Messaggi del 16/11/2011

Un treno già passato

Post n°1221 pubblicato il 16 Novembre 2011 da odette.teresa1958

Nel silenzio della stanza, la foto attendeva, attendeva su quella parete colorata, attendeva ormai da tempo. Quelle persone sorridevano, ritratte alla stazione e i sorrisi in bianco e nero uscivano di forza dall’immagine, avvolgendoti mentre le guardavi.
La stazione sonnecchiava con i personaggi di quel mondo immobile, in quella dimensione ormai appartenente al passato e la loro posizione non era cambiata, nell’arco degli anni: si abbracciavano ancora sulla banchina, con mille desideri nella testa e mille illusioni, che questi desideri avrebbero voluto trasformare in realtà.
Attendevano un treno che stava arrivando e volevano accoglierlo con un sorriso. Però era tanto ormai che attendevano e, nonostante tutto, il sorriso di mille buoni propositi da realizzare, stagliava ancora. Era ora dunque di prendere quel treno.
La fotografia, d’accordo con i suoi protagonisti, si staccò dal muro, quel giorno, a quell’ora, in quel preciso istante e cadde a terra.
La casa era vuota in quel momento. Bisognava approfittarne per uscire dall’appartamento e recarsi alla stazione. La città accolse con il suo fragore la foto, che passò dal silenzio della stanza e dei suoi ricordi, al caos della vita presente. Tutti quei colori la frastornavano e tutta quella velocità e quel rumore!
Vedeva tante immagini appese sui muri della citta’, simili a quella che lei incorniciava, ma esponevano colori sgargianti e i sorrisi su quelle immagini, beh quei sorrisi erano simili a quelli dei suoi personaggi fermi alla stazione e allora lei penso’
“Quelle persone hanno anche loro tanti desideri da realizzare come le persone che ritraggo”.
Si incamminò verso la stazione guardando sbigottita il convulso mondo che la circondava e convincendosi che alla velocità con cui ogni cosa andava, ogni desiderio avrebbe potuto presto essere realizzato….
“Chissà che bello” pensava “per tutte queste persone vedere tutte le proprie illusioni trasformarsi in realtà”.
Con questi pensieri arrivò alla stazione. Anche lì regnava il caos. I treni erano veramente tanti, fermi sulla banchina, in arrivo, in partenza. Alzò gli occhi verso il tabellone e vide tanti luoghi di cui non immaginava l’esistenza, tanti orari che non erano quello presente, e tutto in continua mutazione! Non facevi in tempo a fermarti a guardare un orario che già le cifre giravano, facendone uscire uno nuovo.
Frastornata la foto osservò insieme ai suoi protagonisti, tutto questo. E pensare che quell’ immagine che trasportava rappresentava proprio quella stazione, ma in un tempo sonnecchiante, in un luogo silenzioso, dove ogni singolo treno che partiva e che arrivava, faceva notizia. Si fermava carico di speranze e ne portava di nuove con sé, verso un futuro tutto da costruire.
Ma non era più tempo, perlomeno non più il suo. Si girò e tornò verso casa.
Fortunatamente non era ancora arrivato nessuno. Si arrampicò sul muro e trovò l’amato chiodo che l’aveva sorretta per tutti quegli anni e controllò la sua tenuta. Meno male! Era ancora ben saldo e l’avrebbe sicuramente retta ancora per chissà quanto tempo. Si issò, di nuovo e osservò la stanza silenziosa e colorata.
Tutto avvenne giusto pochi secondi prima che Antonello e Stefania, rientrassero a casa. I due anziani coniugi si accorsero solo che forse, prima di uscire uno dei due aveva urtato per sbaglio quella cara e amata foto appesa al muro, perché adesso era storta.
La raddrizzarono e si fermarono a guardarla insieme, abbracciati e il loro pensiero diventò uno solo in quel momento: avevano preso tanti treni insieme e ogni volta un nuovo confine era stato superato.
La foto li guardò e non potette fare altro che piangere “lacrime di foto”. Adesso era ancora più intenzionata a proteggere quell’immagine dalle forbici del tempo, con tutta la sua forza.
In fondo racchiudeva un mondo che era stato vissuto, anche se vivo ormai solo in quell’immagine e nella mente di chi ancora ricordava.

 
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Ciechi,sordi,muti

Post n°1220 pubblicato il 16 Novembre 2011 da odette.teresa1958

C’era una volta un bambino, si chiamava Bobby.
Era nero, piccolo e solo, e cercava in ogni modo di attirare l’attenzione di suo babbo, che si chiamava Senior.
Bobby pensava spesso di poter ascoltare suo padre parlargli, e dentro di sé ragionava:
-Oh! Babbino, ti prego, dimmi qualcosa!-
Ma il babbo taceva sempre, come fosse muto, e Bobby credeva dipendesse da lui, si sentiva colpevole.
Allora Bobby, quando il babbo si avvicinava cercava di articolare parole:
-Conversiamo babbo Senior! Diciamoci le nostre cose e i nostri pensieri!-
Però babbo Senior pareva sordo, e non lo stava ad ascoltare.
Bobby si sentiva ancor più il responsabile di tale comportamento. Quindi tentava di mostrarsi mentre faceva qualcosa di importante, in bicicletta o con il suo cavallo, per farsi notare dal babbo:
-Guardami babbo! Guardami ti prego!-
Tuttavia il babbo non lo vedeva, come fosse cieco, e di nuovo Bobby si sentiva la causa di tale condotta da parte del genitore.
Bobby poi crebbe, e divenne regazzo, ma il babbo Senior continuava ad agire similmente a prima:come fosse sordo, cieco, e muto.
A un certo punto Bobby conobbe un cane, di nome Nasturzio.
Era un vecchio bracco italiano , divenuto sordo a causa delle fucilate dei cattivi cacciatori.
Bobby e Nasturzio divennero grandi amici.
Nasturzio non poteva sentire, ma quando Bobby lo chiamava riusciva egualmente a comprenderlo e correva verso di lui.
Non avendo l’udito, Nasturzio, non poteva nemmeno abbaiare, perché essendo lui preclusa la possibilità di sentirsi sapeva solo esprimersi con suoni sgradevoli, però riusciva a parlare egualmente con Bobby, scondinzolando e facendo lui le feste.
Nasturzio vedeva anche poco bene, ma quando Bobby scendeva le scale se ne accorgeva subito, e galoppava a balzi incontro al suo amico. Nasturzio era sordo, muto e persino un poco cieco, eppure sentiva, parlava e vedeva.

C’è un linguaggio speciale, quello della bontà, che è udibile dai sordi, vedibile dai ciechi, e pronunciabile dai muti: basta un po‘ d‘amore!


scritta da Roberto Bianchi degli amici del Forum di Pinu

 
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La colonna del capriolo

Post n°1219 pubblicato il 16 Novembre 2011 da odette.teresa1958

In un un grosso borgo altoatesino, nel mezzo della piazza del mercato, c'era tempo addietro un'alta colonna di legno sormontata da una testa impagliata di capriolo con lunghe, vistose corna.
La fama di questa colonna è dovuta al fatto che dalla prima metà del secolo scorso anonimi delatori incominciarono ad appendervi la notte i nomi dei mariti traditi e di chi li aveva resi tali.
Com'è ovvio, la cosa era motivo di grosse liti non solo in famiglia e turbava l'armonia della città.
Alcuni dei signorotti più in vista (e tra i più citati sulla colonna) si rivolsero al Borgomastro perché mettesse fine a quello scandalo, ma il Borgomastro (che era rimasto vedovo molti anni prima) non vide perché impedire quello che, a suo parere era uno dei pochi divertimenti che offriva il paese. Pensò anzi di ufficializzare la cosa, istituendo la HornFest (festa del Corno) in cui le persone coinvolte dovevano ballare in circolo attorno alla colonna del capriolo: sembra che proprio da questa festa sia nata la tipica danza tirolese in cui i ballerini si scambiano sonori ceffoni e grosse pedate nel sedere.
La tradizione della colonna del capriolo e della HornFest durò fino al 1920, quando il colonnello italiano Ermanno Princisbecco Valdimontoni, neo responsabile militare della zona, la cui carriera nel regio esercito era notoriamente dovuta più alle battaglie perdute dalla moglie che a quelle vinte da lui, scelse proprio la colonna del capriolo per tenervi il suo discorso di insediamento tra lo sbellicarsi e lo scompisciarsi dei presenti, che, pure, avrebbero avuto più d'un motivo per dolersene.
In seguito qualcuno si incaricò di informare il colonnello - col necessario tatto - sulle ragioni di quel comportamento e il Princisbecco Valdimontoni, dimostrando uno scarsissimo senso dell'umorismo, diede ordine di bruciare la colonna, sulle cui ceneri in seguito venne posta, non si è mai saputo da chi, una grande, lunga, enorme coda di paglia.

 
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Bronte una pagina ingloriosa

Post n°1218 pubblicato il 16 Novembre 2011 da odette.teresa1958

« Che paesi! Si potrebbero chiamare dei veri porcili! Questo insomma è un paese che bisognerebbe distruggere o almeno spopolare e mandarli in Africa a farli civili »

(Nino Bixio da Bronte in una epistola alla moglie Adelaide
Fatti di Bronte
Stato bandiera Italia
Luogo Bronte
Obiettivo Popolazione civile
Data 10 agosto 1860
Morti 16 "notabili" vittime della rivolta popolare;
5 rivoltosi o presunti tali fucilati in seguito a processo sommario
Responsabili Insorti (nella fase della rivolta)
garibaldini (nella fase della repressione)
Motivazione Insurrezione popolare e successiva repressione


I fatti di Bronte, noti anche come strage o massacro di Bronte, sono un tragico episodio del Risorgimento avvenuto a Bronte, nell'agosto del 1860, quando, in seguito ad una insurrezione popolare, durante la quale caddero vittime 16 persone, le truppe garibaldine, comandate da Nino Bixio, furono chiamate a ristabilire l'autorità del governo dittatoriale di Garibaldi, compiendo degli arresti tra la popolazione civile, ai quali seguì un processo sommario che portò alla condanna a morte, con conseguente esecuzione per fucilazione, di 5 brontesi.

Quando l'11 maggio del 1860 il generale Giuseppe Garibaldi, sbarcò con i Mille nel porto di Marsala, sapeva benissimo che, per chiudere con successo la sua impresa, gli sarebbe stato assolutamente necessario l'appoggio e la partecipazione attiva dei siciliani. Questo sarebbe avvenuto solo se fosse stato accolto, non solo come il liberatore dalla tirannide borbonica, ma anche come colui che poteva dare le possibilità di nascere ad una nuova società, libera dalla miseria e dalle ingiustizie. Con questo intento, il 2 giugno, aveva emesso un decreto dove prometteva soccorso ai bisognosi e la tanto attesa divisione delle terre.

Nell'entroterra siciliano si erano, dunque, accese molte speranze di riscatto sociale da parte soprattutto della media borghesia e delle classi meno abbienti. A Bronte, sulle pendici dell'Etna, la contrapposizione era forte fra la nobiltà latifondista rappresentata dalla britannica Ducea di Nelson, proprietà terriera, e la società civile.

Il 2 agosto al malcontento popolare si aggiunsero diversi sbandati e persone provenienti dai paesi limitrofi, tra i quali Calogero Gasparazzo, e scattò la scintilla dell'insurrezione sociale.

Fu così che vennero appiccate le fiamme a decine di case, al teatro e all'archivio comunale. Quindi iniziò una caccia all'uomo e ben sedici furono i morti fra nobili, ufficiali e civili, prima che la rivolta si placasse.

Il Comitato di guerra, creato in maggio per volere di Garibaldi e Crispi, decise di inviare a Bronte un battaglione di garibaldini agli ordini del genovese Nino Bixio per sedare la rivolta e fare giustizia in modo esemplare. Secondo Gigi Di Fiore (Controstoria dell'unità d'Italia) e altri studiosi, gli intenti di Garibaldi probabilmente non erano solo volti al mantenimento dell'ordine pubblico, ma anche a proteggere gli interessi commerciali e terrieri dell'Inghilterra (Bronte apparteneva agli eredi di Nelson), che aveva favorito lo sbarco dei Mille, e soprattutto a calmarne l'opinione pubblica.

Quando Bixio iniziò la propria inchiesta sui fatti accaduti larga parte dei responsabili era fuggita altrove, mentre alcuni ufficiali colsero l'occasione per accusare gli avversari politici.

Il tribunale misto di guerra in un frettoloso processo, durato meno di quattro ore, giudicò ben 150 persone e condannò alla pena capitale l'avvocato Nicolò Lombardo (che, acclamato sindaco dopo l'eccidio, venne ingiustamente additato come capo rivolta, senza alcuna prova), insieme ad altre quattro persone: Nunzio Ciraldo Fraiunco, Nunzio Longi Longhitano, Nunzio Nunno Spitaleri e Nunzio Samperi. La sentenza venne eseguita mediante fucilazione l'alba successiva: per ammonizione, i cadaveri furono lasciati esposti al pubblico insepolti.


Gli assassini, ed i ladri di Bronte sono stati severamente puniti - Voi lo sapete! la fucilazione seguì immediata i loro delitti - Io lascio questa Provincia - i Municipi, ed i Consigli civici nuovamente nominati, le guardie nazionali riorganizzate mi rispondano della pubblica tranquillità!... Però i Capi stiino al loro posto, abbino energia e coraggio, abbino fiducia nel Governo e nella forza, di cui esso dispone - Chi non sente di star bene al suo posto si dimetta, non mancano cittadini capaci e vigorosi che possano rimpiazzarli. Le autorità dicano ai loro amministrati che il governo si occupa di apposite leggi e di opportuni legali giudizi pel reintegro dei demanî - Ma dicano altresì a chi tenta altre vie e crede farsi giustizia da se, guai agli istigatori e sovvertitori dell'ordine pubblico sotto qualunque pretesto. Se non io, altri in mia vece rinnoverà le fucilazioni di Bronte se la legge lo vuole. Il comandante militare della Provincia percorre i Comuni di questo distretto. Randazzo 12 agosto 1860.

IL MAGGIOR GENERALE NINO BIXIO


« Dopo Bronte, Randazzo, Castiglione, Regalbuto, Centorbi, ed altri villaggi lo videro, sentirono la stretta della sua mano possente, gli gridarono dietro: Belva! ma niuno osò muoversi »

(Cesare Abba, Da Quarto al Volturno. Noterelle d'uno dei Mille)

Alla luce delle successive ricostruzioni storiche si è appurato come Lombardo fosse totalmente estraneo alla rivolta e invitato a fuggire da più parti si sarebbe rifiutato per poter difendere il proprio onore. Nunzio Ciraldo Fraiunco era non capace d'intendere e di volere, malato di demenza (lo "scemo del villaggio" era stato arrestato per aver girato per le strade del paese soffiando in una trombetta di latta e cantilenato “Cappeddi guaddattivi, l'ura dù judiziu s'avvicina, populu nun mancari all'appellu”).

La notte che precedette la fucilazione, una brava donna chiese il permesso di portare delle uova al Lombardo ma il braccio destro dell'Eroe dei Due Mondi, nel respingerla malamente, le rispose che il detenuto non aveva bisogno di uova poiché l'indomani avrebbe avuto due palle piantate in fronte. All'alba del 10 agosto, i condannati vennero portati nella piazzetta antistante il convento di Santo Vito e collocati dinanzi al plotone d'esecuzione. Alla scarica di fucileria morirono tutti ma nessun soldato ebbe la forza di sparare a Fraiunco che risultò incolume. Il poveretto, nell'illusione che la Madonna Addolorata lo avesse miracolato, si inginocchiò piangendo ai piedi di Bixio invocando la vita. Ricevette una palla di piombo in testa e così morì, colpevole solo di aver soffiato in una trombetta di latta.

Nella novella verghiana Libertà (Novelle rusticane), viene ripreso il tema della strage, secondo Sciascia in chiave apologetica per Bixio e i garibaldini, e di accentuazione delle responsabilità dei rivoltosi: l'omissione della presenza storica dell'avvocato Radice, e soprattutto la trasformazione letteraria del "pazzo del paese" (tra i condannati a morte di Bixio) in "nano", per attenuare la gravità della condanna capitale di un innocente per giunta non in pieno possesso delle sue facoltà mentali.

 
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Libertà (Verga)

Post n°1217 pubblicato il 16 Novembre 2011 da odette.teresa1958

Verga in questa novella rivive la vicenda di Bronte dopo la rivolta della povera gente che voleva dividere le terre dei ricchi. Alcune persone sventolavano un fazzoletto rosso dal campanile e altre gridavano nella piazza più grande la parola "Libertà". Don Antonio fu ucciso mentre cercava di fuggire e, mentre passava a miglior vita, si chiedeva il perché del gesto dei propri assassini. Anche il reverendo supplicava di non essere ucciso. Don Paolo fu ammazzato davanti casa, sotto gli occhi della moglie che aspettava un po' di minestra per sfamare i cinque figli. Neddu, il figlio del notaio, fu fatto fuori nel modo più terribile possibile, infatti era ancora cosciente quando gli fu vibrato il colpo finale. Egli era già ferito quando supplicò i garibaldini di non ucciderlo e un boscaiolo, gli tolse la vita per pietà, giustificandosi dicendo: "Tanto sarebbe stato un notaio, succhiasangue anche lui!". Si faceva strage di chiunque fosse ricco, perciò la baronessa aveva fatto fortificare la sua abitazione e i suoi servi; si sparava contro la folla, che comunque non si demoralizzò e sfondò il cancello, dando la caccia alla donna nella sua dimora. Infine fu scovata con i suoi tre figli e tutti furono trucidati. La follia della gente si placò soltanto a sera, quando la anormale moltitudine diminuì consistentemente. La Domenica dopo non fu celebrata messa e si pensò a come dividere le terre, ma tutti si guardavano minacciosamente perché non sapevano come fare; infatti non c'erano periti per misurare la grandezza dei lotti di terreno, notai per registrare la proprietà, e così via. Il giorno successivo si apprese che il generale Nino Bixio stava venendo a fare giustizia, tanto che molti scapparono agendo nel modo migliore possibile, in quanto egli non appena giunto fece fucilare alcuni rivoltosi. Successivamente arrivarono i giudici, che interrogarono i colpevoli e li portarono in città per il processo. Le cose in paese tornarono come prima, infatti i ricchi avevano le loro terre e i poveri dovevano lavorarvi per guadagnarsi il pane quotidiano, visto che i benestanti non le avrebbero neanche toccate. Il processo andò per le lunghe e alla fine tutti gli imputati furono ascoltati da una giuria composta dai ricchi e dai nobili, i quali ogni volta si rallegravano di non essere nati e vissuti a Bronte. Fu infine pronunciata la sentenza e un carbonaro, a cui erano state rimesse le manette, era rimasto sbigottito perché non aveva assaporato la libertà di cui avevano tanto parlato.  

 
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Non t'amo se non perchè t'amo (Neruda)

Post n°1216 pubblicato il 16 Novembre 2011 da odette.teresa1958

Non t'amo se non perché t'amo
e dall'amarti a non amarti giungo
e dall'attenderti quando non t'attendo
passa dal freddo al fuoco il mio cuore.

Ti amo solo perché io ti amo,
senza fine t'odio, e odiandoti ti prego,
e la misura del mio amor viandante
è non vederti e amarti come un cieco.

Forse consumerà la luce di Gennaio,
il raggio crudo, il mio cuore intero,
rubandomi la chiave della calma.

In questa storia solo io muoio
e morirò d'amore perché t'amo,
perché t'amo, amore, a ferro e fuoco.

 
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Dieci lo chiamano papà

Post n°1215 pubblicato il 16 Novembre 2011 da odette.teresa1958

Ricordate Giangaleazzo Pienapancia,lo sciupafemmine di S.Tobia?Beh,pochi giorni fa sua moglie Masina ha dato alla luce il decimo figlio (anche questo maschio,manco a dirlo!)
Ed è stato proprio durante il ricovero della moglie che il nostro ha passato i giorni peggiori della sua vita.
Ma facciamo un passo indietro,
Le altre volte il Pienapancia ha sempre potuto contare sull'aiuto di madre e suocera.Stavolta disgrazia ha voluto che la signora Pienapancia si sia rotta una gamba facendo il chilometro lanciato (ama gli sport estremi nonostante i 70 passati)e che il figlio di una vicina abbia attaccato la varicella alla mamma della Masina.Così il poveraccio si è ritrovato,tutto solo,ad affrontate isuoi 9 rampolli,che definire orda barbarica è poco.
Ed ora bando alle ciance e passiamo alle dolenti note (NB: dato è difficile ricordare i nomi dei nove angioletti,li indicherò con un numero,sperando vivamente di non incorrere nelle loro ire)
PRIMO GIORNO- Quando il Pienapancia ha svegliato i figli si è accorto che all'appello mancavano i gemelli 6 e7,che se l'erano svignata calandosi dalla finestra con dei lenzuoli annodati.
Stava per chiamare la polizia quando quella è arrivata da lui,nella persona di un imbufalito Cuccurullo,che teneva per le orecchie i fuggitivi.
I due avevano rubato una Volante,andando in giro per S.Tobia e dintorni a sirene spiegate.Inseguiti,dopo una fuga alla Steve Mc Queen avevano sfondato la stalla dei Trogoloni e spedito Cesarone di nuovo sul campanile.
Al Pienapancia è venuto uno sturbo.
SECONDO GIORNO- Accompagnati all'asilo 8 e 9, Giangaleazzo è tornato a casa con l'idea di fare le faccende.
Aveva appena avviato la lavatrice quando la direttrice dell'asilo,sull'orlo di una crisi isterica,lo ha convocato lì seduta stante.
Il pover'uomo ha scoperto di avere due figli piromani,che hanno incenerito mezzo asilo.
Dulcis in fundo ha trovato la casa allagata:la lavatrice aveva scelto quel momento per esplodere.
Il pover'uomo è scoppiato in lacrime.
TERZO GIORNO- Pienapancia è andato all'ipermercato in compagnia di 1,2,e 3.
Lì ha scoperto di essere padre di una banda di incalliti taccheggiatori.
1 si era fregato 84 cd,nascondendoli anche nelle mutande; 2si era infilato 54 magliette una sull'altra,roba da Guinness;3 aveva addosso 140 pacchetti di gommine,248 pacchetti di caramelle e 435 scatole di cibo per gatti (è un gattato incallito).
Alla vista del conto Pienapancia è schizzato per aria, battendo una craniata tremenda e rimanendo incretinito tutto il giorno.
QUARTO GIORNO- 4 e 5 hanno chiesto al padre il permesso di andare ai giardinetti,prontamente concesso.
Mezz'ora dopo,un Cuccurullo se possibile ancora più imbufalito dell'altra volta gli ha riconsegnato i figli.
Insieme a Erode,i due scellerati avevano creato una vera associazione a delinquere,turlupinando i gonzi con il gioco delle tre carte.
Pienapancia ha tentato il suicidio prendendo il water a capocciate.
QUINTO GIORNO- Quando la Masina è tornata a casa con 10,Giangaleazzo si è dato alla fuga.
E' passata una settimana.
Ritrovato in stato confusionale all'Abetone,il Pienapancia è ricoverato nel reparto casi disperati della clinica Luminaris.
Crede di essere il conte Ugolino e dice di avere una gran fame.
Sperando in un miracolo,passo e chiudo

 
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Libri dimenticati:L'uomo senza volto

Post n°1214 pubblicato il 16 Novembre 2011 da odette.teresa1958

La singolare amicizia fra un ragazzino disadattato e un professore segnato al destino

 
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Frase del giorno

Post n°1213 pubblicato il 16 Novembre 2011 da odette.teresa1958

I guai sono come i fogli di carta igienica:ne prendi uno,ne arrivano dieci (Allen)

 
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