Messaggi del 17/12/2011

Chi bella vuol apparire...

Post n°1415 pubblicato il 17 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Cari lettori,la Strascicotti ha colpito ancora!
Dopo aver tentato di far morire d'inedia Anatolio (che per la cronaca,cretino cretino se l'è ripresa in casa)ne ha inventata un'altra:colta dalla paura di invecchiare e imbruttire,ha fatto passare a tutti quanti la settimana d'inferno che passo a raccontarvi.
LUNEDI'- Accortasi di avere qualche ruga la Marianastasia è corsa ai ripari.
Quando ieri notte Anatolio è tornato a casa dopo una rimpatriata fra ex compagni del liceo si è trovato davanti un mostro vere e rosa che voleva il bacio della buonanotte.
Era la Strascicotti con la maschera di bellezza.
Per lo spavento Anatolio prima se l'è fatta addosso poi è andato a dormire nella cuccia del cane.
MARTEDI'- La Marianastasia ha deciso di cambiare pettinatura e colore dei capelli.Gran fautrice del motto "Chi fa da sè fa per tre" (leggi:spaventosamente tirchia)si è improvvisata parrucchiera di se stessa e ora sembra un can barbone verde.
L'Anatolio ha giurato sulla testa del cane che non uscirà più con lei e l'ha diffidata dal dire che vivono insieme
MERCOLEDI'- La Marianastasia ha deciso di svecchiare il guardaroba.ora pare un incrocio fra Marlon Brando ne "Il selvaggio" e Lady Gaga.
Quando ha saputo quanto aveva speso,Anatolio è stato colto da malore.
GIOVEDI'- Nemmeno il cane è sfuggito alla Strascicotti.
Approfittando dell'assenza di Anatolio,lo ha portato dal più esclusivo stilista per cani di Firenze.
La povera bestia gira con un cappottino rosa shockin in lamè e un fiocco in testa ed è lo zimbello di tutti i cani dei dintorni.
Pare che poco fa abbia tentato il suicidio.
VENERDI'- La Marianastasia ha comprato una lampada abbronzante.Adesso pare la sorella scema di Aida e spaventa tutti i bambini di S.Tobia.
SABATO- La Strascicotti ha calcolato che per arrivare alla perfezione ci sarebbero volute 64 operazioni di chirurgia plastica,per un valore complessivo di 20 milioni di euro,centesimo più centesimo meno.
Oggi ha avuto il coraggio di chiederli all'Anatolio come regalo di compleanno.
Meno male che Cuccurullo è arrivato in tempo e il dottor Scannacipolle gli ha praticato una superiniezione calmante,sennò chissà come finiva.
DOMENICA- La Marianastasia è partita per Tukambakabalo.
Questo succedeva tre giorni orsono.
Anatolio dorme ancora.
Il cane è ricoverato in una clinica svizzera per nevrosi canine.
La Strascicotti a Tukambakabalo è diventata estetista per scimmie piangine e pare abbia un gran successo.
Sperando che non torni tanto presto.passo e chiudo.

 
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Gulia Colonna

Post n°1414 pubblicato il 17 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Giulia Gonzaga, una delle più belle donne del `500, nacque a Gazzuolo (in provincia di Mantova) nel 1513, settima dei figli di Ludovico Gonzaga (m. 1540), conte di Sabbioneta, e di Francesca Fieschi. Giovanissima (a soli 13 anni), G. andò sposa nel 1526 a Vespasiano Colonna (1480-1528), conte di Fondi (in provincia di Latina) e duca di Traetto (oggigiorno Minturno, sempre in provincia di Latina), che però la lasciò vedova dopo tre anni.

G. respinse da quel momento ogni offerta di matrimonio e si dedicò con grande impegno e saggezza alla trasformazione del suo palazzo in un centro di elevata cultura tanto da richiamare i più illustri personaggi del Rinascimento, come Ludovico Ariosto (1474-1533) (che dedicò un'ottava nel suo celebre Orlando Furioso alla bellissima Giulia), Annibale Caro (1507-1566), Francesco Berni (1497-1535), Pier Paolo Vergerio, il conte Fortunato Martinengo, ecc.

Il tentativo di rapimento

La fama della sua bellezza [immortalata da famosi pittore come Sebastiano del Piombo (1485-1547) ed Agnolo di Cosimo Allori, detto il Bronzino (1503-1572)] e della sua intelligenza fece concepire al famigerato corsaro Khayr al-Din (m. 1546), detto il Barbarossa, la folle idea di un tentativo di rapimento della contessa per portarla in dono al sultano Solimano II il Magnifico (1520-1566). Secondo altre fonti, invece, il corsaro era stato prezzolato dalla famiglia Colonna [molto probabilmente l'anima nera era la figliastra Isabella Colonna (1513-1570), nata dal primo matrimonio di Vespasiano], che, eliminata così la parente acquisita, voleva rientrare in possesso dell'asse ereditario del defunto Vespasiano Colonna.

L'attacco del Barbarossa avvenne la notte tra l'8 ed il 9 agosto 1534, quando il corsaro assalì Fondi, ma G., avvertita in tempo, si diede alla fuga. Il mancato rapimento spinse il corsaro a sfogare la sua rabbia con il saccheggio di Fondi ed il massacro dei suoi abitanti. Stessa sorte toccò a Borgo di Sperlonga, mentre ad Itri il Barbarossa incontrò una strenua resistenza da parte degli abitanti, che fecero desistere il corsaro, preoccupato anche per uno scontro armato con l'esercito di 5-6 mila uomini, messo in campo da Papa Clemente VII (1523-1534) e il cui comando era stato affidato al cardinale Ippolito de' Medici (1511-1535).

Quest'ultimo nutriva una grande passione amorosa per la bellissima contessa [nel famoso ritratto eseguito da Tiziano (1490-1576) si nota sul cappello del cardinale un fermaglio, simbolo di un'impresa d'amore per Giulia] e proprio nei possedimenti di G. il cardinale, in procinto di partire per Tunisi per raggiungere l'imperatore Carlo V (1519-1556), morì, molto probabilmente per avvelenamento [il mandante si ipotizza fosse il cugino invidioso Alessandro de' Medici, duca di Firenze (1523-1527 e 1531-1537)] il 10 agosto del 1535.

L'incontro con Valdès

Quattro mesi dopo la morte del cardinale Ippolito de' Medici, la contessa si ritirò nel convento annesso alla chiesa di S. Francesco delle Monache a Napoli. Qui avvenne l'episodio che fece sì che G. potesse essere annoverata tra i simpatizzanti alla Riforma protestante, vale a dire l'incontro con Juan de Valdès, avvenuto durante le prediche quaresimali del 1536, tenute da Bernardino Ochino. Il grande pensatore spagnolo la considerò sempre come la sua erede spirituale e le dedicò la sua opera principale l'Alfabeto cristiano. Le affidò inoltre tutti i suoi scritti, alla sua morte sopraggiunta nel 1541 e G. li inviò alla fine del 1541 a Marcantonio Flaminio, allora residente a Viterbo, per farli tradurre, sentito anche il parere del cardinale Reginald Pole.

Nel periodo 1547-52, Pietro Carnesecchi, grande amico e confratello in fede di G., venne trasferito in Francia in qualità di diplomatico al servizio del duca Cosimo I de' Medici (duca di Firenze: 1537-1569 e granduca di Toscana: 1569-1574): iniziò così un lungo e intenso carteggio con la contessa di Fondi, considerato un documento fondamentale per la comprensione delle idee degli spirituali valdesiani.

I due furono i motori propulsori della rete di solidarietà, stesa per cercare di proteggere gli evangelici, come, ad esempio Bartolomeo Spadafora, Apollonio Merenda, Mario Galeota (stretto collaboratore della G.), il vescovo Vittore Soranzo, il cardinale Giovanni Morone, la nobildonna Isabella Bresegna (o Brisegna), moglie di don Garcia Manrique, governatore di Piacenza, tutti coinvolti nelle persecuzioni del Grande Inquisitore Gian Pietro Carafa, poi Papa Paolo IV (1555-1559). Ma la stessa G. non fu esente da inchieste dell'Inquisizione, come nel 1553, quando inviò una lettera al cardinale Ercole Gonzaga (1505-1563) per scagionarsi della proprietà degli ultimi scritti del Valdès.

Dopo la morte nel 1558 di Reginald Pole, il livello delle inchieste dell'Inquisizione si alzò di tono: G. decise comunque di rimanere al suo posto nel convento di San Francesco delle Monache a Napoli nonostante una lettera di Carnesecchi, che recitava letteralmente che il Papa attende ad empiere le prigioni di cardinali e vescovi per conto dell'Inquisitione.

Infine la contessa di Fondi spirò all'età di 53 anni, il 16 aprile del 1566, sempre nel suo convento napoletano. Purtroppo la scoperta del suo ricco carteggio con Carnesecchi mise definitivamente nei guai l'ex protonotario fiorentino, che, su richiesta di Papa Pio V (1566-1572), l'ex inquisitore Michele Ghisleri, venne arrestato per ordine di Cosimo de' Medici, indi processato e bruciato sul rogo a Ponte Sant'Angelo il 1 ottobre 1567.

 
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Paolo e Francesca

Post n°1413 pubblicato il 17 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Moltissimo si è scritto in tutti i tempi su questo fatto. Quella di Paolo e Francesca è la storia di due innamorati, morti a causa della loro passione. È storia certa che Giovanni Malatesta, detto Giangiotto o Ciotto, descritto brutto e sciancato, primogenito di Malatesta I, sposò nel 1275 Francesca da Polenta, figlia di Guido Minore, Signore di Ravenna e di Cervia, di parte guelfa. Giangiotto, signore di Gradara, svolgerà poi la sua carica di Podestà nella vicina città di Pesaro. Per una disposizione dell'epoca, riportata da Brunetto Latini, era proibito al Podestà (per per maggior garanzia di equità doveva essere forestiero), di portarsi dietro la famiglia che poteva essere d'impiccio in caso di emergenza. Gradara, che la tradizione ha sempre indicato come luogo della tragedia, era appena mezz'ora di strada a cavallo da Pesaro, e poteva quindi essere la residenza idelale per Giangiotto per lasciarvi la moglie e la figlia Concordia. Il fratello di Giangiotto, Paolo, si fermava spesso per delle visite a Gradara presso cui aveva diversi possedimenti. Queste visite dovevano essere non solo gradite, ma addirittura sollecitate, data la lontananza continua di Giangiotto, impegnato per la sua carica..
Accadde che Paolo e Fracesca si innamorarono ma, con il loro comportamento ("e come si possono nascondere i sentimenti?") destarono più di un sospetto. Purtroppo lo venne a sapere anche Giangiotto o dal fratello Malatestino dall'Occhio, quel traditor... come dirà Dante, o spiando all'orecchio di Dionisio di cui era forse dotata la Rocca di Gradara. Dopo aver finto di partire, Giangiotto sorprese la moglie ed il fratello nella camera: Soli eravamo e senza alcun sospetto - confesserà Francesca stessa a Dante Alighieri nel V Canto dell'Inferno - ed il leggio, aggiungiamo noi, che sorreggeva il libro Galeotto era troppo vicino al letto... Giangiotto si avventò a spada tratta contro il fratello, ma Francesca gli si parò innanzi restando trafitta prima di Paolo. Finì così tragicamente il loro amore. Occorre dire subito che nei secoli che seguirono si cercò di giustificare il peccato di adulterio dei due cognati, dato che Francesca era stata precedentemente ingannata, essendole stato indicato Paolo e non il brutto Giangiotto come suo futuro sposo.
In quale anno accadde la tragedia? Anche studi recenti, concordano con il 1289 rifacendosi a vecchie testimonianze. In quell'epoca i Malatesta erano banditi da Rimini e tali resteranno fino al 1290. Lo storico cinquecentesco Baldo Branchi, iniziando a raccontare l'episodio, scrive che: "In quel mese (Settembre del 1289) occorse nella casa dei Malatesta uno strano caso...". La stessa data sarà accettata dagli storici ravennati Vincenzo Carrari e Girolamo Rossi del XVI sec. e dall'altro grande riminese Cesare Clementini del secolo successivo. Inoltre le cronache narrano che il Papa Nicolò IV nell'autunno del 1289 inviò in. Romagna il Rettore Stefano Colonna per sedare tumulti e comporre discordie. Il Colonna restò molto turbato e travagliato per l'omicidio di Francesca da Polenta e di Paolo dei Malatesta e solo nel marzo 1290 il Colonna riuscì a riconciliare le due Famiglie. Si può essere turbati e travagliati per una tragedia successa di recente, ma non accaduta quattro anni prima, ossia nel 1285, l'altra data suggerita da alcuni, e che non trova credito anche perché in tale anno, e subito dopo, troviamo Malatesta e Polentani stretti alleati e senza ombra di discordia. Il velo di silenzio che ha subito avvolto la tragedia e che ha impedito di trovare documenti dell'epoca, si può spiegare con il fatto che Giangiotto, offeso nell'onore, abbia impedito di parlarne negli atti pubblici della sua giurisdizione o li abbia distrutti.
E dove finirono i corpi dei due sfortunati amanti? Nel 1760, narra L. Carnevali, alcuni operai durante un lavoro di sterro nei pressi della rocca rinvennero un sarcofago di epoca romana contenente lo scheletro di una donna ed alcuni monili: un anello con cammeo e resti di seriche vesti che indicavano chiaramente trattarsi di nobile dama. lì sarcofago fu trasportato in Pesaro alla Oliveriana. Si trovò inoltre nel XVII sec. nel fondo del mastio uno scheletro completo rivestito di un'armatura. Fra il popolo di Gradara fu tramandata da padre in figlio la cronaca della tragedia avvenuta nella rocca; cosa che non si riscontra né in Rimini né in altri luoghi. Data una cosi radicata tradizione è facile immaginare a chi furono, dai più, attribuiti i resti dei corpi e come vieppiù si accrescesse la certezza che i due in felici cognati ivi perissero. Quasi di certo il sarcofago racchiudeva i resti dell'infelice figliola di Guido Lamberto Da Polenta, che Giangiotto, pur di poter occultare subito il misfatto, non avrà posto tempo in mezzo a servirsi del primo sarcofago avuto a disposizione e, racchiusovi il corpo della bella Ravenna te, a far seppellire quest'ultima nei pressi della rocca in un luogo acconcio ad essere sorvegliato. Per ciò che riguarda la presumibile sepoltura di Paolo il "Bello" siamo più propensi a credere che lo sciancato nella sua truce vendetta abbia fatto precipitare il corpo di lui, per il quale aveva forse ucciso involontariamente la sua donna, in uno dei tanti trabocchetti ferrati nella rocca. I miseri resti rinvenuti nell'armatura erano certo quelli di qualche disgraziato sepolto vivo.

 
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La baronessa di Carini

Post n°1412 pubblicato il 17 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Sarà che oggi vanno di moda i «cold cases», i casi freddi, ma risolvere un delitto dopo 447 anni è una bella scommessa anche per il più tosto degli investigatori. E per la più sofisticata apparecchiatura scientifica. Una sfida che parte da Carini, il paese a trenta chilometri da Palermo dove il 4 dicembre 1563 la baronessa Laura Lanza - secondo la ricostruzione ufficiale - venne trovata a letto con l'amante Ludovico Vernagallo e assassinata dal padre Cesare nella stanza del castello che ancora domina l'abitato. Un delitto d'onore (reso celebre nel 1975 da uno sceneggiato della Rai), confessato dall'assassino in una lettera al re di Spagna conservata nella chiesa madre del paese.

Adesso, però, il sindaco Gaetano La Fata ha deciso di riaprire le indagini, affidandosi a un team di criminologi di fama internazionale. Dal 22 al 25 marzo gli investigatori dell'Icaa (International crime analysis association), tra i quali l'esperto Marco Strano, arriveranno per risolvere il giallo. Iniziativa annunciata in occasione della riapertura al pubblico della stanza del delitto, avvenuta ieri, al termine dei restauri. Sul muro è stata dipinta l'impronta della mano insanguinata che, secondo la leggenda, ricomparirebbe a ogni anniversario dell'assassinio.

Ma quali sono i misteri da svelare? Di sicuro il ruolo del marito della donna, il barone di Carini Vincenzo La Grua, scagionato dal suocero, sebbene presente al momento del delitto. Una ricostruzione che potrebbe essere motivata dal fatto che al padre dell'adultera era consentito uccidere la figlia e il suo uomo, se beccati sul fatto. Al marito, invece, solo il diritto di uccidere il rivale, ma non la moglie.

I diaristi del tempo, intimoriti dell'importanza delle famiglie, accennano al caso soltanto di sfuggita. Ma la tradizione popolare ha dato vita nei secoli a quattrocento versioni di un poemetto su cui si sono scervellati storici, demologi, studiosi del folklore per districare la verità dalla leggenda.

A complicare le cose ci si sono messe le ricerche dello storico Calogero Pinnavaia. Secondo lui, non di delitto d'onore si trattò ma di un litigio per ragioni economiche sfociato nel sangue. Che Laura e Ludovico fossero «serrati insieme» nella camera - come racconta il padre di lei nella lettera-confessione al re - non avrebbe scandalizzato nessuno, perché i due stavano insieme da quattordici anni e avevano avuto la bellezza di otto bambini, con il placet del marito di lei che, secondo lo studioso, non poteva avere figli.

«Il marito della baronessa, don Vincenzo La Grua - ricostruisce Pinnavaia - aveva interesse a risparmiare il rivale perché, secondo la Lex Iulia, avrebbe avuto diritto a metà del patrimonio dell'amante». Quanto al padre, Cesare Lanza, avrebbe potuto mettere le mani sulla dote della figlia. Fatto sta che il vicerè di Sicilia, il 2 febbraio del 1564, informa la Corte di Spagna che qualcosa non torna nella vicenda e accusa di falsità il difensore dei due.

La storia del delitto d'onore, insomma, sarebbe stata tirata fuori per dare una copertura per così dire etica e soprattutto giuridica al pasticciaccio. Cesare Lanza riebbe i suoi beni e dopo dieci anni - morta la prima moglie - si risposò ed ebbe nove figli. Quanto a Vincenzo La Grua, diseredò i bambini avuti sulla carta da Laura Lanza e convolò a nuove nozze il 4 maggio 1565, dopo avere fatto incidere davanti alla stanza di Laura la scritta «Et nova sint omnia». E tutto sia nuovo.


 
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Tu non sai (Merini)

Post n°1411 pubblicato il 17 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Tu non sai: ci sono betulle che di notte levano le loro radici, e tu non crederesti mai che di notte gli alberi camminano o diventano sogni.

Pensa che in un albero c'è un violino d'amore.
Pensa che un albero canta e ride.
Pensa che un albero sta in un crepaccio e poi diventa vita.


Te l'ho già detto: i poeti non si redimono, vanno lasciati volare tra gli alberi come usignoli pronti a morire.

 
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Libri dimenticati: Una bambina

Post n°1410 pubblicato il 17 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Una storia vera,basata sul rapporto fra Torey,insegnante di sostegno,e Sheila,una bambina dal difficilissimo passato

 
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Frase del giorno

Post n°1409 pubblicato il 17 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

L'unico motivo per cui molte persone vogliono occuparsi del loro funerale è che vogliono esser certi di esser morti (Anonimo)

 
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