Messaggi del 08/01/2012

Scrittrici dimenticate:Anna Banti

Post n°1575 pubblicato il 08 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

nna Banti, pseudonimo di Lucia Lopresti (Firenze, 27 giugno 1895Ronchi di Massa, 2 settembre 1985), è stata una scrittrice e traduttrice italiana.

Uno dei tratti caratteristici della sua scrittura fu quello di porsi come narratrice in una posizione anomala di fronte alle storie, capace sì di assecondarle, ma anche di rifiutarne le suggestioni per rimanere più libera non solo di fantasticare, ma di creare nuovi rapporti con i suoi personaggi.

Fu anche un'abile traduttrice dalla lingua inglese: a lei si deve, ad esempio, la traduzione per Newton Compton delle Memorie di Barry Lyndon di William Makepeace Thackeray[1].

Biografia 

Nata a Firenze nel 1895 da una famiglia d'origine calabrese fu incoraggiata fin dall'inizio dal padre avvocato a intraprendere gli studi umanistici.

I lavori letterari degli esordi furono imperniati sulla memoria e su ricordi giovanili. Un cambiamento avvenne dopo il matrimonio, nel 1924, con il critico e storico dell'arte Roberto Longhi, già suo professore al liceo, uomo di profonda cultura, sia letteraria sia artistica. Assieme, collaborarono alla nascita della rivista Paragone, della cui sezione letteraria la Banti tenne la direzione fino alla morte del marito. In questo periodo la sua prosa divenne più elaborata e raffinata, portando alla luce, con storie complesse a sfondo principalmente psicologico, la condizione delle donne nella società del tempo, analizzando, attraverso la convergenza di punti di vista diversi, personaggi femminili colti con grande acutezza nei loro momenti di crisi morale ed esistenziale.

Fra i suoi romanzi più riusciti sono da ricordare soprattutto Artemisia (1947), che rievoca la vita della pittrice seicentesca Artemisia Gentileschi, narrando una vocazione artistica di donna in lotta con i pregiudizi del suo tempo; le Donne Muoiono (1951) dove il racconto serve da pretesto per un'indagine a fondo, sull'amicizia e sui segreti da mantenere; i racconti raccolti in Campi Elisi (1963), dove ritroviamo il grande tema che interessa principalmente la Banti, la solitudine della donna alla ricerca di una dignità nel mondo degli uomini, in una vicenda di proteste, umiliazioni, ribellioni, dolori.

Dal suo romanzo Noi credevamo è stata tratta la sceneggiatura dell'omonimo film (2010) diretto da Mario Martone.

 
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Scrittrici dimenticate:Gianna Manzini

Post n°1574 pubblicato il 08 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

Nasce a Pistoia il 24 marzo 1896, da una agiata famiglia della borghesia locale, i genitori dopo alcuni anni decidono di separarsi a causa di contrasti tra le idee anarchiche del padre e il perbenismo conservatore della madre. La separazione dei genitori lascia nell'animo sensibile della bambina un segno indelebile, che viene ancora più acuito quando dopo alcuni anni, già giovane donna, nel suo animo s'instaurano sensi di colpa e il rimorso per non essere stata vicina al padre quando, per avere partecipato ad alcune cospirazioni al regime fascista instaurato da poco, e consigliato da Mussolini in persona di ritirarsi in volontario esilio in un piccolo paese di montagna, dopo alcuni anni di confino nell’Appennino Pistoiese Cutigliano, muore nel 1925 in seguito ad una premeditata aggressione fascista.

Dopo la separazione dei genitori, all'inizio dell'autunno del 1914 si sposta con la mamma a Firenze, per completare gli studi, città di cui rimane colpita ed entusiasta. Si iscrive e frequenta con grande profitto i corsi di Letteratura all'università di Firenze partecipando al vivace dibattito culturale nato tra la fine della Prima guerra mondiale e l'insorgere del Fascismo. Mentre sta preparando la tesi di laurea, sulle opere ascetiche di Pietro l'Aretino,conosce Bruno Fallaci, responsabile della terza pagina del quotidiano la Nazione: è il classico colpo di fulmine, in breve tempo, nei giorni di Natale del 1920, si sposano. Il quotidiano nella edizione serale nell'estate dello stesso anno aveva già pubblicato un racconto, il primo di una lunga serie nei quali si notano in modo sempre più evidente la qualità e le ragioni della sua prosa.

Nel 1928 pubblica il suo primo romanzo Tempo innamorato accolto come una ventata di novità dalla critica, recensito da Emilio Cecchi, si merita anche l'attenzione di André Gide e Valery Larbaud. Incomincia a collaborare alla rivista letteraria Solaria, e in questo ambiente colto e attento alle nuove proposte conosce Arturo Loria, Alessandro Bonsanti, Prezzolini, De Robertis e il giovane Montale che a proposito del primo libro della Manzini scrive "ha fatto già molto e molto ancora può fare per il romanzo italiano".

Nel 1930 è l'unica donna scelta da Enrico Falqui e da Elio Vittorini per l'antologia Scrittori Nuovi, ma con il successo e l'apertura verso la narrativa europea arriva la crisi coniugale, nel 1933 si separa definitivamente dal marito, lascia la tanto amata Firenze, da un taglio al suo passato e insieme ad Enrico Falqui si trasferisce a Roma. La città in un primo momento le si dimostra ostile, la sua relazione amorosa è tempestosa, ma trova con il tempo un equilibrio sentimentale e il luogo dove mettere definitivamente le radici.

Nell'immediato dopoguerra proprio con Falqui fonda la rivista Prosa: l'avventura editoriale durerà poco, la rivista svolgeva un ruolo di primo piano nel dibattito spinoso sulla narrativa, ospitando gli scritti di Virginia Woolf, Thomas Mann, Jean-Paul Sartre e Paul Valéry.
In concomitanza con il suo impegno letterario incomincia per la Manzini a Roma anche una frivola e lunga attività di cronista di moda, prima sul quotidiano Giornale d'Italia, poi su il settimanale Oggi. Più tardi sulla rivista La Fiera Letteraria tiene una rubrica fissa che firma con gli pseudonimi di Pamela e Vanessa, scrive articoli scanzonati, pensieri estrosi, distrazioni che concede ad un impegno sempre stato tirannico e assoluto.
Dopo la stesura tormentata e lunga del racconto Lettera all'Editore nel 1945 che segna il punto più alto dei suo lirismo estetico, alcuni anni più tardi, nel 1953, conosce il giovane Pasolini il quale la sottrae ad una narrativa alquanto provinciale; prepara un nuovo romanzo La Sparviera che nel 1956 si aggiudica il prestigioso Premio Viareggio. La vicenda nel romanzo si dipana senza soffermarsi troppo in intrusioni memoriali, così compiaciute nei racconti degli anni quaranta: è la storia della malattia polmonare che aveva contratto da bambina e che la perseguiterà fino alla morte. Gli spettri dell'infanzia tornano nell'ultimo romanzo Ritratto in piedi (1971), con il quale vince il Premio Campiello e una notorietà tardiva, e l'ultimo volume di racconti Sulla soglia che viene pubblicato nel 1973. Muore a Roma, sola, pochi mesi dopo la scomparsa del suo convivente e grande amore Enrico Falqui il 31 agosto 1974.

La tematica [modifica]

La prosa della Manzini, come la definiva già al suo esordio il critico Emilio Cecchi "complicata e un po' abbagliante" ha sempre cercato di costruire il racconto secondo angolature e piani diversi, per il continuo spostamento la narrazione assume delle volte un ritmo affannoso, preziosismi lessicali, metaforici e lo stile diventa spesso acrobazia. Il critico Giacomo Debenedetti scrisse "certamente la Manzini è riuscita e riesce a pronunciare parole che, fino all'attimo precedente, avevamo creduto impronunciabili [.....]in tal modo [...] ci può descrivere un visibile che anche noi dovremmo vedere, ma da soli non vedremo mai".
Nei suoi due ultimi libri oltre che la notorietà e la fama sono per la scrittrice un ritorno doloroso alle origini; il ricordo del padre amatissimo, i sensi di colpa , ripresi dopo un oblio di ben sessantanni, necessari per sviscerare tutto il suo vissuto, la dolorosa vicenda di un padre ricco che lascia tutto anche la famiglia per correre dietro ad un ideale e ad un destino tragico, e una madre ricca borghese conservatrice e reazionaria, è uno scontro di scelte diverse e inconciliabili.

La Manzini si rivela un'intellettuale raffinata, autrice di frammenti lirici e sperimentatrice di forme aperte del testo. Il suo è un percorso originale e innovativo, che si pone al di là delle tendenze letterarie, spesso precorrendo i tempi con tecniche nuove e personalissime.

La sua opera, è stata subito apprezzata dalla critica e da grandi intellettuali, sebbene sia rimasta per troppo tempo confinata all'interno di un pubblico ristretto. Oggi sembra che possa finalmente essere illuminata da una nuova rilettura delle sue opere anche grazie allo straordinario apporto del suo archivio personale, capace di aprire nuove prospettive di ricerca sui suoi testi.

 
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Scrittrici dimenticate:Violette Leduc

Post n°1573 pubblicato il 08 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

Violette Leduc (7 April 1907 – 28 May 1972) was a French author.

She was born in Arras, Pas de Calais, France, the illegitimate daughter of a servant girl, Berthe. In Valenciennes, the young Violette spent most of her childhood suffering from poor self-esteem, exacerbated by her mother's hostility and overprotectiveness. She developed tender friendships with her grandmother Fideline and her maternal aunt Laure.

Her formal education, begun in 1913, was interrupted by World War I. After the war, she went to a boarding school, the Collège de Douai, where she experienced lesbian affairs with a classmate and a music instructor who was fired over the incident.[1]

In 1926, Leduc moved to Paris and enrolled in the Lycée Racine. That same year, she failed her baccalaureate exam and began working as a telephone operator and secretary at Plon publishers.

In 1942 she met Maurice Sachs and Simone de Beauvoir, who encouraged her to write. Her first novel L'Asphyxie (In the Prison of Her Skin) was published by Albert Camus for Éditions Gallimard and earned her praise from Jean-Paul Sartre, Jean Cocteau and Jean Genet.

In 1955, Leduc was forced to remove part of her novel Ravages because of sexually explicit passages describing lesbianism. The censored part was eventually published as a separate novella, Thérèse and Isabelle in 1966. Another novel, Le Taxi caused controversy because of its depiction of incest between a brother and sister. Critic Edith J. Benkov compares this novel with the work of Marguerite Duras and Nathalie Sarraute. [2]

Leduc's best-known book, the memoir La Bâtarde, was published in 1964. It nearly won the Prix Goncourt and quickly became a bestseller. She went on to write eight more books, including La Folie en tête (Mad in Pursuit), the second part of her literary autobiography.

In 1968 Radley Metzger made a film of Leduc's novel Thérèse and Isabelle. The film was a commercial feature about adolescent lesbian love, starring Essy Persson and Anna Gael.

Leduc developed breast cancer and died aged 65 after two operations. She was living at Faucon, Vaucluse at the time of her death.[3]


 
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Scrittrici dimenticate:Albertine Sarrazin

Post n°1572 pubblicato il 08 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

l 10 luglio 1967, dopo una vita travagliata, moriva a Montpellier Albertine Sarrazin, scrittrice e poetessa francese nata ad Algeri il 17 settembre 1937 da genitori sconosciuti. Sulle sue origini sono state formulate varie ipotesi. La madre adottiva, Thérèse Gantelme-Allègre, disse di aver saputo dal direttore del brefotrofio che la madre naturale era una quindicenne spagnola. Quanto al padre si disse potesse essere un uomo di sangue arabo. Altri sostengono che il padre naturale fosse lo stesso padre adottivo, un tenente colonnello medico di Lione, Amédée Renoux. Albertine, parlando di sé, scrisse che nelle sue vene scorreva sangue idalgo-arabo. Era molto intelligente, pronta di spirito e d’indole assai indipendente anche se insofferente alla monotonia dell’ambiente familiare. Secondo quanto, in seguito, affermò la sua psichiatra Gogis-Miquel, all’origine delle sventure della futura scrittrice ci furono i dissidi in seno ai coniugi Renoux . A suo dire, Albertine aveva un’indole “docile”, su cui poi avrebbe prevalso un sentimento acuto di ribellione contro gli atteggiamenti di eccessiva durezza e severità del padre adottivo e un senso di disprezzo nei confronti della madre, succube ai voleri del marito e capace solo di piangere davanti alla sua arroganza.

A sette anni viene a conoscenza di essere figlia adottiva nella maniera peggiore. Durante una disputa familiare, il colonnello urla: “ Questo è ciò che si ottiene a fare del bene ai bambini raccattati dalla strada”. La bambina, secondo quanto disse poi la madre adottiva, reagì in modo sorprendente, data l’età: “Voi non mi siete niente ed io non vi devo niente”. In realtà la madre anticipò di qualche anno un’affermazione che Albertine farà a undici anni, in stile adolescenziale. Fin dalle elementari manifestò un temperamento spiccatamente artistico con la composizione di poesiole, disegni ad acquarello e nello studio del violino. Nel 1947, il colonnello decise di lasciare l’Algeria, a quell’epoca provincia francese, e di far ritorno in Francia ad Aix-en-Provence. Oltre al trasferimento, a dieci anni, un altro evento drammatico sconvolse la vita di Albertine: la violenza carnale subita da un quarantenne membro della famiglia Renoux. A quattordici anni, esasperata dalla ferrea disciplina del padre adottivo, che si manifestava attraverso l’imposizione di continui divieti, fuggì da casa. Non era la prima fuga. I rapporti con i genitori, sempre difficili e tesi, precipitarono. Insofferente a ogni forma di disciplina, aggressiva non solo a parole, Albertine si rivela una ragazza molto difficile da gestire sia per gli educatori che per i genitori adottivi, ormai in età avanzata. Contro il parere del giudice del tribunale per i minori, viene rinchiusa in riformatorio. A quindici anni, scortata da due agenti della polizia, il 20 novembre 1952 è condotta al Buon Pastore di Marsiglia. Otto mesi dopo, nel luglio del 1953, dopo aver superato gli esami orali di quinta ginnasio, evade e raggiunge Parigi in autostop dove, senza appoggi, minorenne e ricercata, si dà ai furtarelli e alla prostituzione per sopravvivere. Il 18 dicembre dello stesso anno, stanca di prostituirsi e decisa a fare un salto di qualità, con un’amica conosciuta al Buon Pastore, tenta una rapina in un negozio di abbigliamento. La rapina fallisce, ma l’amica che è armata della pistola che Albertine ha sottratto a suo padre, il colonnello, ferisce alla spalla la proprietaria del negozio. Arrestate entrambe due giorni dopo, vengono rinchiuse nel carcere di Fresnes, sezione femminile minorenni. Anick, com’era stata ribattezzata dalle sue compagne del riformatorio Buon Pastore (nome che la scrittrice conserverà per tutta la vita tra le persone a lei più care), viene sottoposta a perizia dalla psichiatra Gogois-Myquel nella prigione-scuola di Doullens, dove Albertine fu trasferita nel gennaio del 1956, dopo la sentenza, divenuta definitiva, nel processo del novembre 1955 presso la Corte minorile della Seanna a Parigi.

La psichiatra si accorge che quella ragazza, rotonda e sovrappeso, (65 kg per 1 metro e 47 cm), dai grandi occhiali da miope, possiede doti non comuni d’intelligenza e un bagaglio culturale che la distingue dalla massa delle compagne di pena. Pur mantenendo costantemente un contegno professionale, la aiutò a far emergere ciò che di migliore c’era nella sua personalità. Albertine, comunque, subisce una condanna pesante, sette anni, mentre l’amica solo cinque. Ma la condanna segna anche l’inizio della futura scrittrice che nel luglio del 1955 aveva sostenuto con successo la seconda parte dell’esame di maturità. Nella presentazione del suo romanzo La Cavale scriverà: “ La libertà e il carcere sono per me come due vestiti portati in alternanza”. Complessivamente rimarrà rinchiusa per oltre otto anni della sua breve esistenza. Durante un’evasione avvenuta il 19 aprile 1957, Albertine si frattura, nel volo di oltre 10 metri alla ricerca della libertà, un ossicino del tarso nel piede, essenziale per camminare, l’astragalo, che diventerà il titolo del suo romanzo più conosciuto.

La fuga sarebbe stata irrimediabilmente compromessa se un automobilista di passaggio non si fosse fermato a soccorrerla. È Julien Sarrazin, piccolo malavitoso uscito da poco dal carcere. Si prende cura di lei, la nasconde e ne paga la costosa latitanza. L’incontro si rivelerà decisivo: un amore profondo li unirà per tutta la loro tormentata vita. Prima del matrimonio, avvenuto il 7 febbraio 1959 davanti all’ufficiale civile del Comune di Amiens, Albertine era stata costretta a riprendere la strada del marciapiede per far fronte alle spese del proprio mantenimento, poiché Julien, arrestato ancora una volta, non era più in grado di provvedervi. Proprio in un incontro mercenario, avvenuto in quel periodo, nascerà l’amicizia con un uomo semplice, un meccanico divenuto il personaggio di Jean ne L’astragalo e quello dello “zio” ne La via traversa: si dimostrerà un sostegno fedele e fidato. Nel corso delle sue detenzioni, scriverà due romanzi, La Cavale e L’astragalo che, pubblicati a distanza di una settimana l’uno dall’altro dall’editore parigino Jean-Jacques Pauvert nell’autunno del 1965, conosceranno immediatamente un enorme successo. Nel 1966 sarà conferito alla scrittrice, per il romanzo La Cavale, un prestigioso premio letterario: il Premio delle Quattro Giurie (Femina,Renaudot, Goncourt, Interallié). Albertine dedicò La Cavale alla sua psichiatra con le parole: “A mia madre in sedicesimo, la dottoressa Gogois-Myquel”. Un terzo romanzo, La via traversa, scritto in regime di libertà, comparirà nelle librerie francesi sul finire del 1966. Anche questo romanzo conoscerà un notevole successo.

A Montpellier, 1966

L’anno successivo, non ancora trentenne, Albertine Sarrazin, muore nella sala operatoria della clinica Saint-Roch di Montpellier, non risvegliandosi più dall’anestesia dopo un intervento per l’asportazione di un rene.

In italiano L’astragalo è stato pubblicato da Mondadori nel 1966 e poi nel 2001 da L’ancora del Mediterraneo e La via traversa per le edizioni Tartaruga nel 2004. Una traduzione in italiano de La Cavale col il titolo “L’evasione” è stata curata da Aldo Giungi il quale così commenta: “Lo stile nuovo, agile, con espressioni tratte dal linguaggio parlato, un linguaggio popolare intriso di parole dell’argot carcerario mischiate sapientemente con la lingua colta: una scrittura originale, fuori dagli schemi codificati dei letterati”. Un’esistenza breve, un destino amaro, una fine precoce, ma una scrittrice che vale la pena di leggere.

Ho sentito improvvisamente un male al cuore, immenso, irresistibile, ho cominciato a piangere e a tremare in tutto il corpo, facendo in modo che le guardie non mi vedessero tremare; a piangere come non avrei mai più pianto, di rabbia, di compassione, di derisione, di dispetto“. (La via traversa)


 
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Henry Darnley

Post n°1571 pubblicato il 08 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

Henry Stuart, Lord Darnley (Leeds, 7 dicembre 1545Edimburgo, 10 febbraio 1567), è stato re consorte di Scozia oltre che conte di Ross e duca d'Albany, era figlio di Margaret Douglas e Matthew Stuart conte di Lennox. Fu marito di Maria I di Scozia e padre di Giacomo I d'Inghilterra.

Ascendenti reali 

Henry, cattolico, era discendente sia degli Stuart sia dei Tudor in quanto nipote di Margherita Tudor, figlia di Enrico VII d'Inghilterra. Enrico VIII d'Inghilterra, zio di Margaret Douglas, aveva nel suo testamento dato la precedenza, nel caso che i suoi figli Edoardo VI d'Inghilterra, Maria I d'Inghilterra ed Elisabetta I d'Inghilterra fossero morti senza eredi diretti, ai figli della sorella minore Maria Tudor, invece che a quelli della sorella maggiore Margherita Tudor. Il suo intento era infatti quello di evitare che sul trono inglese sedessero sovrani stranieri. Henry, sebbene uno Stuart, era cittadino inglese; ciò quindi lo rendeva idoneo, in teoria, a salire sul trono inglese.

Matrimonio 
Maria Stuart ritratta da François Clouet nel 1560.

Maria I di Scozia, desiderosa di poter essere designata da Elisabetta I suo successore, sposò il giovane Stuart il 29 luglio 1565 nella cappella reale di Holyrood Palace. Il matrimonio, che rendeva il cattolico Henry re di Scozia, non fu però appoggiato né da Elisabetta I né dai nobili protestanti, primo fra tutti il fratellastro di Maria Giacomo Stewart, I conte di Moray, che si affrettò ad unirsi con gli altri lord in una ribellione aperta, fomentati da Elisabetta. Maria organizzò un incontro a Stirling il 26 agosto 1565 per confrontarsi, e ritornò a Edimburgo il mese seguente per aumentare il numero delle truppe. Moray e i lord ribelli furono messi in fuga e esiliati: una decisiva azione militare divenuta nota come l'incursione di Chaseabout.[1] Henry diveniva così, come la moglie, un sovrano cattolico di un regno ormai protestante e per di più profondamente diviso in fazioni famigliari in perenne lotta tra loro.

Non molto tempo dopo, Maria rimase incinta. Darnley, fisicamente prestante ma ottuso e violento, divenne arrogante e domandò un potere commisurato al suo titolo di re.[2] In una occasione attaccò Maria in un mancato tentativo di causarle l'aborto del loro bambino.

L'omicidio di Davide Riccio [modifica]

A corte andava rafforzandosi la posizione di Davide Riccio, musico di origine piemontese, nonché segretario e intimo confidente della regina di Scozia. Lo strano legame cominciò a destare l'accesa ostilità dei nobili protestanti sconfitti da Maria e nel marzo del 1566, sebbene cattolico, Darnley si unì a loro in una cospirazione. Il 9 marzo un gruppo di nobiluomini, accompagnati da Darnley, uccisero Rizzio davanti agli occhi di Maria, mentre i due avevano un colloquio a Holyrood Palace.[3] Henry, il quale però si pentì della propria partecipazione, fece alla moglie tutti i nomi dei cospiratori, ma l'omicidio del musico fu la causa della rottura del loro matrimonio. Henry si era rivelato incapace come marito e come regnante, al punto da costringere Maria ad esautorarlo gradualmente di ogni carica regale e coniugale. Tra i cospiratori vi era probabilmente anche Moray, scappato in Inghilterra con altri scozzesi. La maggior parte di loro venne perdonata e tornò dall'esilio.

Morte
Matthew Stuart, Margaret Douglas, Charles Stuart e Giacomo VI di Scozia accanto alla salma di Henry. Opera di Livinus De Vogelaare.

In seguito alla nascita del loro figlio, Giacomo, il 19 giugno 1566, fu organizzato un piano per eliminare Darnley, che era già malato (forse affetto da sifilide).[4] Si stava curando in una casa di Edimburgo, dove Maria lo andava a trovare spesso, in modo tale che sembrasse possibile una riappacificazione. Nel febbraio del 1567, si verificò un'esplosione nella casa di Kirk o' Field e Darnley fu trovato morto in giardino.[5] Questo evento, che avrebbe dovuto essere la salvezza di Maria, danneggiò invece la sua reputazione, benché ancora si discute se Maria fosse o meno a conoscenza del piano.[6] James Hepburn, IV conte di Bothwell, un avventuriero che sarebbe diventato il suo terzo marito, fu accusato di essere colpevole dell'omicidio e fu portato davanti a un processo farsa, dal quale fu comunque assolto. Maria cercò di riconquistare il sostegno dei suoi lord, mentre Bothwell spinse alcuni di loro a firmare l'Ainslie Taverna Bond, nel quale si accordarono per sostenere le sue pretese di sposare Maria.[7]

Dopo il matrimonio, i lord fomentarono il popolo alla ribellione, Bothwell scappò all'estero e Maria fu imprigionata e costretta ad abdicare in favore del figlio Giacomo, che salì al trono col nome di Giacomo VI di Scozia e la cui reggenza fu tenuta dallo zio Giacomo Moray. Maria fu dapprima imprigionata nel castello di Loch Leven, da lì riuscì a fuggire in Inghilterra, dove la regina Elisabetta I la imprigionò di nuovo. Bothwell finì i suoi giorni prigioniero in Danimarca.

Alla morte di Elisabetta I, Giacomo VI divenne anche re d'Inghilterra col nome di Giacomo I, unendo così i due regni

 
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Davide Rizzio

Post n°1570 pubblicato il 08 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

Figlio di un maestro di musica (appartenente ai conti Riccio di San Paolo), riuscì a raggiungere il rango di segretario particolare della regina Maria Stuarda. Il marito della regina Henry Stuart, Lord Darnley, che si dice fosse geloso dell'amicizia che ella nutriva per il giovane italiano, lo fece assassinare in presenza della regina stessa da un gruppo di cospiratori, costituito da nobili protestanti, a cui anch'egli si unì. L'omicidio commesso da Lord Darnley fu alla base della fine del suo potere ed ebbe conseguenze drammatiche sulla sorte della regina[1].

Rizzio fu prima alla corte del Duca di Savoia e quindi a Nizza, ma non trovando grande accoglienza fece in modo di entrare nella casa del conte di Moretto che stava per inviare un ambasciatore in Scozia. La Corte scozzese non aveva necessità della sua collaborazione ed egli venne licenziato. Il suo desiderio di rimanere alla Corte gli fece fare amicizia con i musici che la regina Maria aveva portato con sé dalla Francia. Sir John Melvil, un amico personale di Rizzio, gli disse: "Sua Maestà ha tre cantori e necessita di un basso per completare il quartetto vocale". In questo modo egli venne introdotto a Corte[2].

Egli era considerato un uomo dall'aspetto molto brutto (il ritratto a lato non è molto somigliante), ma un buon musicista ed un eccellente cantante, doti che inizialmente gli valsero l'attenzione della regina. Verso la fine del 1564, egli divenne il segretario della regina per le relazioni con la Francia quando il suo predecessore andò in pensione. Molto ambizioso, venne visto da tutti come un Segretario di Stato, un cattolico romano e uno straniero che era entrato troppo nel cuore della regina. Secondo alcune voci, la regina a torto credette che nessuno avrebbe preso sul serio la loro relazione vista la risaputa omosessualità del Rizzio[senza fonte].

Le gelosie determinarono la sua uccisione in presenza della regina nella sala da pranzo di Holyrood Palace, dopo che le guardie del palazzo vennero sopraffatte dai soldati dei ribelli. Giunti nella sala da pranzo del palazzo, i congiurati chiesero la consegna di Rizzio. Al rifiuto della regina, Rizzio venne ucciso davanti ad essa che tentò inutilmente di salvargli la vita. Le grida della regina e di Rizzio giunsero all'esterno del palazzo e alcune centinaia di popolani uscirono dalle taverne e, armati di bastoni, si diressero al palazzo in soccorso della regina, ma questa minacciata dai congiurati, si affacciò alla finestra congedando i suoi sudditi.

Uccisione di Davide Rizzio

Rizzio venne assassinato con ben cinquantasette pugnalate e gettato giù dalle scale dopo essere stato spogliato dei gioielli e delle vesti. Venne poi velocemente sepolto nel cimitero di Holyrood. Buchanan narra che successivamente, per ordine della regina, il suo corpo venne traslato e tumulato nel sepolcro dei re di Scozia. Questa misura molto inopportuna, avvalorò la convinzione che il rapporto fra Rizzio e la regina fosse qualcosa di diverso di quello fra una regina ed il suo segretario[3].

L'omicidio di Rizzio fu soltanto un episodio nella campagna, portata avanti dai nobili scozzesi e dalla regina Elisabetta I d'Inghilterra, tendente a destabilizzare il regno di Maria Stuarda, la cui popolarità e le cui idee liberali erano considerate una minaccia per la monarchia in Inghilterra. Si dice che Elisabetta sia stata l'ispiratrice dell'assassinio di Rizzio e abbia ricompensato i suoi assassini. L'assassinio di Rizzio in sua presenza, mentre era incinta del futuro Giacomo VI di Scozia, costituì per Maria Stuarda un evento traumatizzante. La cronaca degli eventi dice che l'uccisione di Rizzio fu una delle cause scatenanti della depressione che colpì la regina l'anno successivo.

I nobili ribelli ed il governo Inglese pensarono che la morte di Rizzio avrebbe portato alla morte della regina e del figlio che aveva in grembo, facilitando così ai ribelli il controllo della Scozia. Ma Maria Stuarda sorprese i suoi nemici ed evase calandosi da una finestra con dei lenzuoli arrotolati e riuscendo a fuggire su di un cavallo. Ritornò una settimana dopo alla testa di ottomila uomini ricacciando i ribelli oltre il confine, e organizzando poi un grandioso funerale al suo amico assassinato.

Rizzio è sepolto nella chiesa di Canongate Kirkyard a Edimburgo, a poche centinaia di metri dal palazzo di Holyrood.

Spia del Papa 

Secondo l'autore E. Frattini[4], Davide Rizzio, assieme al fratello Giuseppe, era una spia del Papa, infiltrato al seguito dell'ambasciatore di Savoia presso la corte di Maria Stuarda[5] con il compito di combattere la riforma anglicana e difendere il cattolicesimo e i suoi rappresentanti[6].

L'assassinio di Rizzio fu il frutto di una cospirazione politica che strumentalizzò anche la gelosia di Lord Darnley, marito di Maria Stuarda[7].

 
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James Bothwell

Post n°1569 pubblicato il 08 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

James Hepburn, 1st Duke of Orkney (c. 1534 – 14 April 1578), better known by his inherited title as 4th Earl of Bothwell, was hereditary Lord High Admiral of Scotland. He is best known for his association with and subsequent marriage to Mary, Queen of Scots, as her third husband. He was the last royal consort of Scotland only, as the spouses of all subsequent Scottish monarchs were also the Royal Consorts of England, Wales and Ireland, after the Union of the Crowns.


Early life

He was the son of Patrick Hepburn, 3rd Earl of Bothwell, and Agnes Sinclair (d.1572), daughter of Henry Sinclair, 3rd Lord Sinclair, and was styled Lord Hailes from birth. He succeeded his father as 4th Earl of Bothwell in 1556.
Early marriages

As Lord High Admiral of Scotland, Bothwell sailed around Europe. During a visit to Copenhagen around 1559, he fell in love with Anna Tronds, known in English as Anna Throndsen and posthumously as Anna Rustung. She was a Norwegian noblewoman whose father, Kristoffer Trondson (Rustung), a famous Norwegian admiral, was serving as Danish Royal Consul. After their engagement, or more likely marriage under Norwegian law, Anna left with Bothwell. In Flanders, he said he was out of money and asked Anna to sell all her possessions. She complied and visited her family in Denmark to ask for more money. Anna was unhappy and apparently given to complaining about Bothwell. Bothwell's treatment of Anna played a part in his eventual downfall.

In February 1566 Bothwell married Jean Gordon, sister of Sir John Gordon and of the Earl of Huntly. They were divorced on 7 May 1567, citing his adultery with her servant as cause. He married Mary, Queen of Scots, eight days later.
Connection with Mary, Queen of Scots
First acquaintance in France

Bothwell appears to have met Queen Mary when he visited the French Court in the autumn of 1560, after he left Anna Rustung in Flanders. He was kindly received by the Queen and her husband, King Francis II, and, as he himself put it: "The Queen recompensed me more liberally and honourably than I had deserved" — receiving 600 Crowns and the post and salary of gentleman of the French King's Chamber. He visited France again in the spring of 1561, and by 5 July was back in Paris for the third time — this time accompanied by the Bishop of Orkney and the Earl of Eglinton. By August, the widowed Queen was on her way back to Scotland in a French galley, some of the organisation having been dealt with by Bothwell in his naval capacity.
Under Mary of Guise's regency

Bothwell supported Mary of Guise, the Queen Regent of Scotland, against the Protestant Lords of the Congregation. Bothwell and 24 followers took 6000 crowns of English money destined to be used against Guise from the Laird of Ormiston on Halloween 1559 at an ambush near Haddington. In retaliation the Protestant leader, the Duke of Châtelherault, sent his son the Earl of Arran and the Master of Maxwell to seize Bothwell's home Crichton Castle and force the Earl, who was at Borthwick, to join them. Bothwell remained true to the Queen Regent, though it was said in January he was "weary of his part". The English agent Thomas Randolph also hinted at this time of a scandal involving his sister Jean Hepburn.
At Queen Mary's court

After Protestant Lords gained power following Mary of Guise's death and the return to Scotland of Mary, Queen of Scots, Bothwell appears to have been not much more than a troublesome noble at court. His open quarrel with the Earl of Arran and the Hamiltons, who accused him of intriguing against the Crown, caused some degree of anguish to the Queen, and although the Earl of Arran was eventually declared mad, Bothwell was nevertheless imprisoned in Edinburgh Castle without trial in 1562. Later that year, while the Queen was in the Highlands, he escaped and went to Hermitage Castle.

The Queen and Bothwell were by now very close. When Bothwell married Lady Jean Gordon, daughter of the 4th Earl of Huntly, in February 1566, the Queen attended the wedding (the marriage lasted just over a year). In the following summer, upon hearing that he had been seriously wounded and was likely to die, she rode all the way through the hills and forests of the Borders to be with him at Hermitage Castle only a few weeks after giving birth to her son. However, historian Lady Antonia Fraser asserts that Queen Mary was already on her way to visit Bothwell on matters of state before she heard about his illness, and that therefore this visit is not evidence they were already lovers at the time of his accident.
The murder of Darnley

In February 1567, Bothwell was one of those accused of having murdered the Queen's consort Lord Darnley. Darnley's father, the Earl of Lennox, and other relatives agitated for vengeance and upon his petition, the Privy Council began proceedings against Bothwell on 12 April 1567. Sir William Drury reported to Sir William Cecil, Secretary of State to Elizabeth I of England, that the Queen was in continuous ill-health "for the most part either melancholy or sickly". On the appointed day Bothwell rode magnificently down the Canongate, with the Earl of Morton and Sir William Maitland of Lethington flanking him, and his Hepburns trotting behind. The trial lasted from noon till seven in the evening. Bothwell was acquitted and it was widely rumoured that he would marry Mary.
Marriage to Queen Mary

The next Wednesday, the Queen rode to the Estates of Parliament, with Lord Bothwell carrying the Sceptre, where the proceedings of Bothwell's trial were officially declared to be just according to the law of the land. On Saturday 19 April no fewer than eight Bishops, nine Earls, and seven Lords of Parliament put their signatures to what became known as the Ainslie Tavern Bond, a manifesto declaring that Mary should marry a native-born subject, and handed it to Bothwell.

On Wednesday 24 April, while Mary was on the road from Linlithgow Palace to Edinburgh, Bothwell suddenly appeared with 800 men. He assured her that danger awaited her in Edinburgh, and told her that he proposed to take her to his castle at Dunbar, out of harm's way. She agreed to accompany him and arrived at Dunbar at midnight. There Mary was taken prisoner by Bothwell and allegedly raped by him to secure marriage to her and the crown (though whether she was his accomplice or his unwilling victim remains a controversial issue). On 12 May the Queen created him Duke of Orkney, and he married Mary in the Great Hall at Holyrood on 15 May 1567, according to Protestant rites officiated by Adam Bothwell, Bishop of Orkney. Within three days, Sir William Drury wrote to London that although the manner of things appeared to be forcible, it was known to be otherwise.

The marriage divided the country into two camps, and on 16 June, the Lords opposed to Mary and the Duke of Orkney (as Bothwell had newly become) signed a Bond denouncing them. A showdown between the two opposing sides followed at Carberry Hill on 15 June 1567, from which Bothwell fled, after one final embrace, never to be seen again by Mary. In December that year, Bothwell's titles and estates were forfeited by Act of Parliament.
Anna's revenge

He escaped from Scotland and travelled to Scandinavia in the hope of raising an army to put Mary back on the throne. Unfortunately he was caught off the coast of Norway (then ruled by Denmark) without proper papers, and was escorted to the port of Bergen. This was the native home of Anna Throndsen. Anna raised a complaint against Bothwell, which was enforced by her powerful family; her cousin Erik Rosenkrantz, a high-level official in Norway, remanded Bothwell to a local prison whilst Anna sued him for abandonment and return of her dowry. Anna must have had a soft spot in her heart for Bothwell, as he persuaded her to take custody of his ship, as compensation. Bothwell would have been released, but the monarch, King Frederick II of Denmark, had heard that the English Crown was seeking Bothwell for the alleged murder of King Henry and decided to take him into custody in Denmark.

Frederick at first treated Bothwell with respect but later sent him to the notorious Dragsholm Castle, where he was held in what was said to be appalling conditions, and he was driven insane. A pillar to which he was chained can still be seen, with a circular groove in the floor around the pillar where Bothwell purportedly remained for the last ten years of his life and where he died. His (alleged) mummified body could be seen in Fårevejle, in the church near the castle, until a few decades ago. However, the identity of the body has never been conclusively proven.

 
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I principi della Torre

Post n°1568 pubblicato il 08 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

Sono chiamati Principi nella Torre Edoardo V (4 novembre, 1470 – 1483?) e suo fratello Riccardo, conte di Shrewsbury (17 agosto, 1473 - 1483?). Essi erano figli di Edoardo IV e di Elizabeth Woodville. Alla morte del re, il loro zio Riccardo di Gloucester, a capo del consiglio di Reggenza in qualità di Lord Protettore, provvedette ad eliminare i loro parenti materni ed a costringere alla fuga loro madre. In sua completa balìa, i principi vennero da costui convinti della necessità di alloggiare nella fortezza-carcere della Torre di Londra, in attesa dell’incoronazione che ufficializzasse l’ascesa al trono di Edoardo V. Rinchiusi nella Torre alla fine del maggio 1483, non vennero mai più rivisti in vita. Il 9 luglio dello stesso anno, Riccardo di Gloucester fece approvare dal Parlamento inglese un atto passato alla storia col nome di Titulus Regius, che dichiarava il matrimonio di Edoardo IV illegittimo, e quindi illegittimi i suoi figli. A seguito di tale atto, Riccardo cinse la corona col nome di Riccardo III. Dei principi non si sentì più parlare: benché ufficialmente si ignorino data e causa della morte, quasi certamente essi furono assassinati durante la loro permanenza nella Torre




Il ritrovamento delle ossa: dubbi e certezze

Nel 1674 vennero iniziati ingenti lavori di ristrutturazione all’interno della Torre, particolarmente nella White Tower (Torre bianca). Alcuni lavoranti, durante le fasi di scavo, rinvennero una scatola di metallo: la aprirono, ed all’interno trovarono due scheletri di bambini, uno un poco più grande dell’altro. Informati della scoperta, gli storici, sulla scorta della Storia di 'Riccardo III di Tommaso Moro, stabilirono che quelle erano le ossa dei principi. Il monarca sul trono, Carlo II ordinò che essi fossero sepolti secondo il rango e nel luogo loro consono, ovvero l’Abbazia di Westminster, e pose sulla loro tomba questa lapide, tuttora visibile:
« Qui riposano i resti di Edoardo V, re d'Inghilterra, e Riccardo, duca di York. Questi fratelli vennero imprigionati nella Torre di Londra e lì soffocati con i cuscini, sepolti in forma privata e frettolosamente su ordine del loro zio Riccardo l'Usurpatore ;le loro ossa, a lungo ricercate e desiderate, vennero ritrovate dopo 191 anni il 17 luglio 1674 ai piedi delle scale (che conducevano alla cappella della White Tower) dove erano state riposte, e vennero riconosciute secondo prove inconfutabili. Carlo II, principe compassionevole, impietosito dalla loro sventurata sorte, ordinò che questi Principi venissero sepolti tra le tombe dei loro predecessori. Anno 1678, 30esimo del suo regno. »

In verità, solo nel 1933 re Giorgio V consentì che l'urna fosse aperta per esaminare i resti contenuti. Tale esame si concluse con l'individuazione di due scheletri, uno di un giovane di circa 14 anni e l'altro di un bambino di circa 10 anni, ma vennero anche rinvenute ossa di animali. Va comunque detto che il già citato Tommaso Moro, nella sua opera su Riccardo III, aveva indicato quale luogo di sepoltura dei principi uno spazio ai piedi delle scale della Torre Bianca. In ogni caso, dal 1933 la Corona ha sempre negato il permesso di effettuare ulteriori rilievi.
Assassinio o morte naturale?

La causa della morte dei principi potrebbe essere stata naturale: nell'Inghilterra di quel tempo la mortalità era elevatissima, e certamente l’ambiente umido e malsano della Torre avrebbe potuto causare il decesso dei due principi. Ad onor del vero, però, questa ipotesi sembra molto lontana dalla realtà: che due fratelli morissero in così breve lasso di tempo è alquanto improbabile, ancor più quando si pensi che Edoardo e Riccardo non erano ragazzi comuni, e che la loro morte faceva comodo a parecchie persone. Inoltre esistono diverse testimonianze che indicano l'assassinio – eseguito mediante soffocamento con cuscini - come la vera causa della loro fine:

nell'ottobre 1483 il duca di Buckingham, Henry Stafford, si ribellò a Riccardo III. Ufficialmente, egli proclamò che la causa della sua ribellione era vendicare l’assassinio di Edoardo V e del fratello. La rivolta venne comunque sedata ed il duca ucciso;
l'assassinio viene indicato da tre importantissime fonti dell'epoca: la Cronaca di Croyland (un monastero benedettino), il De occupatione Regni Angliae per Riccardum tertium dell'italiano Domenico Mancini (spia al servizio dell'ambasciatore francese in Inghilterra) e le Memorie di Philippe de Commines (un nobile francese che soggiornava a Londra in quel periodo). Più tardi anche Tommaso Moro nella sua opera indicò l'assassinio quale causa del decesso.

Il colpevole e i motivi

Visto che quasi certamente di assassinio si trattò, resta da individuare il colpevole. Al di là delle interpretazioni stravaganti, esistono due principali sospettati, ognuno dei quali presenta indizi a suo favore e a suo sfavore
Riccardo III (1452-1485): il principale indiziato
Ipotesi per l'omicidio

era il primo in linea di successione al trono: con la morte di Edoardo V, egli diveniva re.
uccise i parenti materni dei principi, lasciandoli senza altri sostegni.
fu lui a convincere i principi a risiedere nella Torre di Londra.
per sua iniziativa, il Parlamento approvò il “Titulus Regius”, un documento che spodestava i fratelli dichiarandoli illegittimi.
sir James Tyrrell, sovrintendente della Torre sotto il regno di Riccardo, prima di morire decapitato nel 1502 per tradimento, confessò di aver avuto ordine da lui di assassinare i due principi.
la fama di Riccardo III di uomo senza scrupoli.
le fonti citate prima dànno la colpa dell’assassinio a lui.

Ipotesi a suo favore

la storiografia moderna ha rivalutato la figura di Riccardo III. Certamente era ambizioso e deciso, ma non sanguinario come viene dipinto dalla storiografia dell’epoca. Anzi, si hanno indizi che fu molto benvoluto durante il suo regno.
la dichiarazione di James Tyrrell venne rilasciata sotto tortura.

Enrico VII (1457-1509): il secondo indiziato
Ipotesi per l'omicidio

se i principi fossero stati vivi dopo la battaglia di Bosworth, Edoardo V e non Enrico sarebbe stato il legittimo re. Non poteva permettersi di tenere in vita così formidabili rivali alla corona.
non esitò a mettere a morte il figlio di Giorgio di Clarence, ed altri che avrebbero potuto aspirare al trono. Certo non avrebbe avuto scrupoli con i principi.

Ipotesi a suo favore

Enrico avrebbe potuto ucciderli solo dopo il 1485, cioè dopo la sua vittoria su Riccardo III. Ma le fonti indicano unanimemente il 1483 quale data della loro morte;

 
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La Bestia (Bandeira)

Post n°1567 pubblicato il 08 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

Ieri ho visto una bestia
Nella spazzatura del cortile
frugando cibo tra i rifiuti.

Quando trovava qualcosa
Non esaminava né odorava:
ingoiava con voracità.

La bestia non era un cane,
non era un gatto,
non era un topo.

La bestia, mio Dio, era un uomo.

 
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Libri dimenticati:I guaritori

Post n°1566 pubblicato il 08 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

Bellissimo romanzo di HenryDenker,che narra l'unione di due coraggiosi medici nell'800

 
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Frase del giorno

Post n°1565 pubblicato il 08 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

Non siamo noi che diciamo le parole sono le parole che dicono noi

 
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