Messaggi del 26/10/2011

La leggenda dei sempreverdi

Post n°1074 pubblicato il 26 Ottobre 2011 da odette.teresa1958

Nei tempi passati, al termine dell'estate, un uccellino si ferì ad un'ala, restando cosi da solo nel bel mezzo del bosco.
Non potendo più volare, resto' praticamente in balia dell'inverno, che già faceva sentire i suoi primi geli.
Cosi, domando' ad un enorme faggio di potersi rifugiare tra i suoi grandi rami, sperando di poter passare l'inverno al riparo dal cattivo tempo. Ma il faggio, altezzosamente, rifiuto' all'uccellino un piccolo riparo tra le sue fronde.
Intristito, l'esserino continuo' a girovagare nel bosco, trovando di li a poco un grosso castagno e, speranzoso, ripete' la stessa domanda.
Ma anche quest'albero rifiuto' all'uccellino la sua protezione.
Cosi, nuovamente s'incammino nell'oscurità della foresta, alla ricerca di un riparo.
Di li a poco si senti' chiamare:
- Uccellino vieni tra i miei rami, affinché tu possa ripararti dal freddo.
Stupito, l'uccellino si volto' e vedendo che a parlare era stato un piccolo pino, salto' lestamente su uno dei suoi rami.
Subito dopo anche una pianta di ginepro offrì le sue bacche come sostentamento per il lungo inverno. L'uccellino ringrazio' più volte per tale generosità, che gli permise cosi di superare la cattiva stagione.
Dio, avendo osservato tutto, volle ricompensare la generosità del pino e del ginepro, ordinando al vento di non far cadere loro le foglie, e quindi da quel giorno furono "sempreverdi"

 
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La scaletta di stelle

Post n°1073 pubblicato il 26 Ottobre 2011 da odette.teresa1958

Era la Vigilia di Natale, nella grande città di Londra vi era una grande festa. Le vetrine luccicavano, ed esponevano dei regali davvero bellissimi. Le persone erano allegre e manifestavano una grande gioia per l’arrivo della festa più bella dell’anno. Le famiglie si erano riunite nelle loro case,per festeggiare il Natale. In una casetta vi era una dolce e graziosa bambina, in compagnia dei suoi parenti, il suo nome era Sofia. Sofia era una bambina di sette anni. Ella aveva dei bellissimi occhi azzurri e vivaci, i capelli rossi che portava liberi per mostrare i loro bei boccoli. Quella sera., si erano tutti riuniti nel salotto di casa. La piccola Sofia era molto impaziente di aprire i regali:
“ Ehi quando potrò aprire i miei regali?”
“Quando finirai di saltellare sul divano.” disse la nonna. La nonna era una signora anziana, molto ben curata e amava raccontare favole.
“Allora Sofia, che cosa ne dici di ascoltare da me una bella storia?”
“Certo nonna!”rispose Sofia.” - e la nonna cominciò a raccontare...
”C’erano una volta delle piccole fatine che vivevano oltre le nuvole. Queste, ogni notte di Natale costruivano con i loro cappellini una scaletta luminosa, che permetteva ai bambini di animo buono di camminarci sopra e scoprire i segreti della magia…” - DRIIIIIN!
“Santo cielo! Sofia, credo che la nostra storia dovremmo concluderla dopo, e ora vai un po’ ad aprire!” - Sofia corse, ma venne preceduta dalla mamma. Questa prese un pacco che era stato lasciato fuori dalla porta… Era per Sofia!
La bambina e i suoi parenti si riunirono in salotto, per aprire il pacco e gli altri regali. Tutti erano soddisfatti e felici. Quando Sofia apri il suo regalo, ci trovò dentro una stellina luccicante! Tutti pensarono che fosse un semplice giocattolo per bambine, ma la nonna e Sofia storcevano il naso. A mezzanotte in punto, tutti andarono a dormire, e visto che la famiglia era numerosa e la casa molto grande, tutti rimasero a riposare nello stesso luogo.
Sofia si preparò per andare a letto, ma non aveva affatto sonno. Era troppo curiosa nel sapere a cosa servisse il suo regalo. Tornò in salotto e prese quella stella. Emanava una luce argentata davvero meravigliosa. Si sedette sul divano e la fissò.
A un certo punto, senti qualcuno che diceva: “Ti piace?”.
Sofia si voltò e con stupore si accorsi che era Babbo Natale! Egli un uomo piuttosto alto e robusto. Possedeva una bellissima divisa rossa, con ricami bianchi in pelle. I bottoni erano di oro e gli stivali grandi e neri. Il suo naso era rosso come le sue guance che venivano mezze coperte dai lungi baffi bianchi. Portava degli occhiali e un cappello rosso. Mostrava molta tranquillità, la sua voce infatti, era molto calda e profonda, ma piacevole da ascoltare. La piccola Sofia, molto timidamente disse:
“Allora, sei tu quello che mi hai fatto questo regalo?”
“Proprio cosi.” disse Babbo Natale.
“Allora, credo che tu sappia già quello che devi fare! Vero?”
“No.” disse Sofia.
“Pensavo che tua nonna ti avessi avvisato!”
“ Ora capisco! La favola!”
”Favola? Quale favola? Quella è la verità!”
”Bene, ora ti spiego io. La stella che ti ho regalato devi utilizzarla per formare la scaletta di stelle delle fate! Altrimenti io non potrò tornarmene a casa e ripassare l’altro anno.”
“Capisco.” disse Sofia. “E cosa dovrei fare io?”
“Battere il piede destro e schioccare le dita una volta sola! Alla fine lanciare nel cielo la stella.”
I due uscirono nel giardino. Salirono sulla slitta e rimasero sospesi nel cielo. Cosi Sofia fecce quello che Babbo Natale le aveva detto. Lanciò la stella nel cielo e i cappellini delle fate si trasformarono in stelline che finivano dietro una grossa nuvola. Era uno spettacolo stupendo!
“Babbo Natale, e adesso cosa facciamo?” chiese Sofia.
“Vorresti vedere e conoscere le fate?” domandò Babbo Natale.
“Con molto piacere!”
Salirono con le rene sopra la scaletta e Sofia vide le fatine. Erano tutte davvero bellissime. I loro vestitini luccicavano di mille colori e le loro ali lasciavano una scia argentata quando si muovevano.
“Salve!” disse Sofia.
“Ciao!” risposero in coro le fatine.
Sofia cominciava ad avere freddo, quindi con le loro bacchette magiche le fate fecero apparire un bellissimo vestitino di lana.
“Grazie a tutte.” disse cordialmente Sofia.
“Di nulla.” risposero le fate. Si salutarono e Sofia vene accompagnata a casa da Babbo Natale. Si diedero un grosso bacio e si ripromisero di rincontrarsi l’anno prossimo.
Era il mattino seguente e Sofia racconto tutto alla nonna, che fece un grosso sorriso. La bacio e andarono a fare una buona collazione insieme agli altri. Guardando dalla finestra videro delle piccole fatine che ballavano e auguravano a tutti:
“Buon Natale.”

R. S. (11 anni)

 
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Le streghe di Chiesale

Post n°1072 pubblicato il 26 Ottobre 2011 da odette.teresa1958

Chiesale é una piccola frazione del Comune di Valprato situata sulla sinistra orografica del torrente Soana, non lontana dal capoluogo, sulla strada provinciale per Campiglia.
Non si può' parlare di questa borgata senza ricordare le tante leggende di streghe ad essa legate. Ancora oggi giorno, quando in Valle una persona compie qualche azione o qualche gesto inconsueto, gli si chiede se,per caso, non proviene da Chiesale.
Pare che in questa frazione vivessero delle donne dall'atteggiamento strano e dagli strani poteri, tanto da spaventare la gente del luogo e dei paesi vicini. Tra gli altri poteri(di cui si sono perse le tracce) sembra che le streghe del Chiesale avessero quello di tramutarsi in gatto, in modo da controllare tutti, senza timore di essere riconosciute. Cosi erano rispettate in tutta la valle, perché la gente temeva la loro vendetta.
Quando qualcuno di notte si imbatteva in un gatto, aveva per lui atteggiamenti affettuosi, oppure si dava alla fuga.
Una sera un uomo, un po' più coraggioso degli altri, catturo' un gatto e crudelmente gli spezzo una zampa, dopodiché' lo libero' per dimostrare a tutti che le storie delle streghe-gatto erano una stupida superstizione.
Il mattino successivo si vide in giro per la borgata una donna con un braccio spezzato e qualche tempo dopo l'uomo che aveva commesso la bravata con il gatto subì un grave incidente.
Da qual momento più nessuno oso' sfidare e provocare le streghe del Tchesal (Chiesale).

 
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I tre pensieri della sbiobbina (Pirandello)

Post n°1071 pubblicato il 26 Ottobre 2011 da odette.teresa1958

Bene, fino a nove anni: nata bene, cresciuta bene.
A nove anni, come se il destino avesse teso dall’ombra una manaccia invisibile e gliel’avesse imposta sul capo: – Fin qua! – Clementina, tutt’a un tratto, aveva fatto il groppo. Là, a poco più d’un metro da terra.
I medici, eh! subito, con la loro scienza, avevano compreso che non sarebbe cresciuta più. Linfatismo, cachessia, rachitide
Brevi! parlo intendere alle gambe, adesso, al busto di Clementina, che non si doveva più crescere! Busto e gambe, dacché, nascendo, ci s’erano messi, avevano voluto crescere per forza, senza sentir ragione. Non potendo per lungo, sotto l’orribile violenza di quella manaccia che schiacciava, s’erano ostinati a crescere di traverso: sbieche le gambe; il busto, aggobbito, davanti e dietro. Pur di crescere...
Che non crescono forse così, del resto, anche certi alberelli, tutti a nodi e a sproni e a giunture storpie? Così. Con questa differenza però: che l’alberello, intanto, non ha occhi per vedersi, cuore per sentire, mente per pensare; e una povera sbiobbina, sì; che l’alberello storpio non è, che si sappia, deriso da quelli dritti, malvisto per paura del malocchio, sfuggito dagli uccellini; e una povera sbiobbina, sì, dagli uomini, e sfuggita anche dai fanciulli; e che l’alberello infine non deve fare all’amore, perché fiorisce a maggio da sè, naturalmente, così tutto storpio com’è, e darà in autunno i suoi frutti; mentre una povera sbiobbina...
Là, via, era una cosa riuscita male, e che non si poteva rimediare in alcun modo. Chi scrive una lettera, se non gli vien bene, la strappa e la rifà da capo. Ma una vita? Non si può mica rifar da capo, a strapparla una volta, la vita.

E poi, Dio non vuole.

Quasi quasi verrebbe voglia di non crederci, in Dio, vedendo certe cose. Ma Clementina ci credeva. E ci credeva appunto perché si vedeva così. Quale altra spiegazione migliore di questa, di tutto quel gran male che, innocente, senz’alcuna sua colpa, le toccava soffrire per tutta, tutta la vita, che è una sola, e che lei doveva passar tutta, tutta così, come fosse una burla, uno scherzo, compatibile sì e no per un minuto solo e poi basta? Poi dritta, su, svelta, agile, alta, e via tutta quella oppressione. Ma che! Sempre così.
Dio, eh? Dio – era chiaro – aveva voluto così, per un suo fine segreto. Bisognava far finta di crederci, per carità; ché altrimenti Clementina si sarebbe disperata. Spiegandoselo così, invece, lei poteva anche considerare come un bene tutto il suo gran male: un bene sommo e glorioso. Di là, s’intende. In cielo. Che bella angeletta sarà poi in cielo, Clementina!
Ed ecco, ella sorride talvolta, camminando, alla gente che la guarda per istrada. Pare voglia dire: «Non mi deridete, via! perché, vedete? ne sorrido io per la prima. Sono fatta così; non mi son fatta da me; Dio l’ha voluto; e dunque non ve n’affliggete neppure, come non me n’affiggo io, perché, se l’ha voluto Dio, lo so sicuro che una ricompensa, poi, me la darà!».

Del resto, le gambe, tanto tanto non pajono, sotto la veste.
Dio solo sa quanto peni Clementina a farle andare, quelle gambe. E tuttavia sorride.
La pena è anche accresciuta dallo studio ch’ella pone a non barellare tanto, per non dar troppo nell’occhio alla gente. Passare inosservata non potrebbe. Sbiobbina è. Ma via, andando così, con una certa lestezza, e poi modesta, e poi sorridendo...
Qualcuno però, a quando a quando, si dimostra crudele: la osserva, magari col volto atteggiato di compassione, e le torna poco dopo davanti dall’altro lato, quasi volesse a tutti i costi rendersi conto di com’ella faccia con quelle gambe ad andare. Clementina, vedendo che col suo solito sorriso non riesce a disarmare quella curiosità spietata, arrossisce dalla stizza, abbassa il capo; talvolta, perdendo il dominio di sè, per poco non inciampa, non rotola giù per terra; e allora, arrabbiata, quasi quasi si tirerebbe sè la veste e griderebbe a quel crudele:

– Eccoti qua: vedi? E ora lasciami fare la sbiobbina in pace.

In questo quartiere non è ancora conosciuta. Clementina ha cambiato casa da poche settimane. Dove stava prima, era conosciuta da tutti; e nessuno più la molestava. Sarà così, tra breve, anche qua. Ci vuole pazienza! Lei è molto contenta della nuova casa, che sorge in una Piazzetta quieta e pulita. Lavora da mane a sera, con gentilezza e maestria, di scatolette e sacchettini per nozze e per nascite. La sorella (ha una sorella, Clementina, che si chiama Lauretta, minore di cinque anni: ma... diritta lei, eh altro! e svelta e tanto bella, bionda, florida) lavora da modista in una bottega: va ogni mattina, alle otto; rincasa la sera, alle sette. Fra loro, le due sorelle si son fatte da mamma a vicenda; Clementina, prima, a Lauretta; ora Lauretta, invece, a Clementina, quantunque minore d’età. Ma se questa, per la disgrazia, è rimasta come una ragazzina di dieci anni!... Lauretta ha acquistato invece tanta esperienza della vita! Se non ci fosse lei...
Spesso Clementina sta ad ascoltarla a bocca aperta.

Gesù, Gesù... che cose!
E capisce, ora, che con que’ due poveri piedi sbiechi non potrà mai entrare nel mondo misterioso che Lauretta le lascia intravedere. Non ne prova invidia, però: sì un timor vago e come un intenerimento angoscioso, di pietà per sé. Lauretta, un giorno o l’altro, si lancerà in quel mondo fatto per lei; e come resterà, allora, la povera Clementina? Ma Lauretta l’ha rassicurata, le ha giurato che non l’abbandonerà mai, anche se le avverrà di prender marito.
E Clementina ora pensa a questo futuro marito di Lauretta. Chi sarà? Come si conosceranno? Per via, forse. Egli la guarderà, la seguirà; poi, qualche sera la fermerà. E che si diranno? Ah come dov’esser buffo, fare all’amore.
Con gli occhi invagati, seduta innanzi al tavolino presso la finestra, Clementina, così fantasticando, non sa risolversi a metter mano al lavoro apparecchiato sul piano del tavolino. Guarda fuori... Che guarda?

C’è un giovine, un bel giovine biondo, coi capelli lunghi e la barbetta alla nazarena, seduto a una finestra della casa dirimpetto, coi gomiti appoggiati sul davanzale e la testa tra le mani.
Possibile? Gli occhi di quel giovine sono fissi su lei, con una intensità strana. Pallido... Dio, com’è pallido! dov’esser malato. Clementina lo vede adesso per la prima volta, a quella finestra. Ed ecco, egli séguita a guardare... Clementina si turba; poi sospira e si rinfranca. Il primo pensiero che le viene in mente è questo:

– Non guarda une!

Se Lauretta fosse in casa, lei penserebbe che quel giovine... Ma Lauretta non è mai in casa, di giorno. Forse alla finestra del quartierino accanto sarà affacciata qualche bella ragazza, con cui quel giovine fa all’amore. Ma si direbbe proprio ch’egli guarda qua, ch’egli guarda lei. Con quegli occhi? Via, impossibile! Oh, che! Ha fatto un cenno, quel giovine, con la mano: come un saluto! A lei? No, no! Ci sarà senza dubbio qualcuna affacciata.
E Clementina si fa alla finestra, monta su lo sgabelletto che sta lì apposta per lei, e – senza parere –– guarda alla finestra accanto e poi all’altra appresso... guarda giù, alla finestra del piano di sotto, poi a quella del piano di sopra...

Non c’è nessuno!
Timidamente, volge di sfuggita uno sguardo al giovine, ed ecco... un altro cenno di saluto, a lei, proprio a lei... ah, questa volta non c’è più dubbio!
Clementina scappa dalla finestra, scappa dalla stanza col cuore in tumulto. Che sciocca! Ma è uno sbaglio certamente... Quel giovine là dov’esser miope. Chi sa per chi l’avrà scambiata... Forse per Lauretta? Ma sì! Forse avrà seguito Lauretta per via; avrà saputo che lei abita qua, dirimpetto a lui... Ma, altro che miope, allora! Dev’esser cieco addirittura... Eppure, non porta occhiali. Sì, Clementina non è brutta, di faccia: somiglia veramente un po’ alla sorella, ma il corpo! Forse, chi sa! vedendola seduta, lì davanti al tavolino, col cuscino sotto egli avrà potuto avere, così da lontano, l’illusione di veder Lauretta al lavoro.

Quella sera stessa ne domanda alla sorella. Ma questa casca dalle nuvole.

– Che giovine?

– Sta lì, dirimpetto. Non te ne sei accorta?

– Io, no. Chi è?

Clementina glielo descrive minutamente e Lauretta allora le dichiara di non saperne nulla, di non averlo mai incontrato, mai veduto, né da vicino né da lontano.
Il giorno appresso, da capo. Egli è là, nello stesso atteggiamento, coi gomiti sul davanzale e il bel capo biondo tra le mani; e la guarda, la guarda come il giorno avanti, con quella strana intensità nello sguardo.
Clementina non può sospettare che quel giovine, il quale appare tanto, tanto triste, si voglia pigliare il gusto di beffarsi di lei. A che scopo? Ella è una povera disgraziata, che non potrebbe mai e poi mai prender sul serio la beffa crudele, abboccare all’amo, lasciarsi lusingare... E dunque? Oh, ecco: egli ripete il cenno di ieri, la saluta con la mano, china il capo più volte, come per dire: – «A te, sì, a te ’> – e si nasconde il volto con le mani, dolorosamente.
Clementina non può più rimanere lì, presso la finestra; scende dalla sedia, tutta in sussulto, e come una bestiolina insidiata va a spiare dalla finestra della camera accanto, dietro le tendine abbassate. Egli si è tratto dal davanzale; non guarda più fuori; sta ora in un atteggiamento sospeso e accorato; ed ecco, si volta di tratto in tratto a guardare verso la finestra di lei, per vedere se ella vi sia ritornata. La aspetta!

Che deve supporre Clementina? Le viene in mente quest’altro pensiero:

– Non vedrà bene come sono fatta.

E, per esser lasciata in pace, povera sbiobbina, immagina d’un tratto questo espediente: accosta il tavolino alla finestra, prende uno strofinaccio e poi, con l’aiuto d’una seggiola, monta a gran fatica sul tavolino, là, in piedi, come per pulire con quello strofinaccio i vetri della finestra. Così egli la vedrà bene!
Ma per poco Clementina non precipita giù in istrada, nell’accorgersi che quel giovine, vedendola lì, s’è levato in piedi e gesticola furiosamente, spaventato, e le accenna di smontare, giù di lì, giù di lì, per carità: incrocia le mani sul petto, si prende il capo tra le mani e grida, ora, grida!
Clementina scende dal tavolino quanto più presto può, sgomenta, anzi atterrita; lo guarda, tutta tremante, con gli occhi sbarrati; egli le tende le braccia, le invia baci; e allora:

«È matto... – pensa Clementina, stringendosi, storcendosi le mani. – Oh Dio, è matto! è matto!»

Difatti, la sera, Lauretta glielo conferma.
Messa in curiosità dalle domande di Clementina, ella ha domandato notizie di quel giovine, e le hanno detto ch’egli è impazzito da circa un anno per la morte della fidanzata che abitava lì, dove abitano loro, Lauretta e Clementina. A quella fidanzata, prima che morisse, avevan dovuto amputare una gamba e poi l’altra, per un sarcoma che s’era rinnovato.
Ah, ecco perché! Clementina, ascoltando questo racconto della sorella, sente riempirsi gli occhi di lagrime. Per quel giovine o per sé? Sorride poi pallidamente e dice con tremula voce a Lauretta:
Me l’ero figurato, sai? Guardava me...

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Un evaso a S.Tobia

Post n°1070 pubblicato il 26 Ottobre 2011 da odette.teresa1958

Cari lettori,stavolta ce la siamo vista brutta!
Tutto è cominciato quando il camorrista pluriomicida e pluriergastolano Totonno O' Scornacchiato è evaso dal carcere di Prato e,presa al volo la prima corriera,è arrivato a S.Tobia.
Affamato come un lupo,il criminale è penetrato nella prima casa che ha trovato ed ha perentoriamente chiesto da mangiare alla padrona di casa.
Bradamante Trogoloni (perchè di lei si trattava)ha servito all'ignaro Totonno una megaporzione di pastone del porco.
Il poveraccio è stato costretto a fare anche il bis prima di potersi congedare.
Con lo stomaco in subbuglio,il poveraccio ha pensato di schiacciare un pisolino nella capanna poco lontana dalla casa.
Non sapeva,ahilui,che era la stalla di Cesarone e che il toro soffriva di un mal di denti orripilante.
Totonno se l'è cavata per miracolo.
Zoppicante e sacramentante si è rimesso in cammino,deciso a rapinare il primo che incontrava per procurarsi del denaro.
Quando ha visto arrivare un vecchietto intento a contare i soldi della pensione,Totonno ha ringraziato S,Gennaro.
Ma il santo oggi doveva essere in vena di scherzi da prete,perchè il vecchietto altri non era che Melchiorre Scozzagalli!
Quando Totonno gli ha intimato di dargli il denaro,il nostro non ha fatto una piega.Prima si è fatto ripetere la domanda,poi,con un sorrisetto malefico,gli ha assestato una bastonata terrificante in un posto innominabile,per poi riprendere la sua strada.
Riavutosi,Totonno ha ripreso a camminare.
Ormai certo che lo stessero cercando,ha pensato di prendere degli ostaggi e costringere gli sbirri a trattare..
Non vi dico com'è stato contento quando si è trovato davanti all'asilo comunale.
Senza pensarci su due volte vi ha fatto irruzione,facendo la faccia feroce che più feroce non si poteva.
Una volta dentro,si è trovato davanti al suo incubo peggiore:Erode Cuccurullo, che con un grido di gioia gli è volato al collo chiamandolo "Maestro!"
Memore del loro incontro precedente (vedi "Tale padre")Totonno si è gettato piangendo in ginocchio davanti alle maestre che non avevano capito nulla,implorandole di chiamare la polizia quanto prima.
All'arrivo di Telesforo e dei suoi uomini,li ha abbracciati e baciati tutti quanti e si è fatto docilmente portare via.
E' passata una settimana.
Totonno,di nuovo in galera,ha fatto voto alla Madonna di Pompei che non evaderà mai più,manco se lo scannano e lo impalano.
Non sa ancora,poveraccio,che in via eccezionale a Erode Cuccurullo è stato concesso di andarlo a trovare due volte la settimana.
Non ho il coraggio di pensare alla sua reazione quando lo saprà
Stretta la foglia,larga la via,dite la vostra che ho detto la mia

 
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Al di là delle gente (Salinas)

Post n°1069 pubblicato il 26 Ottobre 2011 da odette.teresa1958

Si, al di là della gente
ti cerco.
Non nel tuo nome, se lo dicono,
non nella tua immagine, se la dipingono.
Al di là, più in là, più oltre.

Al di là di te ti cerco.
Non nel tuo specchio
e nella tua scrittura,
nella tua anima nemmeno.
Di là, più oltre.

Al di là, ancora, più oltre
di me ti cerco. Non sei
ciò che io sento di te.
Non sei
ciò che mi sta palpitando nelle vene,
e non è me.
Al di là, più oltre ti cerco.

E per trovarti, cessare
di vivere in te, e in me,
e negli altri.
Vivere ormai di là da tutto,
sull'altra sponda di tutto
- per trovarti -
come fosse morire.

 
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Libri dimenticati:Il pozzo della solitudine (Hall)

Post n°1068 pubblicato il 26 Ottobre 2011 da odette.teresa1958

Romanzo molto coraggioso per i tempi visto che affronta il tema dell'omosessualità femminile attraverso la storia di Stephen,uomo intrappolato in un corpo di donna

 
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Frase del giorno

Post n°1067 pubblicato il 26 Ottobre 2011 da odette.teresa1958

Mia sorella nella vita ha conosciuto alti e bassi...e se li è sempre fatti tutti! (anonimo)

 
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