Messaggi del 28/09/2011

Il principe senza paura

Post n°846 pubblicato il 28 Settembre 2011 da odette.teresa1958

C'era una volta un principe che non voleva più stare a casa di suo padre; e poiché‚ non aveva paura di nulla, pensò: "Me ne andrò per il mondo in modo da non annoiarmi, e vedrò ogni sorta di cose". Così prese congedo dai suoi genitori e se ne andò, camminando da mane a sera, senza badare dove lo portasse la strada. Gli accadde di arrivare alla casa di un gigante e, poiché‚ era stanco, si sedette davanti alla porta a riposare. E, mentre il suo sguardo vagava qua e là, vide per terra, nel cortile del gigante, dei giochi: qualche palla enorme e dei grossi birilli. Dopo un po', gli venne voglia di giocare, raddrizzò i birilli e si mise a tirare le palle; quando i birilli cadevano, gridava, strillava e si divertiva. Il gigante udì il rumore, si affacciò alla finestra e scorse un uomo non più alto degli altri, che tuttavia giocava con i suoi birilli. Allora gli gridò: -Vermiciattolo, chi ti ha dato la forza per giocare con i miei birilli?-. Il principe alzò gli occhi, vide il gigante e disse: -Babbeo, credi forse di essere l'unico a possedere delle braccia robuste? Io so far tutto quel che mi piace!-. Il gigante scese, lo guardò tutto meravigliato e disse: -Uomo, se sei di tal fatta, va' a prendermi una mela dell'albero della vita-. -Che cosa vuoi farne?- domandò il principe -Non è per me- rispose il gigante -è la mia fidanzata che la vuole; ho già girato dappertutto, ma non riesco a trovare l'albero.- -Mi basterà mettermi in cammino- rispose il principe -e sicuramente troverò l'albero; e mi parrebbe proprio strano se non riuscissi a cogliere la mela!- Il gigante disse: -Non è così facile come credi. Il giardino in cui si trova la pianta è circondato da una cancellata di ferro e davanti a essa vi sono, accovacciate l'una accanto all'altra, delle bestie feroci, che fanno la guardia e non lasciano entrare nessuno-. -Vedrai se non mi lasceranno entrare!- disse il principe. -Ma se anche arrivi nel giardino e vedi la mela sull'albero, non è ancora tua: davanti c'è un anello e bisogna infilarci la mano, se si vuole raggiungere e cogliere la mela, e questo non è ancora riuscito a nessuno.- -Oh, è riservato a me- disse il principe -io ci riuscirò!- Prese congedo dal gigante e se ne andò per monti e valli, per campi e boschi, finché‚ trovò il giardino incantato. Le belve erano accovacciate all'intorno, ma stavano a testa bassa e dormivano. Al suo arrivo non si svegliarono, ed egli le scavalcò, salì sulla cancellata e giunse felicemente nel giardino. In mezzo vi scorse l'albero della vita con le mele rosse che luccicavano fra i rami. Il principe si arrampicò sul tronco, e mentre stava per cogliere una mela vide un anello pendere davanti al frutto, ma pot‚ introdurvi la mano senza fatica, e staccare la mela. L'anello però si strinse al suo braccio, ed egli sentì una gran forza pervaderlo all'improvviso, tanto che pensò di poter dominare ogni cosa; in realtà questa forza gliela dava l'anello. Quando ridiscese dall'albero, non volle arrampicarsi sulla cancellata, ma afferrò il gran portone, lo scrollò e quello si spalancò con uno schianto. Egli uscì, e il leone, che era disteso là davanti, si svegliò e lo seguì di corsa, non feroce e selvaggio, ma con umiltà, come se il principe fosse il suo signore, e non lo abbandonò più. Il principe portò al gigante la mela che gli aveva promesso. -Vedi- disse -l'ho colta senza fatica.- Il gigante si rallegrò di avere ottenuto così in fretta ciò che aveva tanto desiderato, corse dalla sua fidanzata e le diede la mela. Ella era una fanciulla bella e accorta e, non vedendo l'anello al suo braccio, disse: -Non credo che tu abbia colto la mela, se prima non vedo l'anello al tuo braccio-. -Oh- disse il gigante -non ho che da andare a prenderlo a casa.- E pensava di portarlo via con la forza a quell'omino debole, se non voleva darglielo spontaneamente. Tornò a casa e pretese che il principe gli desse l'anello, ma quello non voleva. -Dov'è la mela, deve esserci anche l'anello- disse il gigante. -Se non me lo dai, dovrai lottare con me!- Lottarono a lungo, ma il gigante non pot‚ nuocere al principe, divenuto fortissimo grazie alla virtù magica dell'anello. Allora il gigante escogitò un'astuzia e gli disse: -La lotta ci ha fatto venire caldo: bagnamoci nel fiume e rinfreschiamoci, prima di ricominciare-. Il principe, che non conosceva la slealtà, andò con lui al fiume, si tolse i vestiti, e anche l'anello dal braccio, e si tuffò nell'acqua. Subito il gigante afferrò l'anello e corse via; ma il leone, che seguiva sempre il suo padrone, si accorse del furto, l'inseguì e glielo strappò. Allora il gigante andò su tutte le furie, tornò al fiume e, mentre il principe era occupato a rivestirsi, lo agguantò e gli cavò gli occhi. Il povero principe adesso era cieco e non sapeva che fare. Il gigante gli si avvicinò di nuovo con intenzioni cattive. In silenzio, prese il cieco per mano, come qualcuno che volesse guidarlo, e lo condusse in cima a un'alta rupe. Poi lo abbandonò e pensò: "Se fa ancora due passi, si uccide cadendo, e io posso prendergli l'anello". Ma il fedele leone non aveva abbandonato il suo padrone; lo trattenne per il vestito e, a poco a poco, lo fece tornare indietro. Quando il gigante tornò per derubare il morto, lo trovò vivo e vegeto. -Possibile che non si riesca a mandare in malora un essere umano così misero!- disse furioso fra s‚ e s‚; prese nuovamente il principe per mano, e lo ricondusse all'abisso per un'altra via. Ma il leone si accorse del proposito malvagio e, fedelmente, salvò il suo padrone anche da quel pericolo. Quando giunsero sull'orlo del precipizio, il gigante abbandonò la mano del cieco per lasciarlo solo; allora il leone gli si scagliò addosso con tutta la sua forza, sicché‚ il mostro precipitò nell'abisso e si sfracellò. Poi l'animale allontanò di nuovo il suo padrone da quel luogo, e lo condusse a un albero, vicino al quale scorreva un limpido ruscello. Il principe si mise a sedere, mentre il leone si distese e gli spruzzò l'acqua in viso. Qualche goccia si posò sui suoi occhi e li bagnò, e il principe si accorse che la vista gli tornava, poiché‚ aveva scorto una luce e poteva distinguere qualcosa accanto a s‚. Era un uccellino che passò accanto al suo viso e urtò contro il tronco dell'albero, proprio come se fosse cieco. Allora si lasciò cadere nell'acqua, vi si bagnò, poi si alzò in volo e volò sicuro rasente agli alberi, proprio come se avesse riacquistato la vista. Il principe comprese che si trattava di un segno divino, si chinò sull'acqua e vi bagnò il volto. E quando si drizzò, aveva di nuovo i suoi occhi, chiari e limpidi come non erano mai stati. Il principe ringraziò Dio per quel miracolo e continuò a girare il mondo con il suo leone. Un giorno giunse davanti a un castello incantato. Sulla porta c'era una fanciulla di bella persona e di viso leggiadro, ma tutta nera. Gli rivolse la parola e disse: -Ah, se tu potessi liberarmi dal maleficio che qui mi tiene in suo potere!-. -Che cosa devo fare per liberarti?- domandò il principe. La fanciulla rispose: -Devi passare tre notti nel salone del castello incantato, senza che nel tuo cuore entri la paura. Se sopporterai senza un lamento le torture che ti faranno, sarò libera; non potranno comunque toglierti la vita-. Disse il principe: -Tenterò con l'aiuto di Dio: non temo nulla a questo mondo-. Così entrò allegramente nel castello, si sedette nel salone e attese che si facesse notte. Tutto tacque fino a mezzanotte, poi scoppiò un gran baccano e da tutti gli angoli sbucarono dei piccoli diavoli. Fecero finta di non vederlo, sedettero in mezzo alla stanza, accesero un fuoco e si misero a giocare. Quando uno perdeva diceva: -Non è giusto: c'è qui qualcuno che non è dei nostri, e la colpa è sua se perdo!-. -Aspetta, che vengo, tu, là dietro la stufa!- diceva un altro. Le urla erano sempre più forti, e nessuno avrebbe potuto ascoltarle senza aver paura. Il principe tuttavia non ne ebbe affatto. Alla fine i diavoli saltarono in piedi e gli si scagliarono addosso; ed erano tanti che egli non pot‚ difendersi.Lo trascinarono a terra, lo pizzicarono, lo punzecchiarono, lo picchiarono e lo torturarono, ma egli sopportò tutto senza avere paura e senza un lamento. Verso mattina sparirono, ed egli era così spossato da non potersi muovere. Ma allo spuntar del giorno venne da lui la fanciulla nera. Teneva in mano una bottiglietta in cui era l'acqua della vita; lo lavò con quell'acqua, e subito ogni dolore sparì, ed egli si sentì fresco e sano. Ella gli disse: -Hai superato felicemente una notte, ma ne hai ancora due davanti a te-. Poi se ne andò, e mentre si allontanava, egli notò che i suoi piedi erano diventati bianchi. La notte seguente tornarono i diavoli, e ricominciarono il loro gioco; ma ben presto si scagliarono sul principe e lo picchiarono con violenza, molto più crudelmente della prima notte, sicché‚ il suo corpo era pieno di ferite. Ma poiché‚ egli sopportò tutto in silenzio, dovettero lasciarlo; e quando spuntò l'aurora, comparve nuovamente la fanciulla che lo risanò con l'acqua della vita. Quand'ella se ne andò, egli vide con gioia che era diventata tutta bianca, meno la punta delle dita. Ora egli doveva superare solamente una notte, ma era la peggiore. I diavoli tornarono. -Sei ancora qui?- gridarono. -Ti tortureremo da mozzarti il fiato.- Lo punsero e lo picchiarono, lo gettarono di qua e di là e gli tirarono braccia e gambe, come se volessero squartarlo. Ma egli non diede un lamento e non ebbe paura, e si consolava pensando che tutto ciò sarebbe passato e che la fanciulla sarebbe stata liberata dal maleficio. Ma quando i diavoli sparirono, egli giaceva immobile e privo di sensi; non pot‚ neanche alzare gli occhi per vedere la fanciulla che entrava e lo bagnava con l'acqua della vita. E d'un tratto scomparve ogni dolore, ed egli si sentì fresco e sano come se si fosse appena svegliato dal sonno. E quando aprì gli occhi, vide accanto a s‚ la fanciulla, bianca come la neve e bella come il sole. -Alzati!- diss'ella -e brandisci per tre volte la tua spada sulla scala, così tutto sarà libero.- E quand'egli l'ebbe fatto, tutto il castello fu sciolto dall'incantesimo e la fanciulla era una ricca principessa. Entrarono i servi e dissero che nel salone la tavola era preparata e il pranzo già servito. Si sedettero, mangiarono e bevvero insieme, e la sera furono celebrate le nozze in grande esultanza.

FINE



 
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I 4 fratelli ingegnosi

Post n°845 pubblicato il 28 Settembre 2011 da odette.teresa1958

C'era una volta un pover'uomo che aveva quattro figli; quando furono cresciuti disse loro: -Cari figlioli, ora dovete andarvene per il mondo, io non ho nulla da darvi; mettetevi in cammino e andate in terra straniera, imparate un mestiere e cercate di industriarvi-. I quattro fratelli presero così il bastone del viandante, dissero addio al padre e lasciarono insieme la città. Quand'ebbero fatto un tratto di strada, giunsero a un crocicchio che portava in quattro paesi diversi. Il maggiore allora disse: -Dobbiamo separarci, ma fra quattro anni esatti ci ritroveremo qui e, nel frattempo, tenteremo di far fortuna-. Così ognuno andò per la sua strada, e il maggiore incontrò un uomo che gli chiese dove stesse andando e che intenzioni avesse. -Voglio imparare un mestiere- rispose il giovane. Allora l'uomo disse: -Vieni con me, e impara a fare il ladro-. -No- rispose -non è più considerato un mestiere onesto, e alla fine della canzone si diventa pendagli da forca.- -Oh- disse l'uomo -della forca non devi avere paura: ti insegnerò solo a prendere ciò che nessun altro può acchiappare e dove nessuno può scoprirti.- Così il giovane si lasciò convincere e con l'aiuto di quell'uomo divenne un ladro esperto e così abile che più nulla era al sicuro, qualsiasi cosa volesse. Anche il secondo fratello incontrò un uomo che gli rivolse la stessa domanda, cioè che cosa volesse fare. -Non lo so ancora- rispose. -Allora vieni con me e diventa astronomo: non c'è nulla di meglio, niente ti è nascosto.- Egli accettò e diventò un astronomo così abile che, quando si fu perfezionato e volle proseguire per la sua strada, il maestro gli diede un cannocchiale e disse: -Con questo puoi vedere cosa succede sulla terra e nel cielo, e niente ti può restar celato-. Il terzo fratello incontrò un cacciatore che lo prese con s‚ e lo istruì così bene nell'arte della caccia da farne un cacciatore provetto. Nel prendere commiato il maestro gli diede uno schioppo e disse: -Questo non sbaglia mai: ciò che prendi di mira lo colpisci senz'altro-. Anche il fratello minore incontrò un uomo che gli rivolse la parola e gli chiese che cosa intendesse fare. -Non ti andrebbe di fare il sarto?- -Ah, no- disse il giovane -non mi piace l'idea di star gobbo da mane a sera, di andar su e giù con l'ago e il ferro da stiro.- -macché‚- rispose l'uomo -da me imparerai un'arte ben diversa.- Così il giovane si lasciò persuadere, seguì l'uomo e ne imparò l'arte dal principio. Nel prender congedo, il maestro gli diede un ago e disse: -Con questo puoi ricucire tutto quel che ti capita, sia tenero come un uovo o duro come l'acciaio; e ridiventerà d'un sol pezzo, che non si potrà più vedere la cucitura-. Quando fu trascorso il tempo stabilito, i quattro fratelli si trovarono insieme al crocicchio; si abbracciarono e si baciarono e tornarono a casa dal padre. Essi gli raccontarono com'era andata, e che ognuno aveva imparato il proprio mestiere. Se ne stavano appunto davanti alla casa, sotto un grande albero, e il padre disse: -Voglio mettervi alla prova e vedere quel che sapete fare-. Poi alzò gli occhi e disse al secondo figlio: -Lassù in cima a quest'albero c'è un nido di fringuelli: dimmi un po' quante uova ci sono-. L'astronomo prese il suo cannocchiale, guardò in alto e disse: -Ce ne sono cinque-. -Ora- disse il padre al maggiore -portale giù, senza disturbare l'uccello che sta covando.- Il ladro ingegnoso salì, tolse le uova sotto il ventre dell'uccellino, che non se ne accorse affatto e restò tranquillamente a covare. Egli le portò al padre che le prese, le mise sulla tavola, una per angolo e la quinta nel mezzo, e disse al cacciatore: -Colpisci le uova con un solo colpo e spezzale a metà-. Il cacciatore prese la mira con lo schioppo e colpì le uova proprio come voleva il padre, tutt'e cinque con un solo colpo. -Adesso tocca a te- disse il padre al quarto figlio. -Devi ricucire le uova e anche gli uccellini che ci sono dentro, in modo che il colpo di schioppo non nuoccia loro.- Il sarto prese il suo ago e le cucì, come gli era stato ordinato. Quand'ebbe finito, il ladro dovette riportarle nel nido sull'albero e rimetterle sotto l'uccello, senza che se ne accorgesse. L'uccellino finì di covarle, e dopo qualche giorno uscirono fuori i piccoli, e avevano una piccola riga rossa attorno al collo, là dove il sarto li aveva ricuciti. -Sì- disse il vecchio ai suoi figli -avete impiegato bene il vostro tempo e imparato a dovere. Non posso dire chi di voi sia da preferirsi: lo si vedrà quando avrete l'occasione di usare la vostra arte.- Non molto tempo dopo il paese fu in subbuglio, perché‚ la principessa era stata rapita da un drago. Il re si tormentava giorno e notte e rese noto che, chiunque l'avesse riportata, l'avrebbe avuta in sposa. I quattro fratelli dissero: -Sarebbe un'occasione per farci conoscere- e decisero di andare a liberare la principessa. -Dove sia, lo saprò subito- disse l'astronomo; guardò nel suo cannocchiale e disse: -La vedo: è su uno scoglio nel mare, lontano da qui, e accanto a lei c'è il drago a farle la guardia-. Allora andò dal re, chiese una nave per s‚ e i suoi fratelli e si mise in mare con loro finché‚ giunsero allo scoglio. Là c'era la principessa e il drago le giaceva in grembo e dormiva. Il cacciatore disse: -Non posso sparargli, ucciderei anche la bella fanciulla-. -Allora proverò io- disse il ladro, e tolse la principessa di sotto al drago, ma così piano e con tanta abilità, che il mostro non si accorse di nulla e continuò a russare. Tutti contenti, la portarono di corsa sulla nave e presero il largo. Ma ecco arrivare il drago che al risveglio non aveva più trovato la principessa, e li inseguiva sbuffando furibondo per l'aria. Si librava proprio sopra di loro, e stava per calare sulla nave, quando il cacciatore puntò lo schioppo e lo colpì al cuore, uccidendolo. Il mostro piombò giù, ma era così grosso che nel cadere sfasciò tutta la nave, ed essi si tenevano a galla, in mare aperto, aggrappati a qualche tavola. Ma il sarto, senza perder tempo, prese il suo ago miracoloso, cucì insieme le tavole a punti lunghi, ci si accomodò sopra e raccolse tutti i pezzi della nave. Poi ricucì anche questi, con tanta destrezza che ben presto la nave fu nuovamente pronta a far vela, ed essi poterono tornare felicemente a casa. La gioia fu grande quando i quattro fratelli ricondussero la figlia al re, e questi disse loro: -Uno di voi quattro l'avrà in isposa, ma decidete voi chi debba essere-. Allora essi si misero a litigare, e l'astronomo diceva: -Se io non avessi visto la principessa, tutte le vostre arti sarebbero state inutili: è dunque mia-. Il ladro diceva: -A che serviva vederla, se non l'avessi tolta di sotto al drago? E' dunque mia-.
Il cacciatore diceva: -Ma sareste stati tutti sbranati dal mostro insieme alla principessa, se io non lo avessi ucciso: è dunque mia-. Il sarto diceva: -E se io, con la mia arte, non vi avessi ricucito la nave, sareste annegati tutti miseramente: è dunque mia-. Allora il re sentenziò: -Avete tutti ugual diritto, e poiché‚ non potete avere tutti la fanciulla, non l'avrà nessuno; in premio darò invece a ciascuno la metà di un regno-. I fratelli dissero: -E' meglio così, piuttosto che essere in contrasto-. Il re diede loro un mezzo regno per ciascuno, ed essi vissero felici con il padre.

FINE

 
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Le scarpe logorate dal ballo

Post n°844 pubblicato il 28 Settembre 2011 da odette.teresa1958

C'era una volta un re che aveva dodici figlie, una più bella dell'altra. I loro dodici letti erano insieme in una sola stanza, e, quando andavano a dormire, la porta veniva chiusa con il catenaccio. Tuttavia, ogni mattino, le loro scarpe erano logore a forza di ballare, e nessuno sapeva dove andassero e come facessero a uscire. Allora il re pubblicò un bando: chi fosse riuscito a scoprire dove le principesse ballavano di notte, ne avrebbe avuta una in isposa, e sarebbe diventato re dopo la sua morte; ma chi si fosse presentato, e dopo tre giorni e tre notti non avesse scoperto nulla, ci avrebbe rimesso la vita. Non passò molto tempo che si presentò un principe; fu bene accolto e la sera fu condotto in una stanza che si trovava di fronte a quella dove dormivano le dodici principesse. Là era preparato il suo letto, ed egli doveva fare bene attenzione a dove andassero a ballare; e perché‚ non potessero fare nulla di nascosto, o uscire da un'altra parte, la porta della sala fu lasciata aperta. Ma il principe si addormentò e al mattino, quando si svegliò, tutt'e dodici erano state a ballare, perché‚ le scarpe erano là con le suole bucate. La seconda e la terza notte trascorsero come la prima, e così gli mozzarono la testa. Dopo di lui ne arrivarono molti altri che tentarono l'impresa, ma ci rimisero tutti la vita. Ora avvenne che un povero soldato, che era stato ferito e non poteva più prestar servizio, si trovò sulla strada che menava alla città dove abitava il re.
Lì incontrò una vecchia che gli chiese dove andasse. -Non lo so bene neanch'io- rispose il soldato -ma mi piacerebbe diventar re e scoprire dove le principesse consumino le scarpe.- -Non è poi così difficile- disse la vecchia -non bere il vino che ti portano la sera, e fingi di essere profondamente addormentato.- Poi gli diede una mantellina e disse: -Quando l'avrai addosso, sarai invisibile, e così potrai seguire furtivamente le dodici fanciulle-. Dopo aver ricevuto questo buon consiglio, il soldato prese la cosa sul serio; si fece coraggio, andò dal re e si presentò come pretendente. Fu accolto bene come gli altri, e gli fecero indossare vesti regali. La sera, quando fu ora di coricarsi, lo condussero nella sua stanza, e quando stava per andare a letto, la maggiore delle principesse venne a portargli un bicchiere di vino. Ma egli si era legato una spugna sotto il mento, vi lasciò colare il vino e non ne bevve una goccia. Poi si coricò e dopo un po' si mise a russare come se dormisse profondamente. Le dodici principesse l'udirono, si misero a ridere e la maggiore disse: -Avrebbe anche potuto risparmiare la sua vita!-. Poi si alzarono, aprirono armadi, casse e cassoni e ne tirarono fuori vesti sfarzose; si agghindarono davanti allo specchio, e saltavano dalla gioia pensando al ballo. Soltanto la più giovane disse: -Non so, voi siete felici, ma io sento qualcosa di strano: sicuramente ci succederà una disgrazia-. -Sei un'oca che ha sempre paura di tutto!- esclamò la maggiore. -Hai forse già scordato quanti principi sono stati qui inutilmente? Al soldato non avrei neanche avuto bisogno di dare qualcosa per dormire: tanto non si sarebbe svegliato comunque.- Quando furono tutte pronte dettero un'occhiata al soldato, ma egli non si era mosso, ed esse credettero di essere proprio al sicuro. Allora la maggiore si avvicinò al suo letto e vi picchiò sopra: subito il letto sprofondò e si aprì una botola. Il soldato le vide scendere l'una dopo l'altra, e la maggiore in testa. Non c'era tempo da perdere: si alzò, mise la mantellina, e discese anch'egli, dietro alla minore. A metà scala, le pestò un poco la veste, ed ella si spaventò e gridò: -C'è qualcosa che non va: mi trattengono per la veste!-. -Non esser così sciocca- disse la maggiore -ti sei impigliata a un uncino.- Scesero fino in fondo e, quando furono là sotto, si trovarono in uno splendido viale, dove tutte le foglie erano d'argento, luccicavano e sfavillavano. Il soldato pensò: "Devi procurarti una prova". E spezzò un ramo; allora si udì un grande boato provenire dall'albero. La più giovane tornò a gridare: -C'è qualcosa che non va: avete udito il rumore? Non era ancora mai successo!-. La maggiore rispose: -Sono spari in segno di gioia, perché‚ presto avremo liberato i nostri principi-. Poi giunsero in un viale dove tutte le foglie erano d'oro, e infine in un terzo dove erano di puro diamante; in ognuno il soldato spezzò un ramo, e ogni volta si udì un boato che fece trasalire la più giovane delle sorelle; ma la maggiore continuava a dire che erano spari in segno di allegria. Poi proseguirono finché‚ arrivarono a un grosso fiume, dove si trovavano dodici navicelle, e in ognuna c'era un bel principe: avevano aspettato le dodici principesse, e ciascuno ne prese una con s‚, mentre il soldato si sedette accanto alla minore. Il principe disse: -Mi sento più forte che mai, eppure la barca oggi è molto più pesante, e io devo remare con tutte le mie forze-. -L'unica ragione possibile è il gran caldo- rispose la più giovane -anch'io sono accaldata!- Sull'altra riva c'era un bel castello tutto illuminato, dal quale proveniva un'allegra musica di tamburi e di trombe. Remarono fin laggiù, vi entrarono e ogni principe danzò con la sua amata. Anche il soldato ballò con loro, invisibile; e se una teneva in mano un bicchiere di vino, quando lo portava alla bocca egli lo vuotava; la minore si spaventò anche stavolta, ma la maggiore la faceva sempre tacere. Ballarono fino alle tre del mattino, quando le scarpe furono logore, ed essi dovettero smettere. I principi riaccompagnarono le fanciulle oltre il fiume, e il soldato questa volta si mise davanti, accanto alla maggiore. Giunte a riva, esse si accomiatarono dai loro principi e promisero di tornare la notte seguente. Quando arrivarono alla scala, il soldato corse avanti e si mise nel suo letto, e quando le dodici principesse giunsero stanche, camminando a passettini, egli russava di nuovo forte, sicché‚ esse dissero: -Quanto a lui, possiamo stare tranquille-. Poi si tolsero i bei vestiti, li portarono via, misero le scarpe logore sotto il letto e si coricarono. Il mattino dopo, il soldato non volle dire nulla, perché‚ intendeva assistere di nuovo a quella strana faccenda; così andò con loro anche la seconda e la terza notte. E tutto andò come la prima, e ogni volta ballarono fino a romper le scarpe. La terza notte, però, egli si portò via un bicchiere come prova. Quando venne il momento di dare una risposta, egli prese con s‚ i tre rami e il bicchiere e andò dal re, mentre le dodici fanciulle se ne stavano dietro la porta ad ascoltare quel che avrebbe detto. Quando il re domandò: -Dove hanno logorato le scarpe le mie dodici figlie?- egli rispose: -Ballando con dodici principi in un castello sotterraneo-. E gli raccontò ogni cosa, mostrando le prove. Allora il re mandò a chiamare le figlie e domandò se il soldato avesse detto la verità, ed esse, vedendo che erano state scoperte e che negare non serviva a nulla, confessarono ogni cosa. Poi il re domandò quale volesse in moglie. Egli rispose: -Dato che non sono più giovane, datemi la maggiore-. Così le nozze furono celebrate quello stesso giorno, e gli fu promesso il regno alla morte del re. I principi invece furono nuovamente stregati per tanti giorni, quante erano le notti in cui avevano danzato con le dodici principesse.

FINE


 
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La trebbia venuta dal cielo

Post n°843 pubblicato il 28 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Una volta un contadino andò ad arare con una coppia di buoi. Quando giunse al campo, le corna delle due bestie incominciarono a crescere e crebbero tanto che quando volle tornare a casa erano così grandi che egli non pot‚ farle passare dal portone. Per fortuna, in quella passava di lì un macellaio, e il contadino gli lasciò i buoi, e si misero d'accordo in questo modo: il contadino doveva portare al macellaio una misura di ravizzone, e il macellaio doveva sborsare uno scudo per ogni seme. Questo si chiama un buon affare! Il contadino andò a casa, portando sulla schiena una misura di ravizzone; ma, per strada, perse un granello dal sacco. Il macellaio lo pagò secondo l'accordo: se il contadino non avesse perso quel seme, avrebbe avuto uno scudo in più. Nel frattempo, mentre tornava indietro, dal seme era cresciuto un albero che arrivava fino al cielo. Il contadino pensò: "Non perdere l'occasione di vedere che cosa fanno gli angeli lassù: per una volta li avrai sotto gli occhi!". Allora egli salì sull'albero e vide che gli angeli trebbiavano l'avena e si mise a guardare; mentre guardava si accorse che l'albero incominciava a vacillare; guardò giù e vide che uno stava per abbatterlo. "Se cadessi, sarebbe un bel guaio!" pensò e, trovandosi in difficoltà, non seppe far di meglio che prendere la pula dell'avena, che là era a mucchi, e farsene una corda. Prese inoltre una zappa e una trebbia, che erano in cielo, e si calò con la fune. Ma giù, a terra, finì in un buco profondo profondo, e fu una vera fortuna che avesse la zappa, poiché‚ così si scavò degli scalini per risalite, e portò con s‚ la trebbia come prova.

FINE


 
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La serpe bianca

Post n°842 pubblicato il 28 Settembre 2011 da odette.teresa1958

C'era una volta un re potente e saggio che ogni giorno, a pranzo, quando la tavola era sparecchiata e non c'era più nessuno, si faceva portare ancora un piatto, coperto, da uno dei suoi servi più fedeli. Solamente lui ne mangiava, poi lo richiudeva, e nessuno sapeva che cosa vi fosse dentro. Un giorno avvenne che il servo, quando il re gli diede il piatto da portare via, non seppe resistere alla tentazione, lo portò nella propria camera, lo aprì e vi trovò dentro una serpe bianca. Vedendola gli venne una tale voglia di mangiarne che non pot‚ trattenersi: ne tagliò un pezzetto e se lo mangiò. Ma appena lo sfiorò con la lingua, udì con chiarezza ciò che si dicevano i passeri e gli altri uccelli davanti alla finestra e comprese così che capiva il linguaggio degli animali.

Ora avvenne che proprio quel giorno la regina smarrì uno dei suoi anelli più belli, e il sospetto cadde su quel servo. Il re lo rimproverò aspramente e minacciò di condannarlo come reo, se entro quel giorno non avesse indicato il malfattore. Allora il servo si spaventò e non sapeva cosa fare. Inquieto, scese in cortile: là, vicino a un ruscello, le anatre riposavano tranquille e si facevano le loro confidenze. Egli ne sentì una che diceva: “Che peso ho sullo stomaco! Nella fretta ho ingoiato un anello che era sotto la finestra della regina.” Subito il servo l'afferrò per il collo, la portò al cuoco e disse: “Ammazza prima questa, è ben pasciuta.” Il cuoco le tagliò il collo e quando fu sbuzzata le trovò nello stomaco l'anello della regina. Il servo lo portò al re che se ne rallegrò molto, e volendo riparare il proprio errore gli disse: “Chiedi ciò che vuoi, e di' quale carica desideri a corte.”

Ma il servo rifiutò ogni cosa e chiese soltanto un cavallo e del denaro per il viaggio, poiché‚ desiderava girare per il mondo. Così se ne andò a cavallo e giunse a uno stagno dove tre pesci si erano impigliati nelle canne e boccheggiavano fuor d'acqua, lamentandosi di dover morire così miseramente. Egli capì le loro parole e ne ebbe pietà, così scese da cavallo e li rimise in acqua. Allora i pesci gridarono: “Ce ne ricorderemo e ti ricompenseremo!.” Egli proseguì e poco dopo udì, ai suoi piedi, un re delle formiche che diceva: “Se l'uomo girasse al largo con la sua bestia! Mi calpesta tante di quelle formiche!” Egli guardò a terra e vide che il suo cavallo era entrato in un formicaio, allora deviò il cammino e il re delle formiche gridò: “Ce ne ricorderemo e ti ricompenseremo!” Proseguì e giunse in un bosco; là due corvi, padre e madre, gettavano i loro piccoli fuori dal nido e dicevano: “Siete grandi a sufficienza per mantenervi da soli, noi non possiamo più sfamarvi.” I piccoli giacevano a terra, sbattevano le loro piccole alucce e gridavano: “Come possiamo mantenerci da soli! Non sappiamo ancora volare per procacciarci il cibo! Siamo costretti a morire di fame!” Egli scese a terra, uccise il suo cavallo con la spada e lo diede in pasto ai piccoli corvi. Questi si avvicinarono saltellando, si saziarono e dissero: “Ce ne ricorderemo e ti ricompenseremo!”

Ora egli proseguì a piedi e, cammina cammina, giunse in una gran città. Un uomo a cavallo andava dicendo che colui che voleva diventare lo sposo della giovane principessa doveva eseguire un compito che ella gli avrebbe assegnato; ma se lo intraprendeva e non lo portava a termine, avrebbe perso la vita. Nessuno voleva presentarsi, perché‚ già tanti ci avevano rimesso la vita. Il giovane pensò: "Che ho da perdere? Tentiamo!” Così andò davanti al re e a sua figlia e si annunciò come pretendente.

Allora lo condussero in riva al mare; gettarono un anello in acqua e gli ordinarono di ripescarlo. Gli dissero inoltre che se si tuffava e ritornava a galla senza l'anello, lo avrebbero ributtato giù per farlo morire. Poi fu lasciato solo, e mentre si trovava sulla riva e pensava che cosa mai potesse fare per prendere l'anello, vide avvicinarsi i tre pesci che egli aveva tratto dalle canne e rimesso in acqua. Quello di mezzo aveva in bocca una conchiglia, che depose sulla riva, ai piedi del giovane; e quando egli l'aprì ci trovò dentro l'anello. Pieno di gioia lo portò al re e chiese sua figlia in sposa. Ma questa, quando udì che egli non era un principe, non lo volle. Uscì in giardino, rovesciò dieci sacchi pieni di miglio sull'erba e disse: “Dovrà raccoglierlo per domattina, prima che sorga il sole; e non ne manchi neanche un granello!” Il giovane non sarebbe riuscito a portare a termine il compito se i fedeli animali non lo avessero aiutato. Di notte venne il re delle formiche e, con le sue mille e mille formiche raccolse tutto il miglio, lo ammucchiò nei sacchi e, prima che sorgesse il sole del mattino, aveva finito il lavoro senza che neanche un granello andasse perduto. Quando la principessa venne in giardino e vide tutto ciò, si meravigliò e disse: “Anche se ha eseguito pure questo compito, ed è giovane e bello, non lo sposerò se prima non mi avrà portato una mela dell'albero della vita.” Ma i corvi che erano stati gettati dal nido e che egli aveva nutrito, erano cresciuti e avevano udito quello che voleva la principessa. Volarono via e ben presto uno di loro ritornò portando una mela nel becco e la lasciò cadere fra le mani del giovane. Quando questi la portò alla principessa ella lo accettò con gioia e divenne sua sposa. Alla morte del vecchio re, il principe ne ereditò la corona.

FINE

Immagine: La serpe bianca (Grimm)

 
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Il cacciatore provetto

Post n°841 pubblicato il 28 Settembre 2011 da odette.teresa1958

C'era una volta un ragazzo che aveva imparato il mestiere del fabbro e disse al padre che voleva andare per il mondo e mettersi alla prova. "Sì" disse il padre "va' pure" e gli diede un po' di denaro per il viaggio. Così egli se ne andò girando qua e là. Dopo un po' di tempo, il suo mestiere non gli riusciva più e non gli andava più a genio; aveva voglia, invece, di imparare a cacciare. Per strada incontrò un cacciatore vestito di verde, che gli domandò da dove venisse e dove andasse. Il ragazzo rispose ch'egli era garzone di fucina, ma il mestiere non gli piaceva più e aveva voglia di imparare a cacciare: voleva prenderlo come garzone? "Oh sì, se vuoi venire con me." Così il ragazzo lo seguì, rimase al suo servizio per qualche anno e imparò l'arte della caccia. Poi volle di nuovo mettersi alla prova, e il cacciatore non gli diede altro compenso che un archibugio; esso aveva però la virtù di colpir senza fallo ogni volta che sparava. Egli se ne andò e giunse in un gran bosco, e in un giorno non ne poté vedere la fine. A sera salì su di un albero alto per mettersi al riparo dalle bestie feroci. Verso mezzanotte gli parve di veder brillare una luce lontano; guardò attraverso i rami e osservò con attenzione dove fosse. Poi prese il suo cappello e lo buttò giù verso il lume, per avere, quando fosse sceso, un segno che gli indicasse il cammino. Scese dall'albero, andò difilato al suo cappello, se lo rimise in testa e proseguì dritto davanti a sé. Più camminava e più grande si faceva la luce e, quando vi giunse, vide che era un gran fuoco; accanto c'erano seduti tre giganti che facevano arrostire un bue allo spiedo. Uno disse: "Devo assaggiare la carne per vedere se è quasi cotta". Ne staccò un pezzo e stava per metterselo in bocca, quando il cacciatore con un colpo glielo fece cadere di mano. "Ma guarda un po'" disse il gigante "il vento mi porta via la carne!" e ne prese un altro pezzo. Stava per addentarlo, quando il cacciatore glielo portò via con un altro colpo; allora il gigante diede uno schiaffo a quello che gli era seduto accanto e gridò incollerito: "Perché mi porti via il mio pezzo di carne?". "Non ti ho portato via nulla" rispose quello. "Dev'essere stato un colpo di archibugio." Il gigante prese un terzo pezzo, ma non poté tenerlo in mano, poiché il cacciatore glielo fece volar via di nuovo sparando. Allora i giganti dissero: "Dev'essere un buon tiratore se sa portare via il boccone di bocca; un tipo del genere potrebbe esserci utile". E gridarono forte: "Vieni fuori, archibugiere, siediti accanto al fuoco e mangia a tua voglia; non ti faremo niente; ma se non vieni e ti prendiamo con la forza, sei perduto". Allora il giovane si avvicinò e disse che era un cacciatore provetto e qualsiasi cosa prendesse di mira con il suo archibugio la colpiva senza mai sbagliare. I giganti gli dissero che se fosse andato con loro, si sarebbe trovato bene; e gli raccontarono che davanti al bosco c'era un gran fiume, al di là del quale c'era una torre in cui si trovava un bella principessa, che essi volevano rapire. "Sì" diss'egli "è presto fatto." Gli altri soggiunsero: "C'è ancora una cosa: là c'è un cagnolino che si mette ad abbaiare se qualcuno si avvicina, e subito a corte si svegliano tutti; per questo non possiamo entrare. Avrai il coraggio di uccidere il cagnolino?". "Sì" rispose egli "sarà un gioco per me." Poi salì su una barca e attraversò il fiume, ed era quasi a riva quando giunse di corsa il cagnolino; stava per mettersi ad abbaiare, ma il cacciatore prese il suo archibugio, gli sparò e l'uccise. A quella vista i giganti si rallegrarono e credevano di avere già la principessa in loro potere. Ma il cacciatore disse loro di fermarsi là fuori finché non li chiamasse. Poi entrò nel castello dove regnava un silenzio di tomba e tutti dormivano. Quando aprì la prima stanza, ecco appesa alla parete una sciabola d'argento puro, con una stella d'oro sopra e il nome del re; accanto vi era una tavola sulla quale c'era una lettera sigillata. Egli l'aprì e lesse che con quella sciabola uno poteva uccidere chiunque gli comparisse davanti. Allora il giovane la staccò dalla parete, se la mise al fianco e proseguì; giunse nella stanza dove dormiva la principessa, ed era così bella ch'egli si fermò a guardarla e trattenne il respiro. Si guardò attorno e vide che sotto il letto c'era un paio di pantofole: su quella destra c'era il nome del padre con una stella, su quella sinistra il nome di lei con una stella. Ella aveva al collo un grande scialle di seta trapunto d'oro. Allora il cacciatore prese un paio di forbici, tagliò il lembo di destra e lo mise nel suo zaino, poi ci mise anche la pantofola destra, quella che portava il nome del re. La fanciulla continuava a dormire, ben chiusa nella sua camicia; allora egli tagliò anche un pezzetto della camicia e lo mise insieme al resto, ma fece tutto questo senza sfiorarla. Poi se ne andò, lasciandola dormire; quando giunse alla porta, i giganti erano là fuori che lo aspettavano e pensavano che avesse portato la principessa. Ma egli gridò che entrassero e che la fanciulla era già nelle sue mani; non poteva, tuttavia, aprire loro la porta, ma c'era un buco attraverso il quale dovevano passare. Si avvicinò il primo, e il cacciatore avvolse i capelli del gigante intorno alla sua mano, tirò dentro la testa e la mozzò con un colpo di sciabola; poi lo tirò dentro del tutto. Poi chiamò il secondo e tagliò la testa anche a lui, e così pure al terzo; ed era felice di aver liberato la bella fanciulla dai suoi nemici. Tagliò loro le tre lingue e se le mise nello zaino. Poi pensò: "Andrò a casa da mio padre e gli mostrerò quel che ho fatto, poi me ne andrò in giro per il mondo: la fortuna che Dio mi destina, non mi mancherà". Ma nel castello, quando il re si svegliò, vide i tre giganti che giacevano a terra morti. Andò nella camera di sua figlia, la svegliò e le domandò chi fosse stato a ucciderli. Ella disse: "Caro babbo, non lo so: dormivo". Ma quando si alzò volle infilare le pantofole, la destra era sparita; e quando guardò il suo scialle, vide che era tagliato e che mancava il lembo destro; e quando guardò la sua camicia, ne mancava un pezzettino. Il re radunò tutta la corte, i soldati e tutti gli altri, e domandò chi avesse liberato sua figlia e ucciso i giganti. Ora egli aveva un capitano che aveva un occhio solo ed era bruttissimo; questi disse di essere stato lui. Allora il vecchio re disse che se aveva compiuto quell'impresa, doveva anche sposare sua figlia. Ma la fanciulla disse: "Caro babbo, piuttosto che sposare costui, preferisco andarmene per il mondo, fin dove mi portano le gambe". Il re le disse che se non voleva sposarlo doveva togliersi le vesti regali, mettersi un vestito da contadina e andarsene da un vasaio a vendere stoviglie di terra. Ella si tolse così le vesti regali, andò da un vasaio e prese a credito delle stoviglie, con la promessa di pagarlo alla sera, quando le avesse vendute. Il re le disse di mettersi a vendere in un angolo, poi ordinò che dei carri vi passassero in mezzo e mandassero tutto in mille pezzi. Quando la principessa ebbe disposto la merce sulla strada, arrivarono i carri che ruppero tutto. Ella si mise a piangere e disse: "Ah, Dio, come farò a pagare il vasaio!". Ma in questo modo il re aveva voluto costringerla a sposare il capitano, e invece ella tornò dal vasaio e gli domandò se volesse ancora farle credito. Questi rispose di no, prima doveva pagare la roba dell'altra volta. Allora ella andò dal padre, piangendo e disperandosi e disse che voleva andarsene per il mondo. Egli le disse di andare nel bosco: le avrebbe fatto costruire una casetta dove sarebbe stata tutta la vita e avrebbe fatto da mangiare a chiunque, senza mai prendere denaro. Così le fece costruire la casina nel bosco, sulla porta era appesa un'insegna che diceva: "Oggi gratis, domani a pagamento". Ella vi stette a lungo e in giro si sparse la voce che nel bosco c'era una fanciulla che dava da mangiare gratis, come diceva un'insegna fuori dalla porta. Lo venne a sapere anche il cacciatore e pensò: "E' proprio quel che ci vuole per te che sei povero e non hai denaro". Prese il suo archibugio e lo zaino in cui c'era ancora tutto quello che aveva preso nel castello come prova, andò nel bosco e trovò anche lui la casina con l'insegna: "Oggi gratis, domani a pagamento". Egli aveva al fianco anche la spada con la quale aveva tagliato la testa ai tre giganti; così entrò nella casina e si fece dare qualcosa da mangiare. E si beava alla vista di quella fanciulla, bella come il sole. Ella gli domandò da dove venisse e dove andasse, ed egli rispose: "Giro per il mondo". Allora ella gli domandò dove avesse preso quella spada, sulla quale c'era il nome di suo padre. Egli le domandò se fosse la figlia del re, ed ella rispose di sì. "Con questa spada" diss'egli "ho tagliato le teste ai tre giganti." E come prova prese dallo zaino le lingue e le mostrò anche la pantofola, il lembo dello scialle e il pezzo di camicia. Piena di gioia, ella disse che era il suo liberatore. Poi andarono insieme dal vecchio re; la fanciulla lo condusse nella sua camera e gli disse che il cacciatore era colui che l'aveva davvero liberata dai giganti. E quando il vecchio re vide tutte le prove, non poté più dubitare e disse che era d'accordo e che la fanciulla doveva diventare sua moglie; ed ella ne fu ben contenta. Poi lo vestirono come se fosse stato un nobile forestiero, e il re fece imbandire un grande banchetto. A tavola il capitano sedette a sinistra della principessa, mentre il cacciatore sedette a destra, e il capitano pensava che fosse un nobile forestiero venuto in visita. Quand'ebbero mangiato e bevuto, il vecchio re disse al capitano che doveva risolvere un quesito: se uno diceva di avere ucciso tre giganti e gli chiedevano dov'erano le lingue, e poi doveva constatare che nelle teste non ce n'era neanche una, come era possibile? Il capitano disse: "Non ne avranno avute". "Come!" disse il re. "Ogni animale ha la sua lingua." E chiese ancora quale castigo meritasse quel tale. Il capitano rispose: "Merita di essere fatto a pezzi". Allora il re disse che aveva pronunciato il suo verdetto: il capitano fu messo in prigione e fatto a pezzi, mentre la principessa sposò il cacciatore. Poi egli andò a prendere il padre e la madre, che vissero felici con lui, ed ebbe il regno alla morte del vecchio re.

FINE
 
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L'Ermione alle colonie

Post n°840 pubblicato il 28 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Vi avevo o non vi avevo detto che l'Ermione avrebbe fatto parlare ancora di sè,lettori?
Stavolta teatro delle imprese dell'indescrivibile è stata la colonia marina di S.Tobia Calabro,diretta dalle suore tedesche dell'ordine di S.Giosafatte scalognatissimo,dove Fidalma e Geremia l'avevano spedita per avere un po' di pace (la Fidalma aspetta il terzogenito,nda)Volete sapere che ha combinato l'angelica creatura? Leggete e saprete,oh,se saprete!
LUNEDI'- Direttrice della colona è suor Hildegard Asinonen,per gli amici Adolf,da poco rientrata da Tukambakabalodisotto.
L'Ermione ha tentato di ucciderla con un mix letale di sale e Guttalax nel caffè.
Adolf è in ocndizioni critiche ma non versa in pericolo di vita
MARTEDI'- Sorvegliante della camerata era suor Getrude.
Qualcuno di cui taccio il nome le ha infilato una medusa nella vasca da bagno.
Le urla si sono sentite fino a Roma.
MERCOLEDI'- L'Ermione,nuotando sott'acqua,ha tagliuzzato il costume della giunonica suor Franziska.
Quando la religiosa è uscita dal mare gli uomini hanno strabuzzato gli occhi,iniziato a fischiare e lanciarle apprezzamenti di ogni tipo;le donne la gratificavano di un epiteto che fa rima con campana (il più gentili dei 144.943 che si è beccata).
La poveretta ha pensato a un colpo di sole collettivo,poi si è resa conto di essere praticamente nuda.
Ha passato la notte in guardina per oltraggio al pudore.
GIOVEDI'- L'Ermione oggi se l'è presa con suor Crimilde.
Mentre quella dormiva al sole,l'ha spalmata di miele.
La poveretta è stata assalita da tutte le api,vespe e calabroni della Calabria e si trova in ospedale.
VENERDI'- Oggi l'Ermione,sgattaiolata fuori dall'edificio che ospita la colonia,ha visto un ciuco in un campo e gli è saltata in groppa dandosi alla fuga,col contadino Gesmundo Grassoccì attaccato alla coda.
Il poveraccio si è beccato un calcio che lo ha spedito nei cieli bigi.
Lo hanno ritrovato su un campanile di Reggio Calabria.
SABATO- Il vescovo locale ha visitato la colonia.L'Ermione gli ha versato addosso della polvere urticante.Essendoci vento, la polvere si è sparsa un po' addosso a tutti (meno che alla pestifera,ovvio).
Pareva il raduno dei tarantolati di Bisceglie.
DOMENICA- All'alba Geremia e la Fidalma si sono dovuti scapicollare a riprendere la loro amabile figliola.
Le suore dopo la sua partenza hanno intonato un Te Deum di ringraziamento.
Questo accadeva una settimana fa.
Suor Gertrude si èfatta eremita.
Suor Franziska è stata eletta "Suora più sexy del secolo".Hugh Hefner la vuole sul paginone centrale di Playboy,
mentre Tinto Brass la vuole nel suo prossimo film.La poveretta gira con il burqa.
Suor Crimilde ogni volta che vede un'ape prende il fucile.
Il Grassoccì ha preso residenza stabile sul campanile e di lì non si muove manco se lo bombardano.
Il vescovo è diventato cappellano della missione africana di Tukambakabalodisotto.
Anche Adolf è lì.Pare che al suo ritorno abbia abbracciato leoni,gallinacci rampini e scimmie piangine,abbia baciato la terra ed abbia giurato che non lascerà mai più quell'oasi di pace.
La pestifera è di nuovo qua,per la gioia di tutti noi.
Stretta la foglia larga la via,dite la vostra che ho detto la mia

 
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Non celare il segreto del tuo cuore (Tagore)

Post n°839 pubblicato il 28 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Non celare il segreto del tuo cuore,
amico mio.
Dillo a me, solo a me, in segreto.
Tu che sorridi tanto gentilmente,
sussurralo sommessamente,
il mio cuore l'udrà,
non le mie orecchie.

La notte è fonda,
la casa è silenziosa,
i nidi degli uccelli
son coperti di sonno.

Dimmi tra lacrime esitanti,
tra sorrisi titubanti,
tra dolore e dolce vergogna,
il segreto del tuo cuore!

 
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Libri dimenticati:Non solo mamma

Post n°838 pubblicato il 28 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Elasti è una mamma che lavora (giornalista finanziaria),sposata a Mister Wonder (economista marxista) e madre di du figli (il nano grande e lo hobbit piccolo).
E' la cronaca spassossima di  un anno di vita,da non perdere

 
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Frase del giorno

Post n°837 pubblicato il 28 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Colui che conosce gli altri è sapiente;colui che conosce se stesso è illuminato

 
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