.- Ed essi gli diedero anche gli stivali. Quand'egli ebbe tutti e tre gli oggetti desiderò di trovarsi sul monte d'oro, ed ecco che già si trovava laggiù; i giganti erano spariti e così fu divisa quell'eredità. Avvicinandosi al castello udì suon di flauti e violini, e la gente gli disse che sua moglie stava festeggiando le nozze con un altro principe. Allora egli indossò il mantello, e mutatosi in una mosca, andò a mettersi dietro alla sua sposa, invisibile a ognuno. Quando le mettevano nel piatto un pezzo di carne, egli lo prendeva e lo mangiava; e quando le versavano un bicchiere di vino, lo prendeva e lo beveva; per quanto continuassero a servirla, non aveva mai nulla nel piatto. Ella si vergognava, così si alzò e andò in camera sua a piangere, ed egli la seguì. Ella disse fra s‚: -E' il diavolo che mi sta addosso? Non è ancora venuto il mio liberatore?-. Allora egli le diede due belle sberle e disse: -Non è venuto il tuo liberatore? E' lui, perfida, che ti sta addosso! Ho meritato questo da te?-. Poi andò nella sala e annunciò che le nozze erano finite poiché‚ lui era ritornato. Allora fu schernito da re, principi e consiglieri che erano riuniti là. Ma egli non fece tante parole e domandò se si decidevano ad andarsene o no. Quelli volevano catturarlo, ma egli trasse la spada e disse: -Giù tutte le teste, meno la mia!-. Allora tutte le teste rotolarono per terra, ed egli fu di nuovo re del monte d'oro.

FINE


 
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Le cornacchie

Post n°825 pubblicato il 26 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Un onesto soldato aveva guadagnato del denaro e lo aveva messo da parte, perché‚ era scrupoloso e non lo scialava, come gli altri, all'osteria. Due suoi camerati avevano il cuore cattivo e volevano portargli via il suo denaro; in apparenza, tuttavia, si comportavano molto amichevolmente. Un giorno gli dissero: -Ascolta, che cosa stiamo a fare qui in città, chiusi come se fossimo prigionieri? E per giunta uno come te, che a casa potrebbe guadagnare a dovere e vivere contento-. Insistettero così a lungo con questi discorsi, finché‚ egli acconsentì e scappò con loro. Ma gli altri due non avevano altro intento che di rubargli il denaro fuori città. Quand'ebbero percorso un tratto di strada, i due camerati dissero: -Dobbiamo prendere la strada verso destra se vogliamo arrivare al confine-. -Ma neanche per idea!- rispose l'altro -di qui si torna dritti in città: dobbiamo proseguire a sinistra.- -Che cosa? Vuoi forse fare il prepotente?- gridarono gli altri due, gli si scagliarono addosso, lo picchiarono finché‚ egli cadde a terra e gli presero i soldi di tasca. Ma non era ancora abbastanza: gli cavarono gli occhi, lo trascinarono alla forca e ve lo legarono stretto. Lo abbandonarono là e se ne tornarono in città con il denaro rubato. Il povero cieco non sapeva in quale luogo triste si trovasse; tastò attorno a s‚ e capì di essere seduto sotto una trave di legno. Allora pensò che si trattasse di una croce e disse: -E' stato bello da parte vostra avermi almeno legato sotto una croce: Dio è con me- e incominciò a pregare. Quando stava per imbrunire, udì un frullar d'ali: erano tre cornacchie che si posarono sulla forca. Ne udì una che diceva: -Sorelle, che novità ci portate? Ah, se la gente sapesse quello che sappiamo noi! La principessa è malata, e il vecchio re l'ha promessa in isposa a colui che la guarisce. Ma questo non lo può nessuno poiché‚ la principessa ridiventerà sana solo se il rospo che si trova nello stagno verrà ridotto in cenere ed ella la berrà-. La seconda cornacchia disse: -Ah, se la gente sapesse quello che sappiamo noi! Questa notte verrà dal cielo una rugiada salutare e portentosa, e chi è cieco e si strofina gli occhi con essa, riacquista la vista-. La terza disse: -Ah, se la gente sapesse quello che sappiamo noi! Il rospo può essere di aiuto a una sola persona e anche la rugiada è rimedio per pochi, ma in città c'è grande pericolo: tutti i pozzi sono prosciugati e nessuno sa che se si toglie la grossa pietra quadrata che si trova sulla piazza del mercato, e vi si scava sotto, ne sgorgherà dell'ottima acqua-. Quando le cornacchie ebbero pronunciato queste parole, egli le udì volar via con un frullar d'ali. Piano piano si liberò dalle corde, poi si chinò, raccolse qualche erbetta e si strofinò gli occhi con la rugiada che vi era caduta sopra. Subito tornò a vederci, e siccome in cielo c'erano la luna e le stelle, vide che si trovava presso la forca. Cercò allora un vaso di terracotta e raccolse quanto più pot‚ della preziosa rugiada; poi andò allo stagno, rimosse un po' l'acqua, tirò fuori il rospo e, dopo averlo ridotto in cenere, si recò alla corte del re. Là fece bere la cenere alla principessa, e quand'ella guarì la domandò in moglie, come era stato promesso. Ma siccome era vestito miseramente, egli non piacque al re, sicché‚ questi fece sapere che colui che volesse avere sua figlia in isposa doveva prima procurare acqua alla città; così credeva di essersi liberato di lui. Ma egli andò alla piazza del mercato e disse alla gente di sollevare la pietra quadrata e di cercare l'acqua scavandovi sotto. Così fecero e presto trovarono una bella sorgente che dava acqua in abbondanza. Il re non pot‚ più rifiutargli la figlia, ed essi si sposarono e vissero insieme felici. Un giorno, mentre se ne andava a passeggio per i campi, incontrò i due camerati di un tempo che erano stati tanto sleali con lui. Essi non lo riconobbero, mentre egli li identificò subito, andò da loro e disse: -Vedete, sono il vostro camerata di un tempo, al quale avete cavato gli occhi in modo così infame; ma il buon Dio, per fortuna, me li ha fatti ricrescere-. Allora essi si prostrarono ai suoi piedi e chiesero grazia; e siccome egli era di buon cuore, ne ebbe pietà, li prese con s‚ e diede loro vestiti e nutrimento. Indi raccontò come gli erano andate le cose e come fosse arrivato a tanta fortuna. Appresa ogni cosa, gli altri due non si davano pace e vollero anch'essi trascorrere una notte sotto la forca per vedere se sentivano qualcosa di interessante. Quando si trovarono sotto al patibolo, udirono un frullar d'ali sopra le loro teste: erano le tre cornacchie. La prima disse alle altre: -Ascoltate, sorelle, deve averci ascoltate qualcuno, poiché‚ la principessa è guarita, il rospo è sparito dallo stagno, un cieco è tornato a vederci e in città hanno scavato di fresco un pozzo; venite e cerchiamo, forse troveremo colui che ci ha ascoltate!-. Le tre cornacchie scesero a volo e trovarono i due soldati; prima che questi potessero difendersi, si posarono sulle loro teste e cavarono loro gli occhi a forza di beccate, poi continuarono a beccarli finché‚ li uccisero. Così i due rimasero distesi sotto la forca. Non vedendoli tornare da due giorni, il loro vecchio camerata si chiese dove fossero andati a finire e si mise a cercarli. Ma non trovò altro che le loro ossa, le portò via dalla forca e le mise in una fossa.

FINE


 
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Lo strano invito

Post n°824 pubblicato il 26 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Una volta un sanguinaccio e una salsiccia erano diventati amici e il sanguinaccio invitò la salsiccia a casa propria. Quando fu ora di pranzo questa si mise in cammino tutta contenta ma, giunta a casa del sanguinaccio, vide ogni sorta di stranezze. A ogni scalino della scala ù e ve n'erano tanti ù c'era sempre qualche sorpresa: qua, una scopa e una paletta che se le davano di santa ragione; là, una scimmia con una grossa ferita sulla testa; e altro ancora. La salsiccia era spaventata e sbigottita per quello che vedeva, tuttavia si fece coraggio ed entrò nella stanza, dove fu accolta con gentilezza dal sanguinaccio. La salsiccia incominciò allora a fare domande sulle cose strane che c'erano fuori per la scala, ma il sanguinaccio fece finta di non sentire, oppure disse che non valeva la pena di parlarne; diede delle spiegazioni solo riguardo alla scopa e alla paletta, dicendo: -Sarà stata la mia serva che stava ciarlando con qualcuno sulla scala-. Poi si mise a parlar d'altro. Dopo un po' il sanguinaccio uscì dicendo che doveva andare in cucina a controllare che il pranzo fosse stato servito per bene e che nulla fosse finito nella cenere. Nel frattempo, mentre la salsiccia andava su e giù per la stanza pensando sempre a quelle strane cose che aveva visto, entrò qualcuno ù non so dire chi sia stato ù e disse: -Ti avverto, salsiccia, sei capitata in una casa di feroci assassini; fuggi, se ti è cara la vita-. La salsiccia non se lo fece dire due volte, andò quatta quatta alla porta e corse via più veloce che pot‚. Non si fermò finché‚ non si fu allontanata un bel pezzo dalla casa, poi si volse indietro e vide il sanguinaccio in piedi nel sottotetto con un coltello lungo lungo in mano. Il coltello brillava come se fosse stato affilato, e con esso il sanguinaccio minacciava da lontano la salsiccia gridando: -Se ti avessi fra le mani, saprei ben io cosa farti.-

FINE


 
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Il compare

Post n°823 pubblicato il 26 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Un pover'uomo aveva tanti figli, e aveva già pregato tutti di fare da padrino; così, quando gli nacque l'ultimo, non sapeva proprio più a chi rivolgersi. Allora tutto triste si mise a letto e si addormentò. Sognò che doveva andare alla porta e invitare a fare da padrino la prima persona che incontrava. Quando si svegliò l'uomo fece quello che aveva visto in sogno e colui che incontrò e che fece da padrino gli regalò una bottiglietta d'acqua dicendo: -Con quest'acqua puoi guarire chi è ammalato, a condizione però che la Morte sia al capezzale dell'infermo; se invece si trova ai piedi del letto, l'ammalato deve morire-. Una volta si ammalò il figlio del re, e l'uomo pot‚ risanarlo poiché‚ la Morte si trovava al suo capezzale; così fu anche una seconda volta; ma la terza, la Morte era ai piedi del letto e il principino dovette morire. Allora l'uomo volle recarsi dal compare per raccontargli l'accaduto, ma quando giunse a casa sua vi trovò una stranissima brigata. Al primo piano la scopa e la paletta se le davano di santa ragione. Egli chiese dove abitasse il compare e la scopa rispose: -Al piano di sopra-. Quando arrivò al secondo piano vide per terra un bel mucchio di dita di morto. Allora egli domandò di nuovo dove abitasse il compare, e un dito rispose: -Al piano di sopra-. Al terzo piano c'era una gran quantità di teste di morto che dissero ancora: -Al piano di sopra-. Al quarto vide dei pesci sul fuoco che friggevano e si cuocevano da s‚. Anch'essi dissero: -Al piano di sopra-. E quando giunse al quinto piano si trovò davanti a una stanza; sbirciò dal buco della serratura e vide il compare che aveva un paio di corna lunghe lunghe. Quand'egli entrò, il compare si buttò in fretta sul letto e le coprì. Disse l'uomo: -Compare, quando sono arrivato al primo piano, ho visto una scopa e una paletta darsele di santa ragione-. -Che sciocco!- rispose il compare -erano il servo e la serva che parlavano insieme.- -Al secondo piano ho visto delle dita di morto per terra.- -Che grullo siete! erano radici di scorzonera.- -Al terzo piano c'era un mucchio di teste di morto.- -Stupido! erano cavoli cappucci.- -Al quarto, ho visto dei pesci in padella, che sfrigolavano e si cuocevano da soli.- Aveva appena pronunciato queste parole che i pesci comparvero e si misero in tavola da s‚. -E al quinto piano, ho guardato dal buco della serratura e ho visto che voi, compare, avevate un paio di corna lunghe lunghe!- -Ma no che non è vero!-

FINE

 
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Rieccolo qua!

Post n°822 pubblicato il 26 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Che vi avevo detto?L'erba cattiva non muore mai, e Bernabò Trogoloni è rimparso.Stavolta l'indescrivibile,innamoratosi di Zenobia Caldarrosti,ne ha fatte più di Carlo in Francia per conquistarla,ed io,da bravo cronista par mio (lo so,chi si loda si imbroda,ma ogni tanto un pizzico di autogratidicazione ci vuole)passo senza indugio a narrarvi i fatti.
LUNEDI'- Bernabò ha letto alla Zenobia le poesie che lei gli ha ispirato.Tutto è andato bene finchè non si è sentita dire che lui aveva bisogno di lei come la terra ha bisogno del concio e che il colore dei suoi capelli le ricordava quello della concimaia diTeobaldo.Il Trogoloni ora sfoggia uno splendido paio di occhi neri e pare un panda.
MARTEDI'- Bernabò ha regalato all'amata un profumo:si chiama "Pisch du chat incazzè n.5"La Zenobia è stata assalita da tutti i gatti maschi di Sanfrediano,che l'avevano presa per una gatta di facili costumi.
Solo un tuffo in Arno l'ha salvata dalle brame di 1754 felini assatanati.
MERCOLEDI'- Il Trogoloni ha inondato di fiori casa Caldarrosti.Nel palazzo si sono registrati,in una sola ora, ben 83 casi di allergia fulminante.
GIOVEDI'-Bernabò ha trafficato con la Punto della Zenobia.
Risultato:patente ritirata per 3 anni e 6 mesi per velocità eccessiva (340 l'ora)
VENERDI'-Bernabò e la Zenobia sono andati a vedere il romanticissimo film "Cuori sperduti a Spilamberto"
Lui piangeva così forte che spettatori,cassiera ,proprietario e inservienti si sono precipitati a consolarlo,mentre la Zenobia voleva sprofondare sottoterra e oltre
SABATO- Il Trogoloni si èpresentato dai Caldarrosti a chiedere la mano di Zenobia.
La sua acqua di colonia ha fatto vomitare la futurasuocera.
Il padre è stato quasi accecato dal un colossale mazzo di rose blu.
Il fratello è stato più sfortunato:Bernabò (che aveva mangiato un tramezzino a base di gorgonzola,cipolla e aglio)lo ha baciato in bocca, semisoffocandolo.
Bernabò è stato buttato giù dalle scale
DOMENICA- La Zenobia ha detto chiaro e tondo al Trogoloni che prima di sposare lui si fa monaca di clausura in Alaska.
Il poveretto è stato colto da malore.
Da allora sono passati dieci giorni.
I Caldarrosti sono emigrati in massa a Tukambakabalodisotto,dove hanno aperto un supermarket.
Bernabò è ricoverato nella clinica Luminaris in stato catatonico.
Più ci resta,meglio è.
STretta la foglia,larga la via,dite la vostra che ho detto la mia

 
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Saluto all'alba (Kalidasa)

Post n°821 pubblicato il 26 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Guarda a questo giorno!
In esso è la vita, la vera vita della vita.
Nel suo breve corso
È riposta tutta la verità e la realtà del tuo esistere:
la felicità del crescere
la gloria dell'azione
lo splendore della bellezza;
poiché ieri non è che un sogno
e domani una visione;
ma l'oggi ben vissuto rende ogni ieri un sogno di felicità
e ogni domani una visione di speranza.
Guarda bene, perciò, a questo giorno!
Tale è il saluto all'alba.

 
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Libri dimenticati:La vita davanti a sè

Post n°820 pubblicato il 26 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Parigi,quartiere Belleville.
In uno stabile fatiscente vive Madame Rosa,ex prostituta ebrea che per vivere adesso tiene a pensione i figli delle prostitute.
Fra loro c'è Mohamed,detto Momò,un ragazzino sveglio e sensibile.
Fra lui e Madame si instaura un rapporto affetivo particolare,sneza tenerezze ma intenso,profondo.
E' un libro non solo da leggere,ma da RIleggere

 
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Frase del giorno

Post n°819 pubblicato il 26 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Là dov'è il tuo tesoro,là è il tuo cuore

 
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