Messaggi del 20/12/2011

La caccia alle streghe

Post n°1433 pubblicato il 20 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

L'etimologia della parola "strega" è ancora dubbia. In linea di principio dovrebbe discendere dal latino strix (plurale: striges), che indicava una donna fattucchiera, capace di trasformarsi in uccello rapace notturno, simile al barbagianni, in grado quindi di volare nell'aria. A sua volta il termine strix sarebbe derivato, secondo l'inquisitore domenicano Bernardo da Como, dal fiume infernale Stige.

Streghe che escono dal camino

Streghe che si trasformano in animali (xilografia del XV sec.)

Altri termini per indicare le streghe erano: lamie (da Lamia, mitica amante di Giove, capace di trasformarsi a piacere), masche (in Piemonte e Val Padana), baggiure (in Liguria), sagae (dal verbo latino sagire, cioè sapere).

Le streghe più antiche che conosciamo sono quelle della letteratura greca. Ecate p.es. era la dea della stregoneria e regina delle tenebre: le sue serve più devote erano le streghe della Tessaglia (Grecia settentrionale), capaci, secondo la tradizione mitologica, di trasformarsi in uccelli e altri animali, di utilizzare i poteri delle erbe e cibarsi di altri esseri umani.

Anche la Diana dei romani (corrispondente all'Artemide dei greci e all'Erodiade dei giudei) veniva spesso considerata una strega, anche se meno maligna. Secondo documenti della chiesa, risalenti al IX sec., Diana comandava "i cavalieri della notte". A lei ispirata era la dea germanica Holda, che cavalcava i venti con le anime dei morti: era di aspetto bello e maestoso, ma quando era adirata si manifestava come una megera dal naso adunco.

L'ossessione vera e propria della stregoneria nasce solo nel III e IV secolo dopo Cristo, che coincisero con l'affermazione statale del Cristianesimo nell'impero romano, quando la chiesa cominciò a considerare manifestazione diabolica tutti i riti del paganesimo.

Le persecuzioni si concentravano soprattutto nelle campagne, in quanto i contadini restavano fedeli ai culti remoti della fertilità, della terra, delle stagioni. Lo stesso termine "strega", comparso per la prima volta nel 589 d. C., si riferiva alle contadine.

Satana marchia una strega apprendista (Milano 1626)

F. Goya, Il gran caprone, coi simboli della magia nera: il demone, i pipistrelli, la luna e le streghe.

  • In una lettera dell'arcivescovo Incmaro di Reims, dell'860, si sostiene per la prima volta l'idea che le donne cosiddette "lascive" se si accorgono che il loro amante vuol contrarre un matrimonio regolare, uccidono con arti magiche il suo desiderio, cosicché egli non possa avere alcun rapporto con sua moglie. L'idea dell'impotenza come frutto di magia trovò ampi consensi presso i teologi medievali (Burcardo di Worms, Ivo di Chartres, Graziano, Pietro Lombardo, Alberto Magno, Bonaventura, Tommaso d'Aquino).

A partire dall'inizio del XIII sec. sono innumerevoli i sinodi che si pronunciano contro le streghe che impediscono ai coniugi di praticare il rapporto coniugale. Era il periodo in cui la chiesa si preoccupava di ricondurre all'ortodossia i movimenti ereticali, esaminando e stroncando, con l'istituzione del Tribunale dell'Inquisizione, tutti i fenomeni di devianza dottrinale. La cosiddetta "caccia alle streghe" non può essere compresa al di fuori di queste premesse storiche.

Probabilmente la prima strega portata al rogo fu a Tolosa nel 1275. Tuttavia, fino a tutto il XV sec. mai una vera e propria "caccia alle streghe" fu organizzata metodicamente sul piano istituzionale. E' piuttosto nell'epoca del Rinascimento, della Riforma e Controriforma, delle rivoluzioni filosofiche (Cartesio) e scientifiche (Galilei) che si organizzano persecuzioni su larga scala.

Il punto di partenza, sul piano giuridico, è la bolla di papa Innocenzo VIII (1484), Summis desiderantes affectibus, che autorizza a procedere formalmente contro la stregoneria, tramite procedure giudiziarie, funzionari inquisitoriali, processi. Gli era stato infatti riferito che nelle diocesi di Magonza, Colonia, Treviri e Salisburgo moltissimi uomini e donne praticavano la stregoneria che "impediva agli uomini di generare, alle donne di concepire e rendeva impossibile l'atto coniugale". La contraccezione e l'aborto vengono considerati come omicidio e i colpevoli meritevoli di morte.

Donna sedotta dal diavolo (Manuale De Lamiis, di Ulrich Molitor)

Due anni dopo esce il trattato per gli inquisitori, Malleus maleficarum (Martello delle streghe), scritto da due inquisitori domenicani tedeschi, Heinrich Institoris e Jakob Sprenger, e approvato dai teologi di Colonia nel 1487. Dal 1486 al 1669 si fecero 39 edizioni del Malleus, per un totale di 50.000 copie, un vero best seller per quell'epoca. Il manuale, per chi causava con la stregoneria impotenza e sterilità, chiedeva di applicare la pena di morte.

Altre opere importanti sono quelle di Bernardo da Como (morto nel 1510, responsabile nel solo anno 1485 di 41 roghi di streghe), De strigiis e Lucerna inquisitorum; Formicarius di Johann Nider, un trattato demonologico del 1437; il Compendium maleficarum di Francesco M. Guazzo (morto nel 1640) e infine il De strigibus di Bartolomeo Spina (1474-1546), inquisitore di Modena. I roghi si accesero presto in tutta Europa.

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Le streghe di Benevento

Post n°1432 pubblicato il 20 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Bisogna giungere al 1486 per avere il primo strumento giudiziario completo che divide la stregoneria dalle altre eresie religiose, definendone i caratteri e insegnando il modo di riconoscere le streghe , il Malleus maleficarum dei domenicani Institor e Sprenger.

Questo manuale del perfetto inquisitore giungeva a conclusione di un processo storico, che definiva la figura della strega in uno stereotipo, che rimarrà immutato fino al 1631, quando Friederich Von Spee comincia a dubitare della consistenza delle confessioni, estorte sotto tortura e della validità della macchina giudiziaria, messa in moto contro le streghe.

Gerolamo Tartarotti nel 1749 parla del volo notturno delle streghe come di un’illusione suggerita ad esse dal diavolo: le donne credono di recarsi in volo al noce di Benevento, ma in realtà non si muovono da casa. Analogo intento razionalistico ha Costantino Grimaldi nel 1751. Nel secolo del Romanticismo troviamo addirittura una riabilitazione della strega, grazie agli studi di Jules Michelet in Francia e a quelli di sir Walter Scott in Inghilterra.

Le prediche di San Bernardino

Durante l’elaborazione della fisionomia della strega come nemica del genere umano, rea di tremendi delitti e degna di punizione capitale, un ruolo importante fu giocato da San Bernardino da Siena, che nelle sue prediche dedica una grande attenzione alle donne che si occupano di magia. Egli le addita all’opinione pubblica, accendendo gli ascoltatori di sdegno e di mistica esaltazione contro le nemiche; sguinzaglia le forze dell’ordine sulle loro tracce, placando i risentimenti della comunità attraverso la cattura e l’uccisione di quelle che si ritenevano le responsabili di cattivi raccolti; di menomazioni o morti di neonati o di altri drammi individuali e collettivi.

Le prediche si diffondono rapidamente in tutta l’Italia centrale, grazie agli appunti stenografici presi da un fedele ammiratore del santo.

Questo è il testo che ci riguarda più direttamente.

“Elli fu a Roma uno famiglio d’uno cardinale, el quale andando a Benivento di notte, vidde in sur una aia ballare molta gente, donne e fanciulli e giovani; e così mirando, elli ebbe grande paura. Pure essendo stato un poco a vedere, elli s’asicurò e andò dove costoro ballavano, pure con paura, e a poco a poco tanto s’acostò a costoro, che elli vidde che erano giovanissimi; e così stando a vedere, elli s’asicurò tanto, che elli si pose a ballare con loro. E ballando tutta questa brigata, elli venne a suonare mattino. Come mattino tocò, tutte costoro in un subito si partiro, salvo che una, cioè quella che costui teneva per mano lui, che ella volendosi partire coll’altre, costui la teneva: ella tirava, e elli tirava. Vedendola costui sì giovane, elli se ne la menò a casa sua: e odi quello che intervenne; che elli la tenne tre anni con seco, che mai non parlò una parola. E fu trovato che costei era di Schiavonia. Pensa ora tu come questo sia ben fatto, che elli sia tolto una fanciulla al padre e alla madre in quel modo. E però dico che là dove se ne può trovare niuna che sia incantatrice o maliarda, o incantatori o streghe , fate che tutte siano messe in esterminio per tal modo, che se ne perde il seme”.

Abele De Blasio ci informa che a Benevento erano conservati circa 200 verbali di processi per stregoneria, presso la Curia Arcivescovile. Da una fonte che volle rimanere anonima, egli seppe che gli atti erano stati distrutti prima dell'arrivo delle truppe garibaldine nel 1860, per evitare che essi fossero utilizzati come materiale di propaganda anticlericale nel difficile decennio che precedette la presa di Roma .

Ludovico Antonio Muratori , nel Trattato della forza della fantasia umana del 1745, parla della superstiziosa credenza ormai per lui causata da patologie psichiche e da una disposizione all’estasi. Le donne che credevano di essere streghe ritenevano di recarsi in luoghi dove era esercitata ogni più nefanda libidine.

“In Germania il monte Blockberg e in Italia la Noce di Benevento sono famosi per tale impostura, citati da assaissimi autori, col nome dei quali non mi sento di sporcar queste carte”.

Il già citato Gerolamo Tartarotti si pone anch’egli nel numero di coloro che ritengono le streghe delle visionarie, sia pure ispirate da forza diabolica, come afferma nel Congresso notturno delle Lammie del 1749. Le persecuzioni si spengono; la fama di Benevento resta.

Processi per stregoneria

Matteuccia
Il 20 marzo del 1428 venne bruciata come strega Matteuccia di Francesco abitante a Ripabianca presso Deruta. Nella lunga sentenza fatta redigere dal capitano Lorenzo de Surdis compaiono filastrocche contro gli spiriti e il dolor di corpo, fatte confessare con ripetute torture, durante le quali si teneva l’interrogatorio.

Ad un tratto, nelle confessioni di questa strega paesana, affiora un frammento estraneo: dopo essersi unta di grasso di avvoltoio, sangue di nottola e sangue di bambini lattanti, Matteuccia invocava il demonio Lucibello, che le appariva in forma di caprone, la prendeva in groppa e, tramutato in mosca, veloce come il fulmine, la portava al noce di Benevento dove erano radunate moltissime streghe e demoni capitanati da Lucifero maggiore. La povera Matteuccia riferì anche la formula che faceva volare:

“Unguento, unguento,

mandame a la

noce di Benivento

supra acqua et supra ad vento

et supra ad omne maltempo”. [1]


Supplizio di Streghe

Nel caso di Todi avvertiamo l’eco delle parole di Bernardino: per due volte la sentenza sottolinea che Matteuccia aveva praticato i suoi incantesimi, prima che egli predicasse a Todi, nel 1426. È probabile che le prediche di San Bernardino suggerissero al giudice il contenuto delle domande da porre ai futuri imputati di stregoneria.

Mariana di San Sisto
Il nome di Benevento viene fatto in uno solo dei processi esaminati dal Nicolini e precisamente in quello del 1456 a carico di Mariana di San Sisto, conclusosi col rogo.

Ella viene accusata di andare con una sua compagna «ad surchiandum pueros et una nocte dicti mensi Iulii dicta Mariana et eius sotia in facie et corpore ipsarum se unserunt cum certis unguentis diabolicis et incantatis per dictam mulierem sotiam dicte Mariane, inter alia dicendo: “Unguento, menace a la noce de Menavento, sopra l’acqua e sopra al vento” et de nocte accesserunt ad nuces et arbores nucum ubi sole et sine lumine tripudiabant» [2].

Mariana è accusata di aver ridotto in fin di vita il figlioletto di Paolo Giacomo, detto Barbiere, e di Flora Schiavo. Condannata a pagare in prima istanza una multa di 1300 danari nel termine di dieci giorni, ella risultò insolvente e per questo fu condannata «ad essere bruciata col fuoco in modo tale che muoia».

Bellezza Orsini e Faustina Orsi
In due processi tenuti al Santo Uffizio di Roma nel XVI secolo, raccolti da Bertolotti nel 1883, durante gli interrogatori salta fuori il nome di Benevento e le danze sotto al noce. Il primo processo era a carico di Bellezza Orsini , accusata di malefici e venefici. Ella era esperta di erbe e fabbricava medicine. Un giovane in cura presso di lei morì in seguito a malattia, ma i parenti del morto accusarono Bellezza d'averlo stregato e ucciso. Accanto a questa denuncia se ne raccolgono anche altre. Bellezza fu condotta nel carcere di Fiano e sottoposta a numerosi interrogatori con tortura, durante i quali ella «confessò» fra le altre cose: «Andamo alla noce de Benevento e illi [lì] facemo tucto quello che volemo col peccato renuntiamo al baptismo e alla fede e pigliamo per signore e patrone el diavolo e facemo quel che vole luj e non altro».

E più avanti ribadisce: «E andamo alla noce de Benevento dove ce reducemo tucte insieme e illi facemo gran festa e jova [gioco] e pigliamo piacere grande e poi il diavolo piglia quattro frondi de quella noce e cusì ne ritornamo a casa e dove volemo ad streare [stregare] e far male ad qualcheduno…».

Inoltre riporta la formula per volare: «Unguento, unguento, portace alla noce di Benevento, per acqua e per vento e per ogni maltempo».

Stremata dalle torture la povera Bellezza Orsini si suiciderà in carcere, colpendosi più volte la gola con un chiodo. Sfuggirà così al rogo.

Secondo Bellezza la riunione a Benevento si teneva ogni tre anni.

Il secondo processo è datato al 1552 ed è a carico di Faustina Orsi , accusata di aver stregato dei bambini, uccidendoli con i suoi farmaci. Anche ella confesserà sotto tortura. All'epoca del processo Faustina ha ottanta anni e ripete il solito incantesimo: «Unguento mio unguento, sopra acqua e sopra vento portami alla noce del Benevento». Qui con altre quattro o sei donne balla e canta; racconta di esservi stata trenta o quaranta volte in tutta la vita, ma che manca alle riunioni da due anni perché si è pentita. Nella sua confessione manca l'abbondanza di particolari fornita da Bellezza, ma ella è bruciata ugualmente come strega [3].

Abele De Blasio ci informa che a Benevento erano conservati circa 200 verbali di processi per stregoneria, presso la Curia Arcivescovile. Da una fonte che volle rimanere anonima, egli seppe che gli atti erano stati distrutti prima dell'arrivo delle truppe garibaldine nel 1860, per evitare che essi fossero utilizzati come materiale di propaganda anticlericale nel difficile decennio che precedette la presa di Roma .

Nell’immaginario popolare, il nome di Benevento ancora oggi è legato alla leggenda. A Navelli, paese in provincia dell’Aquila , famoso perché vi si produce lo zafferano, si narra la leggenda della donna gatto. Essa è la regina delle streghe ed è soprannominata Chicchera, cioè cresta di gallo. La donna gatto si reca al convegno di Benevento recitando la formula “Con un’ora vado e vengo alla noce di Benevento”. Ferita ad una zampa con un coltello, mentre sotto forma di gatto cerca di fare malefici, è riconosciuta dalla gente del paese, perché quando riprende la forma umana ha ancora il coltello nella coscia.

 
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Le streghe di Triora

Post n°1431 pubblicato il 20 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Triora è un piccolo paese dell’entroterra ligure, in provincia di Imperia. La sua storia ha origini molto antiche, risalenti addirittura al tempo dei Romani. Tuttavia, per quello che ci riguarda, Triora sale agli onori della cronaca nel XVI secolo, quando ebbe luogo una terribile e violentissima “caccia alle streghe”, fatto che rese famosa Triora come “il paese delle streghe”. 

Ma veniamo ai fatti. Tra il 1585 ed il 1587 Triora fu vittima di una gravissima carestia, che portò la popolazione sull’orlo della morte collettiva. In un clima come questo ed in un paese isolato come era quello di Triora, ancora “superstizioso” ed “arretrato”, è ovvio che gli animi si scaldassero nella maniera peggiore. Dunque, nel paese, si iniziò a sospettare che la causa di tale carestia non fosse completamente naturale, ma che ci fosse Foto di Michele Ranzani. Diritti riservati lo zampino di qualcun altro: delle streghe. Le colpevoli furono subito individuate in alcune donne abitanti il quartiere di Ca Botina, la zona fuori le mura più povera di tutto il paese. Il Parlamento generale del paese, un governo popolare formato dai maiores terrae e retto da sei consoli in rappresentanza delle principali famiglie magnatizie trioresi, messo al corrente di questi fatti, affidò al podestà forestiero Stefano Carrega l’incarico di organizzare il processo contro le supposte streghe. Il podestà decise di rivolgersi al vescovato della vicina Albenga, da cui Triora dipendeva, che inviò nel paese il proprio vicario, tale Girolamo Del Pozzo. Il vicario era coadiuvato, nel suo compito, da un vicario inquisitore proveniente da Genova. I due, giunti a Triora ai primi di ottobre del 1587, durante una messa solenne, invitarono tutti coloro che fossero a conoscenza di fatti utili al processo a parlare. La predica, che molto doveva allo stile di Savonarola, fece effetto sul popolo triorese: infatti, in breve furono denunciate e processate ben venti sospette streghe. Vennero, poi, preparati anche i luoghi di “interrogatorio”, anche se sarebbe meglio parlare di torture, ai quali le streghe furono sottoposti, luoghi ancora oggi visibili: casa “del Meggia”, anche chiamata “Ca’ de baggiure” (casa delle streghe) e “Ca’ di spiriti”. Dal processo si ebbero ben tredici donne colpevoli, più quattro ragazze ed addirittura un fanciullo: queste persone fecero i nomi di altri “complici”, appartenenti, alcuni, anche a famiglie aristocratiche. Questa eccessiva esplosione di attività magica in un paese piccolo come Triora risultò, tanto alla popolazione quanto ai membri del governo, fatto strano. Si ebbero, poi, anche le prime due vittime: la sessantenne Isotta Stella, uccisa dall’eccessiva “foga” di giustizia da parte degli assistenti dei due vicari, ed un’altra donna, di cui si ignora il nome, morta nel tentativo di fuggire da una finestre di casa “del Meggia”. Visti questi fatti, il Consiglio degli Anziani, rappresentante delle famiglie più altolocate del borgo, decise di chiedere al Parlamento generale un intervento da parte del governo di Genova, adducendo il fatto che il processo aveva perso di imparzialità ed i suoi esecutori stavano diventando sadici aguzzini e torturatori, più che semplici vicari della Chiesa di Roma. Tuttavia, il Parlamento generale, d’accordo con il podestà, rifiutò di rivolgersi a Genova. Furono dunque gli Anziani in prima persona, con una lunga lettera, a chiedere l’intervento esterno. Nella missiva, il Consiglio ragguagliava chi di dovere dei metodi eccessivamente duri utilizzati da Del Pozzo e dal suo assistente dell’Inquisizione, del fatto che molte donne fossero tenute prigioniere nonostante gli indizi a loro carico fossero solo indiziali o non avessero confessato alcun crimine; la lettera continuava poi riferendo delle torture alle quali le sospette streghe erano sottoposte (“con darli corda per lungo spatio e puoi fuoco alli piedi per longo spatio anchora; appresso le fanno vegliare per più d’hore quarantacinque incominciando dalla sera, oltre averle fatte con rupitorii pelare in tutte le parte del corpo; ne è questo populo redatto in desperatione maxime che s’intende che a quest’hora vi siino più di dugento persone nominate; e nel modo che sino a qui si è fatto,prima che si finisci saranno nominate la più parte del populo et forse tutta”) e riportando, ad esempio, anche il caso di Isotta Stella (“…dopo essere stata tormentata più volte alla corda, nonostante che fusse vecchia più di anni sessanta, un giorno fra li altri quasi disperata, chiamato a sé il vicario di monsignor vescovo confessò aver complici di quanto era sospetta, perché indi a presso nodrita di pane e acqua, straciata di tormenti, se ne è morta in confessa et senza ordini di chiesa”). 

Alla lettera, il Doge ed i governatori genovesi rispondono sollecitando il vescovo di Albenga, con una lettera datata 16 gennaio 1588, a fare luce sui fatti denunciati dagli Anziani di Triora. Il 25 gennaio, il vescovo, Luca Fieschi, invia a Genova una lettera a lui recapitata alcuni giorni prima da Del Pozzo nella quale il vicario giustifica il proprio operato, si discolpa dalle accuse di tortura eccessiva ed ingiusta mosse dal Consiglio e spiega come la morte della donna caduta dalla finestra sia da imputare non ad un tentativo di fuga dalla tortura, ma al diavolo, che avrebbe tentato la donna (“…una notte, poco doppo che fu presa, tentata dal diavolo si procurò la fuga con guastare una sua veste che aveva indosso e accomodarla a guida di benda, ma non essendole riuscito il disegno, cascò subito che fu fuori dalla finestra et essendosi stropiata con pericolo di vitta, confessò subito tutto e chiedendo misericordia a Dio sen’è poi morta ultimamente confessa et per quanto si poteva scorgere contrita”). Il vicario, poi, concludeva la sua lettera promettendo di non avviare ulteriori processi contro streghe e di limitarsi a portare a conclusione quelli avviati fino a quel momento. 

Il 10 gennaio i due vicari erano partiti da Triora, senza però liberare dalla prigionia tutte le streghe arrestate. In febbraio, vista questa situazione, il Parlamento di Triora pregò i governanti genovesi di “interessarsi” più da vicino del processo che stava avendo luogo nel paese, processo che stava causando fin troppi problemi a tutta la popolazione. Genova, allora, decise di inviare a Triora un Inquisitore Capo, affinché chiudesse definitivamente la questione, liberasse le innocenti e condannasse le colpevoli. E questo è ciò che egli fece: ascoltò le donne incarcerate, le quali negarono tutte tranne una quanto avevano confessato due vicari. L’Inquisitore Capo decise quindi di trattenerle tutte. Tutte tranne una: una fanciulla di 13 anni che venne liberata e che il 3 maggio abiurò nella chiesa della Collegiata durante la celebrazione di una messa solenne. La situazione, però, non cambia. Dunque, Genova, nel giugno 1588, decide di inviare a Triora un Commissario Speciale, tale Giulio Scribani, il quale, anziché sbloccare e chiudere il processo, dà nuova linfa alle accuse e fa incarcerare nuove potenziali streghe: Andagna, Bianchina, Battistina e Antonina Vivaldi-Scarella, che, si erano auto-dichiarate colpevoli di enormi delitti, tra i quali i più gravi erano omicidi di bambini innocenti di Andagna. Qualche giorno dopo l’arrivo di Scribani, il nuovo podestà del paese, Giovanni Battista Lerice, su ordine del Padre inquisitore di Genova, mandò a Genova per la revisione del processo le streghe ancora detenute a Triora. Il locale “bargello”, il capo della polizia, Francesco Totti, si occupò del trasferimento delle tredici donne trioresi, le quali gli furono consegnate il 27 giugno. 

Il lavoro del Commissario Speciale, abbiamo detto, portò a formulare nuove accuse contro molte donne. Le quali, va detto, non furono soltanto di Triora: Scrivani mosse accuse di “reato contro Dio”, “commercio con il demonio”, “omicidio di donne e bambini” contro una ventina di donne di Castelfranco, contro due Montalto Ligure, Badalucco, Porto Maurizio e Sanremo. Il 22 luglio Scribani mandò a Genova i verbali degli interrogatori delle streghe insieme con la richiesta di condanna a morte per quattro donne di Andagna. Le accuse mosse da Scribani non rientravano nelle sue competenze. Dunque, il governo della Repubblica delegò la decisione sul da farsi a Serafino Petrozzi, auditore e consultore, il quale respinse tutte le conclusioni e le proposte di pena di Scribani, sostenendo che non si potevano “adottare provvedimenti punitivi mancando delle prove certe e inconfutabili”. La missione dello Scribani viene allora prorogata di un mese, ma Genova gli raccomanda di occuparsi solamente di compiti politici ed amministrativi e di lasciare all’Inquisizione la gestione del processo. Per quanto riguarda le accuse alle potenziali streghe di Andagna e di Bajardo, Petrozzi gli chiede di fornire prove più forti. Lo Scribani risponderà qualche giorno, l’8 agosto, affermando l’impossibilità di portare maggiori prove, in quanto i delitti dei quqli le donne erano accusate sarebbero stati consumati molto tempo prima o fuori dallo Stato (come nel Finalese, che comprendeva Finale Ligure, Finalborgo, Finalmarina, Finalpia, o a Oneglia, che faceva parte del Principato dei Savoia). Nonostante l’aperta ostilità di Genova, Scribani processò nuovamente le donne di Bajardo, pronunciando, per quattro loro, il 30 agosto, sentenza di morte. Una quinta ragazza, invece, inizialmente Scribani propose che fosse messa in convento, ma poi si convinse di condannarla a morte come le altre. Genova, ovviamente, mal digerì le ingerenze di Scribani. Dunque, per riprendere il controllo di una situazione che stava sfuggendo di mano, si decise di affiancare al giudice Petrozzi altri due commissari, il podestà Giuseppe Torre e Pietro Alaria Caracciolo, affinché si pronunciassero nuovamente sulle decisioni prese da Scribani. Incredibilmente, i tre, contrariamente a quanto stabilito in un primo tempo dal solo Petrozzi, diedero parere favorevole alla condanna a morte delle quattro streghe di Andagna e di altre due streghe di Badalucco e Castelfranco, Peirina Bianchi (“malefica confessa et convinta”) e Gentile Moro. Il Senato genovese, viste le decisioni dei tre giudici, approvò la condanna a morte delle cinque streghe accusate di delitti ed ordinò, allo stesso tempo, di scrivere al vescovo di Albenga, affinché, prima dell’esecuzione (condanna per impiccagione e cremazione dei corpi), le cinque condannate fossero riconciliate con la Chiesa. Alla ratificazione delle decisioni fatta dal Senato, però, si oppose, sempre da Genova, il Padre Inquisitore, che sostenne come l’eseguire processi e sancire condanne a morte per stregoneria fosse pertinenza, nel territorio della Repubblica genovese, della Santa Inquisizione di Roma, da lui rappresentata. Il governo genovese convenne con quanto affermato dal Padre Inquisitore. Le cinque donne, così, furono trasportate a Genova, dove si andarono ad unire alle altre loro tredici “colleghe”, già precedentemente condannate. Anche in questo caso, però, il procedimento rallenta i suoi tempi. La Congregazione del Sant’Uffizio, che si doveva occupare del processo, tenne tergiversò senza giungere ad alcuna decisione. Allora il doge e i governatori genovesi scrissero a Roma (febbraio aprile 1589) affinché il Sant’Uffizio prendesse quanto prima una decisione. Il 28 aprile 1589 il cardinale di Santa Severina, a nome della Congregazione, assicurò il governo di Genova che erano stati impartiti sollecitazioni ordini tassativi per una rapida conclusione della causa da parte della sezione di Genova. Il 27 maggio il doge e i governatori di Genova, tramite il cardinale genovese Sauli, sollecitarono nuovamente la Congregazione del Sant’Uffizio affinché concludesse la revisione del processo. Intanto, delle tredici donne inviate da Triora nel giugno 1588, tre erano morte e le altre erano state rimandate a casa, mentre, delle cinque donne condannate a morte, due erano decedute. Il 28 agosto 1589 il cardinale di Santa Severina annunciò al governo genovese che il procedimento di revisione del processo era finalmente terminato. Il tribunale della Santa Inquisizione aveva presumibilmente annullato alcune condanne a morte decise dall’autorità ecclesiastica genovese, stabilendo che le ultime tre streghe rimaste ancora nelle carceri venissero liberate. Rimane da vedere cosa accadde a Scribani, che tanta parte ha avuto nel complicare questi avvenimenti. Ad agosto, la Santa Inquisizione decise di aprire un procedimento contro di lui per aver invaso il campo riservato all’autorità ecclesiastica. Supportato dalla Repubblica genovese, però, che ne raccomandarono all’Inquisizione l’assoluzione, i cardinali decisero di assolverlo con formula piena, a patto che ne facesse pubblica richiesta al vicario arcivescovile di Genova, cosa che avvenne pochi giorni dopo. 

Il “Processo di Triora” è stato uno dei grandi casi italiani di processi a streghe. Riguardo la sua legittimità, molte sono le voci discordanti. Come molte, del resto, furono le urla delle donne torturate ingiustamente dall’Inquisizione. 

                     

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Abbi pietà di me (Merini)

Post n°1430 pubblicato il 20 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Abbi pietà di me che che sto lontana
che tremo del tuo futile abbandono,
tienimi come terra che pur piana
dia nella pace il suo perdono
od anche come aperta meridiana
che dia suono dell'ora e dia frastuono,
abbi pietà di me miseramente
poichè ti amo tanto dolcemente.

 
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Libri dimenticati:Una bambina e gli spiriti

Post n°1429 pubblicato il 20 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Jadie è cresciuta in una famiglia di satanisti e spetta a Torey riportarla ad una vita normale

 
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Frase del giorno

Post n°1428 pubblicato il 20 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Il pentimento è il fermo proposito di non lasciar tracce la prossima volta (Achard)

 
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il 23/04/2014 alle 18:01
 
i gatti sono proprio così.:)
Inviato da: odio_via_col_vento
il 14/04/2014 alle 20:57
 
questi versi sono tanto struggenti quanto veritieri. Ciao e...
Inviato da: Krielle
il 23/03/2014 alle 04:38
 
 

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