Messaggi del 30/09/2011

I sei cigni

Post n°862 pubblicato il 30 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Una volta un re cacciava in una gran foresta e inseguiva la selvaggina con tanto ardore che nessuno del suo seguito riuscì a tenergli dietro. Infine, non riuscendo a trovare la via del ritorno, si rese conto di essersi smarrito. D'un tratto vide avvicinarsi una vecchia curva e con la testa tremante: era una strega. Il re le rivolse la parola dicendole: -Indicatemi il cammino per attraversare il bosco-. -Oh sì, maestà- rispose ella -ma a condizione che sposiate mia figlia facendo di lei una regina, altrimenti sarete costretto a rimanere qui e morire di fame poiché‚, senza il mio aiuto, non riuscirete mai a uscire dal bosco.- Il re, al quale era cara la vita, impaurito acconsentì, e si lasciò condurre dalla fanciulla. Ella era molto bella, ma al re non piaceva, e non poteva guardarla senza provare un intimo ribrezzo. La strega li condusse entrambi sulla via che menava al castello e, quando vi giunsero, il re dovette mantenere la propria parola e sposare la ragazza. Il re era vedovo e aveva avuto dalla prima moglie sei maschietti e una bambina, e li amava più di ogni altra cosa al mondo. Temendo che la matrigna potesse fare loro del male, li portò in un castello solitario, sito in mezzo a un bosco. La strada per arrivarvi era così difficile da trovare che egli stesso non l'avrebbe trovata se una maga non gli avesse dato un gomitolo di filo che, gettato a terra, si svolgeva da solo e indicava il cammino. Ma il re si recava così sovente dai suoi cari figlioletti,che la regina finì coll'accorgersene e, curiosa, volle sapere cosa andasse a fare il re da solo nella foresta. Riuscì a corrompere i servi e questi le rivelarono il segreto. Per prima cosa, ella si impossessò del gomitolo con l'astuzia, poi fece sette piccole camicine e si mise in cammino. Il gomitolo le indicò la strada e i sei bambini, vedendo arrivare qualcuno, pensarono che si trattasse del loro babbo e pieni di gioia gli corsero incontro. Allora ella gettò una camicina su ciascuno, e non appena questa sfiorò il corpo, essi si trasformarono in cigni e se ne volarono via per la foresta. La regina se ne andò a casa convinta di essersi liberata dei figliastri; ma la bambina non le era corsa incontro con i fratelli, e la matrigna non sapeva della sua esistenza. Il giorno seguente venne il re ma non trovò nessuno all'infuori della bambina che gli raccontò di aver visto, dalla sua finestra, volar via i suoi cari fratelli trasformati in cigni; e gli mostrò le piume che avevano lasciato cadere nel cortile e che ella aveva raccolto. Il re ne fu molto afflitto, ma non pensò che fosse stata la regina a compiere il maleficio e, temendo che gli rapissero anche la bambina, voleva portarla con s‚. Ma ella aveva paura della matrigna e pregò il padre di lasciarle trascorrere una notte nel castello del bosco. Quando si fece buio, la fanciulla fuggì addentrandosi nel bosco. Camminò tutta la notte e anche il giorno dopo senza mai fermarsi, finché‚ non pot‚ più proseguire, vinta dalla stanchezza Allora vide una capanna, salì e trovò una stanza con sei lettini e, non osando coricarsi in nessuno di essi, vi si cacciò sotto, sdraiandosi sul pavimento per passarvi la notte. Al calar del sole udì un frullar d'ali e vide sei cigni entrare volando dalla finestra. Essi si posarono a terra e si soffiarono addosso l'un l'altro, fino a farsi cadere tutte le piume di dosso; e la pelle di cigno si tolse come una camicia. La fanciulla li osservò e vide che erano i suoi fratelli; allora, piena di gioia, sbucò fuori dal letto. Anch'essi si allietarono nello scorgere la loro sorellina, ma, ben presto, si fecero tristi e dissero: -Qui non puoi rimanere, questo è un covo di briganti, se tornano a casa e ti trovano, ti uccideranno-. -Voi non potete proteggermi?- domandò la sorellina. -No- risposero -soltanto per un quarto d'ora ogni sera possiamo deporre la nostra pelle di cigno e riprendere le sembianze umane; ma poi ci trasformiamo nuovamente.- -E io non posso liberarvi in qualche modo?- chiese la sorellina. -Ah no- risposero -sarebbe troppo difficile: per sei anni non puoi ridere n‚ parlare e nel frattempo devi cucire per noi sei camicine di astri. Se pronunci una sola parola, tutto è perduto.- Detto questo, il quarto d'ora era trascorso e i fratelli tornarono a trasformarsi in cigni. Ma la fanciulla disse fra s‚: -Voglio liberare i miei fratelli ad ogni costo, dovesse costarmi la vita-. La mattina dopo andò a raccogliere astri, andò a sedersi su di un albero alto e si mise a cucire. Non poteva parlare con nessuno n‚ aveva voglia di ridere: sedeva e non faceva altro che lavorare. Era già passato molto tempo, quando il re del paese andò a caccia nel bosco e i suoi cacciatori giunsero all'albero sul quale la ragazza sedeva e cuciva. Essi le gridarono: -Chi sei? Vieni giù!-. Ma ella non rispose e si limitò a scuotere il capo. Essi ricominciarono a chiamarla e la fanciulla gettò loro la sua catenina d'oro pensando di accontentarli. Ma siccome quelli non la lasciavano in pace, gettò loro la cintura, e visto che neanche questo servì, le giarrettiere, e infine tutto ciò che aveva indosso e di cui poteva privarsi, sicché‚ alla fine rimase in camicia. Ma i cacciatori non erano soddisfatti, salirono sull'albero, presero la fanciulla e la portarono al re. Il re le chiese: -Chi sei? Di dove vieni?- e glielo chiese in tutte le lingue che sapeva, ma ella non rispose e rimase muta come un pesce. Ella era tanto bella, che egli non aveva mai visto nessuna donna di pari avvenenza e si innamorò ardentemente. Così l'avvolse nel suo mantello, la mise sul suo cavallo e la portò al castello. Là le fece indossare ricche vesti, sicché‚ ella pareva sfolgorare nella sua bellezza come la luce del giorno, ma non si riuscì a farla parlare. A tavola il re la fece sedere al suo fianco e fu così colpito dalla modestia e dalla sua grazia che disse: -Questa sarà la mia sposa, e nessun'altra al mondo!-. E, dopo qualche giorno, si celebrarono le nozze. Ma il re aveva una madre cattiva, che non era contenta di quel matrimonio e parlava male della giovane regina. -Chissà da dove viene quella ragazzaccia che non sa parlare!- diceva. -Non è degna di un re!- Dopo un anno, quando la regina diede alla luce il suo primogenito, la vecchia glielo portò via e le spalmò la bocca di sangue. Poi andò dal re e la accusò di essere un'orchessa. Ma il re non volle crederle, tanto grande era il suo amore, e non permise che le torcessero un capello. Intanto la regina continuava a cucire le sue camicie senza curarsi d'altro. La seconda volta partorì un altro bel maschietto, e la perfida suocera usò lo stesso artificio; ma il re non pot‚ risolversi a prestar fede alle sue parole e disse: -E' muta e non può difendersi, sennò manifesterebbe la sua innocenza-. Ma quando la vecchia rapì il neonato per la terza volta e accusò la regina che non disse una parola a propria discolpa, il re fu costretto a consegnarla al tribunale che la condannò a morire bruciata viva. Venuto il giorno dell'esecuzione, ecco trascorso anche l'ultimo giorno dei sei anni durante i quali ella non aveva potuto n‚ ridere n‚ parlare per poter liberare i suoi cari fratelli dal potere dell'incantesimo. Le sei camicie erano pronte, soltanto all'ultima mancava ancora la manica sinistra. Quando la condussero al rogo, le prese con s‚ e, mentre stavano per appiccare il fuoco, alzò gli occhi e vide sei cigni giungere a volo per l'aria. Allora il cuore le balzò in petto dalla gioia e disse fra s‚: -Ah, Dio, finalmente questo tempo così duro volge alla fine!-. Con un frullar d'ali, i cigni si posarono accanto a lei, sicché‚ ella pot‚ gettare loro addosso le camicie: come ne furono sfiorati, le pelli di cigno caddero ed essi le stettero innanzi sani e salvi; solo il più giovane al posto del braccio sinistro aveva un'ala di cigno attaccata alla schiena. S'abbracciarono e si baciarono, poi la regina andò dal re che stava a guardare attonito. -Carissimo sposo- disse -finalmente mi è concesso di parlare e posso dirti di essere stata accusata ingiustamente.- E gli raccontò come la vecchia l'avesse calunniata in modo esecrabile e tenesse nascosti i suoi tre bambini. Allora furono mandati a prendere con grande gioia del re, mentre, per castigo, la cattiva suocera fu legata al rogo e ridotta in cenere. Il re, la regina e i sei fratelli vissero a lungo felici e contenti.

FINE

 
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Il saggio piccolo sarto

Post n°861 pubblicato il 30 Settembre 2011 da odette.teresa1958

C'era una volta una principessa molto superba: ogni volta che si presentava un pretendente, ella gli proponeva un indovinello, e se egli non sapeva risolverlo lo scacciava deridendolo. Fece sapere, inoltre, che colui che avesse indovinato l'avrebbe sposata; e poteva presentarsi chi voleva. Ora si trovarono insieme anche tre sarti: i due più vecchi pensavano che avevano azzeccato tanti bei punti e quindi avrebbero azzeccato sicuramente anche questa; il terzo invece era uno sbarbatello buono a nulla, che non conosceva neanche il proprio mestiere. E gli altri due gli dissero: -Resta pure a casa, tanto non andrai molto lontano con quel poco sale che hai in zucca!-. Ma il piccolo sarto non si lasciò confondere e disse che scommetteva la testa che se la sarebbe cavata; e se ne andò, come se fosse il padrone del mondo. Si presentarono tutti e tre alla principessa e le dissero che doveva proporre il suo indovinello: erano proprio i tipi giusti, con un ingegno così fino che lo si poteva infilare in un ago. La principessa disse: -Ho in testa capelli di due diverse specie, di che colore sono?-. -Se è tutto qui- disse il primo -saranno bianchi e neri come il cumino e il sale-. La principessa esclamò. -Sbagliato! risponda il secondo-. Il secondo disse: -Se non è bianco e nero, è rosso e bruno, come l'abito da festa di mio padre-. -Sbagliato!- esclamò la principessa. -Risponda il terzo, vedo che lo sa di sicuro.- Allora il piccolo sarto si fece avanti e disse: -La principessa ha in testa un capello d'argento e uno d'oro, e questi sono i due colori-. All'udirlo, la principessa impallidì e stava quasi per cadere dallo spavento, perché‚ il piccolo sarto aveva indovinato, ed ella era convinta che nessuno al mondo ci sarebbe riuscito. Quando tornò in s‚ disse: -Con ciò non mi hai ancora conquistata; devi fare un'altra cosa: giù nella stalla c'è un orso e tu devi trascorrere la notte con lui. Domani, quando mi alzo, se sei ancora vivo mi sposerai-. Ma pensava di sbarazzarsi così del piccolo sarto, perché‚ l'orso non aveva ancora lasciato vivo nessuno che gli fosse capitato fra le zampe. Il piccolo sarto rispose allegramente: -Farò anche questo!-. Quando venne la sera, il nostro piccolo sarto fu condotto giù dall'orso. L'orso voleva subito scagliarsi su di lui e dargli il benvenuto con la zampa. -Piano, piano!- disse il piccolo sarto -ti calmerò io.- Come se non avesse alcun timore, trasse di tasca delle noci, le ruppe con i denti e mangiò il gheriglio. Al vederlo anche l'orso ebbe voglia di noci. Il piccolo sarto mise la mano in tasca e gliene porse una manciata: ma non erano noci, bensì sassi. L'orso se li mise in bocca ma, per quanto mordesse, non riusciva a romperli. "Ehi" pensava "che razza di tonto che sei! Non sei neanche capace di rompere delle noci!" e disse al piccolo sarto: -Per favore, rompile tu-. -Vedi che tipo sei!- disse il piccolo sarto -hai una bocca enorme e non sai rompere una piccola noce!- Prese la pietra, ma in fretta si mise in bocca una noce e crac! eccola spezzata in due. -Devo provare ancora una volta- disse l'orso -vedendoti, mi pare che dovrei riuscirci anch'io.- Allora il piccolo sarto tornò a dargli le pietre e l'orso si mise a darci dentro con tutte le sue forze. Ma non credere certo che le abbia aperte! Poi il piccolo sarto tirò fuori un violino da sotto la giubba e suonò un'arietta. All'udirlo, l'orso non pot‚ resistere e si mise a ballare e dopo aver ballato un po' ci prese tanto gusto che disse al piccolo sarto: -Senti, è difficile suonare il violino?-. -Oh, niente affatto: vedi, ci metto sopra le dita della sinistra, e con la destra ci passo l'archetto; e allegria! trallallera, trallallà!- -Potresti insegnarmelo?- domandò l'orso. -Mi piacerebbe sapere suonare così, per poter ballare ogni volta che ne ho voglia.- -Di tutto cuore- rispose il piccolo sarto -ma se vuoi imparare, devi prima mostrarmi le zampe: sono terribilmente grandi, devo prima tagliarti un po' le unghie.- Allora prese una morsa e l'orso ci mise sopra le zampe, ma il piccolo sarto l'avvitò e disse: -Adesso aspetta che venga con le forbici!-. Lo lasciò brontolare finché‚ ne ebbe voglia, si sdraiò in un angolo, su di un fascio di paglia e si addormentò. Quella sera la principessa, sentendo l'orso brontolare così forte, pensò che brontolasse per la gioia e che avesse ucciso il piccolo sarto. Così al mattino si alzò tutta contenta, ma quando guardò verso la stalla vide il piccolo sarto vispo e arzillo come un pesce. Ormai ella non poteva più far nulla perché‚ aveva promesso pubblicamente; il re fece venire una carrozza, ed ella dovette andare in chiesa con il piccolo sarto per sposarsi. Quando furono saliti in carrozza, gli altri due sarti, che erano cattivi e gli invidiavano la fortuna, andarono nella stalla e liberarono l'orso. L'animale, pieno di rabbia, si mise a correre dietro la carrozza. La principessa lo udì sbuffare, ebbe paura e disse: -Ah, l'orso ci insegue e vuole catturarti!-. Ma il piccolo sarto si mise in fretta a testa in giù, sporse le gambe dalla finestra e gridò: -Vedi la morsa? Se non te ne vai, ci torni dentro-. A quella vista l'orso si voltò e corse via. Il nostro piccolo sarto se ne andò invece tranquillamente in chiesa, sposò la principessa e visse con le felice come un'allodola. Chi non ci crede, paghi uno scudo.

FINE
 
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La luce del sole lo rivelerà

Post n°860 pubblicato il 30 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Un garzone sarto girava per il mondo in cerca di lavoro, ma non riusciva a trovarne ed era così povero che non aveva più un soldo in tasca. Un giorno incontrò per strada un ebreo e, pensando che avesse molto denaro in tasca, scacciò Dio dal suo cuore, si precipitò su di lui e disse: -Dammi il tuo denaro o ti ammazzo!-. L'ebreo rispose: -Fatemi grazia della vita, denaro non ne ho; avrò forse otto centesimi in tutto-. Ma il sarto disse: -Sì che ne hai di denaro, e deve venir fuori!-. Allora gli usò violenza e lo picchiò tanto che lo ridusse in fin di vita. E quando fu per morire, l'ebreo disse queste ultime parole: -La luce del sole lo rivelerà!- e morì. Il sarto gli frugò in tasca, cercando il denaro, ma non trovò altro che gli otto centesimi, come aveva detto l'ebreo. Allora se lo caricò sulle spalle, lo portò dietro un cespuglio e se ne andò per la sua strada. Dopo aver girato per molto tempo, giunse in una città, si mise al lavoro da un padrone che aveva una bella figlia; se ne innamorò, la sposò, e vissero insieme felici. Dopo molto tempo, quando erano già nati due bambini, i suoceri morirono e il governo della casa toccò agli sposi. Un mattino, l'uomo era seduto al tavolo davanti alla finestra, e la moglie gli portò il caffè; quand'egli lo versò nel piattino e si preparava a berlo, il sole vi batté‚ sopra, e si rifletté‚ qua e là sulla parete, formando dei cerchi. Il sarto alzò gli occhi e disse: -Sì, vorrebbe rivelarlo ma non può!-. La moglie disse: -Oh, caro marito, cosa c'è? Cosa intendi dire?-. Egli rispose: -Non posso dirlo-. Ma ella replicò: -Se mi vuoi bene, devi dirmelo- e gli disse tante belle parole, disse che nessuno l'avrebbe saputo e non gli dette pace. Allora egli le raccontò che molti anni prima, quando girava il mondo tutto lacero e senza denaro, aveva ucciso un ebreo, e l'ebreo, poco prima di morire, aveva detto queste parole: -La luce del sole lo rivelerà!-. E ora il sole avrebbe proprio voluto rivelarlo, brillando sulla parete in tanti cerchi, ma non ci riusciva. Poi egli la pregò di non dirlo a nessuno, poiché‚ ne andava della sua vita, ed ella glielo promise. Ma quand'egli si mise a lavorare, la donna andò dalla sua comare e le raccontò la storia; però che non lo dicesse a nessuno! Non erano passati tre giorni, che tutta la città lo sapeva, e il sarto comparve in giudizio e fu condannato. Così la luce del sole lo rivelò.

FINE

 
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Il monte Simeli

Post n°859 pubblicato il 30 Settembre 2011 da odette.teresa1958

C'era una volta due fratelli, uno ricco e l'altro povero. Ma il ricco non dava niente al povero e questi doveva provvedere con fatica al proprio sostentamento, commerciando in granaglie; e spesso gli andava così male, che non aveva il pane per sua moglie e i suoi bambini. Un giorno, mentre stava attraversando il bosco con il suo carro, scorse da un lato una grande montagna brulla; e poiché‚ non l'aveva mai vista, si fermò e l'osservò meravigliato. Mentre se ne stava là fermo vide venire dodici omoni dall'aspetto selvaggio e, credendo che fossero briganti, spinse il suo carro nella macchia, salì su di un albero e stette a vedere cosa succedeva. I dodici uomini andarono davanti alla montagna e gridarono: -Monte Semsi, monte Semsi, apriti!-. Subito il monte brullo si aprì nel mezzo, i dodici entrarono e, quando furono dentro, il monte si richiuse. Ma dopo poco si riaprì e gli uomini uscirono, portando dei sacchi pesanti sulla schiena; e quando si trovarono tutti quanti di nuovo alla luce del giorno, dissero: -Monte Semsi, monte Semsi, chiuditi!-. Allora il monte si richiuse, senza che si potesse più vedere alcun passaggio, e i dodici se ne andarono. Quando furono scomparsi, il pover'uomo scese dall'albero, curioso di sapere quale segreto si celasse in quel monte. Andò là davanti e disse: -Monte Semsi, monte Semsi, apriti!- e il monte si aprì anche davanti a lui. Egli entrò, e il monte era tutta una caverna piena d'oro e d'argento, e dietro c'erano dei grandi mucchi di perle e sfavillanti pietre preziose, ammucchiate come il grano. Il povero non sapeva proprio cosa dovesse fare e se potesse prendere un po' di quei tesori. Infine si riempì le tasche d'oro, ma lasciò stare le perle e le pietre preziose. Quando uscì fuori, tornò a dire: -Monte Semsi, monte Semsi, chiuditi!-. Subito il monte si chiuse, ed egli se ne andò a casa con il suo carro. Ora egli non doveva più preoccuparsi: con quell'oro poteva procurare il pane e anche il vino per la moglie e i figli; viveva felice e contento, dando ai poveri e facendo del bene a tutti. Quando il denaro finì, andò dal fratello, si fece prestare uno staio e ne prese dell'altro; ma i grandi tesori non li toccò. Quando volle prenderne per la terza volta, tornò dal fratello a farsi prestare lo staio. Ma quello già da un pezzo invidiava la sua ricchezza e gli agi di cui godeva in casa, e non riusciva a capire di dove venisse quella fortuna, n‚ cosa facesse suo fratello con lo staio. Allora escogitò un'astuzia e spalmò il fondo dello staio di pece; e quando gli fu restituito, c'era rimasta attaccata una moneta d'oro. Subito andò dal fratello e gli domandò: -Che cosa hai misurato con lo staio?-. -Grano e orzo- rispose l'altro. Allora gli mostrò la moneta d'oro e lo minacciò di citarlo in giudizio se non diceva la verità. Perciò il fratello gli raccontò com'erano andate le cose. Il ricco fece subito attaccare un carro, andò nel bosco, e meditava di portar via ben altri tesori. Quando giunse davanti al monte, gridò: -Monte Semsi, monte Semsi, apriti!-. Il monte si aprì, ed egli entrò. Tutte le ricchezze erano davanti a lui, e per un bel po' egli non seppe cosa prender per primo; alla fine raccolse le gemme, quante poteva portarne, e si apprestò a uscire. Tornò indietro, ma siccome non aveva altro in mente che i tesori, aveva dimenticato il nome del monte e gridò: -Monte Simeli, monte Simeli, apriti!-. Ma, non essendo il nome giusto, il monte non si aprì e rimase chiuso. Allora s'impaurì, ma più ci pensava, più gli si confondevano le idee, e tutti i tesori non gli servivano a nulla. La sera il monte si aprì, entrarono i dodici briganti, e vedendolo, si misero a ridere e dissero: -Merlo, finalmente ti abbiamo pescato! Pensavi forse che non ci fossimo accorti che eri entrato due volte? Non riuscivamo a prenderti, ma una terza volta non uscirai di qui!-. Allora egli gridò: -Non ero io, era mio fratello!-. Ma ebbe un bel chieder grazia! Checché‚ dicesse, gli mozzarono la testa.

FINE



Classificazione (Aarne-Thompson):
AT 0676 - Open Sesam
AT 0954 - The Forty Thieves

 
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Il ginepro

Post n°858 pubblicato il 30 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Molto tempo fa, saran duemila anni, c'era un ricco che aveva una moglie bella e pia; si volevano molto bene, ma non avevano bambini. Essi li desideravano tanto ma, per quanto la donna pregasse il buon Dio giorno e notte, i figli non venivano mai. Davanti alla loro casa, in cortile, c'era un pianta di ginepro. Un giorno, d'inverno, la donna sedeva sotto il ginepro intenta a sbucciarsi una mela e, sbucciandola, si tagliò un dito, e il sangue cadde sulla neve. -Ah- disse la donna sospirando e, tutta mesta, guardava quel sangue -avessi un bambino rosso come il sangue e bianco come la neve!- Come ebbe pronunciato queste parole, gioì in cuor suo, come se avesse avuto un presentimento. Andò a casa e passò una luna e la neve scomparve; dopo due lune la terra tornò a diventare verde; dopo tre lune spuntarono i fiori; dopo quattro lune gli alberi del bosco si colmarono di linfa e i rami verdi si intricarono fitti: gli uccellini cinguettavano da far risuonare tutto il bosco e i fiori cadevano dagli alberi; passata la quinta luna, la donna se ne stava sotto il ginepro e l'odore della pianta era così dolce che il cuore le scoppiava di gioia, ed ella cadde in ginocchio per la grande felicità; dopo la sesta luna i frutti ingrossarono, ed ella si chetò; alla settima luna colse alcune bacche del ginepro e le mangiò avidamente e si fece triste e si ammalò; passò l'ottava luna, ed ella chiamò suo marito e disse piangendo: -Se dovessi morire, seppelliscimi sotto il ginepro-. Poi si consolò e tornò a rallegrarsi, fino a quando, trascorsa la nona luna, le nacque un bambino, bianco come la neve e rosso come il sangue, e quando ella lo vide, la sua gioia fu così grande che morì. Allora il marito la seppellì sotto il ginepro e pianse amaramente; dopo qualche tempo incominciò a calmarsi, pianse ancora un po', poi di smise di disperarsi e, dopo un'altro po', riprese moglie. Dalla seconda moglie ebbe una figlia, mentre dalla prima aveva avuto un maschietto, rosso come il sangue e bianco come la neve. Quando la donna guardava la figlia, le voleva tanto bene; ma quando guardava il bambino, si sentiva trafiggere il cuore e le sembrava che egli la ostacolasse in ogni cosa. Pensava sempre a come fare avere a sua figlia tutta l'eredità; ispirata dal maligno si mise a odiare il ragazzo, e lo cacciava da un angolo all'altro, e lo picchiava, sicché‚ il povero bambino aveva sempre tanta paura; quando usciva di scuola non aveva più pace. Una volta la donna era salita in camera; poco dopo vi giunse anche la figlioletta e disse: -Mamma, dammi una mela-. -Sì, bimba mia- disse la donna e tirò fuori dal cassone una bella mela. Il cassone aveva un gran coperchio, pesante, con una serratura di ferro grossa e tagliente. -Mamma- disse la bimba -anche mio fratello potrà averne una?- La donna si indispettì, ma disse: -Sì, quando torna da scuola-. E, quando lo vide arrivare dalla finestra, come se fosse posseduta dal maligno, strappò la mela a sua figlia e disse: -Non devi averla prima di tuo fratello-. Poi gettò la mela nel cassone e lo richiuse. Quando il bimbo entrò, invasata dal diavolo, gli disse simulando dolcezza: -Figlio mio, vuoi anche tu una mela?- e lo guardò con il volto sconvolto. -Mamma- disse il bambino -hai una faccia che fa spavento! Sì, dammi una mela!- Le parve di dovergli fare animo. -Vieni con me- disse, e sollevò il coperchio -prenditi una mela.- E quando il bimbo si chinò, il diavolo la consigliò e, paff!, ella chiuse il coperchio sbattendolo, sicché‚ la testa schizzò via e andò a cadere fra le mele rosse. Allora ella fu presa dalla paura e pensò: "Potessi allontanarlo da me!". Andò di sopra nella sua camera e prese dal primo cassetto del suo comò un fazzoletto bianco, appoggiò nuovamente la testa sul collo e lo fasciò con il fazzoletto, in modo che non si vedesse niente; mise a sedere il bambino davanti alla porta con la mela in mano. Poco dopo Marilena andò in cucina da sua madre che se ne stava davanti al focolare a rimestare una pentola d'acqua calda. -Mamma- disse Marilena -mio fratello è seduto davanti alla porta ed è tutto bianco e ha in mano una mela; gli ho chiesto se me la dava, ma non mi ha dato risposta; allora mi sono spaventata.- -Vacci ancora- disse la madre -e se non ti risponde di nuovo, dagli una sberla!- Allora Marilena andò e gli disse: -Fratello, dammi la mela!- ma questi continuava a tacere ed ella gli diede uno scapaccione, e la testa ruzzolò per terra. Atterrita, si mise a piangere e a singhiozzare, e corse dalla mamma a dirle: -Ah, mamma! ho staccato la testa a mio fratello!-. E piangeva e piangeva e non voleva darsi pace. -Marilena- disse la madre -cos'hai fatto! Ma chetati che nessuno se ne accorga, tanto non si può farci niente: lo cucineremo in salsa agra.- La madre prese il bambino e lo fece a pezzi, lo mise in pentola e lo fece cuocere nell'aceto. Ma intanto Marilena se ne stava lì vicino e piangeva e piangeva e le lacrime finivano tutte nella pentola e non c'era bisogno di sale. Quando il padre tornò a casa, si sedette a tavola e disse: -Dov'è mio figlio?-. In quel mentre la madre portò un piatto grande grande, pieno di carne in salsa agra, e Marilena piangeva da non poterne più. Allora il padre ripeté‚: -Dov'è mio figlio?-. -Ah- disse la madre -se n'è andato in campagna, dal prozio; vuol fermarsi un po' là.- -Che ci va a fare? E senza neanche salutarmi!- -Be' aveva voglia di andarci e mi ha chiesto se poteva fermarsi sei settimane. Starà bene là.- -Ah- disse l'uomo -mi dispiace proprio! Non è giusto, avrebbe dovuto dirmi almeno addio!- Detto questo, incominciò a mangiare e disse: -Marilena, perché‚ piangi? Tuo fratello ritornerà-. -Ah, moglie- aggiunse poi -che roba buona è mai questa, dammene ancora!- E più ne mangiava, più ne voleva e diceva: -Datemene ancora, e voi non mangiatene: è come se fosse roba mia-. E mangiava e mangiava buttando tutte le ossa sotto la tavola, finché‚ ebbe finito. Marilena intanto andò a prendere il suo più bel fazzoletto di seta dall'ultimo cassetto del suo comò, raccolse tutte le ossa e gli ossicini che erano sotto la tavola, li depose nel fazzoletto di seta e li portò fuori, piangendo calde lacrime. Li mise nell'erba verde sotto il ginepro, e come l'ebbe fatto si sentì meglio e non pianse più. Allora il ginepro incominciò a muoversi, i rami si scostavano e poi si riunivano di nuovo, come quando uno è contento e fa così con le mani. Poi dalla pianta uscì una nube e sembrava che nella nube ardesse un fuoco, e dal fuoco volò fuori un bell'uccello che cantava meravigliosamente e si alzò a volo nell'aria; e quando se ne fu andato, il ginepro tornò come prima e il fazzoletto con le ossa era scomparso. E Marilena era felice e contenta, proprio come se il fratello fosse ancora vivo. Se ne tornò a casa tutta allegra, si mise a tavola e mangiò. L'uccello intanto era volato via, si era posato sulla casa di un orefice e si era messo a cantare:-La mia mamma mi ha ammazzato e mio padre mi ha mangiato. Marilena, la mia sorella, l'ossa ha legato con la cordicella; una corda di seta ha usato, e sotto il ginepro ha tutto celato. Cip! Cip! Che bell'uccello ha qui cantato!-L'orefice era nella sua bottega e stava lavorando una catena d'oro quando udì l'uccello cantare sul suo tetto, e trovò quel canto bellissimo. Si alzò per uscire e perse una pantofola, ma volle andare lo stesso in mezzo alla strada, anche se aveva una pantofola e una calza. Aveva indosso il suo grembiule di cuoio e in una mano teneva la catena d'oro, nell'altra le tenaglie; e il sole splendeva illuminando tutta la strada. Si fermò a guardare l'uccello. -Uccello- disse -come canti bene! Cantami ancora una volta la tua canzone.- -No- rispose l'uccello -non canto due volte senza una ricompensa: se mi dai la catena d'oro te la canterò di nuovo.- -Eccotela- disse l'orefice -e ora canta ancora!- Allora l'uccello discese a prendere la catena d'oro, la prese con la zampa destra, si posò davanti all'orefice e cantò:-La mia mamma mi ha ammazzato e mio padre mi ha mangiato. Marilena, la mia sorella, l'ossa ha legato con la cordicella; una corda di seta ha usato, e sotto il ginepro ha tutto celato. Cip! Cip! Che bell'uccello ha qui cantato!-Poi l'uccello volò alla casa di un calzolaio, si posò sul tetto e cantò:-La mia mamma mi ha ammazzato e mio padre mi ha mangiato. Marilena, la mia sorella, l'ossa ha legato con la cordicella; una corda di seta ha usato, e sotto il ginepro ha tutto celato. Cip! Cip! Che bell'uccello ha qui cantato!-Il calzolaio l'udì e corse davanti alla porta in maniche di camicia. Guardò sul tetto e dovette ripararsi gli occhi con la mano perché‚ il sole non lo abbagliasse. -Uccello- disse -come canti bene!- E chiamò dalla porta: -Moglie, vieni giù, c'è un uccello che canta così bene!-. Poi chiamò sua figlia, i figli e i garzoni, il servo e la serva e tutti andarono in strada a vedere l'uccello. Com'era bello! Le sue piume erano rosse e verdi, e attorno al collo sembrava tutto d'oro, e gli occhi gli brillavano come fossero stelle. -Uccello- disse il calzolaio -cantami ancora una volta la tua canzone.- -No- rispose l'uccello -non canto due volte senza una ricompensa: devi regalarmi qualcosa.- -Moglie- disse l'uomo -vai in solaio; sull'asse più alta c'è un paio di scarpe rosse: portale qui.- La donna andò a prendere le scarpe. -Ecco qua, uccello- disse l'uomo -ora cantami di nuovo la tua canzone.- L'uccello scese a prendere le scarpe con la zampa sinistra, poi volò sul tetto e cantò:-La mia mamma mi ha ammazzato e mio padre mi ha mangiato. Marilena, la mia sorella, l'ossa ha legato con la cordicella; una corda di seta ha usato, e sotto il ginepro ha tutto celato. Cip! Cip! Che bell'uccello ha qui cantato!-Quando ebbe finito di cantare, volò tenendo la catena nella zampa destra e le scarpe nella sinistra. Volò lontano fino a un mulino, il mulino girava: clipp clapp, clipp clapp, clipp clapp. E nel mulino c'erano venti garzoni che battevano una macina con il martello: tic tac, tic tac, tic tac. E il mulino girava: clipp clapp, clipp clapp, clipp clapp. Allora l'uccello volò su di un tiglio davanti al mulino e cantò:-La mia mamma mi ha ammazzato-e uno smise di lavorare-e mio padre mi ha mangiato. - Altri due smisero di lavorare e ascoltarono - Marilena, la mia sorella,-altri quattro smisero di lavorare - l'ossa ha legato con la cordicella; una corda di seta ha usato,-solo otto battevano ancora-e sotto il ginepro-ancora cinque - ha tutto celato. - ancora uno - Cip! Cip! Che bell'uccello ha qui cantato!-Allora anche l'ultimo smise di lavorare e pot‚ ancora sentire la fine. -Uccello- disse quest'ultimo -come canti bene! Lascia che senta pure io, canta di nuovo.- -No- rispose l'uccello -non canto due volte senza una ricompensa: se mi dai la macina canterò di nuovo.- -Sì- disse l'uomo -se solo fosse mia te la darei.- -Sì- dissero gli altri -se canta di nuovo l'avrà.- Allora l'uccello scese e i mugnai, tutti e venti, con l'aiuto di una leva sollevarono la macina: Oh! oh, op! Oh, oh, op! Oh, oh, op! L'uccello vi introdusse il capo e la mise come un collare; poi tornò sull'albero e cantò:-La mia mamma mi ha ammazzato e mio padre mi ha mangiato. Marilena, la mia sorella, l'ossa ha legato con la cordicella; una corda di seta ha usato, e sotto il ginepro ha tutto celato. Cip! Cip! Che bell'uccello ha qui cantato!-Quand'ebbe finito di cantare, distese le ali e aveva nella zampa destra la catena, nella sinistra le scarpe e la macina intorno al collo; e volò via verso la casa di suo padre. Nella stanza il padre, la madre e Marilena erano a tavola, e il padre disse: -Ah, che gioia, mi sento felice!-. -No- disse la madre -io ho paura, come quando sta per arrivare un gran temporale.- Marilena invece se ne stava seduta e piangeva, piangeva. In quel mentre arrivò l'uccello e, quando si posò sul tetto, -Ah- esclamò il padre -sono tanto felice, e come splende il sole là fuori! è come se dovessi rivedere un vecchio amico!-. -No- disse la donna -io ho tanta paura: mi battono i denti ed è come se avessi del fuoco nelle vene!- E si strappò il corpetto e tutto il resto. E Marilena se ne stava seduta in un angolo a piangere, tenendo il grembiule davanti agli occhi, e lo bagnava di lacrime. Allora l'uccello si posò sul ginepro e cantò:-La mia mamma mi ha ammazzato-La donna si tappò le orecchie e chiuse gli occhi per non vedere e non sentire, ma le orecchie le rintronavano come se vi rumoreggiasse la tempesta e gli occhi le bruciavano come folgorati da lampi. -e mio padre mi ha mangiato.--Ah, mamma!- esclamò l'uomo -c'è fuori un bell'uccello che canta tanto bene! e il sole è così caldo! e par di sentire odor di cinnamomo.--Marilena, la mia sorella,-Allora Marilena mise la testa sulle ginocchia e si mise a piangere a dirotto, ma l'uomo disse: -Vado fuori, devo vedere l'uccello da vicino-. -Ah, non andare!- disse la donna -a me pare che tremi tutta la casa e che sia in fiamme.- Ma l'uomo uscì a guardare l'uccello. -l'ossa ha legato con la cordicella; una corda di seta ha usato, e sotto il ginepro ha tutto celato. Cip! Cip! Che bell'uccello ha qui cantato.-Terminato il canto, l'uccello lasciò andare la catena d'oro proprio intorno al collo dell'uomo, e gli stava a pennello. Allora l'uomo rientrò e disse: -Vedessi che bell'uccello! mi ha regalato una catena d'oro ed è così bello!-. Ma la donna aveva una gran paura e cadde a terra lunga distesa e la cuffia le cadde dalla testa. E l'uccello cantò di nuovo:-La mia mamma mi ha ammazzato--Ah, potessi sprofondare sotto terra, da non doverlo sentire.--e mio padre mi ha mangiato-La donna stramazzò a terra, come morta-Marilena, la mia sorella,--Ah- disse Marilena -voglio uscire anch'io; chissà se l'uccello regala qualcosa anche a me!- E uscì-l'ossa ha legato con la cordicella, una corda di seta ha usato,-E l'uccello le gettò le scarpe. -e sotto il ginepro ha tutto celato Cip! Cip! Che bell'uccello ha qui cantato.-Allora Marilena si sentì felice e piena di gioia. Infilò le scarpette rosse, si mise a danzare e corse in casa. -Ah- disse -ero così triste quando sono uscita, e adesso sono così allegra! Che uccello magnifico! mi ha regalato un paio di scarpette rosse.- -No.- disse la donna, saltò in piedi e i capelli le si rizzarono sulla testa come fiamme -mi sembra che il mondo stia per crollare; uscirò anch'io: forse starò meglio.- Ma come oltrepassò la soglia, paff!, l'uccello le buttò la macina sulla testa, ed essa stramazzò a terra morta. Il padre e Marilena sentirono e corsero fuori: fumo e alte fiamme si sprigionarono dal suolo e, quando tutto cessò, ecco il fratellino che prese per mano il padre e Marilena. Tutti e tre felici entrarono in casa e si misero a tavola a mangiare.

FINE

 
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L'Ermione furiosa

Post n°857 pubblicato il 30 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Era troppo bello per durare,lettori miei!Dopo un lungo periodo di silenzio,l'Ermione è tornata alla ribalta della cronaca,stavolta a causa della sua folle gelosia.
Ma è bene che mi spieghi.
Tre mesi fa Geremia è diventato padre per la terza volta:dopo due figlie,finalmente è nato Tarquinio.
Il nuovo arrivo ha provocato l'ira funesta dell'Ermione,ben decisa a sbarazzarsi dell'intruso e disposta a tutto pur di riuscirci.
Ecco ciò che l'inenarrabile creatura ha combinato in soli 7 giorni.
LUNEDI'- Portata la carrozzina in cima alla discesa che porta alla chiesa,l'Ermione l'ha fatta rotolare giù con un calcione.
La carrozzina nella sua folle corsa ha travolto la Clementina e l'Evaristo,che si sono spatagnati contro il cancello del cimitero.
Per fortuna il portone della chiesa ha fermato la carrozzina.
In tutto quel putiferio,Tarquinio se la dormiva beato.
MARTEDI'- L'Ermione ha messo il fratellino in un cestino da picnic e poi lo ha spinto nel torrente.
Le ha detto male,perchè Be'erino,che pescava lì vicino,ha agganciato il cestino ed ha riportato l'infante ai genitori.
MERCOLEDI'-L'Ermione ha schiaffato Tarquinio in una scatola di cartone e lo ha portato all'ufficio postale,decisa a spedirlo a Tukambakabalodisotto.L'ufficio era chiuso per sciopero e all'Ermione è venuto un travaso di bile.
GIOVEDI'- L'Ermione ha messo il fratellino all'asta su EBay col seguente annuncio:"Vendo a un euro fratello usato e inutile".
La Giuditta lo ha scoperto ed ha allertato i genitori,che hanno espresso il loro disappunto facendo all'Ermione un sedere rosso pomodoro col battipanni,che si è pure rotto.
VENERDI'- L'Ermione ha legato Tarquinio sulla groppa di Cesarone e per farlo imbizzarrire voleva bruciargli il posteriore con la fiamma ossidrica.Il diabolico piano è stato sventato dall'Astorre che l'ha colta sul fatto ed ha avvisato i genitori.Stavolta la Fidalma ha collaudato sul sedere della figlia il suo nuovo mestolo con l'anima d'acciaio
SABATO- Ermione voleva affogare il fratellino nella concimaia.Le urla del marmocchio hanno fatto accorrere tutto il parentado.Tarquinio è incolume,altrettanto non si può dire del sedere dell'Ermione.
DOMENICA-Geremia e la Fidalma hanno spedito la figlia in Burundi per un soggiorno a tempo indeterminato.
E' passata una settimana.
La Clementina soffre di attacchi di panico.
Evaristo ha avuto un crollo nervoso.
Ermione è in Burundi.Conoscendola,se fossi nei panni dei genitori non dormirei sonni tranquilli

 
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Vita pericolosa (Cendrars)

Post n°856 pubblicato il 30 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Sono forse oggi l’uomo più felice del mondo
Possiedo tutto quello che non desidero
E alla sola cosa alla quale io tenga nella vita ogni giro dell’elica mi ci avvicina
E avrò forse perduto tutto arrivando

 
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Libri dimenticati:La storia di S.Michele

Post n°855 pubblicato il 30 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Axel Munthe è un medico svedese e uno scrittore  e questo libro è il suo capolavoro,la storia della sua vita di medico e di uomo.
In questo libro ci sono pagine stupende,come quelle che riguardano gli animali,il piccolo John e soprattutto le pagine finali,che sono toccanti e commoventi.
E' un libro da leggere con attenzione,che prende

 
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Frase del giorno

Post n°854 pubblicato il 30 Settembre 2011 da odette.teresa1958

Una volta arrivati alla greppia tutti mangiano (Mia nonna riferendosi ai politici)

 
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