Messaggi del 22/10/2011

La grotta dell'Infinito

Post n°1043 pubblicato il 22 Ottobre 2011 da odette.teresa1958

Vivevano presso la Badia di San Vittore due bellissimi giovani, perdutamente innamorati.
Nonostante li unisse la comunione di un grande amore, le rispettive famiglie, avversate da profonda ostilità, impedirono con ogni mezzo il loro matrimonio.
Disperati per questa situazione senza possibile soluzione, abbandonarono le abitazioni e, imprecando contro il loro parentado, fuggirono sul Monte della Valle per rimanere nella selva buia.
Cauti e prudenti come due capretti inseguiti, vagarono nel bosco il giorno e la notte successiva, vinti e compiaciuti dalla passione d'amore. Infine, presso un macigno, scoprirono una grotta e sembrava che tutta la valle palpitasse di allegria per la loro felicità.
Sarebbero rimasti in questo luogo segreto per lungo tempo, con i loro bambini, fra le ginestre e il gregge, fino a che S. Vittore non avesse riconciliato i genitori.
Una sera d'inverno, nell'ora del tramonto, la giovane, recatasi per una necessità all'interno della Grotta, svenne e riavutasi cercò di liberarsi ma, per uno strano sortilegio, acquistò le sembianze di una capra.
In tutte le sporgenze nacquero caprifichi che ella dilaniò con gli zoccoli e con il muso.
Sommessamente disse al giovane che una forza diabolica l'aveva ridotta in quello stato e da quel momento non parlò più scomparendo per sempre nel sotterraneo, convertita in fantasma.
Il giovane, esterrefatto, ricercò la propria amata per tre giorni e per tre notti fino a che l'invase la più triste amarezza e non potendosi dare pace per l'accaduto si adirò, corse come un toro infuriato, bruciò la selva fino a che si fermò presso l'antro battendo le tempie sulla pietra.
Anch'egli fu colpito da sortilegio, cambiò colore e divenne un masso disposto a guardia della grotta.
Nell'aria maligna, pesante come una maledizione, sibilò il vento, sogghignarono le forze del male.
In quel medesimo luogo, ogni sera, quando il sole discende dietro i monti e la valle si addormenta, una capra esce dalla fenditura e un grido lacera l'aria facendo tremare i pioppi del fiume e le querce della montagna.
La Grotta viene per questo chiamata anche la "Grotta della Capra"


 
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La leggenda delle belle di notte

Post n°1042 pubblicato il 22 Ottobre 2011 da odette.teresa1958

Si perde nella notte dei tempi la leggenda del fiore più bello.
Il fiore che allieta le notti di tutti gli uomini insonni perché li attende sveglio d’estate quando non riescono a prendere sonno: le belle di notte.
Una notte, tanto tempo fa, un pianto lungo e sommesso si aggiungeva ai rumori dell’oscurità. Questo pianto si ripeté a lungo, finché la Luna decise di trovarne la fonte.
A lungo girò intorno a tutto il pianeta e, quando aveva ormai perso del tutto le speranze, lo scorse.
Un piccolo punto luminoso: era da lì che proveniva il pianto.
La Luna scese dal suo cocchio e si avvicinò.
Accanto ad un pozzo, ai margini del bosco, era seduta una lucciola. “Chi sei tu? E perché rattristi con il tuo pianto tutte le mie stelle? “ chiese la Luna. La lucciola spaventata alzò gli occhi e rimase stupita nel vedere il suo interlocutore.
Allora disse: “Deve scusarmi, signora Luna, non volevo mettere tristezza alle sue stelle!”
“Io sono Lumil, il principe delle lucciole!”
“Perché piangi principe Lumil?” chiese la luna.
“Si avvicina la primavera e il mio popolo comincerà a vagare per i prati e i giardini, per illuminare le calde notti” disse Lumil “Ma noi non troveremo nessuna corolla dischiusa ad attenderci. Solo tanto verde!”
“E qual è il problema? “ chiese la Luna. “Il tuo popolo, da quando è stato creato, è sempre stato il popolo della notte! Voi avete un ruolo importante: dovete illuminare, come me e le stelle, le notti degli alberi”.
“E questo compito ci onora !” rispose Lumil. “Ma, vede signora Luna, c’è un sogno che ogni lucciola ha da quando nasce: io questo sogno lo faccio da sempre!”
“E qual è questo sogno?” chiese la Luna.
“Uscire dalla nostra casa, volare in un prato e trovare, almeno per una volta, un fiore che ci attenda e poterci posare sui suoi petali!” esclamò Lumil.
“Ma è un sogno, e solo un sogno rimarrà. Buona notte signora Luna e mi perdoni se l’ho disturbata”. E così dicendo Lumil volò via.
La Luna ritornò in cielo, ma non riusciva a smettere di pensare a Lumil e al sogno delle lucciole.
Le notti passavano e il pianto di Lumil le riempiva, ma all’improvviso il pianto cessò.
Sirio, una delle stelle, andò dalla luna e le disse: “Mamma ascolta!”e la invitò a tendere l’orecchio.
“Cosa devo ascoltare?”chiese la Luna.
“Il principe triste! Questa notte il suo pianto non si sente.” rispose Sirio.
“E’ vero ! esclamò la Luna . Non odo il suo lamento!”
“E se gli fosse accaduto qualcosa?” aggiunse Sirio molto preoccupata. “Ti prego mamma va a vedere!”
E cosi fu. La Luna salì sul suo cocchio e andò in cerca del pozzo presso il quale aveva incontrato Lumil per la prima volta.
Quando lo ebbe trovato, si fermò e si avvicinò.
Ferme, vicino al pozzo, trovò tante lucciole e ad una di loro chiese:
“Cosa accade?”la risposta la rattristò.
“Il nostro principe si è ammalato. Era molto triste perché sapeva che i suoi giorni stavano finendo, e che non sarebbe mai riuscito a realizzare il sogno del suo popolo. E il dispiacere lo ha consumato.”
La Luna rimase lì ferma ad attendere di poter vedere il principe Lumil.
Quando la vide il principe disse: “Signora Luna, come mai è ritornata?Io non ho pianto questa notte!”
“Ero preoccupata per te, ragazzo mio e volevo assicurarmi che tu stessi bene!” rispose la Luna dolcemente.
“Non deve preoccuparsi per me. Il mio tempo ormai è finito.
Raggiungerò i miei antenati con un unico rimpianto: non aver potuto realizzare il sogno del mio popolo. Spero che il prossimo principe ci riesca!”
Le forze stavano abbandonando il principe delle lucciole.
Tutto il suo popolo era preso da grande tristezza.
L’amore che le lucciole dimostravano al loro principe e la dolcezza di Lumil colpirono al cuore la Luna.
“Lumil la tua luce si spegnerà presto, questo io non posso evitarlo, ma – disse la Luna – andrai via sapendo di aver realizzato il sogno del tuo popolo. Guarda……..”
La Luna si strappò una ciglia, la prese tra le mani e la posò in terra di fianco a Lumil.
Come d’incanto dalla terra cominciarono a spuntare foglie.
Le foglie presero a germogliare, d’improvviso una gemma si schiuse e fece capolino un bel fiore giallo e fucsia.
“Ecco Lumil!Questo sarà il fiore delle lucciole, per sempre, e si chiamerà come te: Lumil, che nella lingua delle lucciole significa colui che rende bella la notte!” Lumil pianse di gioia e disse: “Grazie o luminosa Luna, sarà bella di notte per il mio popolo!”
E con tutta la forza che gli rimaneva, accese la sua lucina e volò sul suo fiore. E lì si spense felice.
Da quella notte, tante volte la Luna si è levata in cielo, ma ancora oggi quando, nelle notti d’estate guarda i prati, sorride.
Ogni notte le lucciole raggiungono le belle di notte che si schiudono solo per loro e c’è soltanto una pianta, la più bella, che non permette a nessuna lucciola di sedersi sui suoi petali e illuminarla: è la pianta nata vicino al pozzo ed è la sola che non ha bisogno di luce perché nei suoi fiori vive Lumil.




scritta da Monica Eleonora Lapenta degli amici del forum di pinu

 
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La farfalla e il cavolfiore

Post n°1041 pubblicato il 22 Ottobre 2011 da odette.teresa1958

Era una bella mattina di primavera e il sole scaldava il prato verde, trapuntato di fiori.
Su uno di essi aveva dormito una bella farfalla che, stiracchiandosi, distese le ali variopinte per asciugarle ai tiepidi raggi del sole e poi si librò nell’aria, cominciando a curiosare qua e là.
Giunta sulla riva d’uno stagno, si rimirò nell’acqua ferma che le faceva da specchio.
"Quanto sono bella!", pensò la farfalla e, felice, si mise a volare in giro per farsi vedere ed ammirare da tutti.
Ad un certo punto, però, cominciò a sentire un po’ d’appetito. Istintivamente volò verso un orto dove c’era una distesa di cavoli freschi e turgidi.
Si fermò sul più grosso e bello, provò ad assaggiarlo, succhiò un po', ma subito si ritrasse disgustata.
- Puah! Che cattivo odore e che saporaccio! Ho fatto male a venire qui nell’orto, dovevo andarmene in qualche bel giardino ricco di rose e garofani, di dalie e giunchiglie profumate. Il cibo dell’orto non fa per me, io ho bisogno di cose più delicate.-
- Hai cambiato gusto a quel che sembra! - Osservò ironicamente il cavolfiore offeso – Ti ho conosciuto in ben altre condizioni, bella mia, quando eri meno elegante e colorata. Ricordo bene quando eri un bruco nudo e crudo, per niente bello da vedere, e fui proprio io a darti cibo e alloggio.-
- Il cibo dell’orto non fa per me, io ho bisogno di cose più delicate! – Rispose risentito l’insetto.
- Allora il sapore delle mie foglie ti sembrava buono e appetitoso. Ora che sei cresciuta, cambiata, rivestita di seta e di splendidi colori, frequenti giardini profumati e disdegni i buoni amici d’un tempo… Hai poca memoria e troppa boria! Sei bella, sì…ma non sei buona se disprezzi chi ti ha cresciuta senza chiederti niente.-
La farfalla, tutta rossa per la vergogna, se ne volò via.


Lucio Apuleio



illustrazione di Mariarita Brunazzi degli amici del forum di pinu

 
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La giornata della concordia

Post n°1040 pubblicato il 22 Ottobre 2011 da odette.teresa1958

Credevate che la fonte d'ispirazione della sindachessa si fosse prosciugata,lettori miei? Visti i precedenti risultati io ci speravo,ma le mie preghiere non sono state esaudite.
La brava donna un mesetto fa ha avuto una meravigliosa pensata:istituire a S.Tobia la "Giornata della concordia",momento di aggregazione e fraternità tra i paesani che si sarebbe conclusa con una megacena e una serata danzante in piazza.
Lodevole intento,ma era possibile che A S.Tobia le cose andassero lisce?
Gli inizi sono stati più che buoni,ma in serata la situazione è degenerata.
Ad accendere la miccia sono stati Asmodeo Cuccurullo e Anselmo Capricorni,nemici storici da sempre.
I due si sono contesi l'ultimo piatto di lasagne al forno finchè detto piatto non è finito sull'abito dell'Armida che li ha presi a borsettate.
Solo l'intervento di Ireneo,che ha spedito i tre litiganti a mollo nella fontana a calcioni,ha riportato la calma.
Per allietare la serata la Marianna aveva ingaggiato la famosa orchestra di ballo liscio "Demetrio Schioppazzoni".
In compagnia di Be'erino l'Amalasunta si stava cimentando nelle danze, quando,con un urlo belluino,si è lanciata addosso alla cantante dell'orchestra,che altri non era che la Berenice,ex amante di Be'erino e fallita assassina della baronessa,uscita dal carcere per sconto di pena.
La batteria è stata sfondata;il trombettista si è ritrovato lo strumento avvolto intorno al collo;lo Schioppazzoni è stato tramortito a colpi di piatti,Be'erino,tentando di dividerle,è finito nella fontana anche lui.
Il match,per la cronaca,è stato vinto dalla Strombazzoni-Bon,che si è poi consegnata a Cuccurullo.
Ma il peggio doveva venire.
Quel pessimo soggetto di Bernabò Trogoloni,fatti ubriacare i 15 cani di Geppo,li ha sguinzagliati nella piazza.
Le bestiacce sono zompate sulla tavola imbandita, portando ovunque rovina e distruzione.Non paghe,hanno fatto irruzione nel locale cucina, facendo razzia di slasicce e facendo scappare tutti i presenti.Per finire hanno rivolto la loro non proprio amichevole attenzione sul Cornacchioni che ha fatto sette giri del paese e si è salvato solo perchè i cani alla fine sono caduti addormentati.
Superata la paura, i paesani come un sol uomo si sono buttati all'inseguimento dello scellerato,ma Bernabò se l'era già squagliata.
Sono passate due settimane.
Asmodeo,Anselmo e l'Armida sono ai domiciliari.
La berenice si è trasferita a Tukambakabalo.
L'Amalasunta è a Sollicciano.
Il Cornacchioni è ricoverato nella clinica Luminaris.
i 15 cani dormono ancora.
Bernabò tanto per cambiare è uccel di bosco.I paesani si sono rivolti all'investigatore Egidio Pescelessi perchè lo ritrovi (ovviamente vivo:a farlo morto ci pensan loro)
Aspettando la prossima catastrofe,passo e chiudo

 
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Il sonno del vecchio (Pirandello)

Post n°1039 pubblicato il 22 Ottobre 2011 da odette.teresa1958

Mentre nel salotto della Venanzi ferveva la conversazione in varie lingue su i piú disparati argomenti, Vittorino Lamanna pensava alle due notizie che la padrona di casa gli aveva date, appena entrato. L'una buona, l'altra cattiva. La buona, che alla lettura della sua commedia avrebbe assistito, quel giorno, Alessandro De Marchis, il vecchio venerando che tanta luce di pensiero aveva diffuso nel mondo co' suoi libri di scienza e di filosofia e che giustamente ora la patria considerava come una delle sue piú fulgide glorie. La cattiva, che Casimiro Luna, il « brillante » giornalista Luna, reduce da Londra, ove si era recato a « intervistare » un giovine scienziato italiano che aveva fatto or ora una grande scoperta scientifica, ne avrebbe parlato nella radunanza, prima che 1'« intervista » fosse pubblicata sul giornale della sera.
Il Lamanna non invidiava al Luna tutte quelle doti appariscenti, che in pochi anni lo avevano reso il beniamino del pubblico, specialmente femminile; gl'invidiava la fortuna. Prevedeva che tra breve tutti gli sguardi si sarebbero rivolti con simpatia al giornalista effimero, elegantissimo, e che nessuno piú avrebbe badato a lui; e si lasciava vincere a poco a poco dal malumore, al quale, senza bisogno, pareva facesse da mantice un certo signore che la Venanzi gli aveva messo alle costole: un signore arguto, calvo, di cui non ricordava piú il nome, ma che gli ricordava invece quello di tutti gli altri lì presenti, dicendo male di ciascuno.

– Chi vuole, caro signore, che capisca un'acca della sua commedia, tra tutta questa gente qui? Non se ne curi, però. Basterà si sappia che lei l'ha letta nel salotto intellettuale della Venanzi. Ne parleranno i giornali. Il che, al giorno d'oggi, vuoi dire tutto. La maggior parte, come vede, sono forestieri che spiccicano appena appena qualche parola d'italiano. Non sanno bene come si scriva la parola soldo, ma s'accorgono subito adesso se il soldo è falso, e sanno meglio di noi che vale cinque centesimi. L'industria dei forestieri? Idea sbagliata, caro signore! Perché...

Venne, per fortuna, la signora Alda Venanzi a liberarlo da quel tormento. Era entrata nel salotto la marchesa Landriani, a cui la Venanzi lo voleva presentare.

– Marchesa, eccole il nostro Vittorino Lamanna, futura gloria del teatro nazionale.

– Per carità! – disse Vittorino Lamanna, arrossendo, inchinandosi e sorridendo.

La vecchia e grassa marchesa Landriani, dall'aria perennemente stordita, stava a togliersi dal naso gli occhiali a staffa azzurri e, prima d'inforcarsi quelli chiari, rimase un pezzo con gli occhi chiusi e un sorriso freddo, rassegato sulle labbra pallide.

– Conosco, conosco... – disse, molle molle. – Mi ajuti a rammentare dove ho letto di recente roba sua.

– Mah, – fece il Lamanna, compiaciuto, cercando nella memoria. – Non saprei.

E citò una o due riviste, dove aveva di recente stampato qualche cosa.

– Ah! ecco, sì. Bravo! Non ricordavo bene. Leggo tanto, leggo tanto, che poi mi trovo imbarazzata. Sì sì, appunto, bravo, bravo.

E lo guardò con le lenti chiare, e col sorriso freddo rassegato ancora sulle labbra.

– Quella lì? – diceva, poco dopo, all'orecchio del Lamanna il signore calvo, che evidentemente lo perseguitava – Quella lì? Una talpa, caro signore! Non conosce neppure l'o. E non di meno, va ripetendo che conosce tutti, ch'a ha letto roba di tutti. Lo avrà detto anche a lei, scusi, non è vero? Non ci creda, per carità! Una talpa di prima forza, le dico.

Entrò, in quel momento, Casimiro Luna. Vittorino Lamanna lo conosceva bene, fin da quand'era, come lui, un ignoto. Ragion per cui il Luna lo degnò appena d'un freddissimo saluto.

– Miro! Miro!

Lo chiamavano tutti per nome, così, di qua e di là, ed egli aveva un sorriso e una parola graziosa per ciascuno. Accennò di ghermire una rosa dal seno d'una signora e poi egli stesso fece un gesto di stupore e d'indignazione per la sua temerità, e la signora ne rise, felicissima. La padrona di casa non ebbe bisogno di presentarlo a nessuno. Lo conoscevano tutti.
Nel vederlo così vezzeggiato e incensato, Vittorino Lamanna pensava quanto facile dovesse riuscire a colui il far valere quel po' d'ingegno di cui era dotato, quanto facile la vita. «Vita?» domandò tuttavia a se stesso. « E che vita è mai quella ch'egli vive? Una continua stomachevole finzione! Non uno sguardo, non un gesto, non una parola, sinceri. Non è piú un uomo: è una caricatura ambulante. E bisogna ridursi a quel modo per aver fortuna, oggi? » Sentiva, così pensando, un profondo disgusto anche di sè, vestito e pettinato alla moda, e si vergognava d'esser venuto a cercare la lode, la protezione, l'ajuto di quella gente che non gli badava.
A un tratto, nel salotto si fece silenzio e tutti si volsero verso l'uscio, in attesa. Entrava, a braccio della moglie, Alessandro De Marchis.
Ansava il grand'uomo, tozzo e corpulento, dal testone calvo, sotto la cui cute liscia giallastra spiccava la trama delle vene turgide. La moglie coi capelli fulvi, pomposamente acconciati, lo sorreggeva, diritta, tronfia, e guardava di qua e di là, sorridendo con le labbra dipinte.
Tutti si mossero a ossequiare
Alessandro De Marchis, lasciandosi cadere pesantemente sul seggiolone preparato apposta per lui, sorrideva con la bocca sdentata, senza baffi né barba, ed emetteva, tra l'ànsito che gli davano la pinguedine e la vecchiaja, come un grugnito, e guardava con gli occhi quasi spenti, scialbi, acquosi.
Ma subito un vivissimo imbarazzo si diffuse nel salotto: tutti gli occhi, appena guardavano al grand'uomo, si voltavano altrove, schivandosi a vicenda.
La De Marchis, infocata in volto, contenendo a stento il dispetto, accorse presso il marito, gli si parò davanti, vicinissima, e gli disse piano, ma con voce vibrata:

– Alessandro, abbottonati! Vergogna!

Il povero vecchio si recò subito la grossa mano tremante, ove la moglie imperiosamente con gli occhi gl'indicava, e la guardò quasi impaurito, con un sorriso scemo sulle labbra.
Poco dopo, mentre Casimiro Luna riferiva « brillantemente » il suo colloquio col giovine inventore italiano sulla famosa scoperta, un'altra impressione piú penosa della prima dovettero provare i convenuti nel salotto della Venanzi, guardando il vecchio glorioso.
Alessandro De Marchis, che era pure un celebre fisico, i cui libri senza dubbio quel giovane inventore italiano aveva dovuto studiare e consultare, Alessandro De Marchis sera messo a dormire, col testone reclinato sul petto.
Vittorino Lamanna fu tra i primi ad accorgersene, e si sentì gelare. Casimiro Luna seguitava a parlare; ma, a un certo punto, seguendo lo sguardo degli altri, e vedendo anche lui il De Marchis immerso nel sonno, atteggio il volto di tal commiserazione che a piú d'uno scappò irresistibilmente un breve riso subito soffocato.
Ma a ottantasei anni, scusi, – osservò piano, all'orecchio del Lamanna, quello stesso signore arguto, – a ottantasei anni, davanti alla soglia della morte, che può piú importare, caro signore, ad Alessandro De Marchis che Guglielmo Marconi abbia scoperto il telegrafo senza fili? Domani morrà. È già morto. Lo guardi.
Vittorino Lamanna, pallido, alterato, si voltò per dirgli sgarbatamente che si stesse zitto; ma incontrò lo sguardo della Venanzi che gli fece un cenno, levandosi e uscendo dal salotto. Si alzò anche lui poco dopo, e la seguì nel salottino accanto.
La trovò, che accendeva una sigaretta, traendo con voluttà le prime boccate di fumo.

– Fumate, fumate, Lamanna, fumate anche voi, – gli disse, presentandogli una scatola di sigarette. – Non ne potevo piú! Se non fumo, muojo.

Arrivò dal salotto, attraverso la vetrata, un fragoroso scoppio di risa.

– Caro, caro, quel Luna! Sentite? Trova modo di far ridere anche parlando di una scoperta scientifica. Speriamo che si svegli! – sospirò poi, alludendo al De Marchis. – Chi sa come deve soffrire quella povera Cristina!

– Cristina? – domandò, accigliato, Vittorino La Manna.

– La moglie, – spiegò la Venanzi. – Non l'avete veduta? È tanto bella! Forse ora s'ajuta un po' con la chimica. Ah, è stato un vero peccato sacrificare alla gloria di quel vecchio tanta bellezza! Calcolo sbagliato! Il vecchio glorioso se ne sta lì, come vedete, abbandonato dalla vita, dimenticato dalla morte. La povera Cristina, evidentemente, contò che, sì, il sacrifizio della sua bellezza alla gloria non sarebbe durato tanto, e che la luce di questa gloria avrebbe poi illuminato meglio la sua bellezza. Calcolo sbagliato! E ora, poverina, vuol cavare dalla gloria a cui s'è sacrificata tutte quelle magre soddisfazioni che può: si trascina il marito dappertutto; per miracolo non si appende al collo le innumerevoli decorazioni di lui, nazionali e forestiere. Il vecchio però, eh! il vecchio se ne vendica: dorme così dappertutto, sapete! Dorme, dorme. Ed è già molto che non ronfi!

Vittorino Lamanna sentì cascarsi le braccia. Pensò alla prossima lettura della sua commedia, mentre il vecchio dormiva; pensò al detto di un celebre commediografo francese: che durante la lettura o la rappresentazione d'un dramma, il sonno debba esser considerato come un'opinione, e si lasciò scappare dalle labbra:

– Oh Dio! E allora?

La Venanzi, a questo ingenuo sospiro, scoppiò a ridere, proprio di cuore.

– Non temete, non temete! – gli disse poi. – Procureremo di tenerlo sveglio. Ma già, vedrete che non ce ne sarà bisogno. L'arte vostra farà da sè il miracolo.

– Ma se mi dice che dorme sempre!

– No: sempre sempre poi no! Se mai, però, gli metteremo accanto il Gabrini: sapete? quello che vi tormenta. Me ne sono accorta. Ah, il Gabrini è terribile! Capacissimo d'allungargli sotto sotto qualche pizzicotto. Lasciate fare a me!

Entrò in quel momento Flora, la bellissima figliuola della Venanzi, a chiamare la madre. Casimiro Luna aveva finito d'esporre la sua « intervista » ed era scappato via.
La Venanzi carezzò la splendida figliuola alla presenza del giovanotto, le ravviò i capelli, le rassettò sul seno ricolmo le pieghe della camicetta di seta. Flora la lasciò fare, sorridente, con gli occhi rivolti al giovine; poi disse alla madre:

– Sai che donna Cristina è andata via anche lei?

La madre allora s'adirò fieramente.

– Via? E mi lascia lì quel mausoleo addormentato? Ah! È un po' troppo, mi pare! Dov'è andata?

Mah! – sospirò la figlia. – Ha detto che ritornerà tra poco.

Poi si volse al Lamanna e aggiunse:

– Non dubiti: glielo sveglio io, or ora, con una tazza di tè.

Il Lamanna, già col sangue tutto rimescolato, avrebbe voluto pregare la Venanzi di mandare a monte la lettura della commedia e di permettergli d'andar via di nascosto. Ma la signora Alba s'era già levata e aveva schiuso la bussola per rientrare in salotto con la figlia.
Quando, di lì a poco, questa con una tazza di tè in una mano e nell'altra il bricco del latte, pregò la signora inglese che sedeva accanto al De Marchis di scuoterlo per un braccio, Vittorino Lamanna, divenuto nervosissimo, avrebbe voluto gridarle: « Ma lo lasci dormire, perdio! ». Così, quelli che non sapevano del continuo sonno del vecchio, avrebbero potuto attribuirne la causa alla relazione del Luna e non alla prossima lettura della sua commedia.

Destato, Alessandro De Marchis guardò Flora con gli occhi stralunati:

– Ah sì... Guglielmo... Guglielmo Marconi...

– No, scusi, senatore, – disse Flora, con un sorriso. – Col latte o senza?

– Col... col latte, sì, grazie.

Preso il tè, rimase sveglio. Vittorino Lamanna, che già si disponeva alla lettura, accolse in sè la lusinga che la sua commedia avrebbe veramente incatenato l'attenzione del vecchio, come la Venanzi gli aveva lasciato sperare, e lesse a voce alta il titolo: Conflitto.
Lesse i personaggi, lesse la descrizione della scena, e volse una rapida occhiata al De Marchis.
Questi se ne stava ancora con le ciglia corrugate e pareva attentissimo. Il Lamanna si riaffermò in quella lusinga, e cominciò a leggere la prima scena, tutto rianimato.
S'era proposto di rappresentare un conflitto d'anime, diceva lui. Un vecchio benefattore, ancor valido, aveva sposato la sua beneficata; questa, presa poco dopo d'amore per un giovane, si dibatteva tra il sentimento del dovere e della gratitudine e il ribrezzo che provava nell'adempimento de' suoi doveri di sposa, mentre il suo cuore era pieno di quell'altro. Tradire, no; ma mentire, mentire neppure!
Orbene, chi sa! il De Marchis forse avrebbe potuto intravedere in quella situazione drammatica un caso simile al suo, e avrebbe prestato attenzione fino all'ultimo. E il Lamanna seguitava a leggere con molto calore.
A un tratto però, dagli occhi degli ascoltatori comprese che il vecchio s'era rimesso a dormire. Non ebbe il coraggio di guardare per accertarsene. Cercò invece gli occhi del Gabrini e li incontrò subito appuntati su di lui, taglienti di ironia.

A ottantasei anni, davanti alla soglia della morte... – gli parve di leggere in quello sguardo; e subito sentì tutto il sangue affluirgli alle guance, dalla stizza; si confuse, s'impappinò, perdette il tono, il colore, la misura; e, con un gran ronzio negli orecchi, in preda a una esasperazione crescente di punto in punto, strascinò miseramente la lettura del suo lavoro fino alla fine.

Fu un supplizio per lui e per gli altri, che parve durasse un secolo. Finito, non vide l'ora di trovarsi solo in casa per lacerare in mille minutissimi pezzi quel suo atto unico, ch'era stato per lui strumento d'indicibile tortura.
Mezz'ora dopo, nel salotto della Venanzi non c'era piú nessuno, tranne il vecchio che dormiva sul seggiolone, col capo rovesciato sul petto, le labbra flosce, da cui pendeva sul panciotto un filo di bava.
Madre e figlia, nel salottino accanto, parlavano della pessima figura fatta dal Lamanna e mangiucchiavano intanto qualche violetta inzuccherata.

Oh! – esclamò a un tratto la madre. – Quella lì non torna. Bisogna svegliare il vecchio.

Si recarono nel salotto e stettero un po' a contemplare con una certa pena mista di ribrezzo quel glorioso dormente, in cui ogni luce d'intelletto era estinta da un pezzo.
Lo scossero piano piano, poi piú forte. Stentò non poco Alessandro De Marchis a comprendere che la moglie lo aveva abbandonato lì.

– Se vuole, – gli disse la Venanzi, – lo farò accompagnare fino a casa.

– No, – rispose il vecchio, provandosi piú volte a levarsi dal seggiolone. – Mi basta.. mi basta fino a piè della scala. Poi mi metto in vettura.

Riuscì finalmente a tirarsi su; guardò Flora; le accarezzò una guancia.

– Sei un po' sciupatina, – le disse. – Bellina mia, che cos'è? facciamo forse all'amore?

Flora, senza arrossire, alzò una spalla e sorrise.

– Che dice mai, senatore!

– Male! – riprese allora il De Marchis. – A diciannove anni bisogna fare all'amore. E credi pure che non c'è niente di meglio, bellina mia.

Si accostò lentamente a una mensola, per tuffar la faccia in un gran mazzo di rose; poi, ritraendola, sospirò:

– Povero vecchio...

Scese pian piano, a gran fatica, la scala, appoggiato al cameriere; si mise in vettura e poco dopo si addormentò anche lì, senza il piú lontano sospetto che la sera, nelle "note mondane", tutti i giornali piú in vista avrebbero parlato di lui, del suo grande compiacimento per i trionfi di Guglielmo Marconi, della sua vivissima simpatia per Casimiro Luna e anche della sua paterna benevolenza per Vittorino Lamanna, giovane commediografo di belle speranze.

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Assenza (De Moraes)

Post n°1038 pubblicato il 22 Ottobre 2011 da odette.teresa1958

Io lascerò che muoia in me
il desiderio di amare i tuoi occhi
che sono dolci
perché nulla potrei darti
tranne la pena di vedermi eternamente esausto.
Eppure la tua presenza
è una cosa qualunque come la luce e vita...
... eppure io sento che nel mio gesto esiste il tuo gesto
e nella mia voce la tua voce
Io ti lascerò
tu andrai,
e accosterai il tuo viso a un altro viso
le tue dita allacceranno altre dita
e tu sboccerai verso l'aurora
ma non saprai che a coglierti sono stato io
perche io sono il grande intimo della notte..
Perché ho accostato il mio viso al viso della notte
e ho sentito il tuo bisbiglio amoroso
e ho portato fino a me la misteriosa essenza
del tuo abbandono disordinato.
Io resterò solo come veliero nei porti silenziosi
ma ti possiederò piu di chiunque
perche potrò partire..
E tutti i lamenti del mare del vento del cielo degli uccelli
delle stelle saranno la tua voce presente
la tua voce assente
la tua voce rasserenata.

 
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Libri dimenticati:Il Greco

Post n°1037 pubblicato il 22 Ottobre 2011 da odette.teresa1958

Socrate Satrapoulos,protagonista di questo romanzo di Pierre Rey,altri non è che Aristotele Onassis,la cui vita è ripercorsa passo per passo

 
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Frase del giorno

Post n°1036 pubblicato il 22 Ottobre 2011 da odette.teresa1958

L'uomo è l'unica creatura che rifiuta di essere quello che è (Camus)

 
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Ciao, serena serata
Inviato da: RicamiAmo
il 01/08/2014 alle 18:11
 
Ciao per passare le tue vacanze vi consigliamo Lampedusa...
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il 26/07/2014 alle 18:22
 
Buon pomeriggio.Tiziana
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il 23/04/2014 alle 18:01
 
i gatti sono proprio così.:)
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il 14/04/2014 alle 20:57
 
questi versi sono tanto struggenti quanto veritieri. Ciao e...
Inviato da: Krielle
il 23/03/2014 alle 04:38
 
 

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